Continua l’altalena euro-dollaro

Di Carlo Pelanda (10-3-2003)

 

E’ tempo di inquadrare lo scenario dei rapporti di cambio tra euro e dollaro. Nel gennaio 1999, alla partenza della moneta unica, bastavano 0,83 euro per comprare un dollaro. Di questi ce ne volevano 1,17 per avere un euro, il secondo molto "alto" sulla moneta americana. Negli anni successivi l’euro perse progressivamente valore nei confronti del dollaro, con picchi vicini al 30% di deprezzamento. In un paio di occasioni la moneta unica ha toccato un massimo negativo simmetricamente all’opposto del valore di partenza: 1,17 euro (o euri?) per un dollaro e solo 83 cents di questo per un nostro soldino (equivalente a 1936,27 vecchie lire). Ma dall’autunno del 2002 l’euro ha cominciato a risalire stando per qualche mese vicino alla parità per poi arrivare in questi giorni a 1,10 (dollari per comprare un euro), cioè 90 cents di euro per comprare un biglietto verde. Le previsioni di breve periodo – qualche settimana - concordano in un rialzo dell’euro fino a 1,15 dollari (0,85). Ma quelle a medio e lungo, pur in modo meno concorde, vedono una ri-discesa dell’euro sotto la parità. Cerchiamo di capire questa altalena.

Affinché l’attenzione sul rapporto di cambio tra le due monete non sembri un esercizio specialistico che interessa pochi vorrei ricordare che il rapporto euro-dollaro influenza moltissimo l’economia sia macro sia micro. Per esempio, un americano che si aspettava, l’estate scorsa, di scambiare un euro con 0,90 dollari e ora deve spenderne 1,10 potrebbe essere disincentivato sul piano dei costi – quasi il 20% in più - a venire a visitare le nostre meravigliose città e così dare una botta dura al settore turistico. Più in generale, l’economia dell’eurozona dipende moltissimo dalla competitività valutaria (cioè euro basso). Perché il sistema economico nei principali Paesi (Francia, Germania ed Italia, l’ultima in leggero miglioramento) è molto rigido - cioè con poca concorrenza, molti costi fiscali diretti ed indiretti e un mercato del lavoro ingessato - e quindi non permette di essere efficienti e concorrenziali sul piano globale. Tale gap di competitività è parzialmente bilanciabile, appunto, attraverso la svalutazione del cambio. Infatti l’economia europea tende a crescere molto poco per forza propria perché sono piatti consumi (poca crescita ed inflazione) ed investimenti interni (disincentivati dalla rigidità). E si affida al buon esito dell’export per fare quel pelo in più di Pil senza il quale sarebbe in stagnazione endemica. Ma con l’euro così alto le esportazioni verso l’area del dollaro risultano meno competitive per prezzo. E l’export soffre facendo precipitare la crescita attesa. In realtà lo scenario ottimale sarebbe quello di avere una moneta con cambio elevato sulle altre (per ridurre l’inflazione importata) ed un massimo di efficienza interna in modo da non aver bisogno della svalutazione competitiva per vendere le proprie cose in giro per il mondo. Ma per l’eurozona ostile alle riforme ciò è un sogno remoto. Quindi la situazione di alta inefficienza interna combinata con una moneta a valore di cambio elevato significa solo meno crescita.

Come mai l’euro è andato così in alto sul dollaro nonostante la sua economia sottostante sia così scassata? Semplice, è il dollaro che è provvisoriamente crollato. La sfiducia nelle Borse sia per scandali sia per lo sgonfiamento della bolla precedente sia per i venti di guerra ha ridotto il flusso dei capitali verso gli investimenti finanziari in dollari ed il cambio ne ha risentito. Sul piano tecnico, poi, la Bce ha ridotto il costo del denaro meno che nell’area del dollaro. Quindi agli investitori conviene indebitarsi in dollari ed investire in titoli denominati in euro con resa nominale maggiore. E ciò, spostando contro il dollaro i flussi dei capitali, è un motivo in più per penalizzare il valore di cambio e far schizzare l’euro in alto nonostante la sua debolezza sottostante. In sintesi, per eccesso di cedimento contingente del dollaro, l’euro può dirsi sopravvalutato. E per la nostra economia reale non è una buona notizia anche se ciò riduce l’inflazione importata (il prezzo del petrolio è calcolato in dollari).

Come continuerà l’altalena? E’ prevedibile che dopo la conferma di una guerra breve in Iraq e senza troppe conseguenze il dollaro ripartirà verso l’alto in quanto le Borse americane risaliranno e chiameranno da tutto il mercato globale i capitali ora fermi. In tale scenario – che implica anche una tendenza al rialzo dei tassi USA - l’euro dovrebbe tornare attorno allo 0,95 (1,05 euro per comprare un dollaro) o più sotto, rispecchiando meglio nel cambio un’economia stagnante e dando all’export nuovo impulso. Ma questa ipotesi per noi piuttosto buona, e più probabile al momento, potrebbe essere smentita da cattive sorprese. Guai bellici, ma non solo. L’America potrebbe decidere una politica del dollaro basso per darsi competitività anche con questo strumento. Inoltre potrebbe non deciderlo, ma subirlo: alto deficit prospettico, eccesso di importazioni, ecc. potrebbero essere motivi per far pensare agli investitori di non comprare troppi dollari. In ambedue i casi l’euro resterebbe artificialmente alto. Perché è comunque la seconda moneta mondiale e quindi rifugio se la prima non convince. Speriamo di no, almeno fino a che non diventeremo più efficienti sul piano interno.

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