E PER PENITENZA…
Cari lettori di “Missioni Consolata”, mi rivolgo a voi, anche se non
sono abbonato alla rivista, per augurarvi “buona natale”. Scrivo
soprattutto per “penitenza”. Sono uno dei due milioni di giovani che hanno
celebrato il giubileo a Roma, anche se non sono più un ragazzo, dati i
miei 28 anni. Durante la manifestazione ho cantato molto (pur non
essendo un Jovanotti), memore di un missionario che diceva: “Tra noi,
giovani di 40 anni fa, e voi non noto grandi differenze, eccetto questa:
noi cantavamo e voi… ascoltate. Non vi mancano musiche, ma
poche sono cantabili: e, non essendo tali, si tramutano in alienazione.
Noi invece cantavamo a squarciagola sulle piazze”. Concordo con quel missionario. Tra l’altro, dischi
e cassette di musica “solo da ascoltare” coprono affari
miliardari. Personalmente ho rifiutato il walkman e l’auricolare.
Abbasso pure il cellulare alla cintura! Alcuni, da “destra”, hanno esaltato “la faccia
pulita” dei ragazzi del giubileo e altri, da “sinistra”, ne hanno
denunciato l’assenza di spirito politico critico. I mass media hanno
peccato di grave superficialità. Come si fa ad omologare due
milioni di persone di cultura diversa? Va detto che noN tutti i “papa-boys” inneggiano
alla gioia di vivere. Domingo Das Neves, per esempio, ha la morte nel
cuore. Domingo, dell’Angola, la notte del 19 agosto ha
offerto a tutti la seguente testimonianza: “Ho 25 anni. Durante la
guerra civile, che insanguina il mio paese e sembra non finire più, ho
perso i genitori e poi anche il fratello maggiore con il quale vivevo. Ho
perdonato chi ha ucciso i miei cari” (ndr: vedi la foto con il
papa). Qualcuno ha lamentato che, al giubileo dei giovani,
sia mancata la voce del terzo mondo. Domingo però era là, con la sua
triplice disgrazia: perché albino (senza difesa immunitaria, nonché
discriminato dai neri); perché orfano a causa delle bombe acquistate
coi diamanti; perché africano (cioè un “esubero” nella politica
delle potenze mondiali). Perché pochissimi hanno ascoltato Domingo?
Forse perché il suo perdono dà fastidio? Sono domande a cui nessuno risponde. Dopo l’adunata nella capitale, si è svolto a Rimini il “Meeting di
Comunione e Liberazione”, durante il quale alcuni giovani del giubileo
hanno inneggiato al papa, come pure a Berlusconi. No, qui non ci
sto. Non si può applaudire al campione del neoliberismo
e chi ne denuncia i guasti che ricadono soprattutto sui poveri. Cari amici di Missioni Consolata, questa lettera si
addice poco agli auguri natalizi. Ma non mi piacciono le parole vuote.
Preferisco queste: “Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo”. Quel Cristo che ha gradito le 50 lire di una povera
vedova e ha rifiutato i 50 miliardi di…
EROS BENVENUTO * * * 2- Mio commento. Pubblicato sul numero di Marzo 2001
Gentili signori di “Missioni Consolata” Stavolta
prendo carta e penna. In verità me ne fate venir voglia ad ogni numero,
anche se poi ho sempre lasciato stare... Stavolta No. Dunque
Eros Benvenuto s'indigna perché al meeting di Cl è stato applaudito
Berlusconi. La prima domanda che mi viene è se eguale costernazione
sarebbe scaturita qualora sul palco fosse salito un qualsiasi altro
grande imprenditore, che so un Agnelli, un Moratti o tanti altri. Secondo
poi vorrei che si chiarisse finalmente cos'è questo vituperato
liberismo o neoliberismo, a me non m'è tanto chiaro. Chiaro invece è
che si tratta di capitalismo (tanto per il primo imprenditore predetto
che per i secondi). Procediamo con ordine. Il
capitalismo a me pare essere una forma naturale di rapporti sociali,
scaturita e maturata dal profondo della storia occidentale, per la quale
l'economia è affidata essenzialmente all'impresa. Al
capitalismo senza alcun dubbio è ascrivibile (o imputabile, dipende dai
gusti) il benessere di massa che ha toccato i popoli del mondo
occidentale, i quali, grazie al capitalismo e a nessun altro (a parte il
Padreterno), pur insieme alle ingustizie e squilibri insiti nel sistema
(o forse insiti nella natura umana), da circa cinquant'anni (o più o
meno, a seconda dei casi individuali e delle singole aree d'Italia,
d'Europa e del mondo) mangiano carne tutti i giorni, vestono e parlano
con garbo. Mio
nonno Alfredo a quindici anni emigrò in Francia, io sono piuttosto
contento di andare ogni tanto in Francia da turista. Il
capitalismo inoltre non è nuovo, ho avuto modo di accertare che le
belle chiese e cattedrali del medioevo, e tutte le opere d'arte che le
impreziosiscono (e che sono tra l'altro il vanto dei ministri dei beni
culturali), sono frutto dello sviluppo impetuoso dei commerci e delle
manifatture del due/trecento: mai Giotto o Arnolfo avrebbero potuto fare
quello che hanno fatto senza gli intraprendenti capitalisti mercanti,
agricoltori e imprenditori dell’epoca loro. Io
provo istintiva simpatia per il massimo sviluppo di impreditoria
possibile: individuale, familiare, industriale, artigianale, di
servizio, professionale, etc. Ho pure notato che l'Italia manda
facilmente soldati in Bosnia, in Kosovo, in Africa... Vi manda anche
ingenti risorse (impiegate più o meno bene non lo so). Non sono molte
le nazioni che fanno altrettanto, le solite, la Germania, la Francia,
l'Inghilterra... Non vi trovo l'Ungheria o il Messico. Il motivo? E' che
solo i paesi particolarmente ricchi possono permettersi di essere
generosi. Insomma,
sono tra quelli che non demonizzano la ricchezza, anzi, ne sono
nettamente favorevole, senza dubbio alcuno, perchè ritengo di aver
personalmente e direttamente sperimentato (guardando il mondo degli
ultimi trent'anni) che i mali del mondo possono venire con o senza
capitalismo, con o senza ricchezza, ma sicuramente allignano meglio dove
c'è la miseria. Pur
non amando Berlusconi (io ho sposato solo mia moglie) ho intuito che
l'odio viscerale che egli suscita in molti gonzi non deriva dal fatto
che è ricco, ma solo perchè osa rompere l'ipocrisia catto-comunista
-tutta italiana- che demonizza la ricchezza: egli infatti rivendica
apertamente il diritto/dovere di contivare nel migliore dei modi
l'impresa economica, e lo fa ostentando un "sorriso
all’americana" che ferisce l'aura sacerdotale dei piagnoni e dei
menagramo. Ipocrisia
palese, perchè tutti i poveri sognano di essere ricchi (siamo o non
siamo il popolo del superenalotto?), da sempre (un tempo si favoleggiava
di tesori nascosti) e soprattutto perchè la sinistra esiste per
invocare pane, lavoro e aumenti di stipendio: signor Benvenuto, conosce
lei un modo per dare lavoro alla gente senza sufficenti imprese? Tutti
al catasto o in comune? Sì, certo, si potrebbe fare, peccato che l'Urss
è tracollata proprio perchè produceva molto meno di quel che
pretendeva di consumare (mi viene in mente la storia di quell'asino che
finalmente aveva imparato a campare senza mangiare, ma poi, peccato, morì
subito...) Ipocrisia
al massimo grado, perchè si fa finta di ignorare che nel moderno
capitalismo l'esistenza stessa dell'impresa non può che derivare da
lavoro e sviluppo per molti, e in ciò esso presenta una differenza
radicale dal vecchio mondo agrario, largamente asenteista e parassitario
e che in ciò poteva, quest’ultimo solo, giustificare avversione verso
la ricchezza. Ipocrisia
al massimo grado, perchè si contrappone il "pubblico" (buono)
al "privato" (cattivo) quando solo i bigotti possono non
accorgersi che oggi in Italia le cose pubbliche sono la più massiccia e
illegale forma di privatizzazione delle risporse pubbliche, a favore dei
mille e mille clientes della politica; dilapidano le maggiori risorse
della nazione e coltivano il parassitismo di massa. Immagino
infatti che al Benvenuto, se sul palco fosse salito un Veltrone
qualsiasi sarebbero venuti i lucciconi... Se
non sono scemo del tutto, mi pare d'aver capito che siccome il
capitalismo piace a tutti quelli che lo toccano, la concorrenza s'è
fatta mondiale e i margini di sopravvivenza sul e nel mercato, che ormai
è planetario per moltissime merci, sono sempre più stretti, con grave
rischio delle stesse imprese, che oggi possono essere prospere ma domani
chissà. Còstato infatti spesso che il più contento di un mondo senza
concorrenza, il più nostalgico di un mondo ove l'impresa potesse agire
sicura in aree e mercati ancora "vergini" (come vissero le
industrie in tutta la prima fase espansiva della rivoluzione
industriale), sarebbe nientepopodimeno che il famoso padrone. Certo
anche i suoi operai e tecnici, ma non di meno lui, che sa bene di essere
appeso a fili molto lunghi, che non dipendono affatto da lui (o da lui
solo). Trattasi
comunque di un meccanismo economico ingiusto e privo di senso (tutti a
correre per produrre e consumare di più)? Senz'altro,
ma esiste una autorità mondiale capace di imporre a tutti,
contemporaneamente, un diverso ordine, più umano? Non
c'è. E quell'azienda che smettesse di correre col passo imposto
dall'equilibrio mondiale, hic et nunc, sarebbe fuori dal mercato,
sostituita da qualche giapponese o tedesco, o australiano. Ecco,
se non ho capito male, in un mondo così stretto, le imprese per vivere
hanno bisogno di minori vincoli e tasse, che se non sbaglio sarebbe il
famoso neoliberismo. Cioè il capitalismo di quest'epoca matura. Ma
a parte della oggettività del neoliberismo, mi pare che tutte le
imprese vi si adeguino senza clamore, sia quelle di Moratti che di
Berlusconi: ha provato signor Benvenuto a confrontare stipendi e
condizioni di lavoro tra i dipendenti Mediaset e della Lega Cooperative? So
anche che "multinazionale" è una qualifica che si acquisisce
quando l'impresa estende il suo raggio d'azione fuori del confine
nazionale. Solo nella mia modesta Umbria credo ve ne siano almeno un
centinaio. Non ciurlo nel manico, c'è multinazionale e multinazionale:
è innegabile che talune fortissime impongano scelte ai governi. Ma
allora più che con le multinazionali (che fanno il loro mestiere)
prendetevela coi governi, coi partiti e i singoli politici
immeritatamente eletti a rappresentare l'interesse generale, come la Cee,
che non perde occasione di assecondare interessi forti, come è stata a
marzo 2000 la direttive che consente di produrre cioccolata con
surrogati sintetici del burro di cacao, in danno dei paesi africani che
nel cacao hanno le uniche risorse. Nella mia Perugia ad ottobre si
svolge Eurochocolate, e nell'ultima edizione l'organizzatore ha invitato
ad un dibattito (su quella famigerata direttiva Cee) l'europarlamentare
verde Francesco Rutelli, che seguendo bravamente l'indicazione del suo
gruppo, aveva ben votato a Strasburgo a favore della direttiva. Al
dibattito era presente la gentile ambasciatrice del Ghana ed altri
rappresentanti -allarmati- di paesi produttori di cacao. Ma del bel
Francesco nessuna traccia (eppure lo avevano invitato "a magiare la
cioccolata buona"). Così
come il parlamento europeo ha una schiacciante maggioranza di sinistra. Caro
Benvenuto, guardiamoci negli occhi, non
sono nè nato ieri, nè cieco, il mondo è pieno di violenza e truffe
legalizzate. Specie il terzo e quarto mondo, specie quell'America Latina
verso la quale noi italiani abbiamo più d'un legame, e non di meno
l'Africa, verso la quale e dalla quale abbiamo più d'un richiamo, sono
pregni di violenza, ove gli interessi economici delle imprese locali e
multinazionali hanno un ruolo importante (anche se non esclusivo e forse
neanche il maggiore). Ma penso spesso che il capitalismo e il
neoliberismo occidentali avrebbero lo stesso interesse a mantenervi e
svilupparvi rapporti economici anche in presenza di tessuti socio
economici (di quei paesi) sviluppati come quelli occidentali. Il vero
problema è che a quei paesi manca un sufficente ceto medio, che sappia
creare tra l'attuale bipartizione Oligarchia/Diseredati, un sufficente
tessuto produttivo e imprenditoriale, che al tempo stesso porterebbe
sviluppo per (quasi) tutti e democrazia più sostanziale. Gli mancano
tanti piccoli Berlusconcini. La
ricchezza si genera con la ricchezza non con la miseria. Non
le piace? Non va bene? Fornisca lei la medicina, l'ascolto volentieri. Ma
che non sia l'unilaterale rinuncia di un paese alla sua ricchezza, alla
sua prosperità, alla sua storia; che non sia una suicida uscita dalla
capacità competitiva mondiale. Vede,
quì entra in ballo la distinzione fondamentale tra politica e
individuo. In una persona è nobile e ricononsciuta la rinuncia alla
ricchezza, all'agio, la scelta del sacrificio e della dedizione. Ma guai
a chi vuole imporre questi valori a tutti per via politica, egli sarebbe
niente altro che un nuovo formidabile tiranno. Non esiste impegno
politico senza perseguire il benessere materiale del popolo ammninstrato. E
con ciò voglio ricusare in toto le parole del presidente Violante, a
pagg. 18-23 (dicembre 2000), francamente mi vergogno di imbattermi
ancora oggi in simili monumenti dell’ipocrisia e della demagogia. Si
scandalizza perchè la distanza tra paesi ricchi e poveri aumenta a
forbice, con ciò indugiando anche lui (falsamente, ma soprattutto
sterilmente) "sulle colpe dell'occidente", quando a mio
modesto avviso la colpa della miseria di tanti paesi è, come ho
accennato, nelle rispettive classi o oligarchie dirigenti, che
intercettano e sprecano le risorse disponibili. E'
evidente infatti che la forbice non può che aumentare (e aumenterebbe
anche se i due mondi fossero incomunicanti), perchè mentre i poveri
hanno sviluppo zero o quasi, i ricchi vanno avanti in ricerca
tecnologica, produzione e servizi (dovrebbero fermarsi? Fa gli stessi
discorsi, Violante, quando parla all’associazione industriali o ai
ricercatori universitari?). Ma
soprattutto non sopporto la demagogia di colpevolizzare i cittadini dei
paesi ricchi, cioè noi, come se la sofferenza del mondo povero fosse
una nostra singola volontà deliberata, come se potessimo fare chissà
quanto sol che fossimo meno insensibili, e come se il nostro essere
ricchi fosse una specie di regno di bengodi, quando invece sappiamo
troppo bene (tutti tranne i bonzi ben pagati della politica) che accanto
allo stereo-video-computer del nostro salotto c'è tanta fatica
quotidiana, il mutuo da pagare, accompagnare i figli, le tensioni nel
lavoro... C'è spesso solitudine e sofferenza. E tanta violenza dello
Stato, che pretende, pretende e getta follemente dalla finestra. Violante
fa parte di un partito che come ogni altro perora e studia tutti i
giorni sviluppo, tassi agevolati, occupazione, incentivi, sgravi (anche
se a Berlusconi forse gli riesce meglio), per tutta Italia, per ogni
zona e categoria, e guai se così non fosse, sparirebbe in due tornate
elettorali. Insomma cari signori, volete
la ricchezza d'Italia e degli italiani o la povertà?
Io
sceglierei la ricchezza economica, che per noi e ogni altro popolo non
può che favorire (non portare, perché di automatico non c'è nulla)
maturazione sociale e culturale, generosità verso i più sfortunati. E
anche fermezza, sceglierei. L'intervistatore e l'intervistato infatti,
prigionieri dei loro schemi pauperisti e terzomondisti, giocano a
rimpiattino inconcludentemente: il primo chiede se sia giusto
intervenire militarmente in tanti luoghi disparati del mondo martoriato,
il secondo prima dice che no, naturalmente, non è giusto, poi la riga
successiva dice che però
era indispensabile... Siate
almeno una volta conseguenti e logici: vi sta veramente a cuore la
sofferenza di questo e quel paese? Allora intervenite, sostituitevi al
ducetto locale e gestite come più ritenete efficace e produttivo quelle
risorse, che dopo tutto sono vostre (nostre). Altrimenti, se dovreste
alimentare i mille ras del terzo mondo, solo per “rispetto
dell’autonomia degli stati…” è meglio stare a casa. Si
chiama neocolonialismo e vi stracciate le vesti? Ma
allora, ripeto, vi interessa o no quella sofferenza? Basta,
ho scritto anche troppo. Dite voi casomai, a questo punto. Sono
contento di rimanere abbonato alla rivista perché il mio povero zio Don
Adriano Fressoia lasciò segno di devozione nei vostri confronti; lui fu
un parroco di campagna, anticomunista in via naturale (con una certa
analogia a Don Camillo), ma sapeva dell’infinita pazienza della verità,
e se ritenne di mantenere un rapporto con voi non sarò certo io a fare
lo schizzinoso. Del resto voi praticate una attività (le Missioni) che
obbliga noi tutti al rispetto massimo, anche qualora si ravveda in
determinate vostre posizioni l’errore della forzatura ideologica. Io,
in buona sostanza, vedo che voi come organizzazione religiosa e
missionaria, noi come cittadini italiani, abbiamo doveri reali verso il
mondo povero, tanto più forti quanto più siamo ricchi. Ed ho la
sensazione che se la coscienza civile degli italiani si liberasse di
equivoci quali quelli qui confutati, sarebbe molto meglio sia per gli
italiani che per i cittadini dei paesi poveri.
Cordialità e Buon 2001! Perugia,
27 Dicembre 2000
Luigi Fressoia * * * 3- Di Gianfranco Amendola. Editoriale del bollettino di “Italia Nostra”, numero 370, Novembre 2000
L’ecologia schiava del dio Pil
Pochi si sono accorti che negli ultimi anni in Italia (e non solo) il mercato si è impadronito anche dell’ecologia. E che oggi la tutela dell’ambiente viene sempre più avvertita non come valore in sé ma come valore aggiunto del mercato. In pochi anni, questa nostra società mediatica, strutturata per formare consumatori (e consenso) in batteria, con una sapiente e veloce operazione sociale e politica, ha stravolto il passaggio dello “sviluppo sostenibile” ed ha ridotto l’ambiente, da valore fondamentale, a sé stante e alternativo, a semplice ed innocua patina con cui rafforzare i valori della economia di mercato. Ormai, l’ambiente non conta più di per sé ma solo se e in quanto crea occupazione, fa crescere i consumi (e il mercato), aumenta il dio Pil. E’ la stessa logica che sta resuscitando, in questi giorni, progetti aberranti come il Mose di Venezia o il Ponte di Messina. Il migliore esempio viene dal settore dei rifiuti dove impera palesemente la scelta degli inceneritori (ribattezzati “termovalorizzatori”) per produrre (spesso solo sulla carta) energia; di modo che l’imperativo diventa consumare di più e produrre più rifiuti, dimenticando totalmente che, invece, il miglior rifiuto è quello che non viene prodotto e che, se proprio non si può evitare, occorre favorirne il riciclo ed il riutilizzo come materia, lasciando l’incenerimento come ultima scelta. In questo modo, invece, da un lato non si affrontano i nodi fondamentali dello sviluppo, delle scelte produttive e degli stili di vita, e dall’altro si rientra perfettamente nell’economia di mercato e nel consumismo; non a caso, l’Italia è l’unico paese europeo che ha inventato i “rifiuti quotati in borsa”. Questa “ecologia di mercato” purtroppo ha contaminato anche parte del mondo ambientalista, oggi immerso nel mercato dell’ecologia. E così sempre più spesso l’ambiente non è un fine da perseguire ma un mezzo per acquisire poltrone ed inserirsi nel mercato. Gli ambientalisti, cioè, si dividono in “fondamentalisti” (cattivi) e “ragionevoli” (buoni): che sono quelli i quali hanno adottato la “tattica” di “coniugare” e “contaminare” l’ambiente con i valori economici dominanti (pudicamente chiamati “altre grandi questioni” ovvero “le esigenze delle persone in carne ed ossa”). Con la conseguenza che la tutela dell’ambiente conta solo se “sostenibile” per il mercato e non viceversa. G. Amendola * * * 4- Mio commento. Non pubblicato.
Spett. redazione di “Italia Nostra”
Sono iscritto ad Italia Nostra dal 1984, i soci di
Perugia mi conoscono bene e insieme abbiamo condotto diverse battaglie,
peraltro vincendone la maggior parte. L’ultimo editoriale, di Gianfranco Amendola, mi ha
lasciato interdetto; vorrei argomentare. Egli pare ossessionato del (demonio) mercato, che riesce a citare ben nove volte in così poche righe. Forse c’è un equivoco: a me risulta che il mercato in buona salute ed un buon Pil garantiscono ottimi stipendi anche per magistrati, professori universitari e mandarini delle pubbliche amministrazioni. Dà per scontato che un corretto ambientalismo per
forza deve essere nemico del mercato; modestamente ritengo che se trova
sue strade per non collidere con l’equilibrio ecologico, benvenga il
mercato. Del resto mi risulta che l’alta tecnologia applicata
all’ambiente dà ottimi risultati, come dimostrano il ritorno dei
salmoni nel Tamigi o la ormai raggiunta autosufficienza energetica (da
fonti pulite) di Stoccolma. Quindi auspico esattamente che “il mercato
si impadronisca dell’ecologia”, nel senso di riuscire a coniugare
bene le due cose, ovvero a fare dell’equilibrio ambientale un
interesse diretto ed economico dei cittadini e delle loro fonti di
sostentamento (che sono soprattutto le aziende e le imprese, ben più e
ben prima degli uffici pubblici, comprese le cattedre universitarie o i
tribunali). Chi ha occhi vede che le migliori aspettative per
l’ambiente vengono proprio dai paesi più avanzati, dove il
capitalismo e il mercato sanno innovare e fare propria (farne motivo di
nuova impresa) la sensibilità crescente dei cittadini su queste
tematiche. Cosa sia mai “il valore in sé” dell’ecologia
vorrei proprio capirlo bene. In sé non c’è proprio niente: io vedo
l’ambiente in funzione dell’umanità, proprio perché a rischio è
la sopravvivenza dell’uomo; non del pianeta, che continuerebbe a
vivere anche senza le persone, anche con inenarrabili sconvolgimenti
ambientali. Non sa forse che nel corso delle sue ere la terra più volte
ha visto perire (ben prima della comparsa dell’uomo) la maggior parte
delle sue forme viventi? Anche se una catastrofe nucleare eliminasse tutti gli
umani dalla faccia della terra, il mondo continuerebbe a vivere,
evolvere e a riprodurre le forme di vita che saprà… Per dire che di
questi scenari non ce ne può importare di meno: il baricentro e metro
che conta è l’umanità, la sua vita, la qualità della sua vita, per
i quali la cultura (consapevolezza del patrimonio naturale e culturale)
torna ad essere fattore decisivo. Aberrante il Mose? Casomai non condivisibile, perché
aberrante? Perché questa libido dell’insulto e del disprezzo? I quindici maggiori esperti del mondo saranno proprio
tutti suonati? Perché dovrei prestar più fede a lei che a loro?
“Aberrante” non sarà per caso l’idea di contrastare la natura che
aggredisce Venezia? Magari perché “tutto muore e anche Venezia dovrà
morire”? Un’aberrazione anche il Ponte di Messina? Dal ponte di Bristol a quello sul Bosforo, al tunnel
sotto la Manica ho visto che gli ambientalisti dei rispettivi paesi non
si sono scatenati tanto. Forse perché la loro attenzione (libera dal
pregiudizio di antagonismo irrimediabile a tutti i costi) è sul come si
fanno le cose. Non sarà mica che anche lei ogni tanto -appena può-
vola nei mitici States e si commuove davanti al ponte di Brooklyn? Un ponte può costituire un problema paesistico, ma
difficilmente può comportare questioni ambientali (impoverimenti
biologici, spezzamenti della catena ecologica, scomparsa di specie,
alterazioni climatiche, inquinamento diverso da prima...). Bisogna vedere il progetto e valutare con calma:
potrebbe anche riuscire un’opera d’arte! Non sa che anche uno
splendido centro storico a suo tempo prese il posto d’un campo di
cardi? E’ questo nostro un “sistema strutturato per
formare consumatori e consenso in batteria”? A me pare che di consenso
in batteria ce n’era di più una volta. Solo oltre la metà del suo apodittico scritto,
Amendola riesce ad entrare dentro un tema concreto, sui
termovalorizzatori che “troppo spesso solo sulla carta dovrebbero
produrre energia”. Ecco, esimio dottore, fuochino: facciamo in modo
che non solo sulla carta… Pretendiamolo con serietà e spirito
costruttivo. Vedrà che vinceremo. Non è poco! Grandioso quel “il migliore rifiuto è quello che
non viene prodotto”. Certo, e come potrebbe essere altrimenti? Solo che viene voglia di sbirciare quanti libri
possiede in casa (quanta carta?), quanti abiti negli armadi, quanti
viaggi… Capisco bene di sfiorare l’indelicatezza, ma vorrei
ricordare che la tendenza a vivere meglio, a progredire economicamente,
possibilmente con più agi e meno fatica… non è certo un’invenzione
né del mercato né del capitalismo, bensì dura da Adamo ed Eva, è
connaturata con l’uomo (e forse più con la donna). L’Italia “è l’unico paese che ha inventato i
rifiuti quotati in borsa”? Non sapevo, vorrei capire meglio, ma sarei
ben felice che si tornasse un po’ all’avanguardia (noi italiani che,
nei due millenni, abbiamo inventato parecchie cosucce degne di nota). In definitiva, caro signor Amendola, qualora il
consumismo, grazie ad una avanzata e sofisticata tecnologia ed economia,
ambientalmente sostenibili, riuscisse a restituire un bilancio ecologico
a conto zero, esso non dovrebbe costituire problema alcuno per
l’ambientalista rispettoso del suo nome. Se invece si trascinano problemi personali irrisolti,
si odia il mondo e si pretendere di predicare (e imporre) la castità ai
sorci, l’ambientalismo è un povero pretesto. Destinato però a
rovinare oltremodo soprattutto l’ambiente, perché tutte le persone
normali (e questo purtroppo è lo scenario italiano) a fronte di
siffatto ambientalismo, non possono che cadere nelle braccia di
speculatori e traffichini d’ogni genere. Non è questione di ambientalisti buoni e cattivi, ma
di persone intelligenti o meno. Naturalmente tutto ciò rientra nella normalità di
opinioni diverse e legittime. Comunque sono distanze enormi, sarebbe
bene che il bollettino di “Italia Nostra” inviti ad un ampio
dibattito. Cordialità Perugia 01 Febbraio 2001
Arch. Luigi Fressoia
Esperto in centri storici e mobilità
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