| E PER PENITENZA…Cari lettori di “Missioni Consolata”, mi rivolgo a voi, anche se non
        sono abbonato alla rivista, per augurarvi “buona natale”. Scrivo
        soprattutto per “penitenza”. Sono uno dei due milioni di giovani che hanno
        celebrato il giubileo a Roma, anche se non sono più un ragazzo, dati i
        miei 28 anni. Durante la manifestazione ho cantato molto (pur non
        essendo un Jovanotti), memore di un missionario che diceva: “Tra noi,
        giovani di 40 anni fa, e voi non noto grandi differenze, eccetto questa:
        noi cantavamo e voi… ascoltate. Non vi mancano musiche, ma
        poche sono cantabili: e, non essendo tali, si tramutano in alienazione.
        Noi invece cantavamo a squarciagola sulle piazze”. Concordo con quel missionario. Tra l’altro, dischi
        e cassette di musica “solo da ascoltare” coprono affari
        miliardari. Personalmente ho rifiutato il walkman e l’auricolare.
        Abbasso pure il cellulare alla cintura! Alcuni, da “destra”, hanno esaltato “la faccia
        pulita” dei ragazzi del giubileo e altri, da “sinistra”, ne hanno
        denunciato l’assenza di spirito politico critico. I mass media hanno
        peccato di grave superficialità. Come si fa ad omologare due
        milioni di persone di cultura diversa? Va detto che noN tutti i “papa-boys” inneggiano
        alla gioia di vivere. Domingo Das Neves, per esempio, ha la morte nel
        cuore. Domingo, dell’Angola, la notte del 19 agosto ha
        offerto a tutti la seguente testimonianza: “Ho 25 anni. Durante la
        guerra civile, che insanguina il mio paese e sembra non finire più, ho
        perso i genitori e poi anche il fratello maggiore con il quale vivevo. Ho
        perdonato chi ha ucciso i miei cari” (ndr: vedi la foto con il
        papa). Qualcuno ha lamentato che, al giubileo dei giovani,
        sia mancata la voce del terzo mondo. Domingo però era là, con la sua
        triplice disgrazia: perché albino (senza difesa immunitaria, nonché
        discriminato dai neri); perché orfano a causa delle bombe acquistate
        coi diamanti; perché africano (cioè un “esubero” nella politica
        delle potenze mondiali). Perché pochissimi hanno ascoltato Domingo?
        Forse perché il suo perdono dà fastidio? Sono domande a cui nessuno risponde.   Dopo l’adunata nella capitale, si è svolto a Rimini il “Meeting di
        Comunione e Liberazione”, durante il quale alcuni giovani del giubileo
        hanno inneggiato al papa, come pure a Berlusconi. No, qui non ci
        sto. Non si può applaudire al campione del neoliberismo
        e chi ne denuncia i guasti che ricadono soprattutto sui poveri. Cari amici di Missioni Consolata, questa lettera si
        addice poco agli auguri natalizi. Ma non mi piacciono le parole vuote.
        Preferisco queste: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo”. Quel Cristo che ha gradito le 50 lire di una povera
        vedova e ha rifiutato i 50 miliardi di…                                      
                          
                          
                
        EROS BENVENUTO       * * *       2- Mio commento. Pubblicato sul numero di Marzo 2001                       
                          
                          
                
        Gentili signori di “Missioni Consolata”   Stavolta
        prendo carta e penna. In verità me ne fate venir voglia ad ogni numero,
        anche se poi ho sempre lasciato stare... Stavolta No. Dunque
        Eros Benvenuto s'indigna perché al meeting di Cl è stato applaudito
        Berlusconi. La prima domanda che mi viene è se eguale costernazione
        sarebbe scaturita qualora sul palco fosse salito un qualsiasi altro
        grande imprenditore, che so un Agnelli, un Moratti o tanti altri. Secondo
        poi vorrei che si chiarisse finalmente cos'è questo vituperato
        liberismo o neoliberismo, a me non m'è tanto chiaro. Chiaro invece è
        che si tratta di capitalismo (tanto per il primo imprenditore predetto
        che per i secondi). Procediamo con ordine. Il
        capitalismo a me pare essere una forma naturale di rapporti sociali,
        scaturita e maturata dal profondo della storia occidentale, per la quale
        l'economia è affidata essenzialmente all'impresa.  Al
        capitalismo senza alcun dubbio è ascrivibile (o imputabile, dipende dai
        gusti) il benessere di massa che ha toccato i popoli del mondo
        occidentale, i quali, grazie al capitalismo e a nessun altro (a parte il
        Padreterno), pur insieme alle ingustizie e squilibri insiti nel sistema
        (o forse insiti nella natura umana), da circa cinquant'anni (o più o
        meno, a seconda dei casi individuali e delle singole aree d'Italia,
        d'Europa e del mondo) mangiano carne tutti i giorni, vestono e parlano
        con garbo.  Mio
        nonno Alfredo a quindici anni emigrò in Francia, io sono piuttosto
        contento di andare ogni tanto in Francia da turista. Il
        capitalismo inoltre non è nuovo, ho avuto modo di accertare che le
        belle chiese e cattedrali del medioevo, e tutte le opere d'arte che le
        impreziosiscono (e che sono tra l'altro il vanto dei ministri dei beni
        culturali), sono frutto dello sviluppo impetuoso dei commerci e delle
        manifatture del due/trecento: mai Giotto o Arnolfo avrebbero potuto fare
        quello che hanno fatto senza gli intraprendenti capitalisti mercanti,
        agricoltori e imprenditori dell’epoca loro. Io
        provo istintiva simpatia per il massimo sviluppo di impreditoria
        possibile: individuale, familiare, industriale, artigianale, di
        servizio, professionale, etc. Ho pure notato che l'Italia manda
        facilmente soldati in Bosnia, in Kosovo, in Africa... Vi manda anche
        ingenti risorse (impiegate più o meno bene non lo so). Non sono molte
        le nazioni che fanno altrettanto, le solite, la Germania, la Francia,
        l'Inghilterra... Non vi trovo l'Ungheria o il Messico. Il motivo? E' che
        solo i paesi particolarmente ricchi possono permettersi di essere
        generosi.  Insomma,
        sono tra quelli che non demonizzano la ricchezza, anzi, ne sono
        nettamente favorevole, senza dubbio alcuno, perchè ritengo di aver
        personalmente e direttamente sperimentato (guardando il mondo degli
        ultimi trent'anni) che i mali del mondo possono venire con o senza
        capitalismo, con o senza ricchezza, ma sicuramente allignano meglio dove
        c'è la miseria. Pur
        non amando Berlusconi (io ho sposato solo mia moglie) ho intuito che
        l'odio viscerale che egli suscita in molti gonzi non deriva dal fatto
        che è ricco, ma solo perchè osa rompere l'ipocrisia catto-comunista
        -tutta italiana- che demonizza la ricchezza: egli infatti rivendica
        apertamente il diritto/dovere di contivare nel migliore dei modi
        l'impresa economica, e lo fa ostentando un "sorriso
        all’americana" che ferisce l'aura sacerdotale dei piagnoni e dei
        menagramo.  Ipocrisia
        palese, perchè tutti i poveri sognano di essere ricchi (siamo o non
        siamo il popolo del superenalotto?), da sempre (un tempo si favoleggiava
        di tesori nascosti) e soprattutto perchè la sinistra esiste per
        invocare pane, lavoro e aumenti di stipendio: signor Benvenuto, conosce
        lei un modo per dare lavoro alla gente senza sufficenti imprese?  Tutti
        al catasto o in comune? Sì, certo, si potrebbe fare, peccato che l'Urss
        è tracollata proprio perchè produceva molto meno di quel che
        pretendeva di consumare (mi viene in mente la storia di quell'asino che
        finalmente aveva imparato a campare senza mangiare, ma poi, peccato, morì
        subito...)  Ipocrisia
        al massimo grado, perchè si fa finta di ignorare che nel moderno
        capitalismo l'esistenza stessa dell'impresa non può che derivare da
        lavoro e sviluppo per molti, e in ciò esso presenta una differenza
        radicale dal vecchio mondo agrario, largamente asenteista e parassitario
        e che in ciò poteva, quest’ultimo solo, giustificare avversione verso
        la ricchezza. Ipocrisia
        al massimo grado, perchè si contrappone il "pubblico" (buono)
        al "privato" (cattivo) quando solo i bigotti possono non
        accorgersi che oggi in Italia le cose pubbliche sono la più massiccia e
        illegale forma di privatizzazione delle risporse pubbliche, a favore dei
        mille e mille clientes della politica; dilapidano le maggiori risorse
        della nazione e coltivano il parassitismo di massa.  Immagino
        infatti che al Benvenuto, se sul palco fosse salito un Veltrone
        qualsiasi sarebbero venuti i lucciconi...   Se
        non sono scemo del tutto, mi pare d'aver capito che siccome il
        capitalismo piace a tutti quelli che lo toccano, la concorrenza s'è
        fatta mondiale e i margini di sopravvivenza sul e nel mercato, che ormai
        è planetario per moltissime merci, sono sempre più stretti, con grave
        rischio delle stesse imprese, che oggi possono essere prospere ma domani
        chissà. Còstato infatti spesso che il più contento di un mondo senza
        concorrenza, il più nostalgico di un mondo ove l'impresa potesse agire
        sicura in aree e mercati ancora "vergini" (come vissero le
        industrie in tutta la prima fase espansiva della rivoluzione
        industriale), sarebbe nientepopodimeno che il famoso padrone. Certo
        anche i suoi operai e tecnici, ma non di meno lui, che sa bene di essere
        appeso a fili molto lunghi, che non dipendono affatto da lui (o da lui
        solo).  Trattasi
        comunque di un meccanismo economico ingiusto e privo di senso (tutti a
        correre per produrre e consumare di più)?  Senz'altro,
        ma esiste una autorità mondiale capace di imporre a tutti,
        contemporaneamente, un diverso ordine, più umano?  Non
        c'è. E quell'azienda che smettesse di correre col passo imposto
        dall'equilibrio mondiale, hic et nunc, sarebbe fuori dal mercato,
        sostituita da qualche giapponese o tedesco, o australiano.  Ecco,
        se non ho capito male, in un mondo così stretto, le imprese per vivere
        hanno bisogno di minori vincoli e tasse, che se non sbaglio sarebbe il
        famoso neoliberismo. Cioè il capitalismo di quest'epoca matura.  Ma
        a parte della oggettività del neoliberismo, mi pare che tutte le
        imprese vi si adeguino senza clamore, sia quelle di Moratti che di
        Berlusconi: ha provato signor Benvenuto a confrontare stipendi e
        condizioni di lavoro tra i dipendenti Mediaset e della Lega Cooperative? So
        anche che "multinazionale" è una qualifica che si acquisisce
        quando l'impresa estende il suo raggio d'azione fuori del confine
        nazionale. Solo nella mia modesta Umbria credo ve ne siano almeno un
        centinaio. Non ciurlo nel manico, c'è multinazionale e multinazionale:
        è innegabile che talune fortissime impongano scelte ai governi. Ma
        allora più che con le multinazionali (che fanno il loro mestiere)
        prendetevela coi governi, coi partiti e i singoli politici
        immeritatamente eletti a rappresentare l'interesse generale, come la Cee,
        che non perde occasione di assecondare interessi forti, come è stata a
        marzo 2000 la direttive che consente di produrre cioccolata con
        surrogati sintetici del burro di cacao, in danno dei paesi africani che
        nel cacao hanno le uniche risorse. Nella mia Perugia ad ottobre si
        svolge Eurochocolate, e nell'ultima edizione l'organizzatore ha invitato
        ad un dibattito (su quella famigerata direttiva Cee) l'europarlamentare
        verde Francesco Rutelli, che seguendo bravamente l'indicazione del suo
        gruppo, aveva ben votato a Strasburgo a favore della direttiva. Al
        dibattito era presente la gentile ambasciatrice del Ghana ed altri
        rappresentanti -allarmati- di paesi produttori di cacao. Ma del bel
        Francesco nessuna traccia (eppure lo avevano invitato "a magiare la
        cioccolata buona").  Così
        come il parlamento europeo ha una schiacciante maggioranza di sinistra. Caro
        Benvenuto, guardiamoci negli occhi, non
        sono nè nato ieri, nè cieco, il mondo è pieno di violenza e truffe
        legalizzate. Specie il terzo e quarto mondo, specie quell'America Latina
        verso la quale noi italiani abbiamo più d'un legame, e non di meno
        l'Africa, verso la quale e dalla quale abbiamo più d'un richiamo, sono
        pregni di violenza, ove gli interessi economici delle imprese locali e
        multinazionali hanno un ruolo importante (anche se non esclusivo e forse
        neanche il maggiore). Ma penso spesso che il capitalismo e il
        neoliberismo occidentali avrebbero lo stesso interesse a mantenervi e
        svilupparvi rapporti economici anche in presenza di tessuti socio
        economici (di quei paesi) sviluppati come quelli occidentali. Il vero
        problema è che a quei paesi manca un sufficente ceto medio, che sappia
        creare tra l'attuale bipartizione Oligarchia/Diseredati, un sufficente
        tessuto produttivo e imprenditoriale, che al tempo stesso porterebbe
        sviluppo per (quasi) tutti e democrazia più sostanziale. Gli mancano
        tanti piccoli Berlusconcini.  La
        ricchezza si genera con la ricchezza non con la miseria. Non
        le piace? Non va bene? Fornisca lei la medicina, l'ascolto volentieri. Ma
        che non sia l'unilaterale rinuncia di un paese alla sua ricchezza, alla
        sua prosperità, alla sua storia; che non sia una suicida uscita dalla
        capacità competitiva mondiale.    Vede,
        quì entra in ballo la distinzione fondamentale tra politica e
        individuo. In una persona è nobile e ricononsciuta la rinuncia alla
        ricchezza, all'agio, la scelta del sacrificio e della dedizione. Ma guai
        a chi vuole imporre questi valori a tutti per via politica, egli sarebbe
        niente altro che un nuovo formidabile tiranno. Non esiste impegno
        politico senza perseguire il benessere materiale del popolo ammninstrato.   E
        con ciò voglio ricusare in toto le parole del presidente Violante, a
        pagg. 18-23 (dicembre 2000), francamente mi vergogno di imbattermi
        ancora oggi in simili monumenti dell’ipocrisia e della demagogia.  Si
        scandalizza perchè la distanza tra paesi ricchi e poveri aumenta a
        forbice, con ciò indugiando anche lui (falsamente, ma soprattutto
        sterilmente) "sulle colpe dell'occidente", quando a mio
        modesto avviso la colpa della miseria di tanti paesi è, come ho
        accennato, nelle rispettive classi o oligarchie dirigenti, che
        intercettano e sprecano le risorse disponibili.  E'
        evidente infatti che la forbice non può che aumentare (e aumenterebbe
        anche se i due mondi fossero incomunicanti), perchè mentre i poveri
        hanno sviluppo zero o quasi, i ricchi vanno avanti in ricerca
        tecnologica, produzione e servizi (dovrebbero fermarsi? Fa gli stessi
        discorsi, Violante, quando parla all’associazione industriali o ai
        ricercatori universitari?). Ma
        soprattutto non sopporto la demagogia di colpevolizzare i cittadini dei
        paesi ricchi, cioè noi, come se la sofferenza del mondo povero fosse
        una nostra singola volontà deliberata, come se potessimo fare chissà
        quanto sol che fossimo meno insensibili, e come se il nostro essere
        ricchi fosse una specie di regno di bengodi, quando invece sappiamo
        troppo bene (tutti tranne i bonzi ben pagati della politica) che accanto
        allo stereo-video-computer del nostro salotto c'è tanta fatica
        quotidiana, il mutuo da pagare, accompagnare i figli, le tensioni nel
        lavoro... C'è spesso solitudine e sofferenza. E tanta violenza dello
        Stato, che pretende, pretende e getta follemente dalla finestra. Violante
        fa parte di un partito che come ogni altro perora e studia tutti i
        giorni sviluppo, tassi agevolati, occupazione, incentivi, sgravi (anche
        se a Berlusconi forse gli riesce meglio), per tutta Italia, per ogni
        zona e categoria, e guai se così non fosse, sparirebbe in due tornate
        elettorali. Insomma cari signori, volete
        la ricchezza d'Italia e degli italiani o la povertà?Io
        sceglierei la ricchezza economica, che per noi e ogni altro popolo non
        può che favorire (non portare, perché di automatico non c'è nulla)
        maturazione sociale e culturale, generosità verso i più sfortunati.  E
        anche fermezza, sceglierei. L'intervistatore e l'intervistato infatti,
        prigionieri dei loro schemi pauperisti e terzomondisti, giocano a
        rimpiattino inconcludentemente: il primo chiede se sia giusto
        intervenire militarmente in tanti luoghi disparati del mondo martoriato,
        il secondo prima dice che no, naturalmente, non è giusto, poi la riga
        successiva dice che  però
        era indispensabile... Siate
        almeno una volta conseguenti e logici: vi sta veramente a cuore la
        sofferenza di questo e quel paese? Allora intervenite, sostituitevi al
        ducetto locale e gestite come più ritenete efficace e produttivo quelle
        risorse, che dopo tutto sono vostre (nostre). Altrimenti, se dovreste
        alimentare i mille ras del terzo mondo, solo per “rispetto
        dell’autonomia degli stati…” è meglio stare a casa.  Si
        chiama neocolonialismo e vi stracciate le vesti?  Ma
        allora, ripeto, vi interessa o no quella sofferenza?   Basta,
        ho scritto anche troppo. Dite voi casomai, a questo punto.  Sono
        contento di rimanere abbonato alla rivista perché il mio povero zio Don
        Adriano Fressoia lasciò segno di devozione nei vostri confronti; lui fu
        un parroco di campagna, anticomunista in via naturale (con una certa
        analogia a Don Camillo), ma sapeva dell’infinita pazienza della verità,
        e se ritenne di mantenere un rapporto con voi non sarò certo io a fare
        lo schizzinoso. Del resto voi praticate una attività (le Missioni) che
        obbliga noi tutti al rispetto massimo, anche qualora si ravveda in
        determinate vostre posizioni l’errore della forzatura ideologica. Io,
        in buona sostanza, vedo che voi come organizzazione religiosa e
        missionaria, noi come cittadini italiani, abbiamo doveri reali verso il
        mondo povero, tanto più forti quanto più siamo ricchi. Ed ho la
        sensazione che se la coscienza civile degli italiani si liberasse di
        equivoci quali quelli qui confutati, sarebbe molto meglio sia per gli
        italiani che per i cittadini dei paesi poveri.                    
                          
                
            
          Cordialità e Buon 2001! Perugia,
        27 Dicembre 2000                                         
                          
                          
                
        Luigi Fressoia       * * *           3- Di Gianfranco Amendola. Editoriale del bollettino di “Italia Nostra”, numero 370, Novembre 2000              
                                  
        L’ecologia schiava del dio Pil 
 Pochi si sono accorti che negli ultimi anni in Italia (e non solo) il mercato si è impadronito anche dell’ecologia. E che oggi la tutela dell’ambiente viene sempre più avvertita non come valore in sé ma come valore aggiunto del mercato. In pochi anni, questa nostra società mediatica, strutturata per formare consumatori (e consenso) in batteria, con una sapiente e veloce operazione sociale e politica, ha stravolto il passaggio dello “sviluppo sostenibile” ed ha ridotto l’ambiente, da valore fondamentale, a sé stante e alternativo, a semplice ed innocua patina con cui rafforzare i valori della economia di mercato. Ormai, l’ambiente non conta più di per sé ma solo se e in quanto crea occupazione, fa crescere i consumi (e il mercato), aumenta il dio Pil. E’ la stessa logica che sta resuscitando, in questi giorni, progetti aberranti come il Mose di Venezia o il Ponte di Messina. Il migliore esempio viene dal settore dei rifiuti dove impera palesemente la scelta degli inceneritori (ribattezzati “termovalorizzatori”) per produrre (spesso solo sulla carta) energia; di modo che l’imperativo diventa consumare di più e produrre più rifiuti, dimenticando totalmente che, invece, il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto e che, se proprio non si può evitare, occorre favorirne il riciclo ed il riutilizzo come materia, lasciando l’incenerimento come ultima scelta. In questo modo, invece, da un lato non si affrontano i nodi fondamentali dello sviluppo, delle scelte produttive e degli stili di vita, e dall’altro si rientra perfettamente nell’economia di mercato e nel consumismo; non a caso, l’Italia è l’unico paese europeo che ha inventato i “rifiuti quotati in borsa”. Questa “ecologia di mercato” purtroppo ha contaminato anche parte del mondo ambientalista, oggi immerso nel mercato dell’ecologia. E così sempre più spesso l’ambiente non è un fine da perseguire ma un mezzo per acquisire poltrone ed inserirsi nel mercato. Gli ambientalisti, cioè, si dividono in “fondamentalisti” (cattivi) e “ragionevoli” (buoni): che sono quelli i quali hanno adottato la “tattica” di “coniugare” e “contaminare” l’ambiente con i valori economici dominanti (pudicamente chiamati “altre grandi questioni” ovvero “le esigenze delle persone in carne ed ossa”). Con la conseguenza che la tutela dell’ambiente conta solo se “sostenibile” per il mercato e non viceversa. G. Amendola       * * *           4- Mio commento. Non pubblicato.                                        
                         
        Spett. redazione di “Italia Nostra”      
                          
                          
           Sono iscritto ad Italia Nostra dal 1984, i soci di
        Perugia mi conoscono bene e insieme abbiamo condotto diverse battaglie,
        peraltro vincendone la maggior parte. L’ultimo editoriale, di Gianfranco Amendola, mi ha
        lasciato interdetto; vorrei argomentare. Egli pare ossessionato del (demonio) mercato, che riesce a citare ben nove volte in così poche righe. Forse c’è un equivoco: a me risulta che il mercato in buona salute ed un buon Pil garantiscono ottimi stipendi anche per magistrati, professori universitari e mandarini delle pubbliche amministrazioni. Dà per scontato che un corretto ambientalismo per
        forza deve essere nemico del mercato; modestamente ritengo che se trova
        sue strade per non collidere con l’equilibrio ecologico, benvenga il
        mercato. Del resto mi risulta che l’alta tecnologia applicata
        all’ambiente dà ottimi risultati, come dimostrano il ritorno dei
        salmoni nel Tamigi o la ormai raggiunta autosufficienza energetica (da
        fonti pulite) di Stoccolma. Quindi auspico esattamente che “il mercato
        si impadronisca dell’ecologia”, nel senso di riuscire a coniugare
        bene le due cose, ovvero a fare dell’equilibrio ambientale un
        interesse diretto ed economico dei cittadini e delle loro fonti di
        sostentamento (che sono soprattutto le aziende e le imprese, ben più e
        ben prima degli uffici pubblici, comprese le cattedre universitarie o i
        tribunali). Chi ha occhi vede che le migliori aspettative per
        l’ambiente vengono proprio dai paesi più avanzati, dove il
        capitalismo e il mercato sanno innovare e fare propria (farne motivo di
        nuova impresa) la sensibilità crescente dei cittadini su queste
        tematiche. Cosa sia mai “il valore in sé” dell’ecologia
        vorrei proprio capirlo bene. In sé non c’è proprio niente: io vedo
        l’ambiente in funzione dell’umanità, proprio perché a rischio è
        la sopravvivenza dell’uomo; non del pianeta, che continuerebbe a
        vivere anche senza le persone, anche con inenarrabili sconvolgimenti
        ambientali. Non sa forse che nel corso delle sue ere la terra più volte
        ha visto perire (ben prima della comparsa dell’uomo) la maggior parte
        delle sue forme viventi? Anche se una catastrofe nucleare eliminasse tutti gli
        umani dalla faccia della terra, il mondo continuerebbe a vivere,
        evolvere e a riprodurre le forme di vita che saprà… Per dire che di
        questi scenari non ce ne può importare di meno: il baricentro e metro
        che conta è l’umanità, la sua vita, la qualità della sua vita, per
        i quali la cultura (consapevolezza del patrimonio naturale e culturale)
        torna ad essere fattore decisivo. Aberrante il Mose? Casomai non condivisibile, perché
        aberrante? Perché questa libido dell’insulto e del disprezzo? I quindici maggiori esperti del mondo saranno proprio
        tutti suonati? Perché dovrei prestar più fede a lei che a loro?
        “Aberrante” non sarà per caso l’idea di contrastare la natura che
        aggredisce Venezia? Magari perché “tutto muore e anche Venezia dovrà
        morire”? Un’aberrazione anche il Ponte di Messina?  Dal ponte di Bristol a quello sul Bosforo, al tunnel
        sotto la Manica ho visto che gli ambientalisti dei rispettivi paesi non
        si sono scatenati tanto. Forse perché la loro attenzione (libera dal
        pregiudizio di antagonismo irrimediabile a tutti i costi) è sul come si
        fanno le cose.  Non sarà mica che anche lei ogni tanto -appena può-
        vola nei mitici States e si commuove davanti al ponte di Brooklyn? Un ponte può costituire un problema paesistico, ma
        difficilmente può comportare questioni ambientali (impoverimenti
        biologici, spezzamenti della catena ecologica, scomparsa di specie,
        alterazioni climatiche, inquinamento diverso da prima...).  Bisogna vedere il progetto e valutare con calma:
        potrebbe anche riuscire un’opera d’arte! Non sa che anche uno
        splendido centro storico a suo tempo prese il posto d’un campo di
        cardi? E’ questo nostro un “sistema strutturato per
        formare consumatori e consenso in batteria”? A me pare che di consenso
        in batteria ce n’era di più una volta. Solo oltre la metà del suo apodittico scritto,
        Amendola riesce ad entrare dentro un tema concreto, sui
        termovalorizzatori che “troppo spesso solo sulla carta dovrebbero
        produrre energia”. Ecco, esimio dottore, fuochino: facciamo in modo
        che non solo sulla carta… Pretendiamolo con serietà e spirito
        costruttivo. Vedrà che vinceremo. Non è poco! Grandioso quel “il migliore rifiuto è quello che
        non viene prodotto”. Certo, e come potrebbe essere altrimenti?  Solo che viene voglia di sbirciare quanti libri
        possiede in casa (quanta carta?), quanti abiti negli armadi, quanti
        viaggi… Capisco bene di sfiorare l’indelicatezza, ma vorrei
        ricordare che la tendenza a vivere meglio, a progredire economicamente,
        possibilmente con più agi e meno fatica… non è certo un’invenzione
        né del mercato né del capitalismo, bensì dura da Adamo ed Eva, è
        connaturata con l’uomo (e forse più con la donna). L’Italia “è l’unico paese che ha inventato i
        rifiuti quotati in borsa”? Non sapevo, vorrei capire meglio, ma sarei
        ben felice che si tornasse un po’ all’avanguardia (noi italiani che,
        nei due millenni, abbiamo inventato parecchie cosucce degne di nota).    In definitiva, caro signor Amendola, qualora il
        consumismo, grazie ad una avanzata e sofisticata tecnologia ed economia,
        ambientalmente sostenibili, riuscisse a restituire un bilancio ecologico
        a conto zero, esso non dovrebbe costituire problema alcuno per
        l’ambientalista rispettoso del suo nome.  Se invece si trascinano problemi personali irrisolti,
        si odia il mondo e si pretendere di predicare (e imporre) la castità ai
        sorci, l’ambientalismo è un povero pretesto. Destinato però a
        rovinare oltremodo soprattutto l’ambiente, perché tutte le persone
        normali (e questo purtroppo è lo scenario italiano) a fronte di
        siffatto ambientalismo, non possono che cadere nelle braccia di
        speculatori e traffichini d’ogni genere. Non è questione di ambientalisti buoni e cattivi, ma
        di persone intelligenti o meno.   Naturalmente tutto ciò rientra nella normalità di
        opinioni diverse e legittime. Comunque sono distanze enormi, sarebbe
        bene che il bollettino di “Italia Nostra” inviti ad un ampio
        dibattito.  Cordialità Perugia 01 Febbraio 2001                                      
                          
                         
        Arch. Luigi Fressoia                                      
                          
                
        Esperto in centri storici e mobilità   
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