SISTEMA PENSIONISTICO E INTERVENTO DELLO STATO
UN'INDAGINE SULLE RECIPROCHE
INTERDIPENDENZE
di Angelo Dedola*
(Roma, agosto 2000)
INDICE
1. Premessa
2. Una tassazione crescente implica un
gettito più elevato? - 2.1 La
fiscalità finanzia la previdenza - 2.2 Da un punto di vista teorico - 2.3
Alcune evidenze empiriche - 2.4 Conclusioni
3. L'incremento della spesa pubblica
stimola la crescita economica? - 3.1
Teoria keynesiana e "supply side economics" - 3.2 Dimensione statale
e crescita economica - 3.3 Dimensione statale e occupazione - 3.4 Conclusioni
4. Un sistema pensionistico equilibrato
giustifica una gestione statale in forma di monopolio? - 4.1 Alle origini della previdenza pubblica - 4.2
Nell'ottica della "welfare economics" - 4.3 Affermazioni di principio
- 4.4 Dati di fatto - 4.5 Conclusioni
5. Quali contenuti veicola l'idea di
"solidarietà"? - 5.1
Pensioni e solidarietà - 5.2 La "legge di solidarietà" - 5.3 Libertà
e responsabilità - 5.4 Conclusioni
6. La transizione da un sistema a
ripartizione verso uno a capitalizzazione è realmente "impossibile"?
- 6.1 La situazione - 6.2 Lo
scenario internazionale - 6.3 Un risultato in apparenza sorprendente - 6.4 La
transizione - 6.5 Uno sguardo all'Italia - 6.6 Conclusioni
7. Considerazioni di sintesi
NOTE
BIBLIOGRAFIA
1. Premessa
L'argomento del welfare state, delle pensioni, e le relative ipotesi di riforma, dominano il confronto politico ormai da alcuni anni, con una gradazione di intensità inversamente sincronizzata con l'approssimarsi delle scadenze elettorali. E' stato infatti notato che l'unico modo serio di parlare di pensioni è quello di una loro riduzione(1), e ciò lascia intuire i problemi di compatibilità fra il consenso che deve sostenere i necessari interventi, da un lato, e la natura apparentemente impopolare(2) che ne caratterizza i contenuti, dall'altro.
Il progressivo deterioramento del rapporto lavoratori-pensionati - effetto combinato dell'invecchiamento della popolazione(3) e del tasso di occupazione più basso fra i paesi occidentali(4) -, è la ragione fondamentale della crisi dell'attuale sistema a ripartizione. Secondo gli osservatori, tuttavia, questa deve essere affrontata nel rispetto del fondamentale principio di solidarietà, e di più generali esigenze di equità sociale, che non possono essere disattese pur in costanza di una crescente pressione per la riforma del sistema di welfare(5).
Un possibile avvio all'indagine sulle interdipendenze fra il sistema pensionistico ed il ruolo dello Stato consiste allora nell'inquadrare anzitutto gli strumenti e i modi attraverso i quali il soggetto pubblico è chiamato a realizzare interventi rilevanti sul piano sociale, e a dare attuazione al menzionato principio di solidarietà. In generale, tralasciando lo strumento normativo, le finalità sociali che informano l'intervento pubblico vengono perseguite essenzialmente attraverso la manovra del tasso di imposta e le decisioni di spesa(6). Di conseguenza, si è proceduto in via preliminare all'osservazione dei rapporti che intercorrono fra le scelte di politica fiscale e gli equilibri che reggono l'attuale sistema pensionistico a ripartizione, con il supporto di qualche elemento della teoria economica e di alcune evidenze empiriche (paragrafo 2).
Viene quindi analizzato il ruolo della spesa pubblica nella sua duplice funzione di stimolo della crescita economica e di incremento dei livelli occupazionali, aspetti entrambi incidenti nella sfera previdenziale. L'indagine trae spunto da alcune ricerche condotte sugli effetti dell'intervento statale in economia, che si collocano su posizioni critiche rispetto ad orientamenti più comuni al riguardo. Anche in questo caso, le considerazioni svolte integrano il riferimento ad alcuni riscontri empirici (paragrafo 3).
Si affronta poi il regime di monopolio attraverso cui viene esercitata la previdenza, da un punto di vista della sua legittimazione istituzionale e ideale, ma anche alla luce dei risultati contraddittori che esso ha prodotto nel corso degli anni. Ciò permette di comprendere le ragioni delle attuali disfunzioni, e la necessità dei conseguenti interventi di riordino (paragrafo 4).
In tale contesto, ci si interroga anche sul significato che normalmente siamo portati ad attribuire all'idea di solidarietà, elemento portante nell'attuale sistema previdenziale a ripartizione, ma di cui i condizionamenti della dialettica politica favoriscono sovente una rappresentazione impropria. Viene inoltre discusso il concetto di responsabilità, strettamente legato a quello di libertà, nella prospettiva di un'evoluzione verso una previdenza maggiormente incline al rispetto delle preferenze e delle scelte individuali (paragrafo 5).
Da ultimo, viene proposta una sintesi del dibattito sulle prospettive della previdenza pubblica, unitamente ad una breve rassegna di esperienze internazionali maturate nel processo di transizione verso sistemi a capitalizzazione. Questo tema è inoltre l'oggetto di alcune ipotesi di riforma avanzate negli Stati Uniti, che vengono descritte - sia pure per grandi linee - in considerazione dei motivi di particolare rilievo in esse contenuti. Si accenna infine un inquadramento dello stato della previdenza in Italia, alla luce dei più autorevoli contributi e degli sviluppi normativi che hanno recentemente interessato la materia, definendo l'ambito entro il quale si dovrebbe svolgere l'imminente (2001) verifica sulle pensioni (paragrafo 6).
2. Una tassazione crescente
implica un gettito più elevato?
2.1 La fiscalità finanzia la
previdenza
Se si prescinde dai proventi derivanti dall'alienazione dei beni pubblici, si può affermare che la copertura del fabbisogno di cassa dello Stato viene perseguita principalmente attraverso il prelievo fiscale ed il ricorso all'indebitamento. Fra le voci della spesa pubblica, finanziata appunto dalla fiscalità generale, si inserisce anche una quota rilevante del capitolo previdenziale - cosiddetto assistenziale, privo di copertura contributiva(7) -, attraverso il trasferimento delle relative consistenze dal bilancio dell'I.N.P.S. a quello statale. Trasferimento che si giustifica con la necessità di garantire una tutela previdenziale adeguata anche a coloro che, in base ai contributi versati, non abbiano maturato diritti giudicati sufficienti, prevenendo in tal modo l'emergere di situazioni di bisogno e di emarginazione(8).
Tuttavia, che il fisco finanzi l'assistenza è solo una mezza verità. La verità completa è che l'incapienza contributiva rispetto alle prestazioni impegnate che affligge il nostro sistema previdenziale, con la conseguente situazione profondo squilibrio finanziario, è tale che anche una quota rilevante del capitolo strettamente pensionistico viene finanziata in misura crescente dallo Stato. Il relativo apporto è infatti passato dai 34,7 mila miliardi del 1994 agli oltre 46 mila miliardi del 1998, con un incremento di oltre 33 punti percentuali(9).
In proposito, si ricorda che la pratica del finanziamento statale dei deficit della previdenza ha conosciuto momenti di particolare attivismo in anni recenti, in concomitanza delle note operazioni di "ingegneria finanziaria" messe in atto (non solo) dall'Italia con il chiaro fine di agevolare la convergenza con i parametri condizionanti la partecipazione all'unione monetaria(10). Da allora, tuttavia, pur essendo venuta meno la situazione di contingente eccezionalità legata alla verifica dei conti pubblici da parte delle autorità comunitarie, il finanziamento statale della previdenza ha assunto in Italia i caratteri dell'ordinarietà. Essa è stata anzi suggellata da una norma di legge, che esplicita chiaramente gli indirizzi lungo i quali si orienta in prospettiva la gestione del crescente deficit pensionistico(11).
Da questo punto di vista, le esigenze di gettito - indotte anche da un adeguato finanziamento della spesa sociale -, impongono spesso il fermo rigetto delle richieste di attenuazione del carico fiscale che vengono avanzate dai contribuenti. Non si potrebbe, cioè, ridurre le imposte e i contributi senza rischiare un corrispondente calo delle entrate, che andrebbe a detrimento del livello qualitativo delle prestazioni sociali, previdenziali e assistenziali(12).
Al riguardo, si possono fare due ordini di considerazioni. In primo luogo, la manovra del tasso di imposta da parte dei singoli paesi sarà in prospettiva sempre meno agevole, a causa dell'intensificarsi delle relazioni economiche internazionali e della conseguente concorrenza fiscale, favorita anche dalla maggiore mobilità dei fattori della produzione più qualificati, come il capitale ed il lavoro intellettuale(13). Non è quindi sostenibile a lungo la scelta di compensare gli squilibri e l'inefficienza interna con una pressione fiscale più elevata rispetto alla media degli altri paesi.
In secondo luogo, l'assunto "più tasse uguale più gettito" non è verificato sempre e necessariamente. Tutto all'opposto, è possibile dimostrare che oltre una certa soglia del tasso di imposta, il gettito per l'erario tende in effetti a decrescere, e ciò avviene ad un ritmo tanto più intenso quanto maggiore è il tasso d'imposta(14). Tale relazione trova una limpida illustrazione teorica nella cosiddetta "curva di Laffer"(15), ed è inoltre supportata efficacemente dal dato empirico.
2.2 Da un punto di vista teorico
Analizziamo anzitutto l'aspetto teorico, facendo riferimento al diagramma esposto in figura 1. Assumendo il gettito - rappresentato in ordinata - quale prodotto dell'imponibile fiscale per il tasso d'imposta - rappresentato in ascissa -, è possibile cogliere agevolmente il significato della curva di Laffer. Ad un tasso d'imposta pari a zero, corrisponde un gettito nullo, e tale situazione è descritta dal punto O del diagramma(16). All'estremo opposto, un tasso d'imposta del 100 per cento comporta ancora un gettito nullo, poiché, evidentemente, nessuno avrebbe interesse a dichiarare un imponibile che venisse prelevato interamente dall'erario. Tale seconda situazione è descritta dal punto B del diagramma(17).
Fig. 1
Tra queste due situazioni limite, che non è dato di riscontrare nella realtà, si collocano una serie di situazioni intermedie che trovano invece corrispondenza, queste sì, in precise scelte di politica fiscale. L'adozione di una determinata politica è associata dunque al posizionamento su un punto della curva, con l'esclusione degli estremi, ma dall'osservazione dell'andamento convesso di questa scaturisce un'importante conseguenza: a fronte dell'adozione di due tassi d'imposta fortemente divaricati, l'effetto determinato sul gettito è esattamente lo stesso. Con riferimento al grafico in figura 1, cioè, un obiettivo di gettito prefissato, supponiamo, al livello OR, può essere egualmente conseguito adottando un tasso d'imposta pari ad OE, ovvero pari ad OF(18).
Tuttavia, se gli effetti per l'erario sono sostanzialmente indifferenti, non altrettanto si può dire per il contribuente, il cui comportamento viene invece influenzato in modo diverso nelle due situazioni. Un tasso d'imposta pari ad OE tende infatti ad incentivare l'attività economica, favorendo l'emersione del lavoro nero e la corrispondente generazione di base imponibile e contributiva, con un effetto moltiplicativo sul gettito. Viceversa, un tasso d'imposta pari ad OF deprime la propensione al lavoro e aumenta la convenienza all'occultamento del reddito, risolvendosi in definitiva in minori entrate per l'erario(19).
La relazione inversa che si viene a determinare, a partire dal punto A della curva di Laffer(20), fra l'andamento del gettito ed il tasso d'imposta, trova riscontro empirico in diversi casi, indicativi della lungimiranza di quelle amministrazioni che hanno avuto il coraggio di adottare politiche fiscali solo apparentemente autolesioniste.
2.3 Alcune evidenze empiriche
Gli Stati Uniti costituiscono in proposito un esempio eloquente(21). In questo paese venne decisa nel 1982 la riduzione dell'aliquota marginale massima dell'imposta personale dal 70 al 50 per cento, nonostante le previsioni di una forte riduzione del gettito, stimata in oltre 2,5 miliardi di dollari, per la fascia di redditi interessata. La manovra sull'aliquota si risolse invece in un incremento del gettito di circa 1,7 miliardi di dollari. In pratica, il contenimento della misura del prelievo indusse i contribuenti a dichiarare di più (o ad evadere di meno), facendo loro pagare, complessivamente, più di quanto avrebbero fatto con l'aliquota precedente(22).
Sempre negli Stati Uniti, nel 1960 il gettito derivante dall'aliquota massima allora in vigore, pari al 91 per cento, equivaleva all'8,1 per cento del P.I.L., corrispondente ad un apporto dei contribuenti più facoltosi pari al 20,7 per cento del totale delle imposte sul reddito. Raggiunto progressivamente l'abbattimento dell'aliquota marginale massima dal 91 per cento del 1960 al 31 per cento del 1992, il gettito aumentò in misura più che doppia, l'incidenza sul P.I.L. si mantenne pressoché invariata e l'apporto dei contribuenti più ricchi aumentò addirittura dal 20,7 al 26,8 per cento(23).
Inoltre, desta interesse l'esperienza fatta dalla Germania nell'immediato dopoguerra. Nel 1948, il prelievo sugli scaglioni di reddito fino a 600 dollari era in questo paese del 50 per cento, e giungeva ad un massimo del 95 per cento sugli scaglioni eccedenti i 15.000 dollari. Nei sette anni successivi si innalzò gradualmente lo scaglione del 50 per cento da 600 fino a 42.000 dollari (con un cospicuo alleggerimento del prelievo sugli scaglioni più bassi), mentre l'aliquota massima venne ridotta dal 95 al 63 per cento. Una nuova manovra, varata nel corso del 1958, sancì inoltre l'esenzione totale dei redditi fino a 400 dollari, nonché l'ulteriore riduzione dell'aliquota massima dal 63 al 53 per cento(24).
Fu questa consistente riduzione del tasso d'imposta, non più giustificato da esigenze belliche, che concorse a favorire - assai più del Piano Marshall - l'espansione economica della Germania durante gli anni Cinquanta, innescando quello che è stato definito il "miracolo economico tedesco". Nel contempo, l'ampliamento della base imponibile, effetto del minor carico fiscale e del conseguente stimolo alle attività produttive, favorì l'espansione del gettito complessivo, consentendo il finanziamento di un solido ed efficiente sistema di welfare(25).
Infine, si segnala il caso dell'Austria, dove nel 1988 una riduzione del 20 per cento dell'imposta marginale si è risolta in un incremento del gettito del 65 per cento. Come pure quello della Nuova Zelanda, dove l'adozione di politiche liberiste a partire dal 1984, ha portato alla graduale riduzione dell'aliquota massima dal 60 al 24 per cento(26). L'effetto combinato di tali politiche è stato la crescita dell'economia, il contestuale contenimento della disoccupazione ed il raggiungimento di un attivo di bilancio(27).
2.4 Conclusioni
Dalle brevi considerazioni svolte innanzi, discende dunque una prima conclusione: la fiscalità riveste un ruolo determinante nel finanziamento del sistema a ripartizione, ma la sua gestione incontra il limite della concorrenza internazionale, che circoscrive i margini di manovra degli stati in questo ambito. L'aumento degli oneri contributivi, a sua volta, non è sostenibile a causa dei livelli assai elevati già raggiunti, distorsivi oltretutto delle dinamiche interne al mercato del lavoro(28). La soluzione degli squilibri interni alla previdenza può essere allora ricercata solo parzialmente nella politica fiscale, mentre assume crescente rilievo la definizione di adeguati interventi di riforma strutturale.
Inoltre, proprio perché le prestazioni sociali trovano copertura non solo nei contributi, ma anche nel prelievo fiscale generalizzato, e questo viene collegato alla qualità delle prestazioni, ogni decisione di politica fiscale deve essere compatibile con l'entità raggiunta dal tasso d'imposta. Si è visto, infatti, come l'aumento del tasso oltre una certa soglia non implichi più un aumento di gettito, e dunque, indirettamente, una migliore qualità dello stato sociale. E' vero invece il contrario, per cui il soddisfacimento del fabbisogno statale, e con esso l'adeguata copertura della spesa sociale, possono essere perseguiti unicamente attraverso una riduzione del tasso d'imposta.
3. L'incremento della spesa
pubblica stimola la crescita economica?
3.1 Teoria keynesiana e
"supply side economics"
Un importante assunto della teoria economica keynesiana è, in estrema sintesi, quello secondo cui il superamento di una fase di stagnazione può essere più agevolmente conseguito attraverso una sollecitazione della domanda aggregata operata dallo Stato(29). Scopo della finanza pubblica, infatti, sarebbe quello di provvedere non solo al funzionamento della macchina statale, ma anche al governo del ciclo economico, contenendo opportunamente le fasi di eccessiva espansione della domanda, ovvero favorendo l'inversione delle fasi di una sua persistente contrazione(30). In questo secondo caso, in particolare, si determinerebbe la necessità di un intervento statale di stimolo della domanda aggregata che, per effetto del moltiplicatore, condurrebbe progressivamente alla ripresa del ciclo economico ed al conseguente raggiungimento della piena occupazione(31).
Tuttavia, la relazione che intercorre fra l'intervento pubblico da un lato, e la crescita economica e occupazionale dall'altro, non può dirsi compiutamente definita da una interpretazione che sia in via esclusiva di derivazione keynesiana(32). La moderna teoria economica, infatti, è fortemente scettica sulla bontà degli effetti che l'azione statale produce sugli equilibri di mercato e sul tasso di sviluppo del sistema. Il riferimento è alla cosiddetta "supply-side economics", ovvero lo studio dei fatti economici affrontato dal punto di vista dell'offerta che, criticando i fattori istituzionali distorsivi del libero gioco delle forze economiche - come ad esempio le rigidità sindacali del mercato del lavoro e l'elevata pressione fiscale -, si pone in aperta contrapposizione all'approccio keynesiano.
E' a questi metodi di indagine economica che si ispirano alcune interessanti ricerche condotte di recente a livello internazionale, con la finalità di individuare, al di là delle teorizzazioni accademiche (e ideologiche), l'effettiva interazione delle grandezze macroeconomiche fondamentali. Ricerche che hanno l'indiscutibile pregio di sottoporre a verifica empirica alcuni assunti della teoria economica, dalla cui consistenza dipende la qualità delle politiche di intervento che ad essi si richiamano. E considerato che gli equilibri dei sistemi a ripartizione dipendono proprio dai tassi di crescita economica e demografico-occupazionale(33), è importante riuscire a cogliere correttamente il nesso fra l'evoluzione di queste variabili e la gestione della spesa pubblica.
3.2 Dimensione statale e crescita
economica
Un primo studio, volto proprio a individuare la relazione di lungo periodo fra la dimensione del settore statale e l'evoluzione fatta segnare dagli indicatori di crescita economica, è quello realizzato su di un campione di 23 paesi membri dell'O.E.C.D., fra cui anche l'Italia(34).
La fase preliminare dell'analisi è consistita nel focalizzare l'attenzione sul tasso di crescita della spesa pubblica, che è stato rilevato su un arco temporale sufficientemente ampio al fine di mitigare gli effetti di modificazioni temporanee nelle politiche locali(35). Nel periodo 1960 - 1996, il campione di paesi esaminato ha fatto registrare un incremento medio della spesa pubblica, misurata in percentuale sul P.I.L., del 21,0 per cento. Al raggiungimento di questo risultato hanno contribuito paesi come gli Stati Uniti, dove la spesa pubblica è passata dal 28,4 per cento del 1960 al 34,6 per cento del 1996, con un incremento di appena il 6,2 per cento; ma anche, all'estremo opposto, paesi come la Svezia, dove la dimensione dell'intervento statale è passata dal 31,0 per cento nel 1960, al 66,1 per cento del 1996, con un incremento, ben più consistente, del 35,1 per cento. In questa classifica, l'Italia si colloca fra i paesi con un'alta crescita della spesa pubblica, essendo passata dal 30,1 per cento del 1960 al 52,7 per cento del 1996, con un incremento di 22,6 punti, superiore alla media dei paesi O.E.C.D. esaminati.
Il passo successivo è stato quello di rapportare la dimensione dell'intervento statale così rilevata ai tassi reali di crescita del P.I.L. fatti segnare nei vari paesi nel medesimo arco temporale. Il risultato ottenuto è esposto in figura 2.
Fig. 2
Dall'osservazione del grafico, si nota una persistente relazione inversa fra la dimensione dell'intervento statale e il tasso di crescita economica durante il periodo indagato. Più precisamente, i paesi con la più alta crescita del P.I.L., pari al 6,6 per cento, sono quelli in cui l'entità della spesa pubblica si è mantenuta al di sotto del 25 per cento di incidenza sul P.I.L. medesimo. All'estremo opposto si collocano invece quei paesi in cui un tasso di crescita del P.I.L. assai più contenuto, pari all'1,6 per cento, è associato ad una dimensione del settore statale eccedente il 60 per cento del P.I.L.
Ne scaturisce una prima fondamentale considerazione: indubbiamente, ha consistenza teorica affermare che politiche di "deficit spending" possano favorire, attraverso lo stimolo della domanda e dei consumi, la ripresa del ciclo economico da una fase di stagnazione. In questo caso, tuttavia, è dato di constatare una chiara smentita empirica del luogo comune secondo il quale un saldo governo statale dei processi economici, esercitato principalmente attraverso decisioni di spesa pubblica, sarebbe propedeutico e funzionale alla crescita del sistema e ad una corrispondente diffusione di benessere(36).
E' interessante notare come ulteriori verifiche del fenomeno osservato, condotte sulla base del confronto fra la dimensione del settore statale all'inizio di ciascuna decade, e la crescita reale del P.I.L. durante la medesima decade, abbiano confermato le precedenti indicazioni. In particolare, è stato possibile riscontrare per i 23 paesi un trade-off fra i due parametri piuttosto preciso: a fronte di un livello della spesa pubblica pari al 20 per cento del P.I.L., si determina un tasso di crescita media nel decennio di circa il 5 per cento; se però la spesa pubblica si eleva al 45 per cento, il tasso di crescita ne risulta pressoché dimezzato(37).
In alcuni casi individuali la relazione inversa fra la dimensione statale e il tasso di crescita economica si presenta con particolare evidenza. In Nuova Zelanda, paese già citato per i positivi risultati conseguiti nel risanamento dei conti pubblici, si è osservato negli ultimi anni un interessante fenomeno. Nel periodo compreso fra il 1974 ed il 1992, l'incidenza della spesa pubblica sul P.I.L. è aumentata dal 34,1 al 48,4 per cento, accompagnandosi ad un tasso di sviluppo di appena l'1,2 per cento. Recentemente, tuttavia, i mutati orientamenti di politica economica hanno prodotto un graduale arretramento del settore statale, attestatosi nel 1996 intorno al 42,3 per cento del P.I.L., con una flessione di 6,1 punti percentuali rispetto ai precedenti livelli del 1992. L'effetto pressoché immediato è stato uno stimolo di oltre due punti della crescita economica, che si è innalzata al 3,9 per cento(38).
Del tutto analogo è il caso del Regno Unito, dove una crescita della spesa pubblica dal 32,2 al 47,2 per cento nel periodo 1960 - 1982 si è associata ad un tasso di incremento del P.I.L. di 2,2 punti. Dal 1982 al 1989 la quota dell'intervento statale sul totale del P.I.L. si è ridotta di 6,5 punti, scendendo al 40,7 per cento. Anche in questo caso, il risultato è stato un innalzamento della crescita economica, attestatasi al 3,7 per cento, con un incremento di 1,5 punti(39).
3.3 Dimensione statale e
occupazione
Se dunque il tasso di crescita economica di lungo periodo tende a riflettere in una relazione inversa la dimensione del settore statale, può essere utile concentrare l'attenzione in particolare sugli effetti esercitati da quest'ultima sul tasso di impiego della forza lavoro. Esiste infatti una consolidata corrente di pensiero che ritiene precipuo compito delle autorità governative porre in essere interventi finalizzati alla tutela e all'incremento dell'occupazione(40). D'altra parte, espandere i livelli occupazionali "regolari" del paese significa sostenere direttamente, attraverso l'ampliamento della base contributiva, il sistema previdenziale pubblico, rendendo quindi, in teoria, doppiamente proficuo l'intervento statale in questo ambito.
A tale riguardo, tuttavia, è importante ragionare preliminarmente sulle indicazioni fornite da alcune grandezze fondamentali, così come sono state osservate in un secondo studio condotto sui principali paesi industrializzati(41). Il dato di cui interessa anzitutto verificare la variabilità riguarda l'andamento dei tassi di disoccupazione rilevati nel periodo 1990 - 1998. Si nota così che alcuni paesi, come gli Stati Uniti e il Giappone, pur provenendo da esperienze opposte - caratterizzate agli inizi del decennio da un tasso di disoccupazione superiore al 7 per cento nel primo paese, e contenuto intorno al 2 per cento nel secondo - convergono entrambi alla fine del 1998 su livelli di poco superiori al 4 per cento. Altri paesi, come ad esempio la Svezia, ma soprattutto l'Italia, denotano invece un'evoluzione esattamente opposta. All'inizio degli anni Novanta, la Svezia presenta un tasso di disoccupazione al di sotto del 2 per cento, che nel corso del decennio si eleva progressivamente, superando il 10 per cento nel 1997, per poi attestarsi intorno all'8 per cento verso la fine del periodo osservato. L'Italia, a sua volta, presenta quasi sempre valori al di sopra di tutti gli altri paesi, partendo da un livello superiore al 7 per cento agli inizi degli anni Novanta, per concludere al di sopra del 12 per cento alla fine del 1998. A tale data, la Svezia presenta un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello degli Stati Uniti, mentre in Italia siamo quasi al triplo(42).
Volendo approfondire queste informazioni, si può tentare un confronto incentrato sulla percentuale di occupati sul totale della popolazione in età lavorativa, per poter riferire correttamente il tasso di disoccupazione - ovvero di occupazione - alla fascia di popolazione potenzialmente attiva. Anche in questo caso, tuttavia, la situazione dell'Italia si presenta fortemente penalizzata rispetto a quella degli altri paesi, principalmente gli Stati Uniti. Secondo i dati più recenti, ad esempio, su 100 individui in età lavorativa, in questo paese ne risultano impiegati 75, nell'area dell'euro siamo a quota 60, mentre in Italia questa soglia è pari a 52 unità, che si riduce tuttavia a 41 nel Mezzogiorno(43). In termini percentuali, ciò significa un divario nei confronti degli Stati Uniti mediamente superiore al 50 per cento.
Se è possibile individuare nel costo del lavoro una delle principali determinanti del livello di disoccupazione(44), e se si è disposti a riconoscere nel cosiddetto "cuneo fiscale" la componente di quel costo che, soprattutto in Italia, ha raggiunto un'incidenza assai elevata(45), si giunge allora ad una evidente chiave di lettura di questo fenomeno. Questa può essere colta nella relazione fra i tassi di disoccupazione e il livello della pressione tributaria, così come traspare dai dati esposti nella tavola 1, riferiti ai paesi componenti il G-7 per il 1995 (anno centrale rispetto al periodo 1990 - 1998 precedentemente esaminato).
Tav. 1
La correlazione fra il tasso di disoccupazione e l'entità del prelievo fiscale si presenta immediata(46) e, soprattutto per quanto ci riguarda direttamente, corrisponde ad una sensazione diffusa ed ampiamente condivisa(47). Fra l'altro, proprio in Italia si segnala, nelle regioni del meridione, una forte interdipendenza fra la presenza statale e la struttura occupazionale, che rispecchia chiaramente la patologia che affligge la realtà lavorativa di quell'area del paese. E' stato infatti osservato come l'impiego pubblico tenda a rappresentare un importante strumento di redistribuzione dei redditi dalle regioni del Nord, a più elevato tasso di industrializzazione, verso quelle del Sud, contraddistinte invece da un livello di imprenditorialità più contenuto(48). Ciò ha tuttavia l'effetto di alimentare la cosiddetta "cultura della dipendenza" che, frenando le iniziative individuali e inducendo un appiattimento delle conoscenze e delle capacità, rappresenta la causa principale della difficoltà a trovare sbocchi alternativi all'impiego pubblico. In altre parole, l'intervento statale, che dovrebbe essere di sostegno all'occupazione, si risolve di fatto in un sussidio permanente di disoccupazione che concorre a ritardare la crescita economica e la conseguente creazione di posti di lavoro di "mercato"(49).
Dalle argomentazioni esposte si è indotti quindi a riconsiderare la reale portata che politiche occupazionali incentrate sull'intervento statale possono assumere in relazione agli equilibri dei sistemi pensionistici a ripartizione. Se infatti la dimensione della presenza pubblica è misurata dal prelievo fiscale, e questo a sua volta tende a ripercuotersi negativamente sul tasso di occupazione, la compressione della base contributiva - e con essa lo squilibrio tendenziale fra contributi e prestazioni previdenziali - ne rappresenta un effetto diretto e immediato. A ciò si aggiunga che le rigidità introdotte nel mercato del lavoro - ad esempio, attraverso una disciplina del rapporto di impiego eccessivamente vincolante(50), o con la limitazione per legge dell'orario settimanale di lavoro(51) - si risolvono in un disincentivo alle assunzioni, contribuendo a deprimere ulteriormente i livelli occupazionali(52).
3.4 Conclusioni
L'aspetto messo in rilevo dalle indagini appena illustrate è che la quantità della spesa pubblica, di per sé, non determina necessariamente effetti positivi sulla crescita economica, sull'occupazione, e più in generale sul livello di benessere di un paese. Per certi versi, è addirittura fondato esprimersi in termini diametralmente opposti, per cui quanto più incombente è la presenza statale, tanto meno risultano stimolate le dinamiche dell'economia reale.
L'elemento discriminante risiede in effetti nella qualità dell'intervento statale, e l'evidenza empirica dimostra che questa tende a deteriorarsi quanto più la spesa si spinge oltre il nucleo fondamentale di funzioni più propriamente pertinenti al soggetto pubblico(53). In questo caso, il disincentivo al lavoro generato da una tassazione crescente, la tendenza a invadere ambiti propri dell'intervento privato, la ricerca di rendite di posizione ("rent-seeking activities") e lo spiazzamento ("crowding out") degli investimenti(54), si riflettono nella produttività decrescente della spesa pubblica(55). Un effetto negativo di questo processo si registra in particolare sui livelli occupazionali, con le inevitabili ripercussioni sulla base contributiva, essenziale sostegno del presente sistema previdenziale a ripartizione. Paradossalmente, proprio l'intervento statale in economia, costituendo di fatto un ostacolo alla crescita occupazionale, si configura come una delle cause principali della crisi della previdenza pubblica.
Questa seconda conclusione introduce il quesito proposto nel paragrafo seguente. Se, cioè, è dimostrata la relazione inversa fra il livello della spesa pubblica e il corrispondente effetto sulla crescita del sistema, è legittimo interrogarsi sulle ragioni per cui la tutela pensionistica, bene individuale supremo, debba essere attribuita in forma di monopolio al soggetto pubblico, senza lasciare ai singoli - pur sempre nell'ambito di una contribuzione coercitiva - la possibilità di privilegiare altri soggetti più efficienti.
4. Un sistema pensionistico
equilibrato giustifica una gestione statale in forma di monopolio?
4.1 Alle origini della previdenza
pubblica
E' nota la legittimazione costituzionale(56) di un sistema pensionistico pubblico che garantisca a tutti il soddisfacimento dei bisogni fondamentali al termine della vita lavorativa. E' anche intuitiva l'opportunità della coercizione al risparmio previdenziale, mirata a responsabilizzare ciascuno sui costi del proprio mantenimento che, in assenza di un graduale piano di accumulo individuale, verrebbero a gravare inevitabilmente sulla collettività(57). In realtà, è noto che nei sistemi a ripartizione non ha luogo alcun accumulo di risorse. I contributi vengono infatti impiegati per il pagamento delle pensioni correnti, e ciò rappresenta il vizio di fondo che è all'origine del dissesto della previdenza pubblica dovunque questa è amministrata secondo il criterio della ripartizione(58).
Storicamente, una delle ragioni che hanno dato luogo all'istituzione del sistema pensionistico statale è stata l'esigenza di disporre di una struttura unitaria organizzata ed efficiente, che richiedeva tuttavia una dimensione tale da poter essere sviluppata solo dal soggetto pubblico(59). Tale assunto è stato inizialmente giustificato dalla particolare fisionomia di un sistema produttivo contraddistinto da una forte crescita degli occupati - in prevalenza salariati della grande industria -, le cui contribuzioni offrivano ampia copertura alle prestazioni erogate ai non attivi. E' quello che viene definito il "patto sul welfare", fondato su una solidarietà pubblica e obbligatoria fra attivi e non attivi, ma soprattutto fra soggetti appartenenti a generazioni diverse(60). Patto solidaristico quantomeno singolare, dal momento che uno dei due contraenti - le generazioni future - ne subisce obtorto collo gli effetti, né può manifestare col voto il proprio eventuale dissenso(61).
L'adozione originaria del criterio della ripartizione è tuttavia un'inevitabile necessità. Essa rappresenta l'unico modo di ovviare ai guasti provocati dagli alti tassi di inflazione che caratterizzano le economie occidentali di inizio secolo, e che conducono al rapido depauperamento della ricchezza finanziaria accumulata da ampi strati sociali proprio in funzione previdenziale(62). E' questa una prima, precisa responsabilità dell'azione dei governi di fronte al presente collasso del sistema di finanziamento a ripartizione(63), imposto fin dall’inizio in forma accentrata, che di fatto ha precluso negli anni la sperimentazione di soluzioni nuove e più rispondenti ai bisogni di sicurezza sociale.
Il mutamento degli scenari economici e demografici e l'aumento del tasso di disoccupazione - o per meglio dire, il calo dell'occupazione regolare, sulle cui ragioni profonde sono state proposte interessanti analisi(64) -, hanno eroso progressivamente la consistenza di questa impalcatura. Alla produzione standardizzata subentra la produzione flessibile, in continua modulazione sulle esigenze del mercato, sugli impulsi dell'innovazione tecnologica e sulle iniziative della concorrenza Si moltiplicano e diversificano le qualifiche richieste, e ciò fa venir meno quella omogeneità della forza lavoro che ha giustificato fino ad oggi la contrattazione collettiva accentrata, e il conseguente livellamento retributivo(65). Le ragioni del tradizionale conflitto di classe fra capitale e lavoro sono a loro volta destinate ad affievolirsi, per lasciar spazio a nuove relazioni industriali, come l'azionariato dei dipendenti, nella prospettiva di una condivisione di responsabilità fra lavoratore e impresa(66).
E' in tale contesto che si afferma il ruolo del mercato e dei relativi rendimenti, quale giudice delle scelte e dei comportamenti individuali. Esso rappresenta infatti il parametro col quale imparare a familiarizzare, anche nell'ambito previdenziale, coerentemente con l'atteggiamento mentale imposto dall'economia globale(67).
4.2 Nell'ottica della
"welfare economics"
Le considerazioni appena svolte conducono a ritenere il vecchio schema di welfare non più rispondente ad una realtà economica profondamente mutata, e soprattutto in continua e rapida evoluzione. Per queste ragioni, i singoli non si riconoscono più nei meccanismi di assicurazione pensionistica rigidi e inadeguati, che di quello schema sono una fedele espressione. In questo senso, la prospettiva della teoria economica denominata "welfare economics" (economia del benessere) offre un primo spunto di considerazione critica nei confronti del monopolio pensionistico pubblico. E' possibile infatti affermare che, negando la libertà di scelta in ambito previdenziale, l'intervento statale ostacola di fatto il conseguimento di un'efficiente allocazione delle risorse.
Si rifletta al riguardo sul comportamento che gli individui assumono sul libero mercato, in dipendenza di un bisogno da soddisfare. Ogni individuo possiede energie fisiche e mentali, e risorse economiche, che possono essere allocate liberamente, avendo come unico elemento di valutazione la controprestazione attesa. Una condizione di questo genere soddisfa di per sé i requisiti di un'efficiente allocazione delle risorse, indipendentemente dall'esito finale della transazione che il soggetto avrà deciso di concludere. In altre parole, non conta se il soggetto si riterrà soddisfatto o meno della scelta fatta; se, ad esempio, riterrà a posteriori squilibrato il rapporto fra la prestazione ed il prezzo corrispondente da lui stesso liberamente contrattato. Né, d'altra parte, è pensabile poter raggiungere la certezza sulla bontà delle proprie azioni prima che queste abbiano modo di esplicitarsi in effetti concreti. L'aspetto determinante, infatti, è rappresentato unicamente dalla libertà di scelta di cui il contraente ha potuto godere, che è poi quella stessa libertà che gli consentirà successivamente di correggere gli eventuali errori di valutazione iniziale, decidendo una nuova e più efficiente allocazione delle proprie risorse(68). In ogni caso, avrà avuto luogo una transazione che ha massimizzato l'utilità soggettiva dei contraenti, commisurata allo stato delle conoscenze di entrambi ex ante, senza contemporaneamente recare danno o svantaggio a terzi(69). Vedremo successivamente come questa impostazione sia propedeutica all'affermazione di quel fondamentale principio di responsabilità su cui vanno modulati gli atteggiamenti individuali, destinato ad assumere una valenza determinante proprio in ambito previdenziale(70).
Un sistema pensionistico accentrato, attribuito in gestione monopolistica al soggetto pubblico e finanziato attraverso la contribuzione coercitiva(71), non consente evidentemente opzioni a favore di altri soggetti, che di fatto non esistono. Sotto questo profilo, intraprendere un'azione che non ha alternative non massimizza l'utilità collettiva. Infatti, il beneficio conseguito da un soggetto può comportare un contemporaneo svantaggio a carico di qualcun altro, il quale, potendo agire liberamente, sceglierebbe di sottrarsi ad uno schema negoziale per lui sfavorevole(72).
Con riferimento ai sistemi pensionistici pubblici a ripartizione, questa considerazione trova riscontro nell'inefficiente impiego delle risorse(73) e nelle innumerevoli forme di sperequazione, in cui i benefici (e gli svantaggi corrispondenti) vengono distribuiti fra i contribuenti secondo criteri politici discrezionali e spesso iniqui(74). Viceversa, è possibile anticipare che un sistema a capitalizzazione, imperniato sulle scelte individuali di allocazione del risparmio previdenziale, presenta un elevato livello di efficienza che si trasmette sulle dinamiche dei mercati finanziari, favorendo le condizioni per un aumento dell'utilità e del benessere collettivo(75).
4.3 Affermazioni di principio
Si è detto in precedenza del fondamento costituzionale dell'istituto della previdenza pubblica. Nella parte prima della Costituzione, dedicata ai diritti e ai doveri dei cittadini, all'art. 38 si attribuisce ad "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato" il compito di assicurare ai lavoratori "i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria". Da un punto di vista normativo e istituzionale, dunque, il regime di monopolio attraverso cui la gestione della previdenza sociale è esercitata - l'I.N.P.S. per i dipendenti del settore privato, l'I.N.P.D.A.P. per il pubblico impiego, limitandoci agli istituti principali - è ineccepibile. Tuttavia, è importante verificare in che misura, al rispetto formale di un principio di alto profilo ideale, corrisponda una coerenza di effetti delle azioni che a quel principio sono chiamate a dare attuazione concreta.
Individuare nello Stato il soggetto al quale demandare l'esercizio della funzione previdenziale può essere il riflesso della percezione dell'enorme rilievo che questa riveste nella sfera delle relazioni sociali. La connotazione "sociale" che qualifica persistentemente la gestione pensionistica si innesta tuttavia in una visione paternalistica dello Stato impositore e redistributore(76), in un certo senso "miglioratore" della società, che è tanto controversa da sostenere sul piano economico(77), quanto insidiosa da accettare sul piano morale(78).
Sulla scorta dell'evidenza empirica, in realtà, non è dato di scorgere elementi univoci a supporto del monopolio statale come la scelta a priori più idonea e auspicabile(79). Viceversa, sono autorevoli e argomentate le critiche alla gestione pensionistica pubblica, in considerazione dell'inefficiente impiego delle risorse che consegue inevitabilmente alla mancanza di competizione(80). Né, d'altra parte, si può negare il rischio che l'accoglimento acritico di affermazioni di principio sul ruolo statale possa svilirne i contenuti al rango di sterili luoghi comuni, conducendo inconsciamente a conclusioni paradossali. Come sono, ad esempio, quelle per cui la maggioranza dei contribuenti-elettori, ritenuti incapaci di curare autonomamente la gestione di un'importante quota del proprio reddito - che dunque viene prelevata e redistribuita dallo Stato attraverso il sistema pensionistico pubblico -, sono chiamati ad eleggere coloro i quali dovranno decidere come amministrare la cosa pubblica. In pratica, un'intera collettività che non sarebbe in grado di scegliere saggiamente in funzione del proprio avvenire, rinsavisce all'improvviso quando si tratta di andare alle urne, per delegare l'esercizio della sovranità popolare, bene incommensurabile, a dei rappresentanti scelti nel suo stesso seno(81).
Le cose, ovviamente, non stanno così, ed è sufficiente registrare con attenzione le opinioni e i comportamenti individuali per rendersene conto. La diffusione del lavoro irregolare, finalizzata ad evitare un carico contributivo sempre più gravoso - ritenuto non corrispondente alla qualità delle prestazioni offerte - e la contestuale ricerca di forme alternative di assicurazione (privata) rappresentano infatti un segnale eloquente delle preferenze, tutt'altro che irrazionali e sconsiderate, dei contribuenti(82).
Siamo al secondo paradosso di una società che cerca in tutti i modi di sottrarsi all'opprimente, costosa e in prospettiva sempre più insufficiente tutela previdenziale che lo Stato, proprio adducendo tanto nobili quanto improbabili fini sociali, si industria pervicacemente a somministrarle.
4.4 Dati di fatto
La realtà dei fatti, alla quale è inutile e controproducente tentare di sottrarsi, conferma la scarsa attrattiva delle prestazioni offerte dal monopolio della previdenza pubblica sia sotto il profilo del meccanismo adottato - la ripartizione(83) -, sia sotto quello dei risultati che tale meccanismo produce - pensioni determinate secondo criteri eminentemente politici(84), e rivalutate sulla base di tassi estremamente contenuti.
Da un lato, il meccanismo della ripartizione si rivela sempre meno adeguato rispetto all'inversione demografica del rapporto pensionati-lavoratori, destinata progressivamente ad acuirsi anche per effetto delle aspettative di vita maggiore che ogni ondata generazionale riesce a vantare rispetto a quella precedente. Se, come indicano le stime(85), il rapporto è soggetto ad aumentare nei prossimi cinquant'anni, analoga evoluzione deve attendersi per gli oneri contributivi e fiscali che andranno inevitabilmente a gravare sulle generazioni future. Si comprende come una simile prospettiva non eserciti particolare fascino su quanti si affacciano ora nel mondo del lavoro, avviando contestualmente un piano previdenziale a ripartizione viziato in partenza dagli squilibri passati e presenti, e penalizzato di riflesso nelle prestazioni future(86).
Dall'altro lato, i risultati prodotti dal meccanismo della ripartizione non rappresentano un incentivo a privilegiare il sistema pubblico. Essi scaturiscono da una rivalutazione dei versamenti, effettuati durante la vita lavorativa, ad un tasso di rendimento implicito pari al tasso di crescita del P.I.L. nominale(87), che negli ultimi venti anni in Italia si è mantenuto intorno al 2,2 per cento annuo(88). Il confronto che già alcuni anni fa venne autorevolmente proposto(89) con il rendimento di un portafoglio misto azionario e obbligazionario, realizzato sul mercato statunitense negli ultimi cinquant'anni, pari al 5,5 per cento medio annuo, si presenta dunque perdente. Ciò lascia intuire quali risparmi contributivi - a parità di prestazioni offerte -, ovvero, in alternativa, quali migliori risultati - fermo restando il monte contributi - potrebbero essere raggiunti attraverso una gestione della previdenza secondo il criterio della capitalizzazione, eventualmente associata ad una gestione in forma privatistica.
Questo importante aspetto viene discusso diffusamente nel paragrafo 6. Per il momento giova tuttavia osservare, a conferma dell'efficacia dell'opzione privatistica, l'evoluzione che ha caratterizzato negli ultimi anni in Italia il settore delle casse di previdenza delle categorie professionali. La trasformazione da enti di diritto pubblico in enti di diritto privato, con la conseguente acquisizione dell'autonomia normativa e soprattutto gestionale, ha liberato l'operatività delle casse dal rispetto delle numerose disposizioni di legge che ne condizionavano pesantemente le scelte allocative(90). Ciò ha prodotto dal 1994 ad oggi un incremento nella consistenza del patrimonio gestito medio complessivo del 50 per cento, dimostrando nei fatti a quali risultati può condurre l'amministrazione dei fondi previdenziali svincolata dalle logiche burocratiche(91) e dirigiste che contraddistinguono invece l'azione statale(92).
4.5 Conclusioni
Dalle considerazioni appena svolte, si può trarre la conclusione che il monopolio statale della previdenza rappresenta una necessità per il meccanismo adottato, la ripartizione, ma non si giustifica in termini di qualità e di equità delle prestazioni erogate. Al contrario, proprio considerazioni di efficienza e di equità suggerirebbero l'apertura della previdenza a soggetti privati che, diversificando l'offerta e ampliando le opzioni per i contribuenti, potrebbero validamente circoscrivere gli ambiti di ingerenza e di abuso politico. Non è difficile, infatti, scorgere alla base dell'attuale situazione la convergenza di precise volontà politiche e sindacali di controllo sulla previdenza pubblica, ambito ad elevata sensibilità sociale e, proprio per questo, formidabile strumento di condizionamento del consenso e di gestione del potere(93).
Ne deriva la sensazione che sia destinata a restare ignorata l'unica richiesta che dei contribuenti consapevoli e responsabili, e non sudditi, dovrebbero avanzare, vale a dire quella di essere lasciati liberi di disporre del proprio reddito e del proprio futuro, così come, in democrazia, si è liberi di determinare, in modo altrettanto consapevole e responsabile, l'indirizzo politico in sede elettorale. E' noto, invece, che la libertà di scelta in ambito previdenziale viene negata fondamentalmente virtù del principio di equità intergenerazionale che governa il sistema a ripartizione, e che pone a carico di ciascuna generazione il mantenimento di quella precedente, in una sorta di vincolo morale di solidarietà(94). E' interessante provare a interrogarsi sul significato di queste argomentazioni.
5. Quali contenuti veicola l'idea
di "solidarietà"?
5.1 Pensioni e solidarietà
Una nota caratterizzante il dibattito sulle pensioni è il frequente richiamo al principio della solidarietà intergenerazionale, ed a più generali principi di equità su cui si fondano gli istituti dello stato sociale, di cui ogni ipotesi di riforma dovrebbe rispettare lo spirito, sia pure "minimizzando le distorsioni indotte sulla formazione di capacità produttiva"(95). Viene in sostanza evocata una sorta di "missione" sociale del sistema pensionistico, la cui nobile finalità di promuovere, attraverso il vincolo solidaristico fra le generazioni, una convivenza "più giusta", dovrebbe essere privilegiata in sede politica rispetto alle riduttive valutazioni di corrispondenza attuariale fra contributi e prestazioni, formulate invece in sede di analisi economica(96).
Se tuttavia si concorda di assegnare ai contributi versati dai lavoratori la funzione che è loro propria, cioè quella di assicurare un evento futuro - l'età della vecchiaia e la corrispondente inabilità al lavoro -, si intuisce come le considerazioni solidaristiche in questo ambito siano fuori posto(97). E' infatti importante tenere distinte, all'interno dello stato sociale, le funzioni redistributive - in cui contribuente e beneficiario sono soggetti diversi, ed è ciò che accade nell'assistenza -, da quelle assicurative - in cui, invece, contribuente e beneficiario coincidono, come nel caso della costituzione di una rendita per l'età del pensionamento(98). Evidentemente, nel secondo caso non ha senso parlare di solidarietà, ed è pertanto da considerare arbitraria, tanto per fare un esempio, ogni forma di prelievo a fini redistributivi operata su prestazioni - per quanto di importo elevato - maturate ed erogate a fronte di contributi regolarmente riscossi(99).
A meno che non si voglia chiamare solidarietà la pratica assolutamente feudale, in cui si è largheggiato per anni, di riconoscere a politici e sindacalisti contributi mai versati (i cosiddetti contributi figurativi), e quindi di pagare loro pensioni non maturate. Pratica che solo di recente si è avuto il buon gusto di recidere, ma che fino ad oggi ha drenato ingenti risorse dalle casse degli enti previdenziali pubblici a favore di soggetti già abbondantemente beneficiati da un'incredibile sfera di privilegi(100). Né si può fare a meno di cogliere una certa schizofrenìa da parte dello Stato nel suo duplice ruolo di dispensatore di (presunta) solidarietà da un lato, e di penalizzatore della sua più genuina manifestazione dall'altro: si pensi alle imposte di successione, che incidono tanto maggiormente quanto più attenuato è il legame di parentela fra i soggetti coinvolti, e dunque quanto più dovrebbe essere invece apprezzato e premiato lo spirito solidaristico.
Altro discorso è quello che riguarda più propriamente l'assistenza sociale, espressione, questa sì, del ruolo rigorosamente redistributivo (e monopolistico) dello Stato, che deve essere salvaguardato al fine di prevenire la formazione di aree di povertà e di emarginazione(101).
In realtà, è da ritenere che il principio della solidarietà, opposto alle critiche che da più parti vengono mosse all'attuale sistema previdenziale, rappresenti soprattutto lo schermo dietro il quale si perpetuano situazioni di abuso, inefficienza, e talora profonde iniquità sociali che con quel principio entrano in evidente conflitto(102). Può essere utile, allora, ripensare il significato che normalmente siamo portati ad attribuire all'idea di solidarietà, elemento portante nell'attuale sistema a ripartizione, ma di cui i condizionamenti della dialettica politica favoriscono sovente una rappresentazione impropria e distorta. Ci si può così rendere conto che essa veicola contenuti insospettati, la cui coerente accettazione è destinata a condurre a conseguenze meno popolari di quanto si ritenga comunemente.
5.2 La "legge di
solidarietà"
Secondo un'interessante impostazione, la naturale conseguenza della cosiddetta "legge di solidarietà" è tale per cui "gli atti e le abitudini degli individui producono, oltre le conseguenze che ricadono su lui medesimo, altre conseguenze buone o cattive che si estendono ai suoi simili. Questo è ciò che si chiama la legge di solidarietà, che è una specie di responsabilità collettiva"(103). In questa prospettiva delle scienze sociali ed economiche, cioè, il concetto di solidarietà rinvia al complesso intreccio di cause ed effetti, azioni e conseguenze, che avvolge una collettività; "allo scambio di pensieri, di prodotti, di servizi e di lavoro, di mali e di beni, di virtù e di vizi che fanno della grande famiglia umana una grande unità"(104). Tutto ciò rappresenta il significato in cui si concreta l'idea di solidarietà.
Inserita in questa cornice di reciproci condizionamenti, la naturale inclinazione a privilegiare situazioni di vantaggio personale, scaricando sugli altri le eventuali conseguenze negative delle proprie azioni deve allora trovare un argine efficace, affinché la legge di solidarietà possa esplicare effetti virtuosi. Tale argine risiede nella responsabilità individuale, che rappresenta il necessario e inscindibile complemento di una scelta di libertà. E' indispensabile, cioè, che nella sfera delle relazioni sociali possa operare un sistema di "pene e di ricompense"(105), direttamente collegato alle libere scelte individuali, quale fattore propulsivo alle azioni virtuose e, appunto, punitivo dei comportamenti nocivi.
La possibilità di conoscere e valutare il nesso causale delle azioni individuali con le relative modificazioni indotte nella collettività è, tuttavia, condizione essenziale all'effettivo operare di un simile meccanismo. Detto altrimenti, occorre che gli effetti delle azioni siano facilmente conoscibili e imputabili al loro attore, affinché su quest'ultimo e sul suo operato possa formarsi il giudizio sociale di apprezzamento o di biasimo(106).
Il meccanismo si inceppa quando viene meno la responsabilità personale, per cui gli atti compiuti dal singolo si ripercuotono sulla collettività senza che questi possa essere chiamato a risponderne. Subentra allora un nuovo sistema di relazioni in cui il potere di iniziativa viene sottratto all'individuo, divenuto ormai irresponsabile, per essere consegnato alla collettività, cioè allo Stato, che decide per tutti(107).
Lo spostamento del baricentro della società dall'individuo allo Stato trae complice impulso da una manipolazione lessicale apparentemente innocua, ma in realtà, al pari di quelle genetiche oggi in voga, foriera di pericolose derive ideologiche. Se, infatti, un concetto tanto elementare quanto fondamentale come quello della responsabilità cambia nome per acquistare quello di "individualismo", meglio ancora se "sfrenato" o "selvaggio", diventa allora più agevole disprezzarne l'esercizio, fino a dissolverne il significato "nella sfera d'azione della solidarietà estesa oltre i suoi limiti naturali"(108). Si compie così un piccolo capolavoro dialettico, in cui la condanna del presunto egocentrismo connaturato nello spirito individualistico, tende a far leva paradossalmente proprio sul più autentico sentimento egoistico e sul più insidioso senso di irresponsabilità: non importa qual è la causa del proprio disagio, né se questa riconduce a precedenti comportamenti sbagliati, che proprio l'abolizione della legge di responsabilità e del suo meccanismo di pene e di ricompense ha privato della fondamentale funzione, per così dire, pedagogica. Quello che conta è che ci sarà sempre qualcun altro che si troverà in una condizione migliore, e sarà da lì che si dovrà attingere in ogni caso per correggere uno squilibrio socialmente iniquo e inaccettabile(109).
Posto in questi termini, il concetto di solidarietà viene completamente stravolto nel significato ma, quel che è peggio, decade dalla sua funzione di premiare e diffondere i comportamenti virtuosi, e di penalizzare e circoscrivere quelli viziosi. Al suo posto si afferma invece una solidarietà "fittizia", che tende tanto più ad espandersi quanto più lo Stato si sostituisce ai singoli, prelevandone le risorse per poi dare, agli stessi o ad altri, beni e servizi - talora solo apparentemente gratuiti - che essi, con molta probabilità, non avrebbero scelto(110).
A questo si riduce, spesso, la solidarietà che intendono i governanti. Nel tentativo di nobilitarla, essi la ammantano per di più di un’improbabile connotazione morale, che è poi la medesima che vizia diverse parti della nostra Costituzione(111). Tuttavia, con l'abolizione del principio della responsabilità individuale, si viola sostanzialmente una legge naturale espressione di libertà, mentre (e ciò è nuovamente paradossale) è proprio da questa, piuttosto che da arbitrarie e fallaci imposizioni statali, che dipendono invece i risvolti morali di ogni seria professione di solidarietà(112).
5.3 Libertà e responsabilità
Se, al contrario, si continua a intendere la solidarietà come una sorta di "responsabilità riverberata nei confronti dell'autore dell'atto"(113), si può allora affrontare, in un passo successivo, il legame di corrispondenza biunivoca che intercorre fra la responsabilità e la libertà. Fare una scelta di libertà, e quindi di responsabilità, implica allora accettare una condizione in cui l'individuo è il massimo artefice del proprio destino, attraverso il compimento di libere scelte di cui solo la prova dei fatti potrà rivelare la bontà ovvero l'eventuale fallacia(114). Si tratta indubbiamente di un paradigma di vita suscettibile di ingenerare paure e apprensioni, ma che, al tempo stesso e anzi proprio per questo, agisce da potente stimolatore delle capacità individuali verso una piena autodeterminazione della persona.
Sovvengono in proposito le riflessioni che von Hayek ha dedicato al rapporto fra l'individuo e la propria posizione sociale, dalle quali emerge il conflitto esistenziale fra due fondamentali stati d'animo ai quali non ci si può comunque sottrarre: da un lato, il senso di oppressione (responsabilizzante), indotto da una società libera, di doversi creare da sé una posizione, assumendosene i rischi, ma predisponendosi anche ad ottenere le relative soddisfazioni morali e materiali; dall'altro, il senso di sicurezza e di stabilità che, in un sistema pianificato, discende dal ricevere da altri un lavoro e una paga, dovendone tuttavia sottostare, spesso con frustrazione, alle direttive(115).
Si può tentare di replicare questi ragionamenti intorno alla necessità da parte di ciascuno di doversi assicurare il proprio mantenimento in vecchiaia, e di farlo potendo scegliere fra due alternative analoghe a quelle appena descritte: da una parte, ricercando autonomamente le forme di previdenza più coerenti con i profili di rischio finanziario che si è disposti ad accettare(116); dall'altra, delegando interamente allo Stato il compito di provvedere alla propria pensione, esponendosi tuttavia ad un rischio di natura politica difficilmente quantificabile(117). Anche qui gli stati d'animo implicati da una simile alternativa, come è facile intuire, divergono in modo sensibile. Tuttavia, l'alea che grava sul futuro della previdenza pubblica non giustifica stavolta un particolare senso di sicurezza e di stabilità a beneficio dell'opzione statale. E' anzi concreta la prospettiva di una crescente tensione all'interno di un sistema che si regge su un vincolo di "solidarietà intergenerazionale" sempre più a rischio di degenerare in aperto conflitto(118).
Occorre indubbiamente cautela nel declinare il principio di libertà e di responsabilità in un ambito estremamente sensibile come quello previdenziale. In questo senso orientano del resto le indicazioni formulate da autorevoli osservatori, che pongono al centro di ogni ipotesi di riforma il mantenimento di uno zoccolo duro, per così dire, che garantisca a tutti la certezza di una prestazione di base minima(119). Ciò non implica, tuttavia, che questa debba rinviare necessariamente al soggetto pubblico. E' vero anzi il contrario: proprio la fissazione di un rendimento minimo apre la possibilità a soggetti privati di inserirsi nel "mercato" della previdenza obbligatoria, offrendo coperture alternative nel rispetto di requisiti prestabiliti, ma ovviamente senza alcun divieto, per i soggetti più efficienti, di superare la soglia della prestazione di base(120).
Sotto questo profilo, è ancor più condivisibile che ciascuno possa decidere liberamente l'impiego del proprio risparmio anche nel quadro della previdenza complementare, in considerazione dell'ampio orizzonte temporale che ogni lavoratore ha davanti a sé all'inizio della propria carriera. Lo sviluppo dei mercati finanziari, e il corrispondente ridimensionamento del peso dei titoli del debito pubblico, hanno stimolato d'altra parte la crescita culturale e l'apertura mentale del risparmiatore italiano. Ciò favorisce a sua volta l'approccio a quella diversificazione delle attività - dunque, anche per mezzo della componente azionaria(121) - che rappresenta la strategia di investimento maggiormente premiante sul lungo termine(122). Ma che, soprattutto, indirizzando i contributi previdenziali sul mercato dei capitali, stimola lo sviluppo economico e pone le premesse affinché la ricchezza prodotta dal sistema possa soddisfare, in prospettiva, le esigenze di consumo della quota (crescente) di pensionati e di quella (decrescente) di lavoratori. Ciò che deve essere, precisamente, lo scopo fondamentale di qualsiasi ipotesi di riforma della previdenza(123).
Vedremo più avanti, invece, come gli sviluppi normativi recenti seguitino a mantenere "sotto tutela" i contribuenti, negando loro una piena libertà di scelta - e, implicitamente, la patente di soggetti responsabili - sia nella previdenza di base che in quella complementare(124). E ciò, ancora una volta, è indicativo della volontà di conservare determinate rendite di posizione precostituite al riparo dagli impulsi della competizione, piuttosto che di favorire un esercizio efficiente e trasparente della funzione previdenziale(125).
5.4 Conclusioni
Poiché le pensioni in senso stretto non sono stato sociale, ogni considerazione di tipo solidaristico e redistributivo al riguardo configura una forma di arbitrio, nella cui estrinsecazione in atti concreti può pertanto ravvisarsi il connotato dell'"incostituzionalità". Anche questo equivoco - discendente dalla sovrapposizione di ruoli fra previdenza e assistenza, e dall'inevitabile confusione tra funzioni assicurative e redistributive - concorre ad attenuare, nella percezione dei contribuenti, la corrispondenza fra contributi e prestazioni, che è invece fondamentale per la credibilità e la sostenibilità di ogni sistema pensionistico.
Si è visto inoltre quale significato può assumere il concetto di solidarietà, interpretato secondo una prospettiva che si discosta dai canoni correnti, ma alla quale non si può negare fondatezza nel porre al centro delle relazioni sociali l'individuo libero nelle sue scelte e responsabile delle sue azioni. E' infatti su queste basi che si svolge la ricerca da parte di ciascuno della propria posizione in una società libera, e sulle medesime basi deve potersi esplicare, entro certi limiti, la costruzione del proprio futuro previdenziale.
Sul sistema di valori che fa capo all'individuo ha prevalso a lungo l'idealizzazione del ruolo dello Stato e della sua presunta migliore capacità di sapere ciò che è bene per la società, finalizzando ad esso la propria potestà impositiva e redistributiva, e dispensando una solidarietà burocratica e poco proficua. Il vasto processo di rinnovamento che investe da alcuni anni le economie in transizione dell'Est europeo, tuttavia, conferma nei fatti il fallimento dell'"etat provident"(126) nella direzione centralizzata, e sulla base di un piano intenzionale, di ogni attività in funzione di superiori (e velleitari) obiettivi sociali(127). Al suo posto si afferma invece l'individuo quale giudice ultimo dei propri fini, con la naturale conseguenza che debbano essere le sue opinioni a governare le sue azioni(128).
In materia di previdenza, queste considerazioni trovano riscontro nel crescente, seppur contrastato consenso che tende a riscuotere la prospettiva di una transizione verso sistemi a parziale o totale capitalizzazione, meno esposti alla distorsione dell'intermediazione politica(129), e più idonei a favorire la responsabilizzazione dei contribuenti(130).
6. La transizione da un sistema a
ripartizione verso uno a capitalizzazione è realmente "impossibile"?
6.1 La situazione
Il progressivo deterioramento degli equilibri finanziari dei sistemi pensionistici a ripartizione sta sollevando in molti paesi intensi dibattiti. La preoccupazione ricorrente scaturisce dalla difficoltà di riuscire a conciliare, alla luce di tendenze demografiche chiaramente sfavorevoli(131), la salvaguardia delle prestazioni impegnate con il contenimento degli oneri sociali entro livelli accettabili.
Le proiezioni contenute nella tavola 2 descrivono la tendenza in atto, secondo la quale il valore degli indici di dipendenza è destinato in pratica a raddoppiare durante i prossimi quarant'anni in tutti i paesi europei. Il trend si presenta particolarmente accentuato nel caso dell'Italia, che fa registrare valori sistematicamente superiori rispetto alla media euro per tutte le scadenze osservate, fino a raggiungere il picco più elevato in corrispondenza dell'anno 2040.
Tav. 2
La sostenibilità degli attuali sistemi a ripartizione si presenta altresì problematica in considerazione delle distorsioni indotte sul mercato del lavoro da aliquote contributive sempre più elevate, dell'attenuazione della corrispondenza fra queste ultime e il valore delle prestazioni attese, ed inoltre in conseguenza dei riflessi penalizzanti sul tasso di risparmio nazionale.
L'incidenza degli oneri sociali, in particolare, ha raggiunto, soprattutto in Europa, una dimensione tale da lasciare ristretti margini di aumento per compensare le conseguenze degli avversi scenari demografici(132). Al riguardo, è interessante osservare la sintesi dei dati esposta nella tavola 3. Si nota immediatamente come, nel periodo compreso fra il 1965 ed il 1996, il peso dei contributi sociali sul P.I.L., nella media dei paesi europei, si mantenga su livelli pressoché doppi rispetto agli altri paesi O.E.C.D..
Tav. 3
Il raffronto muta lievemente, soprattutto in anni più recenti, se si considera invece la composizione percentuale delle entrate fiscali. Nel periodo compreso fra il 1980 ed il 1996, nell'area O.E.C.D. si osserva un aumento dell'incidenza dei contributi sociali, mentre per l'Europa il dato si mantiene praticamente invariato. Nell'ultimo periodo interessato dall'indagine, comunque, il dato riferito alla U.E. si mantiene di sei punti percentuali al di sopra della media O.E.C.D..
Dall'esame di questi dati emerge un'incidenza della contribuzione sociale nei paesi europei assai più pronunciata rispetto agli altri paesi dell'area O.E.C.D.. Ciò è in linea con le considerazioni svolte innanzi sui diversi gradi di regolamentazione e di flessibilità del mercato del lavoro - e sulla corrispondente situazione occupazionale -, che contraddistinguono i paesi europei da un lato, e gli Stati Uniti dall'altro.
Una considerazione particolare merita il caso dell'Italia, dove il prelievo fiscale - nella duplice forma della fiscalità vera e propria e della contribuzione sociale - incide sul costo del lavoro complessivo in una misura che è passata dal 26 per cento degli anni Sessanta al 44 per cento circa degli anni Novanta(133). Tale incremento è il più alto fatto segnare all'interno della U.E., dove negli ultimi anni non si è superata l'incidenza percentuale del 42 per cento. A ciò si aggiunga il fatto che, come si è visto precedentemente(134), il cuneo fiscale sul lavoro dipendente tende a ripercuotersi in misura proporzionale sul tasso di disoccupazione che, non a caso, proprio in Italia si mantiene su livelli superiori alla media europea.
Le principali forme di adeguamento dei sistemi a ripartizione alle proiezioni demografiche e alle prospettive di crescita del P.I.L., variano dall'innalzamento dell'età pensionabile, all'aumento della contribuzione obbligatoria - spesso associata al contenimento di altri capitoli della spesa pubblica -, alla progressiva riduzione delle prestazioni attese. Tuttavia, nessuna di queste azioni si presenta sostenibile a medio termine senza un contestuale intervento riformatore degli attuali meccanismi di finanziamento della previdenza statale. L'ulteriore opzione della graduale conversione in un sistema a parziale o totale capitalizzazione fatica a conquistare consensi, in dipendenza delle obiezioni ricorrenti circa il duplice onere contributivo che verrebbe in tal modo a gravare sulle generazioni presenti(135). Si solleva, a questo proposito, una fondamentale questione di equità intergenerazionale, che verrebbe irrimediabilmente compromessa con il passaggio alla capitalizzazione: come sarebbe stato inutile ed iniquo adottare in origine la ripartizione, se ciò non fosse stato necessario per i motivi esposti in precedenza(136), così sarebbe iniquo, oltre che "impossibile", pensare oggi di abbandonare la ripartizione per la capitalizzazione, in una sorta di "cammino a ritroso della storia"(137).
6.2 Lo scenario internazionale
Lo scenario internazionale offre tuttavia l'esempio di diversi paesi che, preso atto del collasso a cui le generalizzate tendenze demografiche sono destinate a condurre i sistemi a ripartizione, hanno provveduto comunque ad elaborare e sperimentare dei progetti di avvicinamento della previdenza al regime della capitalizzazione(138). E' il caso di paesi come il Messico(139), il Regno Unito(140), o l'Australia(141). Come pure della Bolivia, che nel 1997 ha destinato il 50 per cento dei proventi di un massiccio piano di privatizzazioni in un fondo pensionistico collettivo a capitalizzazione, sottratto alle ingerenze governative e gestito da investitori istituzionali(142).
Un caso del tutto particolare è rappresentato da alcuni paesi dell'Europa orientale, dove un elevato tasso di illegalità e di evasione contributiva - diffuso egualmente tanto nel settore privato quanto in quello pubblico - ha praticamente svuotato di significato la stessa ragion d'essere dei sistemi a ripartizione statali(143). Questa situazione, tra le altre, sta inducendo diversi paesi, come l'Ungheria (1998), il Kazakhstan (1998) e la Polonia (1999) ad adottare la scelta della capitalizzazione, attraverso un graduale processo di transizione, che in alcuni casi ha potuto beneficiare di importanti sinergie dalla privatizzazione di grandi imprese statali. Tutto ciò avviene nel quadro di un progressivo abbandono delle antiche logiche di interferenza politica, e contestualmente ad una crescente enfasi intorno al ruolo dei singoli quali principali artefici delle "ricompense" al proprio impegno individuale e responsabile(144).
E' tuttavia l'esperienza cilena, avviata nel 1981, che ha catturato l'attenzione degli osservatori internazionali per i risultati sorprendenti che l'abbandono del sistema a ripartizione ha determinato nell'economia di quel paese. La riforma attuata in Cile ha portato a compimento la transizione verso un sistema a capitalizzazione a contribuzione definita, sostituendo il programma pubblico con una gestione privata di fondi pensione scelti liberamente dai contribuenti(145). Il ruolo statale è stato modificato da quello di attore diretto in arbitro regolatore a tutela dei contribuenti, attraverso la previsione di una importante serie di garanzie. Un esempio è costituito dalla fissazione di un rendimento minimo annuo da riconoscere ai contribuenti, al di sotto del quale il gestore del fondo pensione privato è tenuto a fornire un'integrazione, attingendo da un fondo di riserva appositamente costituito(146). Nell'eventualità di incapienza di detto fondo, è lo Stato che si incarica di coprire lo scarto, mentre la società di gestione inadempiente viene liquidata e le relative posizioni contributive trasferite ad altre società. L'intervento statale si segnala anche nei casi di insufficienza dei diritti pensionistici maturati, allorché viene garantito comunque un minimo vitale che configura in tal modo il pilastro pubblico - che viene dunque pur sempre mantenuto - come una sorta di "provider of last resort"(147)
Il percorso studiato dalle autorità cilene per il passaggio al nuovo sistema ha lasciato libertà di scelta ai contribuenti fra le due opzioni. A questo riguardo, è stata prevista l'emissione di particolari obbligazioni, denominate "recognition bonds"(148), a copertura dei diritti maturati da quanti avessero deciso di trasferire le proprie posizioni nel regime a capitalizzazione. Il servizio su questo debito, associato al pagamento dei trattamenti a carico del precedente sistema, ha generato durante i primi dieci anni della riforma un costo fiscale complessivo superiore al 4 per cento del P.I.L.. Tale costo ha iniziato tuttavia a riassorbirsi già a partire dal 1995, ed è previsto attestarsi nel 2015 intorno all'1,2 per cento del P.I.L., vale a dire al di sotto del livello di inizio riforma(149). E' comunque opinione diffusa tra gli osservatori che i rilevanti effetti indotti sulla crescita economica dalla riforma previdenziale consentiranno al Cile di superare la transizione in un arco di tempo compatibile con la portata del cambiamento, minimizzando l'aggravio sulle generazioni direttamente coinvolte(150).
Una critica che è stata mossa alla riforma cilena si appunta sugli elevati costi amministrativi e di gestione che il nuovo sistema ha comportato soprattutto nella fase di avvio(151). Tuttavia, tale onerosità è stata più che compensata da rendimenti di assoluto rilievo, che si sono attestati intorno al 10 per cento medio annuo in termini reali durante i primi quindici anni(152). Si tratta probabilmente dell'aspetto più interessante della riforma, al quale si legano, interagendo reciprocamente, l'elevazione del tasso di risparmio nazionale(153), l'accresciuto spessore dei mercati finanziari - reso possibile dal dinamismo dei fondi pensione -, e il conseguente incremento di capitali a lungo temine, necessari a sostenere l'ambizioso programma di modernizzazione delle infrastrutture del paese(154).
La drastica riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, indotta dalla riforma, ha favorito inoltre una sensibile crescita dell'occupazione - associata ad un innalzamento dei salari medi reali - che ha iniziato ad apprezzarsi già a partire dal 1985. Ma, soprattutto, è stata positivamente ridimensionata la sfera di influenza politica in ambito previdenziale(155), restituendo al prelievo contributivo la corretta finalità di retribuzione differita, in luogo di quella largamente percepita in passato di pura tassazione(156).
Anche sulla scorta degli studi di cui è stata oggetto la lunga esperienza maturata nel Cile, si è sviluppata negli Stati Uniti una crescente attenzione intorno all'ipotesi di trasformazione del sistema pensionistico federale, attualmente a ripartizione, in uno a capitalizzazione. Questo nuovo clima ha derivato conforto e impulso dalle indicazioni delle autorità nazionali(157), e più in generale dal deciso orientamento espresso dai massimi organismi internazionali. E' emblematico, ad esempio, il fatto che presso l'O.E.C.D. il riferimento alle proposte di riforma dei sistemi pensionistici sottintenda la transizione degli stessi verso regimi a capitalizzazione, con un'esplicita connotazione "individualistica", escludendo qualsiasi ipotesi di "aggiustamento" degli attuali sistemi a ripartizione(158).
In questo quadro si colloca la formulazione di alcune proiezioni che, simulando una graduale transizione fra i due sistemi, ne hanno potuto dimostrare la concreta fattibilità, ponendo in discussione la fondatezza delle ricorrenti obiezioni relative all'eccessiva onerosità, ma anche alla presunta iniquità intergenerazionale dell'opzione "privatistica"(159).
A questo riguardo, occorre precisare che, in relazione alle indagini che si desidera analizzare, la "privatizzazione" del sistema pensionistico viene intesa come il passaggio dal vigente sistema a ripartizione ("unfunded pay-as-you-go program", PAYGO) ad uno a capitalizzazione ("funded program", FP), obbligatorio (mandatory), imperniato su conti individuali. Tale sistema, inoltre, si caratterizza per la possibilità, riconosciuta al contribuente, di esercitare un controllo diretto sulle modalità di investimento dei propri contributi(160).
6.3 Un risultato in apparenza
sorprendente
La ricerca condotta negli Stati Uniti dimostra che la transizione verso un sistema previdenziale privatistico (nel senso poc'anzi spiegato) consente, sul lungo termine, di ridurre l'incidenza dei contributi previdenziali ("payroll tax rate") dall'attuale 12,4 per cento ad appena il 2 per cento. Un risultato in apparenza sorprendente, ma che in realtà scaturisce inevitabilmente dalla forte divaricazione fra il tasso di capitalizzazione del FP rispetto a quello implicato dal PAYGO, consentendo, a parità di prestazioni assicurate, un risparmio contributivo di oltre dieci punti percentuali a beneficio del primo sistema(161).
Lo scarto fra i tassi di rendimento conseguibili attraverso le due alternative previdenziali viene quantificato nello studio in esame in 6,5 punti percentuali. Ad un tasso per il FP del 9 per cento - che rappresenta la remunerazione media ottenibile sul mercato mobiliare nazionale ("nation's capital stock market") -, si contrappone per il PAYGO un tasso del 2,5 per cento - equivalente al saggio interno di crescita economica(162). Il primo tasso è quello riscontrato sul mercato azionario statunitense dal 1960 al 1995(163); il secondo è invece il tasso di crescita degli stipendi e dei salari reali registrato negli Stati Uniti sempre nello stesso periodo.
Al fine di cogliere appieno le conseguenze implicate da queste premesse, può essere utile un esempio numerico. Si ipotizzi il caso di un contribuente che, all'età di 45 anni, riesca a risparmiare 2.600 dollari (equivalenti grosso modo ad un contributo previdenziale medio annuo, calcolato in base all'aliquota del 12,4 per cento), per garantirsi un certo capitale all'età di 75 anni. Assumendo un tasso di rendimento implicito del 2,5 per cento nell'ambito di un sistema previdenziale del tipo PAYGO, questa somma produrrebbe in capo a trent'anni un montante pari a circa 5.454 dollari(164). L'esperienza storica dimostra tuttavia che, nell'ipotesi alternativa di una scelta di investimento sul mercato mobiliare lungo un medesimo orizzonte temporale, è legittimo attendersi, come detto, un rendimento reale intorno al 9 per cento(165). In questo caso, il beneficio futuro di 5.454 dollari, assicurato dal sistema a ripartizione, potrebbe essere "acquistato" dall'ipotetico contribuente, all'età di 45 anni, con appena 411 dollari, invece degli effettivi 2.600. In termini di incidenza percentuale, ciò significa che l'aliquota contributiva potrebbe ridursi dal 12,4 per cento ad appena l'1,96, con un risparmio netto, appunto, di oltre 10 punti percentuali(166).
Questi dati si prestano ad essere analizzati sotto diversi profili. In primo luogo, si osserva come possa rivelarsi imprudente attribuire validità generalizzata a serie storiche riferite ad una realtà specifica come quella statunitense, che si contraddistingue per un livello di sviluppo del sistema produttivo e finanziario superiore alla media internazionale. Soprattutto, non è dato di sapere con quale grado di approssimazione delle stime basate sull'esperienza passata consentano di rappresentare scenari futuri, che le modificazioni indotte dalla "new economy" rendono estremamente imprevedibili. Inoltre, va tenuto conto dei costi amministrativi e gestionali implicati da un sistema a capitalizzazione, che incidono in modo rilevante sulla misura del tasso finale netto retrocesso, e dunque sull'effettiva rivalutazione dei contributi(167).
E' tuttavia ragionevole ritenere che il risparmio contributivo immediato - indipendentemente dalla sua entità - che si determina in capo al soggetto, sia suscettibile di innescare una ridefinizione delle sue scelte allocative, favorendo la destinazione di un'ulteriore quota del maggior reddito disponibile al risparmio previdenziale o finanziario. Tale addizionale afflusso di liquidità sui mercati tende a riflettersi positivamente sulla crescita del capitale finanziario e sulle opportunità di finanziamento a disposizione del sistema produttivo(168).
Inoltre, se si assume che il beneficio di 5.454 dollari potrebbe essere conseguito attraverso una contribuzione di appena 1,96 punti percentuali, il restante prelievo di 10,44 punti può essere inteso come una forma di compensazione di natura fiscale all'inefficienza dell'attuale sistema(169). Ne deriva una distorsione dei comportamenti all'interno del mercato del lavoro - tanto da parte delle imprese quanto da parte dei lavoratori(170) - che è tanto più sensibile quanto maggiore è l'effetto combinato di tale forma surrettizia di tassazione con la vera e propria fiscalità statale e federale(171). In questo senso, l'impiego del risparmio previdenziale all'interno di un sistema a capitalizzazione presenta l'ulteriore beneficio di attenuare tali condizionamenti, restituendo efficacia e linearità alle politiche occupazionali, e circoscrivendo il fenomeno dell'evasione contributiva.
6.4 La transizione
Si è visto che i parametri di riferimento dei ricercatori statunitensi sono rappresentati dall'aliquota contributiva vigente, il 12,4 per cento, e dal beneficio finale che l'attuale sistema offre ai contribuenti (nel nostro esempio, la prestazione di 5.454 dollari). Il dato di partenza è la constatazione che il sistema a ripartizione è destinato ad erodere la disponibilità del "trust fund"(172) a partire dall'anno 2015, fino ad azzerarla in corrispondenza dell'anno 2030(173). Si tratta allora di ipotizzare un percorso di transizione che permetta il superamento del sistema PAYGO, affiancando ad esso, per poi gradualmente sostituirlo, un sistema FP. Nel delineare tale percorso, i ricercatori si sono mossi sulla scorta di alcune ipotesi - che in questa sede non vengono discusse - in ordine all'evoluzione demografica(174), al tasso di crescita della forza lavoro e dei salari reali, al momento in cui si avvia l'affiancamento del FP al sistema PAYGO, ed alla quota delle prestazioni attualmente garantite da quest'ultimo, che andranno via via sostituite con quelle rese dal FP.
Muovendo da queste premesse, a partire dal primo anno di transizione il contribuente è chiamato a versare la quota ordinaria del 12,4 per cento - a copertura delle prestazioni PAYGO - più una quota addizionale - destinata a costituire la propria, vera base previdenziale - che viene accreditata in conti individuali a contribuzione obbligatoria, denominati MIRA ("mandatory individual retirement accounts"). Assumendo un orizzonte temporale compreso fra il 1995 e il 2071, il primo contributo nei MIRA si colloca ad un livello assai contenuto: appena lo 0,69 per cento del salario imponibile ("taxable payroll") che, sommato al 12,4 ordinario, determina per il 1995 un contributo complessivo di 13,09 punti. Assai distante, dunque, dalle ipotesi di raddoppio dell'aliquota formulate da numerosi osservatori(175). Tale mix di contribuzione ordinaria e addizionale raggiunge un valore massimo del 13,74 per cento in corrispondenza dell'anno 2007, per poi discendere gradualmente fino ad un livello minimo del 2,11 per cento nell'anno 2071(176).
Questo risultato è stato sottoposto a verifiche successive, al fine di testarne la consistenza rispetto ad una modifica delle ipotesi sottostanti. Il primo controllo è consistito nell'elaborare una seconda proiezione prudenziale, in base ad un tasso di capitalizzazione più contenuto rispetto al 9 per cento assunto inizialmente, nell'eventualità di un mancato recupero del prelievo fiscale - pari a circa il 40 per cento -, gravante su quel rendimento(177). Il tasso netto di capitalizzazione è stato quindi ridotto al 5,4 per cento, ma il risultato della proiezione non si discosta nella sostanza da quello ottenuto precedentemente. In questo caso, la quota di contribuzione nei MIRA si eleva all'1,17 per cento (maggiore dello 0,69) per il 1995, fissando il contributo complessivo a 13,57 punti (13,09 nel caso precedente). Questo dato raggiunge il valore massimo, pari a 14,81 punti, nell'anno 2010, per poi ridursi gradualmente fino al 3,37 per cento (2,11 nel caso precedente) nell'anno 2071(178).
Un secondo test è stato effettuato in funzione del rischio implicito in una forma di impiego del risparmio previdenziale esposta alle fluttuazioni cicliche dei mercati finanziari(179). Ipotizzare un tasso medio di mercato del 9 (5,4) per cento significa, infatti, poter sperimentare valori significativamente più elevati o più contenuti in dipendenza della particolare fase di borsa, con conseguenti guadagni o perdite per i contribuenti del tutto casuali(180). Al fine di circoscrivere questa forma di alea, i ricercatori hanno formulato la proposta di una contribuzione addizionale rispetto a quella necessaria in un'ipotesi di tasso di mercato medio del 9 per cento. Opportunamente calibrata (si parla di un incremento di circa un terzo), tale soluzione - il cui approfondimento viene comunque rinviato dai ricercatori a futuri studi - dovrebbe consentire un abbattimento del 95 per cento del rischio per il contribuente di dover percepire un trattamento previdenziale inferiore a quello garantito dall'attuale sistema a ripartizione. Non va comunque dimenticato che la solvibilità di quest'ultimo sistema presenta essa stessa una spiccata aleatorietà, che ragioni di opportunità politica impediscono di discutere apertamente(181).
Un terzo aspetto che i ricercatori hanno considerato nelle loro proiezioni attiene alla tutela delle categorie più deboli, sebbene il sistema previdenziale proposto, contrariamente a quello a ripartizione, non si prefigga finalità redistributive o perequative(182). Incidentalmente, si osserva tuttavia che la presunta "vocazione" sociale e redistributiva dei sistemi a ripartizione, può non trovare alcuna corrispondenza negli effetti generati in concreto, ed essere addirittura ribaltata in termini marcatamente sperequativi(183). Una volta definito il valore "unacceptably low" delle prestazioni previdenziali(184), è stata fornita una stima dell'incremento nella contribuzione di lungo termine funzionale alla salvaguardia dei livelli minimi di pensione. Tale incremento viene quantificato in 4,7 punti percentuali sul tasso di contribuzione di lungo periodo nei MIRA, pari al 2,04 per cento(185), che si eleva così al 2,14 per cento. I maggiori diritti maturati in virtù di tale differenziale contributivo vengono quindi prelevati tramite una tassazione di pari entità (4,7 per cento) su tutti i MIRA al raggiungimento del sessantacinquesimo anno, garantendo in tal modo la disponibilità delle somme necessarie a mantenere i trattamenti al di sopra del livello "unacceptably low"(186).
Un'ultima verifica - che si ricollega al già accennato progressivo esaurimento del "trust fund" - è stata dedicata alla possibilità di mantenere, successivamente all'anno 2030, i benefici assicurati dall'attuale legislazione. Poiché, come si è visto, non è più possibile mantenere in equilibrio il sistema, si impone, a parità di contributi, una riduzione delle prestazioni del 24 per cento già a partire dall'anno 2032. Invertendo il rapporto funzionale tra le due variabili, ciò equivale a dire che, fermo restando il valore delle prestazioni, si dovrà elevare allora la contribuzione, sempre a partire dal 2032, al 16,3 per cento, fino a giungere ad un tasso del 19,1 per cento nell'anno 2071(187). Tale dato è di oltre sei volte superiore al 3,15 per cento, che è invece il tasso richiesto nel sistema dei MIRA sul lungo termine per poter mantenere, anche dopo il 2030, il livello delle prestazioni attualmente impegnate(188). Nei due casi, l'innalzamento del tasso di contribuzione è il medesimo(189), ma la divaricazione in valore assoluto di lungo periodo - il 19,1 per il PAYGO, contro il 3,15 dei MIRA -, è considerevolmente a beneficio di quest'ultimo.
6.5 Uno sguardo all'Italia
Come si è potuto vedere, i risultati conseguibili dalla transizione verso un sistema a capitalizzazione - con le dovute cautele, ma anche con il conforto dell'autorevolezza e del rigore scientifico delle ricerche appena descritte - offrono più di uno spunto per riflettere sull'impostazione da seguire nel processo di riforma discusso nel nostro paese. D'altra parte, è anche grazie a questi studi se l'ipotesi di avvicinamento alla capitalizzazione comincia da qualche anno a guadagnare spazi crescenti anche in Italia, coinvolgendo gli osservatori più qualificati(190). Preliminarmente ad un esame dei relativi contributi, può essere utile tuttavia delineare un sintetico inquadramento numerico dello stato attuale della previdenza pubblica, al fine di coglierne le principali debolezze, per commentare poi le indicazioni contenute in alcuni provvedimenti emanati recentemente in materia.
A tale riguardo, una grandezza ad elevata valenza segnaletica sulla quale conviene focalizzare subito l'attenzione è rappresentata dall'aliquota contributiva cosiddetta di "equilibrio", data dal rapporto fra il totale delle prestazioni erogate in un anno ed il monte retributivo imponibile corrispondente. Emerge così che in base al rapporto fra il totale delle prestazioni erogate dall'I.N.P.S. nel 1997(191), ed il monte retributivo imponibile totale, l'aliquota di equilibrio va a collocarsi in quell'anno oltre la soglia del 47 per cento(192). Ciò significa che, affinché il sistema possa operare in equilibrio, erogando prestazioni che si alimentano al suo interno, occorrerebbe accantonare a fini previdenziali quasi la metà del reddito lordo. Se questo non accade è perché i quindici punti di eccedenza rispetto all'aliquota contributiva vigente, il 32,7 per cento, sono pagati dallo Stato, e ciò conferma le considerazioni sul ruolo della fiscalità generale nel finanziamento della previdenza anticipate nel paragrafo 2.1.
Un immediato termine di paragone è offerto dalle casse privatizzate degli ordini professionali(193), delle quali - in mancanza di un dato aggregato - può costituire un esempio rappresentativo quella dell'ordine dei dottori commercialisti. Sempre per il 1997, si registra in questo caso un'aliquota contributiva di equilibrio di appena il 3,99 per cento(194), inferiore di oltre due punti rispetto a quella legale del 6 per cento(195).
Se poi, in sintonia con quanto è stato autorevolmente osservato, si intendesse valutare la sostenibilità del sistema a ripartizione attraverso un raffronto tra "quanto individui diversi pagano e ricevono dal sistema nello stesso istante di tempo"(196), ne derivano ulteriori motivi di preoccupazione. Nel 1998, si registra infatti per l'I.N.P.S. un rapporto fra entrate contributive e prestazioni pari a 0,63(197), al di sotto quindi dell'unità, che rappresenta il valore indicativo di una situazione di equilibrio. Per la cassa dei dottori commercialisti - che resta il nostro termine di paragone - le proporzioni si presentano invece ribaltate, con una significativa eccedenza delle entrate contributive sulle prestazioni che fissa il rapporto corrispondente a 2,43(198).
Questi sintetici dati espongono con chiarezza il dissesto della previdenza pubblica, effetto di un concorso di cause fra le quali assume un ruolo preponderante l'inversione demografica, che nel nostro paese, forse non a caso(199), si presenta più pronunciata che altrove(200). Rilevano, inoltre, i tassi di crescita economica ben più contenuti rispetto a quelli che hanno caratterizzato i decenni intorno alla metà del secolo, con gli inevitabili contraccolpi in termini occupazionali e di gettito contributivo. A ciò si devono aggiungere gli elevati saggi di sostituzione garantiti solo fino a poco tempo fa(201), l'anomalia delle pensioni di anzianità(202), lo squilibrio di alcuni "saldi regionali" fra entrate contributive ed uscite per prestazioni(203), nonché una certa disinvoltura nella gestione dei trattamenti di invalidità, in forte odore di clientelismo(204).
La situazione descritta si riflette nel livello raggiunto dagli oneri sociali che, con un'incidenza sul costo del lavoro di oltre il 40 per cento(205) - 32,7 più 7,41 punti di accantonamento al fondo trattamento di fine rapporto, t.f.r.(206) -, collocano l'Italia ai vertici mondiali. Proprio allo scopo di favorire una graduale riduzione dell'aliquota contributiva legale entro soglie fisiologiche, quantomeno in linea con gli altri paesi industrializzati, sono state avanzate, come detto, alcune proposte di transizione verso un sistema previdenziale a capitalizzazione, che hanno avuto peraltro un contrastato accoglimento fra gli osservatori(207).
La proposta Modigliani - Ceprini presenta aspetti procedurali diversi, ma anche una sostanziale analogia di fondo, con quella elaborata negli Stati Uniti discussa nel precedente paragrafo. In entrambi i casi, infatti, l'elemento portante dell'analisi è rappresentato dall'ipotesi - largamente condivisa in letteratura - della netta superiorità del sistema di finanziamento a capitalizzazione rispetto a quello a ripartizione, con l'ormai nota conseguenza, a beneficio del primo, di un risparmio contributivo a parità di prestazioni garantite, ovvero di migliori prestazioni a contributi invariati(208).
Secondo tale proposta, il processo di transizione sarebbe avviato con la costituzione di un nuovo fondo ("new fund", NF) a capitalizzazione del tipo "defined benefit", sul quale andrebbe convogliata una contribuzione addizionale quantificata inizialmente dagli autori in appena due punti percentuali(209), ed elevata in uno studio successivo a cinque punti, prelevati dai 7,41 punti attualmente accantonati al t.f.r.(210). Scopo del fondo è quello di investire sul mercato finanziario i contributi raccolti, accumulando progressivamente un surplus destinato a consentire una graduale riduzione della contribuzione obbligatoria attualmente in vigore. Il completamento della transizione verrebbe raggiunto in capo ad un lungo arco tempo(211), in coincidenza con l'azzeramento totale dei contributi I.N.P.S., e con la corrispondente sostituzione con i soli contributi al nuovo fondo a capitalizzazione. Tali contributi, a regime, verrebbero fissati intorno al 12 per cento - scaturente da un'ipotesi di rendimento medio annuo reale del 5 per cento -, che rappresenta il livello giudicato necessario e sufficiente per garantire il pagamento delle pensioni con il nuovo sistema a capitalizzazione "senza che i lavoratori debbano mai aumentare il loro contributo o perdere alcun beneficio"(212).
Gli aspetti maggiormente qualificanti la presente proposta sono, come detto, l'ipotizzata maggiore redditività ottenibile sui mercati finanziari in una logica di capitalizzazione, rispetto al tasso di crescita del prodotto interno lordo, che contraddistingue invece la rivalutazione dei contributi nel sistema a ripartizione(213).
In secondo luogo, va sottolineato come la tipologia "defined benefit" del NF metta comunque al riparo le prestazioni finali riconosciute al contribuente dalle inevitabili oscillazioni dei mercati, il cui rischio viene assunto in ultima istanza dallo Stato attraverso la garanzia di un rendimento minimo(214). E' importante osservare come tale garanzia apra la possibilità per le compagnie di assicurazione private, che si ritenessero in grado di soddisfare tale requisito, di collocare proprie coperture pensionistiche in modo del tutto analogo al NF, introducendo all'interno della previdenza positivi elementi di competitività e di flessibilità(215). Si attenuerebbe in tal modo anche il rischio che il controllo politico sulla gestione di una massa cospicua di risparmio possa risolversi in indebite manovre finanziarie, atte ad esercitare surrettiziamente un potere di indirizzo su importanti settori economici(216).
A ciò si aggiunga l'effetto - discendente dal meccanismo della capitalizzazione - di svincolare le condizioni di equilibrio del sistema previdenziale dalle dinamiche demografiche e reddituali, le cui sfavorevoli tendenze sono all'origine della crisi attuale e prospettica(217).
Ma, soprattutto, la proposta ha il pregio di impiegare in investimenti finanziari i contributi previdenziali, che attualmente sono destinati per intero al pagamento delle pensioni correnti, finanziando cioè il consumo finale dei percettori. Il processo di accumulo nel NF, invece, concorrerebbe ad incrementare il risparmio nazionale, gli investimenti, e in definitiva il reddito nazionale, che è misurato proprio dal rendimento del NF(218). Sotto questo profilo, si registra omogeneità di orientamenti con l'altra proposta, avanzata da Castellino - Fornero, di transizione verso la capitalizzazione, associata ad una sensibile riduzione dell'aliquota obbligatoria(219). E' esattamente nel contributo all'accrescimento del risparmio aggregato(220), infatti, che viene individuata anche qui la superiorità della capitalizzazione, rispetto alla semplice riallocazione di una quantità data di risparmio, come è appunto il trasferimento del t.f.r. ai fondi pensione(221), fortemente voluto e (debolmente)(222) incentivato dal governo.
E proprio l'utilizzo del t.f.r., deciso di recente nel quadro del complessivo riordino della previdenza complementare, rappresenta il segnale inequivocabile dell'orientamento che alla fine ha avuto il sopravvento in sede politica. Le proposte Modigliani - Ceprini e Castellino - Fornero, di avviare una graduale transizione verso una previdenza pubblica a capitalizzazione, sono state infatti completamente ignorate dal legislatore, il quale ha ritenuto di poter consolidare il secondo pilastro facoltativo omettendo qualunque riforma di tipo strutturale del primo pilastro obbligatorio. Il senso delle nuove disposizioni è in sintesi quello di incentivare da parte dei lavoratori l'investimento nei fondi pensione - istituiti nel 1993 e mai realmente decollati(223) - di tutto o parte del t.f.r.(224) attraverso un complicatissimo meccanismo di benefici fiscali(225), contraddistinto dall'immancabile nota di dirigismo(226).
Tuttavia, l'impostazione decisa dal governo preclude definitivamente ogni ulteriore utilizzo del t.f.r. che, come argomentato nella proposta descritta, avrebbe potuto rappresentare invece un provvidenziale veicolo di attenuazione del costo della transizione verso un primo pilastro a capitalizzazione. Non è difficile allora prefigurare per il futuro la necessità di continui interventi correttivi - implicati inevitabilmente dal mantenimento di una previdenza pubblica a ripartizione sempre più penalizzata dall'inversione demografica -, le cui insidie sono state apertamente denunciate dallo stesso Modigliani(227).
6.6 Conclusioni
Il problema della riforma dei sistemi previdenziali è esteso a livello internazionale. E poiché diversi paesi si sono già cimentati nell'opera, è senz'altro utile guardare a quelle esperienze per i positivi elementi di valutazione che se ne possono ricavare. I segnali provenienti dai principali organismi internazionali, a loro volta, consigliano da tempo l'abbandono delle logiche centraliste tipiche della ripartizione, favorendo l'istituzione di sistemi a tre pilastri maggiormente incentrati su meccanismi di finanziamento a capitalizzazione.
Dato per "acquisito che il finanziamento di un sistema a ripartizione universale non è sostenibile nell'attuale situazione demografica"(228), è allora inutile opporre chiusure pregiudiziali ad una riforma di sistema, mentre è preferibile cercare di adattarne i contenuti alle specifiche realtà nazionali. In questo senso, gli ostacoli maggiori all'adozione di un sistema a capitalizzazione, lungi dall'essere la sua "impossibilità" tecnica o di altro genere, sono in realtà di natura politica. Essi dipendono dall'inevitabile sfasamento temporale fra i costi e le difficoltà connesse alla fase di avvio - che sono di percezione immediata, e a svantaggio della classe politica che decide di farsene carico -, e i relativi benefici - che sono invece futuri e di difficile previsione quanto ai soggetti politici che potranno godere delle conseguenti ricadute in termini di consenso. Perciò, quanto più radicale è la portata dei processi di transizione proposti - si pensi all'abolizione dell'I.N.P.S. prospettata da Modigliani per l'Italia(229), ovvero della Social Security auspicata ormai da anni da Friedman negli Stati Uniti(230) - tanto maggiore è la probabilità che questi vengano esclusi dal novero di quelli politicamente percorribili.
Tuttavia, la riforma "di sistema" appare l'unica in grado di assicurare la sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali pubblici sul lungo termine, anche in considerazione delle disposizioni contenute nel Patto di stabilità, che impongono agli Stati membri precisi vincoli di bilancio, e conseguenti limiti nelle decisioni di politica fiscale(231). E' pertanto auspicabile che l'imminente verifica sulle pensioni prevista nel nostro paese possa affrontare in modo costruttivo e responsabile il nodo della revisione del primo pilastro obbligatorio finora eluso.
7. Considerazioni di sintesi
L'indagine condotta nelle pagine che precedono prende le mosse dalla relazione in cui si pone la fiscalità generale nei confronti del sistema pensionistico a ripartizione, alla luce di una situazione di forte squilibrio fra contributi e prestazioni come quella attuale. Si è evidenziato il fondamentale ruolo di sostegno alla spesa sociale svolto dalla fiscalità, ma anche l'effetto deprimente sulla base imponibile esercitato da un tasso di imposta troppo elevato, ed il conseguente insuccesso, per tale via, di ogni tentativo di recupero di gettito. La situazione descritta pone allora un problema di sostenibilità degli oneri crescenti implicati da uno stato sociale incentrato principalmente sul capitolo pensionistico(232), che non può essere risolto in modo adeguato con le sole riforme di tipo "parametrico"(233).
Incidentalmente, si osserva che lo stesso meccanismo di finanziamento a ripartizione della previdenza ha, di per sé, un'intrinseca natura fiscale che sarebbe preferibile riconoscere apertamente(234). Ciò darebbe trasparente conferma ad una sensazione già ampiamente diffusa fra i contribuenti - che non vedono infatti alcuna corrispondenza fra i contributi versati e la prestazione che sarà loro riconosciuta all'età del pensionamento -, concorrendo a fare della corretta informazione in materia previdenziale.
La manovra del tasso di imposta regola dunque gli equilibri dei sistemi a ripartizione. Essa è tuttavia destinata a subire il condizionamento crescente della competizione fiscale dovuto all'intensificarsi delle relazioni economiche sul piano internazionale, ed alla conseguente maggiore mobilità dei fattori della produzione più qualificati, come il capitale ed il lavoro intellettuale. Da questo punto di vista, il ridimensionamento degli obiettivi di copertura del sistema pensionistico pubblico(235), unitamente ad una razionale distribuzione dei pesi fra i tradizionali tre pilastri, attenua in prospettiva i rischi di squilibrio finanziario e soprattutto i motivi di conflitto (piuttosto che di solidarietà) fra le generazioni.
A sua volta, l'utilità dell'intervento pubblico ne implica necessariamente l'alleggerimento(236). I mutamenti indotti dalla tecnologia richiedono, infatti, capacità e velocità di adattamento incompatibili con le procedure ed i tempi della politica. Soprattutto, l'effetto negativo sulle dinamiche produttive e sui livelli occupazionali che l'evidenza empirica attribuisce all'azione statale, genera una situazione di inefficienza complessiva che penalizza la competitività sul mercato globale(237). La capacità dei sistemi paese di stimolare gli investimenti produttivi e di attrarre risorse dall'estero(238), infatti, viene misurata in termini di efficienza e di qualità dell'azione statale, e questa mostra, come si è visto, una chiara relazione inversa con le dimensioni dell'ingerenza pubblica in economia(239).
L'inefficienza e la bassa qualità dell'azione statale trae origine in larga misura dal regime di monopolio attraverso il quale molti servizi pubblici vengono erogati. Ciò vale anche per il sistema pensionistico che, come è stato autorevolmente osservato, potrebbe derivare consistenti benefici dagli stimoli dell'azione di soggetti concorrenti. Queste affermazioni si giustificano in considerazione dei risultati concreti ottenuti attraverso l'esercizio monopolistico della previdenza, spesso in palese contraddizione con quegli obiettivi di equità sociale e di solidarietà che si vorrebbero invece perseguire.
L'introduzione di elementi di competitività e di flessibilità nell'ambito della previdenza è tuttavia subordinata alla revisione dei meccanismi di finanziamento della stessa, nei termini di una decisa apertura verso il sistema della capitalizzazione. Sono infatti evidenti e diffusi i problemi legati al mantenimento della ripartizione, in dipendenza delle dinamiche sfavorevoli che contraddistinguono le variabili fondamentali su cui tale sistema si regge, vale a dire i tassi di crescita demografica e occupazionale. L'effetto più visibile della presente situazione di crisi è rappresentato dall'elevata incidenza degli oneri sociali. Essa, tuttavia, non corrisponde al livello delle prestazioni attese, mentre l'aggravio sul costo del lavoro incentiva l'occupazione irregolare e l'occultamento della base contributiva, accentuando ulteriormente i motivi di squilibrio.
Si comprende allora l'interesse generalizzato intorno all'ipotesi di transizione verso sistemi a parziale o totale capitalizzazione, alla luce dei benefici in tal modo ottenibili, e in molti casi già positivamente sperimentati: innalzamento del tasso di risparmio, sviluppo dei mercati finanziari e stimolo della crescita economica, che rappresenta la fondamentale garanzia della solvibilità prospettica di qualunque sistema pensionistico. In tale contesto diventa possibile allora contenere le aliquote obbligatorie - alleggerendo nel contempo gli oneri a carico della fiscalità -, attenuare le distorsioni politiche e, corrispondentemente, stimolare una crescente responsabilizzazione dei singoli. Lo scenario internazionale, anche sulla scorta degli impulsi derivati dalle istituzioni e dagli organismi maggiormente rappresentativi, offre ormai un'ampia casistica in questa senso. Inoltre, alcuni rilevanti approfondimenti scientifici di queste tematiche - come sono ad esempio quelli dedicati alle realtà statunitense e italiana - offrono gli strumenti conoscitivi indispensabili per ponderare la percorribilità delle più varie ipotesi di transizione.
Una considerazione a parte riguarda l'elevato livello raggiunto in Italia dalla spesa pensionistica, indicativo dell'uso distorto che di tale strumento è stato fatto nel corso degli anni. Le pensioni di anzianità, come pure quelle di invalidità - e, per ciò che riguarda il meridione, addirittura lo stesso impiego pubblico -, rappresentano in molti casi una forma di ammortizzatore sociale permanente. Sbilanciando la spesa sociale verso il capitolo pensionistico, se ne è favorita in tal modo l'estensione oltre il suo ambito naturale, generando il progressivo innalzamento degli oneri contributivi che concorre a distorcere le dinamiche interne al mercato del lavoro. Ogni ipotesi di intervento nella previdenza va inserita pertanto nel quadro di una revisione complessiva dello stato sociale, e di un riequilibrio dei vari istituti in rapporto alle diverse finalità - assicurative, ovvero redistributive - che questi sono deputati a perseguire(240).
Certamente, la confusione concettuale e ideologica sollevata intorno ai temi dell'equità sociale e della solidarietà non aiuta a discernere fra i contenuti del dibattito. Dietro l'affermazione di quei principi si coglie, al contrario, la determinazione di difendere circoscritti ambiti di privilegio, funzionali al mantenimento del consenso politico e sindacale, ma in difetto di rappresentatività della maggior parte delle situazioni di precarietà e di effettivo disagio(241). Mentre infatti il livello della spesa sociale si mantiene complessivamente assai elevato, la tutela dei ceti realmente bisognosi continua ad essere perseguita in modo del tutto insufficiente(242).
E a proposito di equità e di solidarietà, è evidente - come accennato nel precedente paragrafo 5.2 - che il fondamento dell'intervento pubblico di dichiarata ispirazione sociale, risiede in una legittimità costituzionale permeata da un'impropria connotazione morale. Sono eloquenti, a tale proposito, le critiche che, durante i lavori preparatori della Costituente, furono mosse a diversi articoli della parte dedicata proprio ai rapporti civili, etico-sociali ed economici (fra i quali si colloca l'articolo 38, relativo alla previdenza, citato nel paragrafo 4.3), in considerazione della loro scarsa attitudine a rappresentare i contenuti che la legge fondamentale dello Stato dovrebbe invece veicolare(243). E' infatti cruciale che, nel ruolo assunto durante la cosiddetta "fase costituzionale", lo Stato si astenga dal formulare valutazioni di ordine ideale, ponendosi unicamente quale garante della certezza dei rapporti giuridici liberamente intrattenuti fra i membri di una collettività(244).
Sotto questo profilo, al contrario, è stata rilevata l'insufficiente determinazione del legislatore costituente nel definire un quadro unitario di regole, chiare e inderogabili, a tutela del diritto di proprietà e delle relazioni economiche in un sistema di libero mercato(245). E proprio tale debolezza della Costituzione - con alcune eccezioni, rimaste peraltro disattese(246) - è alla radice della gravosa ingerenza statale e del conseguente basso livello di libertà economica che tradizionalmente contraddistinguono il nostro paese. Mentre, d'altra parte, si osserva come la pretesa - verrebbe da dire, la "presunzione fatale"(247) - dello Stato di elevarsi al rango di comunità morale, sia destinata inevitabilmente a collidere (e la storia del secolo appena trascorso ne ha offerto ampia evidenza) con la realtà di ogni convivenza civile e libera. Questa, infatti, non può che riassumere in sé "comunità morali" diverse, formate a loro volta da individui con concezioni morali diverse, ai quali deve solo essere concesso di perseguire liberamente, con mezzi pacifici e nel rispetto della legge, ciò che essi giudicano sia il proprio benessere(248).
NOTE
*
Dottore commercialista e Revisore contabile.
(1) Cfr. FORNERO (2000), p.19.
(2) Per una valutazione meno
superficiale della percezione collettiva intorno al tema del riordino della
previdenza, si rinvia alle argomentazioni esposte nel paragrafo 4.3.
(3) Cfr. par.6.1.
(4) Cfr. par.3.3.
(5) Cfr. ONOFRI - SANTAGATA
(2000), p.6.
(6) Cfr. TANZI (Jan. 2000), p.6.
(7) Le principali forme di
intervento assistenziale sono costituite dall'assegno sociale attribuibile ai
cittadini residenti in condizioni di bisogno, al compimento dei 65 anni di età,
le pensioni pagate ad alcune categorie di lavoratori agricoli, i pensionamenti
anticipati, le cosiddette liste di mobilità e le varie agevolazioni
contributive alle aziende. Cfr. RIZZI - ROSSI (1996), p.708.
(8) Cfr. SOMAINI (1996), p.347.
(9) Cfr. COMMISSIONE PARLAMENTARE
DI CONTROLLO (2000), tav. 4.B, p.112. Se si considera che nel 1994 la spesa
complessiva per prestazioni sostenuta dall'I.N.P.S. ammontava a 164.930
miliardi, e che nel 1998 questa è salita a circa 201.498 miliardi, si nota come
l'incidenza dell'intervento statale di copertura sia aumentata nel medesimo
periodo anche in termini percentuali, passando dal 21 per cento del 1994 a
quasi il 23 per cento del 1998. Ibidem. Questo aspetto verrà ripreso e discusso
approfonditamente nel successivo paragrafo 6.5.
(10) Nel 1996 lo Stato ha deciso
di farsi carico di circa 121 mila miliardi di anticipazioni di tesoreria
(trasformati per l'occasione in trasferimenti definitivi) precedentemente
erogati all'I.N.P.S., per consentire all'istituto di far fronte alle differenze
tra riscossioni e pagamenti. Fine scoperto della manovra è stato quello di
alleggerire per l'anno successivo - determinante per la verifica del rispetto
dei parametri - il deficit dell'istituto di previdenza, che veniva
ricompreso nel complessivo deficit statale da rapportare al P.I.L.,
incidendo nel raggiungimento della ben nota soglia del 3 per cento. Il
conseguente aggravio dello stock del debito pubblico sarebbe stato del
resto ininfluente, dal momento che la sua incidenza sul P.I.L., all'epoca
intorno al 120 per cento - il valore di riferimento era il 60 per cento - era
comunque considerata non modificabile a breve (veniva unicamente apprezzato un
percorso virtuoso di rientro programmato negli anni successivi). Cfr. CAZZOLA
(1996), p.1117.
(11) Ai sensi dell'art. 35, comma
3, della legge n. 448 del 23 dicembre 1998 (Finanziaria per il 1999), "con
effetto dall'esercizio finanziario 1999 sono autorizzati trasferimenti pubblici
in favore dell'I.N.P.S. e dell'I.N.P.D.A.P. a carico del bilancio dello Stato,
a titolo di anticipazione sul fabbisogno finanziario delle gestioni
previdenziali nel loro complesso". E' interessante notare come al primo
comma del medesimo articolo venga sancita la trasformazione delle anticipazioni
di tesoreria concesse nel 1996 dallo Stato all'I.N.P.S., di cui alla nota
precedente, in trasferimenti definitivi a titolo di finanziamento pubblico. Ciò
lascia immaginare quale potrà essere la sistemazione che verrà data in futuro
alle nuove anticipazioni autorizzate dal comma 3.
(12) "La pressione
contributiva è superiore di almeno 8 punti percentuali rispetto alla media
europea e il debito pubblico è a tali livelli da non consentire riduzioni della
pressione fiscale se non a condizione di ridurre decisamente la spesa pubblica
per la maggior parte destinata ad oneri di funzionamento (stipendi, salari,
assistenza) (…) per aumentare la competitività del sistema e quindi
l'occupazione occorrerebbe ridurre la pressione contributiva e fiscale, ma ciò
significherebbe ridurre le entrate statali". BRAMBILLA - LEONI (1998),
pp.630-631. Un'applicazione di questa logica è contenuta nella relazione
ministeriale di accompagnamento al Dlgs. n. 47 del 18 febbraio 2000, che ha
recentemente disciplinato la previdenza complementare (si veda il successivo
paragrafo 6.5). All'articolo 5, per giustificare la fissazione dell'imposta
sostitutiva all'11 per cento - inferiore al 12,5 ordinario, ma superiore al
6,25 richiesto in Commissione parlamentare -, si spiega infatti che,
altrimenti, "non si sarebbe potuta garantire l'invarianza complessiva del
gettito, prevista espressamente dalla legge di delega (…)".
(13) "With globalization
financial capital and high skilled or high talented individuals become much
more mobile because their options expand to other countries. High taxes or too
constraining regulations create strong incentives for them to move elsewhere.
The loss of highly talented individuals and the outflow of financial capital
can have a negative effect on the growth rate and on the tax revenue of a
country. In an open world where foreign competitors face lower taxes and fewer
constraining regulations, it becomes more difficult and more costly for a
country to maintain high taxes and more regulations". TANZI (Jan.
2000), p.15. "Le politiche fiscali e, in particolare, i sistemi dei
trasferimenti pubblici di molti paesi dell'area dell'euro sono difficilmente
sostenibili in una prospettiva di lungo termine (…) La crescente resistenza
opposta dai contribuenti attuali e la concorrenza internazionale fra sistemi
fiscali fanno si che le Amministrazioni pubbliche siano sottoposte a vincoli
sempre più stringenti nel ricorso all'imposizione fiscale per il finanziamento
di incrementi dei trattamenti pensionistici futuri". B.C.E. (2000),
pp.61-65-66. Su questi aspetti, si vedano anche ORSZAG - SNOWER (1999), p.176;
LINDBECK (1999), p.129.
(14) Questo concetto è ben
espresso dal detto secondo cui "l'imposta uccide l'imposta".
(15) Tale curva prende il nome
dall'economista statunitense Arthur B. Laffer, che diede in tal modo
formalizzazione ad un concetto tutto sommato intuitivo. Le argomentazioni di
Laffer contribuirono ad ispirare la deregolamentazione avviata nei primi anni
Ottanta dall'amministrazione Reagan, attraverso la quale si cercò di stimolare
l'offerta e il reddito nazionale. Tale politica ebbe l'effetto di espandere il
gettito in misura tale da più che colmare l'iniziale disavanzo di bilancio. Per
un'ampia trattazione dell'argomento, si vedano: WANNISKI (1997); SALIN (1996).
(16) Questa situazione segnala uno
stato di anarchia, in quanto l'assenza di gettito rende impossibile
l'istituzione di qualunque forma di governo. WANNISKI (1997), p.2.
(17) In questo caso, invece, la
confisca totale del reddito da parte dello Stato determina l'azzeramento degli
scambi ufficiali e il ritorno all'economia del baratto. Ibidem.
(18) Questa situazione è del tutto
analoga a quanto è dato di riscontrare nei normali rapporti di scambio in
un'economia di mercato: "Andrew Mellon (Treasury Secretary
dell'Amministrazione statunitense durante gli anni Venti, n.d.r.) argued
that there are always two prices in the private market that will produce the
same revenues. Henry Ford, for example, could get the same revenue by selling a
few cars for $100,000 each, or a great number for $1,000 each (of course, Ford
was forced by the threat of competition to sell at the low price). The tax
rate, said Mellon, is the "price of government"". Ibidem,
pp.10-11.
(19) "High marginal rates
retard economic activity and have negative growth effects (…) Sometimes,
flattening the rate structure actually leads to greater progressivity in tax
payments. The rich get out of tax shelters and start paying taxes, so the tax
base expands rapidly at the upper ends of the income distribution, increasing
the proportion of tax payments coming from the relatively affluent".
VEDDER - GALLAWAY (1998), p.13.
(20) Detto punto A non corrisponde
necessariamente ad un tasso d'imposta pari al 50 per cento, ma ad un tasso
indicativo del carico fiscale che i contribuenti, a certe condizioni, sono
disposti a sopportare, oltre il quale ogni inasprimento è del tutto
controproducente.
(21) Sull'opportunità di mantenere
il tasso d'imposta ad un livello compatibile con la duplice esigenza di
garantire la copertura del fabbisogno statale e di non deprimere la crescita
economica, può essere istruttivo ricordare le parole del presidente democratico
Kennedy: "Prosperity is the real way to balance our budget (…) By
lowering tax rates, by increasing jobs and income, we can expand tax revenues
and finally bring our budget into balance". KENNEDY, John F., The
burden and the glory, 1964, p.223, in GARFIELD (1997), p.4
(22) I dati riportati sono stati
raccolti dal professor Antonio Martino. Cfr. MARTINO (1997), p.121.
(23) Ibidem.
(24) Cfr. WANNISKI (1997), p.11.
(25) Ibidem.
(26) Cfr. SALIN (1996), pp.3-4.
(27) L'aspetto sorprendente del
caso neozelandese è che l'abbandono delle politiche keynesiane e l'avvio del
nuovo corso di impronta monetarista è stato promosso da un governo Labour, e
ciò è indicativo della sterilità degli esasperati ideologismi che altrove condizionano
invece le decisioni di politica economica: "High direct taxes, such as
taxes on incomes and profits, discourage production and investment and reduce
the incentive to work, while encouraging tax avoidance. For this reason, the
fourth Labour Government introduced measures to reduce direct taxes and
increase indirect taxes. In 1987 the Finance Minister announced that the
government was going to introduce a single income tax rate. This was an
extremely radical proposal as it removed completely the progressivity of the
tax system, the principle that the more people earn, the more they should pay
in tax - redistributing from the rich to the poor". RUDD - ROPER
(1997), pp.248-249.
(28) "Considerati gli alti
tassi di disoccupazione prevalenti nella maggior parte degli Stati membri, un
aumento dei contributi rispetto ai già elevati livelli attuali non costituisce
una risposta praticabile al problema del fabbisogno di finanziamento di medio e
lungo periodo dei sistemi pensionistici". B.C.E. (2000), p.64.
(29) Secondo l'impostazione di
Keynes, in fasi di particolare depressione l'intervento pubblico a sostegno
della domanda deve essere perseguito comunque. Destò scalpore, in tal senso,
l'affermazione secondo cui poteva andar bene perfino "lo scavare buche nel
terreno per poi riempirle di nuovo". RICOSSA (1991), p.216.
(30) Si parla in proposito di
"finanza congiunturale", ovvero di "finanza funzionale".
(31) Cfr. DILLARD (1964), p.137 e
ss. Sovviene qui il parere che il premio Nobel per l'economia James Tobin
espresse un paio di anni fa in ordine alle possibilità di fuoriuscita
dell'economia giapponese dalla crisi più profonda dal dopoguerra: "La
stagnazione e le recessioni spasmodiche che hanno colpito questo paese (il
Giappone, n.d.r.) sono il risultato di un'incredibile incompetenza a
livello di politica macroeconomica (…) Per aumentare i consumi e gli
investimenti occorre soltanto una maggiore spesa, sia pubblica che privata,
sostenuta persino da una maggiore spesa in disavanzo, su larga scala per un
periodo prolungato". TOBIN (1998), p.5.
(32) Più precisamente, è
discutibile una certa interpretazione parziale delle teorie keynesiane che, nel
proprio sostegno all'interventismo statale, tende a privilegiare l'aumento
della spesa pubblica piuttosto che l'adozione di politiche fiscali espansive.
Al riguardo, si richiama il giudizio del professor Antonio Martino: "La
spiegazione del perché la politica di bilancio sia stata di fatto applicata soltanto
tramite aumenti sia delle spese che delle imposte non è "tecnica", ma
ideologica: esistevano forze favorevoli alla crescita dell'intervento pubblico
in economia che sono state ben liete di appropriarsi di questa giustificazione
per accrescere l'invadenza pubblica". MARTINO (1997), p.155.
(33) L'argomentazione di questo
concetto è esposta nei successivi paragrafi 4.4 e 6.3.
(34) Cfr. GWARTNEY - LAWSON -
HOLCOMBE (1998). Il campione dei paesi da esaminare è stato selezionato con
riferimento soprattutto alla relativa omogeneità, al fine di massimizzare il
significato dei risultati ottenuti. In particolare, sono stati inseriti paesi
contraddistinti da uno stabile ordinamento democratico, impegnati nel garantire
il rispetto dei diritti costituzionali e l'osservanza delle leggi, generalmente
propensi all'adozione di politiche di contrasto dell'inflazione, e convinti
assertori del libero scambio internazionale nel quadro degli accordi G.A.T.T. e
W.T.O.
(35) La misura totale della spesa
pubblica, assunta ai fini dell'indagine commentata, è data dalla somma delle
spese per consumi, trasferimenti, sussidi, interessi netti sullo stock
del debito pubblico e beni di investimento.
(36) Di tenore diametralmente
opposto all'orientamento di Tobin, citato in precedenza, è quello manifestato
dall'attuale direttore del Dipartimento affari fiscali del Fondo Monetario
Internazionale Vito Tanzi: "A mio avviso, con i criteri di Maastricht si è
sbagliato a porre limiti a deficit e debito pubblico senza fare lo
stesso per la spesa. Si possono rispettare gli obiettivi anche aumentando le
spese a aumentando le tasse, ed è quello che in molti casi si è fatto. Se
invece l'Italia e l'Europa vogliono entrare in un periodo di crescita più forte
e più duratura, devono limitare sia la spesa sia la pressione fiscale".
TANZI (apr. 2000), p.7. Questa posizione è condivisa da altri osservatori:
"L'esperienza di paesi europei che hanno in anni recenti proceduto a forti
riduzioni della spesa primaria strutturale, riducendo il carico fiscale (Paesi
Bassi e Finlandia), mostra un effetto espansivo sui consumi. L'Italia
appartiene invece ad un gruppo di paesi (Grecia, Portogallo, Belgio) che hanno
perseguito il risanamento della finanza pubblica soprattutto attraverso un
aumento della pressione fiscale. (…) La riduzione della spesa pubblica aumenta
i profitti e quindi gli investimenti. Inoltre, una riduzione delle tasse
incrementa gli investimenti, ma la grandezza di questo effetto è minore di
quello ottenibile con una pari diminuzione di spesa pubblica". ROSSI
(1999), p.689.
(37) GWARTNEY - LAWSON - HOLCOMBE
(1998), Exhibit 5, p.10.
(38) Ibidem, p.20.
(39) Ibidem.
(40) "Economies do not
operate smoothly, but are characterized by fluctuations that at times become
recessions or even depressions. These recessions lead to growing unemployment
and to a loss of output and, in the second part of the 20th century,
they created another major justification for state intervention namely, the
maintainment of full or at least high employment and the stabilization of
output. The promotion of this Keynesian objective is carried out by government
officials and requires some relevant institutions (…) in recent decades,
governments have also promoted policies aimed at raising the rate of growth or
at creating employment". TANZI (Mar. 2000), pp.5-6. A tale proposito,
non si può tuttavia non ricordare la vicenda dei cosiddetti "lavori
socialmente utili" (l.s.u.), tratta dall'esperienza italiana recente, in
quanto indicativa di un certo approccio statale al problema della
disoccupazione: il lavoro creato per decreto, quale primo passo per l'ulteriore
infoltimento della già esuberante platea dei dipendenti pubblici. Non è
difficile scorgere le insidie di queste forme di intervento - nei termini di
una crescente domanda di assistenzialismo e di conseguente dipendenza dallo
Stato -, i cui effetti sono ben lontani dal rappresentare una soluzione strutturale
del problema occupazionale. In proposito, si vedano BOERI (2000), pp.11-12;
ALESINA - DANNINGER - ROSTAGNO (1999), pp.4-24.
(41) Cfr. VEDDER - GALLAWAY
(1999-2).
(42) I dati citati sulla
disoccupazione sono rilevati su base trimestrale, a partire dal primo trimestre
1990 e fino al terzo trimestre del 1998 compreso. Ibidem, Figure 4, p.3.
(43) Cfr. FAZIO (2000), p.28. E'
proprio nel tasso di occupazione, piuttosto che in quello di disoccupazione
che, secondo le parole del Governatore della Banca d'Italia, si esprime
compiutamente la "debolezza strutturale del nostro paese". Ibidem,
p.27.
(44) "La riduzione del costo
del lavoro produce "nuova occupazione", il che significa anche
maggiori entrate per lo Stato. Ciò è confermato da numerosi studi, tra cui
quello recentemente sviluppato dai ricercatori dell'Università di Roma, secondo
i quali una riduzione di 5 punti percentuali corrisponderebbe ad oltre 180.000
nuovi posti di lavoro". BRAMBILLA - LEONI (1998), p.646. "La
riduzione del carico fiscale e contributivo rappresenta (…) una condizione
necessaria per ricostituire le basi di uno sviluppo portatore di occupazione,
perché rende possibili investimenti a rendimento lordo meno elevati di quelli
oggi ipotizzabili con un prelievo che, rispetto al reddito d'impresa, supera il
60 per cento nel nostro paese". CIPOLLETTA (1998), p.319. Su questo punto,
si veda anche la posizione della Banca Centrale Europea, in nota al successivo
paragrafo 6.1. Un'efficace misura della relazione che intercorre fra il costo
del lavoro e il livello di disoccupazione è quella che fa riferimento al
cosiddetto "Real Unit Labor Cost" (RULC), risultante dal
rapporto fra il costo totale del lavoro (Total Labor Cost, TLC) e il
valore monetario della produzione (dato dal prodotto fra il livello dei prezzi
e la quantità di prodotto ottenuto, PQ). Il livello di disoccupazione dipende
infatti largamente dal valore di questo rapporto: "Economic theory
suggests that unemployment and real unit labor cost move in concert. As real
unit labor cost rises (falls), unemployment increases (decreases)".
VEDDER - GALLAWAY (1999-2), p.5.
(45) Per una discussione
approfondita di questo argomento, si rinvia alle considerazioni esposte nei
paragrafi 6.1 e 6.5.
(46) E' stata verificata
addirittura una relazione funzionale fra la quota di prodotto nazionale
assorbita dalle imposte e il tasso naturale di disoccupazione: incrementando di
un punto percentuale la pressione fiscale in rapporto al P.I.L., il tasso di
disoccupazione tende ad aumentare di 3 decimi di punto. Detto altrimenti, se
alcuni paesi europei, Italia in testa, riducessero il prelievo di 10 punti, il
tasso naturale di disoccupazione potrebbe scendere quasi esattamente di 3
punti. Cfr. VEDDER - GALLAWAY (1999-2), p.12.
(47) "Il livello di pressione
tributaria e contributiva, le rigidità nel mercato del lavoro, la carenza di
infrastrutture, un ordinamento che non favorisce le piccole imprese,
inefficienze della pubblica Amministrazione hanno frenato lo sviluppo".
FAZIO (2000), p.26.
(48) Nelle regioni del Nord, circa
il 12 per cento della popolazione attiva risulta occupato nella pubblica
amministrazione (p.a.), a fronte di un livello quasi doppio, pari al 21 per
cento, registrato nelle regioni del Sud. Il divario occupazionale fra le due
aree del paese non si giustifica tuttavia in termini di produttività, né
implica un più elevato livello qualitativo dei servizi resi alla collettività.
Indagini condotte in alcuni settori della p.a. (amministrazione finanziaria,
uffici postali, ferrovie) hanno infatti evidenziato per il Sud livelli di
produttività inferiori fino a dieci volte rispetto alle regioni del Nord,
mentre anche il grado di soddisfacimento espresso dai cittadini verso i servizi
essenziali (misurato in efficienza e rapidità delle risposte ottenute) è
nettamente inferiore. In questa situazione, l'aspetto maggiormente distorsivo è
rappresentato dall'omogeneità dei livelli retributivi nella p.a. fra Nord e Sud
che, alla luce dei differenziali di produttività, ma anche di costo della vita,
rende estremamente allettante l'impiego pubblico, determinando lo spiazzamento
dell'offerta di lavoro nel privato. Il risultato finale è che la spesa per
stipendi pubblici nelle regioni del Sud eccede il benchmark di
riferimento del Nord per una percentuale compresa fra il 43 ed il 52 per cento.
Cfr. ALESINA - DANNINGER - ROSTAGNO (1999), pp.8-13; 23-24.
(49) "This culture of
dependency lowers expectations about future employment possibilities in the
private sector and the skills to obtain them, As a result, demand for public
employment expands, while private sector activities contract. The less
productive region enters a vicious circle of declining private sector
opportunities and a growing demand for income redistribution via public
employment". Ibidem, p.7.
(50) Sui riflessi in termini
occupazionali generati da leggi di ispirazione idealmente progressista, ma dai
contenuti oggettivamente conservatori, si riporta il giudizio di un autorevole
gruppo di economisti: "La legislazione sulla sicurezza del posto di lavoro
andrebbe considerata come un fattore d'influenza negativa sulla disoccupazione,
e in particolare sulla disoccupazione giovanile, anche se indubbiamente essa ha
anche effetti desiderabili in altre direzioni. Di conseguenza, si avrà una
domanda di lavoro inferiore. Per tutte queste ragioni è molto più probabile che
un aumento della sicurezza del posto di lavoro provochi in definitiva una riduzione
- piuttosto che un incremento - degli impieghi e dell'occupazione".
MODIGLIANI - FITOUSSI - MORO - SNOWER - SOLOW - STEINHERR - SYLOS LABINI
(1998), p.8.
(51) Anche sull'impegno assunto
dal governo italiano di ridurre la settimana lavorativa a 35 ore, come misura
volta a combattere la disoccupazione, è interessante conoscere il giudizio dei
medesimi studiosi: "Di recente la spinta per una settimana lavorativa più
corta come espediente per ridurre la disoccupazione attraverso una ripartizione
del lavoro ha riavuto una svolta pericolosa in Francia ed in Italia (…)
Consideriamo tale variante poco più che demagogica (…) L'effetto non potrebbe
che rivelarsi dirompente. Difficilmente ci si potrebbe attendere che l'aumento
nel costo del lavoro sia sopportato dai profitti; è ragionevole piuttosto
attendersi che esso si risolva in prezzi alla produzione più elevati (…) in
presenza di tassi di cambio fissi o di una moneta unica, l'aumento dei prezzi
ridurrebbe anche la quota di mercato interno e internazionale del paese e si
rivelerebbe una nuova causa di disoccupazione". Ibidem, p.8.
Sull'opportunità di stimolare le dinamiche del mercato attraverso un
allentamento dei vincoli che ne ostacolano la flessibilità e la funzionalità,
si veda anche B.C.E. (2000), p.65.
(52) "The observed
positive correlation between tax burdens and unemployment probably also
reflects a broader problem arising from relatively large governmental
involvement in the economy, namely the rigidity of labor markets. With the
rapid growth in the welfare states of Europe, for example, have come new
regulations interfering in the normal bargaining relationship between employees
and employers: laws limiting the dismissal of workers, statutes requiring
lengthy vacations and frequent holidays, rules setting minimum wages and
maximum hours, and so forth. These have contributed to the rising relative cost
of labor and thus importantly explain the observed higher unemployment outside
the United States". VEDDER - GALLAWAY (1999-2), p.14.
(53) Non è agevole definire con
precisione il nucleo fondamentale di attività in cui dovrebbe esplicarsi
l'intervento statale. Esso può individuarsi in generale nella tutela della
libertà e della proprietà individuale (pubblica sicurezza, giustizia, difesa
nazionale), nella salvaguardia dei diritti fondamentali della persona
(educazione, sanità, assistenza, ambiente), nelle realizzazioni funzionali
all'attività economica (infrastrutture in senso lato), quantunque anche i
privati dimostrino nella realtà di saper offrire molti di quei servizi in
termini competitivi. Cfr. GWARTNEY - LAWSON - HOLCOMBE (1998), pp.23-25. In
questo senso, l'intervento statale ha fondamentalmente per oggetto quei
"servizi che non potrebbero essere forniti altrimenti (in genere perché
non è possibile limitare i benefici a chi può pagarli)". HAYEK (1998),
p.291. E' importante peraltro cogliere la distinzione di ruoli che lo Stato può
assumere in relazione ai servizi cosiddetti essenziali: "There are some
goods that only the State can provide because private individuals would not
find in their interest to provide them (…) Thus, if these public goods are
essential, they must be provided (but not necessarily produced) by the
State". TANZI (March 2000), p.3. Si porrebbe comunque sempre un
problema di costi, che devono trovare corrispondenza nei benefici resi alla
collettività, affinché l'intervento pubblico possa avere una valenza (e non un
semplice "schermo") realmente sociale, oltre che una giustificazione
economica. Si pensi, al riguardo, agli innumerevoli casi in cui sarebbe più
utile consegnare i soldi direttamente ai contribuenti che si intende
beneficiare attraverso una determinata forma di intervento, piuttosto che
disperdere risorse pubbliche nei meandri improduttivi e clientelari della
burocrazia. Per una discussione approfondita di questi aspetti, si veda MARTINO
(1997), p.42 e ss.
(54) Si pensi, per esempio, al
dominio pressoché incontrastato esercitato dai titoli di Stato sul mercato
obbligazionario italiano fino alla metà degli anni Novanta, con il conseguente
effetto di spiazzamento delle emissioni private.
(55) "As government
continues to grow and more and more resources are allocated by political rather
market forces, three major factors suggest that the beneficial effects on
economic growth will wane and eventually become negative. First, the higher
taxes and/or additional borrowing required to finance government expenditures
exert a negative effect on the economy (…) Second, as government grows relative
to the market sector, diminishing returns will be confronted (…) and
expenditures are increasingly channeled into less and less productive
activities (…) Third, the political process is much less dynamic than the
market process". GWARTNEY - LAWSON - HOLCOMBE (1998), pp.3-4. Con un
pizzico di ironia, si è parlato di "legge della futilità marginale
crescente". Al crescere della spesa pubblica, cioè, le esigenze che questa
è chiamata a soddisfare sono avvertite come sempre meno pressanti e meritevoli
dell'intervento statale. Cfr. MARTINO (1997), p.65.
(56) In proposito, si veda il
paragrafo 4.3.
(57) "One reason we have
Social Security is the perception that some people, left on their own, would
not save sufficiently for their old age". ZELDES, Stephen P., in
TRIEST (1997), p.12. Sebbene tanto scetticismo non sia da ritenere infondato, è
meno condivisibile in passo successivo, secondo cui da questa premessa debba
scaturire di necessità l'appalto esclusivo della previdenza al soggetto
pubblico.
(58) Per un giudizio sintetico e
fortemente critico sul sistema di finanziamento a ripartizione della previdenza,
si rinvia al commento di von Hayek in nota al successivo paragrafo 4.4.
(59) Cfr. HAYEK (1998), p.365.
L'impronta bismarckiana che ancora oggi contraddistingue i sistemi
pensionistici pubblici a ripartizione risente tuttavia del secolo trascorso: "When
Bismarck invented the state pension, with a retirement age of 65, average life
expectancy was 45. Now, in the OECD, it is 76 and rising - yet state pensions
can still be claimed at 65 or even less". THE ECONOMIST (1998), p.2.
(60) Il confronto sociale ha prodotto
nel tempo una serie di cosiddetti "patti" che, unitamente a quello
sul welfare, hanno costituito la base di disciplina dei rapporti
economici e della convivenza civile. Nel "patto salariale", si regola
il contratto a prestazioni corrispettive del lavoratore che cede la propria
forza lavoro al capitalista in cambio della sicurezza di un salario
prestabilito. Nel "patto democratico", il cittadino delega la propria
sovranità alle istituzioni, accettando il costo di una minore libertà a fronte
della tutela dei diritti e della libertà di espressione. Cfr. BRUNETTA (1998),
p.216 e ss.
(61) "Questo unilaterale
"contratto tra generazioni", rifilato a generazioni che non possono
dare il loro consenso, è qualcosa di molto diverso da un fondo fiduciario.
Somiglia molto di più ad una "catena della felicità"". FRIEDMAN
(1994), p.105.
(62) Si è parlato esplicitamente
della "eutanasia dei rentiers". SALIN (1996), p.209. Su questo
punto, si veda anche SOMAINI (1996), p.340.
(63) "Non mantenendo fede al
loro impegno e non assolvendo al loro dovere di mantenere la stabilità
monetaria, i governi hanno creato da per tutto una situazione in cui la
generazione che è andata in pensione nella seconda metà del nostro secolo si è
trovata derubata di gran parte di quanto aveva cercato di mettere da parte per
il giorno in cui avrebbe smesso di lavorare, e in questi anni molte più persone
di quante altrimenti ve ne sarebbero state, malgrado gli sforzi da loro fatti
per evitarlo, si trovano immeritatamente povere. Non si ripeterà mai abbastanza
che l'inflazione non è mai un disastro naturale inevitabile; è sempre il
risultato della debolezza o dell'ignoranza di chi ha la responsabilità della
politica monetaria". HAYEK (1998), p.373. Particolarmente esplicito
nell'attribuire all'azione dei governi la responsabilità del fenomeno inflativo
è il ragionamento di un altro Nobel per l'economia, Milton Friedman:
"Indubbiamente, gli industriali sono ingordi, i sindacati avidi, i
consumatori spendaccioni, gli sceicchi arabi hanno aumentato il prezzo del
petrolio e il tempo è spesso cattivo. Tutti questi fattori possono produrre
prezzi più alti per beni specifici; non possono produrre prezzi crescenti per
tutti i beni in genere. Possono causare alti e bassi temporanei del saggio di
inflazione. Ma non possono produrre un'inflazione incessante, per una
semplicissima ragione: nessuno di questi pretesi colpevoli possiede un torchio
per stampare quei pezzi di carta che teniamo in tasca (…) Il riconoscimento che
un'inflazione rilevante è sempre e comunque un fenomeno monetario è solo il
primo passo per comprendere la causa e la cura dell'inflazione". FRIEDMAN
(1994), p.255.
(64) Una posizione ampiamente
condivisa collega l'esplosione del lavoro nero con le rigidità del mercato del
lavoro conseguenti all'accresciuto potere di condizionamento del sindacato, che
ha potuto fare leva, a partire dagli anni Settanta, sullo strumento normativo
rappresentato dallo Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 22 maggio 1970).
Più recentemente, il fenomeno del sommerso viene inteso come la risposta del
mercato del lavoro ai ritardi nel processo di modernizzazione e di
razionalizzazione, che la convergenza finanziaria e monetaria, e i conseguenti
vincoli di bilancio imposti a livello europeo, rendono tuttavia imprescindibile.
Cfr. BRUNETTA - CECI (1998), p.261 e ss.
(65) Cfr. BUTI - FRANCO - PENCH
(1999), pp.48-49. Al riguardo, piuttosto che lo smantellamento della
contrattazione collettiva, è stata auspicata una minore centralizzazione della
medesima e, di converso, una maggiore aderenza alle singole specificità
aziendali, affinché le richieste salariali possano essere compatibili con
l'erosione delle rendite monopolistiche subite dalle aziende in conseguenza del
crescente tasso di competitività. Cfr. BOERI (2000), p.67 e ss.
(66) "Con pensioni a parziale
capitalizzazione, tutti i salariati europei sarebbero anche direttamente
interessati ai guadagni dei mercati finanziari nazionali e internazionali e
sarebbero indotti a sostenere, non a contrastare, il passaggio inevitabile
dalla tradizionale società di soggetti con interessi di parte ad una società di
"azionisti"". HOLZMANN (1999), p.212. Sul punto si veda anche
BRUNETTA (1998), pp.220-221.
(67) "Si ritiene che i
sistemi pensionistici a capitalizzazione dovrebbero consentire una maggiore
partecipazione dei lavoratori ai benefici economici risultanti dalla
globalizzazione, favorendo l'accettazione del ruolo dei mercati dei capitali e
dei rendimenti finanziari da parte della popolazione". B.C.E. (2000),
p.68.
(68) "Neither the
subjective benefit nor the subjective cost of an action is demonstrated when an
action is taken; preference is demonstrated, and demonstrated preference is a
sufficient foundation of welfare economics". HERBENER (1997), p.103.
(69) "Welfare economics
can say nothing about ex post utility; instead, it must be content to describe
utility ex ante or at the time of action when the individual actually
demonstrates a preference between two relevant alternatives". Ibidem.
(70) Si veda in particolare il
paragrafo 5.3.
(71) L'aspetto coercitivo
rappresenta tuttavia una condizione da rispettare anche in presenza di
alternative. La libertà di scelta fra i soggetti cui affidare la gestione del
proprio risparmio previdenziale, cioè, deve potersi esplicare nel quadro di una
contribuzione comunque imposta, in virtù delle considerazioni svolte innanzi
sulla necessità di responsabilizzazione dei singoli.
(72) Coerenti con tale
impostazione sono le considerazioni formulate da Salin in tema di previdenza:
"I sistemi statali sono in genere sistemi a ripartizione, mentre, se
l'iniziativa fosse lasciata totalmente in mano agli individui, essi
ricorrerebbero di sicuro ad un sistema a capitalizzazione, sia perché
costituirebbero essi stessi un capitale, sia perché aderirebbero alle casse
pensioni col sistema della capitalizzazione". SALIN (1997), p.209.
(73) "Siccome ampi settori
dei welfare state europei sono monopoli pubblici, sottratti a qualsiasi
concorrenza, le inefficienze sono inevitabili. Né gli obiettivi quantitativi,
né i controlli amministrativi, per quanto numerosi, sono in grado di far fronte
a questo problema, dal momento che i servizi sono fortemente eterogenei, i
bisogni pubblici sono difficili da valutare e le attività dei fornitori
difficili da controllare. (…) Finché i welfare state saranno gestiti
secondo criteri di pianificazione centrale, la loro inefficienza farà parte
dell'ordine delle cose". ORSZAG - SNOWER (1999), p.177. Una conferma di
queste valutazioni giunge dalla realtà italiana: nella sua ultima relazione, la
Corte dei Conti ha posto in evidenza, fra gli altri, il risultato estremamente
contenuto della gestione del patrimonio immobiliare dello Stato che, per il
1999, si è attestato intorno al 4 per mille. Ed è noto che proprio quella
immobiliare è stata a lungo la principale forma di investimento delle riserve
degli enti previdenziali pubblici, a garanzia della propria solvibilità e del
regolare adempimento delle prestazioni impegnate.
(74) Per l'approfondimento di
questo punto, si rinvia alle considerazioni svolte nel successivo paragrafo
4.4.
(75) Fra i vantaggi attribuiti al
sistema della capitalizzazione è annoverato anche quello di "favorire una
più efficiente allocazione delle risorse, poiché l'accumulo di ingenti attività
per il finanziamento delle pensioni determinerà un'evoluzione favorevole dei
mercati dei capitali, di fatto accelerandola". B.C.E. (2000), p.68.
"Un regime pensionistico basato su componenti a ripartizione e a
capitalizzazione consente una diversificazione del rischio e può accrescere il
benessere". HOLZMANN (1999), p.224. Su questi argomenti si rinvia al
successivo paragrafo 6.
(76) "Under the prevailing
social security system it is the state that decides how and when the individual
must save, according to a compulsory schedule set "paternalistically"
by law (and perhaps by trade union)". MODIGLIANI - CEPRINI (1998),
p.181.
(77) A proposito del malinteso
senso dell'equità distributiva della ricchezza prodotta, e come questa sia
assai poco efficace ai fini di un reale innalzamento della condizione sociale
ed economica di una collettività, è utile ricordare il pensiero di Luigi
Einaudi: "Gli uomini dal temperamento socialistico (…), contrariamente ai liberali,
si sono ficcati in testa una divulgatissima opinione; che oggi il vero problema
sociale sia quello della distribuzione della ricchezza, e non più, come in
passato, della sua produzione. Opinione, oltrecché strana, manifestamente
sbagliata. (…) Oggi, non v'ha alcuno il quale non aspiri al meglio e non
invochi una maggior giustizia sociale, il che vuol dire una partecipazione più
larga al prodotto sociale totale; e molti ritengono che il fine non possa
essere conseguito se non togliendo agli uni per dare agli altri. Ben poca
strada si può far tuttavia con siffatto metodo; essendo stato dimostrato ad
abbondanza che il trapasso dagli uni agli altri, dai meno ai più, frutterebbe
miserevoli e subito spregiati incrementi di benessere alle moltitudini".
EINAUDI (1974), p.216. Del resto, per capire quanto possano rivelarsi arbitrari
i presupposti di una condotta pubblica improntata al perseguimento dell'equità
distributiva, è sufficiente riflettere sulle seguenti considerazioni: "What
those people who ask for equality have in mind is always an increase in their
own power to consume: in endorsing the principle of equality as a political
postulate nobody wants to share his own income with those who have less. When
the American wage earner refers to equality, he means that the dividends of the
stockholders should be given to him. He does not suggest a curtailment of his
own for the benefit of those 95 per cent of the earth's population whose income
is lower than his". MISES (1949), chap. xxxv, sec. 3. L'intervento
statale in funzione redistributiva presenta profili di criticità anche nella
visione di Pareto, in considerazione delle commistioni che in tal modo si
vengono a determinare fra la scienza economica da un lato, e i fondamenti etici
e giuridici dello Stato di diritto dall'altro: "La distribuzione e la
produzione sono in intimi rapporti, reciprocamente dipendenti l'una dall'altra.
L'alterazione dell'una avrà generalmente conseguenze sull'altra. Si deve
dunque, anzitutto, risolvere un problema che appartiene essenzialmente alla
scienza economica, e, per trovare la sua soluzione, le considerazioni etiche,
di diritto, metafisiche e altre simili non servono a nulla. Si crede volentieri
di evitare questa difficoltà, dicendo che "lo Stato" veglierà a che
la nuova distribuzione non faccia diminuire la produzione; ma in tal modo,
invece di semplificare la questione, la si complica, e si ha, oltre che un
problema economico, da risolvere un problema di organizzazione politica, cioè
si tratta di trovare come "lo Stato" dovrà essere organizzato, per
adempiere convenientemente le funzioni che ad esso si vogliono affidare".
Ma, giudicando di alcune soluzioni proposte al riguardo, così osserva Pareto:
"(I sistemi socialisti) si basano tutti, più o meno, su questa idea: che,
essendo le ricchezze tanto disugualmente distribuite, gli uni avendo troppo e
gli altri troppo poco, il rimedio è ben semplice: basterà prendere ai ricchi
ciò che hanno di troppo, per darlo ai poveri. Non si tien conto che questa
nuova distribuzione non aumenterebbe, che assai di poco, la somma di cui
potrebbero disporre i poveri; e non ci fermiamo ad esaminare i funesti effetti
che avrebbe sulla produzione". Ed inoltre, dischiudendo scenari
inquietanti: "La formula: a ciascuno secondo i suoi bisogni, si muta in quella:
a ciascuno secondo ciò che decide l'autorità; ed essa vale, in genere, quanto
vale questa autorità". PARETO (1954), pp.321-368-369. Sostanzialmente
sulla stessa linea il Nobel per l'economia von Hayek: "La giustizia ha
significato solo in quanto norma di condotta umana, e nessuna ipotizzabile
norma relativa ad individui che si forniscono l'un l'altro beni e servizi in
un'economia di mercato produce una distribuzione tale da poter essere
sensatamente descritta come giusta o ingiusta". HAYEK (1998 -2), p.159.
(78) "Ritengo impossibile
dare senso all'obbligazione etica da parte dell'individuo a migliorare la
società. La disponibilità di un individuo ad assumere una simile responsabilità
in regime di liberalismo, sembra essere un'esibizione di presunzione intellettuale
e morale. E' semplice amore di potere e di arricchimento; è a-morale. Il
cambiamento etico-sociale deve realizzarsi attraverso un vero e proprio
consenso morale fra individui che raggiungono un livello di effettiva
uguaglianza e reciprocità e non si pongono fra loro uno nel ruolo di causa e
tutti gli altri nel ruolo di effetti, con uno che fa il "vasaio" e
gli altri a fare da "creta"". KNIGHT, Frank H., Intellectual
confusion on morals and economics, in BUCHANAN (1998), p.307. Sulla vanità
della pretesa di imporre razionalmente regole di condotta in funzione del
progresso morale e sociale, si segnala un'altra metafora assai simile
(probabilmente ispiratrice della precedente): "I nostri pubblicisti
possono differire quando si tratta di sapere quale sia il miglior vasaio, quale
quello che impasta più vantaggiosamente l'argilla; ma essi si accordano in
questo, che l'ufficio loro è di impastare l'argilla a loro modo, come la parte
dell'argilla è quella di lasciarsi impastare da loro. Essi stabiliscono, sotto
il titolo di legislatori, tra loro e l'umanità dei rapporti analoghi a quelli
di tutore e di pupillo". BASTIAT (1949), p.600. Anche Pareto nutre forti
perplessità circa i contenuti quasi divinatori che vengono attribuiti
all'azione del soggetto pubblico nell'impostazione di alcune teorie stataliste:
"I socialisti della cattedra hanno perfettamente ragione di osservare che,
per risolvere un problema pratico bisogna aggiungere alle considerazioni
economiche delle considerazioni etiche. Ma ve ne sono molte altre di cui
bisogna tener conto: fra cui quelle, che sono estremamente importanti,
dell'organizzazione politica (…) Per sfuggire a questa tentazione (di levare
gli occhi fino ai poteri costituiti e discuterli), essi si creano un dio
metafisico, detto Stato, la cui santità, infinita saggezza, onnipotenza,
onniscienza sono fuori questione, e che fa un po' partecipi di queste qualità i
governi, suoi rappresentanti e vicari fra gli umili mortali." Ed ancora:
"Il socialismo di Stato crede che l'intervento governativo (…) può
accrescere il benessere umano", e, nel fare ciò, "considera gli
effetti diretti delle leggi e ne trascura quelli indiretti, crea delle entità
che non hanno nulla di reale e le dota di perfezioni fantastiche, crede
ingenuamente che un problema sia risolto quando si è stabilito che lo Stato, il
sacrosanto Stato lo risolverà". PARETO (1954), pp.323-324-328. Alla luce
dell'esperienza storica, è di tutta evidenza l'insidia connaturata nella
riproposizione di tesi che si fondano su presupposti dall'analoga
caratterizzazione ideologica e dogmatica.
(79) La rivendicazione allo Stato
del ruolo di attore unico, risentono - come già argomentato nella nota
precedente - di una concezione idealizzata (e distorta) raramente suffragata,
spesso anzi smentita, dalla realtà: "(I difensori della Sicurezza Sociale,
n.d.r.) si sono considerati una élite sociale che sa cosa è bene
e cosa è male per gli altri, che lo sa meglio di loro e che ritiene proprio
dovere e propria responsabilità convincere gli elettori ad approvare leggi che
faranno i loro interessi, anche a costo di doverli ingannare per
riuscirci". FRIEDMAN (1994), p.106.
(80) Si vedano, in nota al
paragrafo 6.5, le considerazioni di Modigliani - Ceprini e di Orszag - Snower
circa i benefici discendenti da una gestione della previdenza obbligatoria
affidata anche ai privati, in virtù degli elementi di flessibilità, di
competitività con il soggetto pubblico, e della libertà di scelta che verrebbe
in tal modo riconosciuta al contribuente.
(81) "Si può tentare di
giustificare (tale sistema di sicurezza sociale, n.d.r.) affermando che
i salariati mancano della lungimiranza e della forza morale necessarie per
provvedere spontaneamente al proprio futuro. In tal caso, però, sarà arduo
zittire le voci di quanti domanderanno se non sia paradossale affidare il
benessere del paese alle decisioni di elettori giudicati dalla legge medesima
incapaci di amministrare i propri stessi affari; se non sia assurdo rendere
arbitre del governo persone palesemente bisognose di un tutore che impedisca
loro di sperperare i propri guadagni". MISES, Ludvig Von, Human action,
Yale University Press, New Haven, 1949, p.613, in HAYEK (1998), p.624. Sempre
sull'argomento, si riporta il commento ironico di Pascal Salin, per cui
"(…) gli uomini di governo sarebbero dotati di particolari lumi per
stabilire ciò che è "buono" per la nazione e i suoi abitanti, con la
scusa di essere stati eletti democraticamente; e che, pur essendo stati capaci
di sceglierli, i cittadini avrebbero poi perso ogni discernimento riguardo alla
destinazione delle proprie risorse prelevate attraverso l'imposta". SALIN
(1996), p.266.
(82) A proposito delle opinioni
dei contribuenti, è interessante considerare i risultati di un'indagine
condotta nel 1999 dalla Fondazione Debenedetti, in collaborazione con la
società Demoskopea. Emerge, fra le altre cose, che solo un'esigua minoranza (il
22 per cento) degli intervistati è favorevole ad un'espansione dello stato
sociale attraverso un aumento corrispondente della pressione fiscale.
Soprattutto, si coglie la sfiducia verso il grado di copertura pensionistica
offerto, in proiezione futura, dal sistema obbligatorio e, di contro, il
desiderio sempre più diffuso di costruirsi da sé una pensione personalizzata,
ed anche più coerente con la propensione individuale al rischio: "Tra i
lavoratori dipendenti (…) prevale il desiderio di ridurre il peso della
previdenza pubblica in favore di un regime con minori prelievi obbligatori a
fronte di minori prestazioni pensionistiche. La maggioranza relativa dei
lavoratori dipendenti, soprattutto quelli soggetti al nuovo regime
(contributivo) previsto dalla riforma Dini, sarebbe oggi disposta a rinunciare
interamente alla pensione pubblica se i contributi previdenziali venissero
versati direttamente in busta paga perché è consapevole dei bassi rendimenti
offerti dal nuovo sistema". BOERI (2000), p.92. Per maggiori dettagli
sulle recenti riforme del sistema pensionistico italiano, si veda più oltre il
paragrafo 6.5. I comportamenti individuali, a loro volta, sono descritti dalle
cifre pubblicate dall'A.N.I.A., secondo le quali la raccolta premi del ramo
vita si è attestata nel 1999 a quota 68.922 miliardi, con una crescita rispetto
all'anno precedente del 34,4 per cento in termini nominali e del 32,2 in
termini reali. Rispetto ai 23.225 miliardi raccolti nel 1995, l'incremento è
stato di quasi il 200 per cento. Cfr. A.N.I.A. (2000), p.24. Al riguardo, si
riporta un passaggio tratto dal rapporto 2000: "La crescita del peso delle
assicurazioni nell'ambito delle attività finanziarie delle famiglie trova
giustificazione nella ricerca, da parte dei risparmiatori italiani, di forme di
impiego più complesse, che non rispondano soltanto ai requisiti desiderati di
rischiosità e redditività, ma siano anche in grado di offrire coperture adeguate
contro quelle incertezze (morte, durata della vita, malattia, invalidità, non
autosufficienza) che vengono sempre più percepite come determinanti".
Ibidem, p.26.
(83) Sul sistema a ripartizione si
richiama il seguente giudizio : "un sistema di assicurazione per la
vecchiaia sotto cui ogni generazione, pagando per le necessità di quella
precedente, acquisisce un analogo diritto di aiuto dalla successiva (…)
L'introduzione di esso, pertanto, applica la camicia di forza all'evoluzione e
impone alla società un onere sempre maggiore dal quale questa, a più riprese,
tenterà di liberarsi con l'inflazione (…) Prima di poter sperare di risolvere
razionalmente questi problemi, la democrazia dovrà imparare che deve pagare per
le sue follie e che, per risolvere i problemi del futuro, non può emettere
all'infinito cambiali per l'avvenire". HAYEK (1998), pp.382-383. Uno degli
aspetti maggiormente qualificanti del sistema a capitalizzazione consiste
invece nell'investimento dei contributi in attività finanziarie che, attraverso
i proventi della negoziazione e i flussi di reddito per interessi e dividendi,
concorrono ad accrescere la ricchezza del paese. In virtù di tale processo, i
sistemi a capitalizzazione consentono di ridurre l'entità dei contributi, a
parità di prestazioni, ovvero di migliorare le stesse, a contributi invariati.
Questo argomento viene discusso anche nei successivi paragrafi 6.3, 6.4 e 6.5.
(84) La qualificazione più
appropriata è in realtà quella di "lobbistici". Valga il seguente
esempio: "La Gazzetta Ufficiale del 17 giugno 1997 ha pubblicato il
decreto di "armonizzazione del regime pensionistico", con cui si
stabilisce che per i magistrati, i prefetti, gli avvocati dello Stato, i
diplomatici e i professori universitari che fruiscono della pensione di
anzianità non valgono le norme per il rinvio di sei mesi della liquidazione e
quelle sul divieto del cumulo tra pensione e reddito, che invece vengono
applicate a tutte le altre categorie di lavoratori. Ciò significa che questi
"servitori dello Stato" possono cumulare la pensione con il reddito
senza incorrere nelle maglie degli ispettori previdenziali, i quali annullano
l'assegno pensionistico a chi continua a lavorare sia come dipendente che come
autonomo. Inoltre, mentre per tutti gli altri lavoratori l'età dei 65 anni
costituisce il limite massimo per il calcolo dell'assegno pensionistico e
l'importo non cambia anche se continuano a lavorare, per tali categorie di
privilegiati il limite è stato protratto oltre i 65 anni". COSTA (1998),
p.253. E' arduo immaginare che altre categorie di "servitori dello
Stato", sprovvisti di un simile potere di condizionamento politico,
riescano a spuntare benefici analoghi. Tutto questo, evidentemente, sa poco di
sociale, e molto di elitario, clientelare e discriminante. Si osservi, inoltre,
come la complessità e l'estrema articolazione del nostro sistema pensionistico,
favorendo le categorie politicamente introdotte, agevoli ulteriormente le
discriminazioni: "This multiplicity of programs also meant different
rules for different jobs, as has been the case here in Italy. A major effect of
these multiple rules was a pattern of redistribution where the well-off and the
politically connected particularly benefited at the expense of poorer and less-well
connected workers: for example, the adjustment for inflation was more generous
for white collar than blue collar workers". DIAMOND (1999), p.4. Ed
ancora: "Per anni le pensioni pubbliche italiane hanno attuato una
redistribuzione perversa, premiando gli individui con salari più alti negli
ultimi anni della loro carriera e i dipendenti pubblici, anziché gli individui
con redditi più bassi nel corso dell'intera vita lavorativa". BOERI
(2000), p.7.
(85) Per un maggiore dettaglio, si
vedano le proiezioni dell'Eurostat esposte nella tavola 2, di cui al successivo
paragrafo 6.1.
(86) "Il valore netto attuale
di un sistema a ripartizione considerando tutte le generazioni passate,
presenti e future coinvolte è zero: se una o più generazioni ricevono un
rendimento superiore a quello di mercato, allora tutte le generazioni
successive devono ricevere un rendimento inferiore a quello di mercato. Poiché
sappiamo che le prime generazioni hanno goduto di rendimenti ampiamente
superiori a quelli di mercato, alle generazioni viventi e future restano
inevitabilmente rendimenti inferiori". C.N.E.L. (2000), p.10. "La
limitazione delle prestazioni è destinata ad essere il principale strumento per
garantire la solvibilità dei sistemi pensionistici a ripartizione". BUTI -
FRANCO - PENCH (1999), p.68.
(87) Nell'ambito della cosiddetta
"equità intergenerazionale", su cui si fonda un sistema pensionistico
a ripartizione, "il solo tasso di rendimento che possa essere
uniformemente garantito a tutte le generazioni è quello che comporta una
posizione finanziaria sostenibile per il sistema; in concreto, tale
sostenibilità è realizzata quando il tasso implicito di rendimento per i
soggetti rappresentativi delle diverse generazioni corrisponda al tasso atteso
di crescita dell'economia nel lungo periodo". SOMAINI (1996), p.344.
Coerentemente con tale impostazione, la legge 335/95 (riforma Dini) sancisce
per il nuovo metodo contributivo un sistema di capitalizzazione agganciato al
tasso di crescita media del P.I.L. rilevato nei cinque anni precedenti il
periodo di riferimento. Per maggiori dettagli, si rinvia al successivo
paragrafo 6.5.
(88) Cfr. FELDSTEIN (1997), p.5.
(89) Tale confronto è il punto
centrale della lezione tenuta da Martin Feldstein, docente ad Harvard e
presidente del National Bureau of Economic Research, in occasione della
cerimonia di consegna del premio internazionale per le Scienze Assicurative
conferitogli dall’Accademia dei Lincei, a Roma, il 17 dicembre 1997. Ibidem.
(90) Tale trasformazione è stata
realizzata con il D.Lgs. 509 del 1994. L'argomento verrà discusso
dettagliatamente in nota al paragrafo 6.5.
(91) Per un'interessante
approfondimento delle ragioni che viziano alla radice l'operato del soggetto
pubblico in campo economico, si veda MISES (1991).
(92) Al riguardo, sono illuminanti
le considerazioni del presidente dell'A.D.E.P.P. (Associazione degli Enti
Previdenziali Privati), l'avvocato Maurizio De Tilla: "Agli enti dei
professionisti si applicava una normativa speciale costitutiva di vincoli che
hanno nel tempo comportato sensibili perdite patrimoniali mettendo in pericolo
gli equilibri finanziari e i trattamenti pensionistici degli iscritti. Con la
privatizzazione si sono, invece, aperte nuove frontiere: si è anzitutto elevata
l'efficienza dei servizi e delle prestazioni, accrescendo il tasso di autonomia
e di responsabilità; si è altresì assicurata l'autoreferenzialità della
gestione affidata ad opzioni e manovre finanziarie atte a garantire gli
equilibri finanziari; in particolare, si è consentito di ottimizzare le risorse
disponibili con investimenti produttivi e forti rendimenti; si è infine offerta
la possibilità di prestare attenzione a prestazioni e benefici per gli iscritti
di natura complementare e integrativa". DE TILLA (1999), p.11.
(93) In proposito, si veda anche
BOERI (2000), p.9.
(94) Su questi argomenti si rinvia
soprattutto a SOMAINI (1996).
(95) "La pressione per la
riforma dei sistemi di welfare non deve essere interpretata come
conseguente ad una minore necessità di solidarietà sociale; l'invecchiamento
della popolazione implicitamente fa emergere una maggiore domanda di
solidarietà e di redistribuzione. (…) I sistemi pensionistici a ripartizione
con prestazione definita hanno svolto finora anche una funzione solidaristica".
ONOFRI - SANTAGATA (2000), p.6.
(96) "The essence of the
Social Security program itself, however, is the priority of a common social
bond with a common security package for all citizens. Money's worth
calculations are not decisive because they ignore the system's social
solidarity mission. Thus the existing Social Security program has sought to
promote what proponents regard as a fairer society than would otherwise
exist". HECLO (1998), p.3.
(97) Sotto questo aspetto, ha
centrato il problema con chiarezza il professor Mario BALDASSARRI: "La
pensione in senso stretto non è Stato sociale. E' piuttosto un programma di
risparmio che garantisce un reddito per la vecchiaia. Da questo punto di vista,
occorre stabilire un rapporto tra contributi versati e rendite riscosse. Punto.
Poi viene l'assistenza, i cui fruitori devono essere le persone che non hanno
reddito. Questo sì che è Stato sociale". In PERUZZI (1999), p.12.
(98) "E' fondamentale
distinguere la solidarietà dall'assicurazione (…) Il costo reale delle
assicurazioni è rappresentato dalla rinuncia al consumo effettivo, cosa che
costituisce necessariamente il risparmio". SALIN (1997), p.199. Sul legame
fra contributi e prestazioni secondo una logica di tipo assicurativo, e sulla
corrispondente necessità di distinguere tra funzioni assicurative e
assistenziali (ovvero di welfare) si richiamano alcune considerazioni
del presidente della Federal Reserve Alan Greenspan: "The idea that we
should stop borrowing from the social security trust fund to finance other
outlays has gained surprising - and welcome - traction. (…) Although the
analogy between social security and private insurance has never been that
tight, the perception of social security as insurance has been widespread and
quite powerful. Many supporters of social security feared that breaking the
link between payroll taxes and benefits by moving to greater reliance on
general revenue financing would transform social security into a welfare
program". GREENSPAN (2000), pp.1-3. Su questi argomenti, si vedano
inoltre BUTI - FRANCO - PENCH (1999), p.77 e 83; ATKINSON (1999), p.95. La
distinzione tra assicurazione e redistribuzione risponde del resto ad esigenze
di chiarezza e di onestà verso i contribuenti: "Presentare come
redistribuzione ciò che in effetti non lo è, non è opportuno per motivi di
sensibilità sociale: i provvedimenti redistributivi inoltre hanno
un'accettabilità sociale limitata, che non deve essere "spesa" per
misure che hanno una motivazione diversa". MUSGRAVE, Richard, in BUTI -
FRANCO - PENCH (1999), p.75.
(99) Un esempio calzante è offerto
in proposito dall'art. 37 della legge n. 488 del 23 dicembre 1999, Finanziaria
per il 2000, in cui si stabilisce che "a decorrere dal 1° gennaio 2000, e
per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici
corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie
complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall'art. 2, comma 18 della
legge 335/1995, è dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà
nella misura del 2 per cento (…)". Ci si trova in questo caso dinanzi ad
un prelievo arbitrario - è stato definito tecnicamente "una compressione
retroattiva di diritti acquisiti" - dalla connotazione demagogica e
ideologica, formalmente concepito con finalità previdenziali (il finanziamento
della formazione professionale interinale). Esso si presenta in evidente
conflitto col principio costituzionale che fa dipendere dalla capacità
contributiva individuale il concorso alla spesa pubblica, ed il conseguente
prelievo fiscale. In questo caso, invece, non vi è alcun incremento di capacità
contributiva che giustifichi la tassazione addizionale. Cfr. DE MITA (1999),
pp.1-2. Dello stesso tenore il giudizio del professor Mario BALDASSARRI
("incostituzionale"), in PERUZZI (1999), p.12.
(100) La circolare n. 81 del 20
aprile 2000, emanata dall'I.N.P.S. in attuazione dell'art. 38 della citata
legge 488/1999, ha chiarito che chiunque venga chiamato a ricoprire cariche
pubbliche elettive (parlamentare nazionale o europeo, consigliere regionale,
sindaco etc.) dovrà, a partire dall'anno 2000, effettuare nei termini di legge
i versamenti a fini previdenziali dai quali era stato fino ad oggi esentato.
Tale intervento ha bonificato il sistema previdenziale da un anacronistico
privilegio (introdotto dalla legge n. 300 del 22 maggio 1970, cosiddetto
Statuto dei Lavoratori) ad esclusivo appannaggio della classe politica, che
fino allo scorso anno godeva ai fini pensionistici dei cosiddetti contributi
figurativi per tutto il periodo di aspettativa, senza dover effettuare alcun
versamento. Ciò significava poter maturare una pensione, pur in assenza di
contributi, ulteriore e aggiuntiva rispetto a quella relativa al mandato
politico: in pratica, un raddoppio dell'assegno pensionistico a titolo
gratuito.
(101) A tale riguardo, va accolta
come una dimostrazione di grande civiltà la recente estensione del diritto
all'assegno sociale anche agli immigrati - titolari della carta di soggiorno o
di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno -, che si trovino
nelle condizioni di età e di bisogno contemplate dalla legge. Cfr. Circolare
I.N.P.S. n. 82 del 21 aprile 2000.
(102) Nel 1998, l'importo medio liquidato
come pensione di anzianità a soggetti in età compresa fra i 45 ed i 49 anni
ammontava a 33.569.000 lire; l’importo medio liquidato invece come pensione di
vecchiaia a soggetti in età compresa fra i 75 ed i 79 anni era nello stesso
anni di appena 21.770.000 lire. Cfr. I.N.P.S. - I.STAT. (2000), Table 1.2,
p.58; Table 2.2, p.74. E' del tutto evidente l'iniquità di un sistema che
premia soggetti ancora nel pieno dell'età lavorativa, con trattamenti molto
prossimi all'importo dell'ultimo stipendio, svincolati da ogni rapporto
attuariale con i contributi versati e l'aspettativa di vita del beneficiario, a
discapito di soggetti molto più anziani e verosimilmente più bisognosi di un
adeguato sostegno economico. Si riportano di seguito alcune considerazioni al
riguardo: "Le pensioni di anzianità rappresentano un trasferimento
consistente di risorse dalla tasche dei lavoratori a quelle di chi può accedere
ad una pensione (piena) molti anni prima del raggiungimento dell'età
pensionabile. Spesso chi matura le condizioni per accedere alla pensione di
anzianità ha livelli di reddito più elevati di chi lavora e coi propri
contributi finanzia il prepensionamento. A riprova di ciò, il fatto che la
pensione di anzianità è in media di circa il 30 per cento più elevata della
pensione di vecchiaia". BOERI (2000), pp.17-18. Sulle iniquità prodotte
dall'attuale sistema, si rinvia inoltre alle considerazioni svolte nel
precedente paragrafo 4.4, e nel successivo 6.5.
(103) BASTIAT (1949), p.591.
(104) Ibidem, p.593.
(105) Ibidem, p.594.
(106) Sul punto si richiamano
anche le considerazioni di von Hayek: "E' necessario che l'individuo sia
lodato o biasimato, comunque l'attesa della lode o del biasimo possa di fatto
influire o non influire sull'azione. (…) La società libera esige dall'uomo un
senso di responsabilità nelle proprie azioni che va oltre i doveri richiesti
dalla legge ed esige anche un generale consenso sul punto che gl'individui
debbano essere ritenuti responsabili sia del successo sia del fallimento delle
loro azioni". HAYEK (1998), pp.115-116.
(107) "Perché dal momento che
colui che agisce non risponde lui personalmente degli effetti buoni o cattivi
del suo atto, il suo diritto di agire isolatamente non esiste più. Se ciascun
movimento dell'individuo deve riverberare con la serie dei suoi effetti sulla
società intiera, l'iniziativa di ciascun movimento non può più essere
abbandonata all'individuo; essa appartiene alla società. La comunità sola deve
decidere di tutti, regolare tutto: educazione, nutrimento, salari, piaceri,
locomozione, affezioni, famiglie, ecc. ecc.". BASTIAT (1949), p.587.
(108) Ibidem.
(109) "Il socialismo ha detto
ai disgraziati: "Non esaminate se voi soffrite in virtù della legge di
responsabilità. Ci sono dei fortunati sulla terra, in virtù della legge di
solidarietà essi vi devono la divisione della loro felicità"".
Ibidem. Del resto, è proprio sull'elevata sensibilità collettiva rispetto a
situazioni di disparità economica e sociale, che i politici spesso fanno leva
nel denunciare come "difetti del mercato" quelli che altro non sono
che rischi non assicurabili. Diventa inevitabile, allora, finanziare, a spese
della collettività, "le scelte immorali, ad esempio l'imprevidenza, la
pigrizia, la negligenza di chi non potrebbe, senza l'intervento statale, far
pagare ad altri le conseguenze dei propri atti". SALIN (1997), p.198.
(110) In questo senso, lo Stato
sostituisce una solidarietà consapevole e diretta, come è, ad esempio, quella
che si esplica all'interno della famiglia, con una solidarietà burocratica e
improduttiva, che oltretutto costringe il contribuente a pagare due volte uno
stesso servizio: una prima volta con le tasse, per il servizio imposto dallo
Stato (oltre alle pensioni, si pensi alla scuola o alla sanità); una seconda,
quando sceglie liberamente sul mercato il servizio rispondente alle proprie
esigenze, e decide di pagare per esso il prezzo da lui giudicato equo.
Su questi aspetti, si vedano SALIN (1997), pp.195 e 268; BOERI (2000), p.27.
(111) In proposito, si rinvia alle
considerazioni conclusive svolte nell’ultimo paragrafo.
(112) "La libertà è
essenziale alla moralità, e nessuna azione umana, in sua assenza, è mai
suscettibile di una qualsiasi qualità morale o può essere oggetto, vuoi di
approvazione, vuoi di disapprovazione. Infatti, siccome le azioni sono oggetti
del nostro sentimento morale solamente nella misura in cui sono indicazioni del
carattere, delle passioni e degli affetti interni, è impossibile che esse
possano suscitare, vuoi la lode, vuoi il biasimo, se non procedono da questi
principi, ma derivano completamente da violenza esterna". HUME (1980),
p.254. Alla luce di queste affermazioni, si comprende il giudizio critico che è
stato espresso nei confronti della solidarietà esercitata dagli uomini di
governo: "amorale, in quanto obbligatoria, immorale, perché
incondizionata, e ingiusta, perché finanziata con la forza". Cfr. SALIN
(1997), p.201.
(113) BASTIAT (1949), p.594.
(114) Si riportano, al riguardo,
le considerazioni dell'ex presidente del C.N.E.L. Giuseppe De Rita: "Sta
diventando centrale (…) il rapporto individuale con il lavoro, con una
molecolarità che spesso ci lascia troppo soli e stressati, ma in cui vince
sempre il valore della responsabilità individuale, che è valore nuovo da
accettare e valorizzare, nelle relazioni sindacali come nei percorsi
formativi". DE RITA (2000), p.1. E' senz'altro utile ricordare, come in
questo caso, la centralità del principio di responsabilità in tutte le sfere
relazionali, e nei rapporti di lavoro in particolare; è fuorviante e
inopportuno, tuttavia, proporla come una novità, dal momento che si tratta di
un principio connaturato nell'uomo. Di nuovo, invece, c'è soltanto
l'atteggiamento mentale da assumere nei suoi confronti, affinché le legittime
aspettative dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro possano
conciliarsi con una realtà occupazionale competitiva e in rapida evoluzione, e
proprio perciò altamente responsabilizzante.
(115) E' importante meditare, in
particolare, sul significato di alcuni passaggi, permeati di un realismo
impressionante che riesce arduo non condividere: "In una società libera
siamo ricompensati non per le nostre capacità, ma per saperle utilizzare
nel modo giusto (…) le doti di un uomo non gli "danno diritto" a una
particolare posizione. Asserire il contrario, significa asserire che un qualche
ente ha il diritto e il potere di collocare gli uomini in posizioni
particolari, a suo giudizio. Tutto quello che una società libera può offrire è
la possibilità di cercare una posizione adatta, con tutti i rischi e le
incertezze inerenti che necessariamente la ricerca di un mercato per le proprie
doti implica. Non si può negare che sotto questo aspetto una società libera
opprima gran parte degli individui e che spesso ne sorgano risentimenti.
Credere però che in un altro tipo di società non si sarebbe ugualmente oppressi
è illusione, perché l'alternativa all'oppressione che la responsabilità del
proprio destino reca con sé è quella, ben più invisa, degli ordini personali
cui si deve obbedire". HAYEK (1998), pp.122-123.
(116) Si vedano più avanti le
precisazioni su questo punto, nonché le argomentazioni contenute nel successivo
paragrafo 6.
(117) A questo proposito, tuttavia,
sono stati individuati alcuni rischi politici di maggiore rilevanza: in primo
luogo, vi è il rischio di concedere trattamenti eccessivi a chi è già
pensionato, pregiudicando in tal modo il mantenimento degli impegni contratti
con i pensionati futuri; in secondo luogo, e in parziale conseguenza del primo,
vi è il rischio di impoverire le riserve accumulate, anche per effetto di una
gestione spesso inefficiente e indirizzata verso impieghi poco remunerativi; un
terzo rischio consiste nella pronunciata reattività delle prestazioni agli
squilibri dei conti pubblici. Cfr. HOLZMANN (1999), pp.207-208. Sul rischio
politico insito nei sistemi pensionistici a ripartizione, e sulla
corrispondente superiorità dei sistemi a capitalizzazione, si segnalano anche
altri contributi: "Quando si considera il valore attribuito ai
trasferimenti sociali futuri, bisogna tener conto del rischio politico di
cambiamento del regime in vigore. La gente potrebbe perciò non tenere affatto
conto della prospettiva di prestazioni future". ATKINSON (1999), p.95;
"E' ragionevole supporre che i diritti di proprietà di cui ciascuno si
sente titolare siano più forti nei sistemi a capitalizzazione che in quelli a
ripartizione, infatti è minore il rischio di interventi politici. Di conseguenza,
un sistema a capitalizzazione è politicamente più stabile di uno a
ripartizione. Gli individui sarebbero però esposti a maggiori rischi sui
mercati finanziari". LINDBECK (1999), p.125. Sulla presenza di rischi
politici anche nell'ambito dei sistemi a capitalizzazione, si segnala peraltro
l'osservazione secondo cui tali sistemi soggiaciono anch'essi al principio
della redistribuzione di risorse fra generazioni, che è sostanzialmente
governato dalle dinamiche della politica. Sotto questo profilo, si ritiene improprio
affermare che i sistemi previdenziali a capitalizzazione non siano soggetti a
rischio politico. Cfr. C.N.E.L. (2000), p.20 e ss.
(118) Può essere utile, in
proposito, ricordare alcune considerazioni emerse durante i lavori della
"Commissione Castellino", incaricata nel 1994 dal governo allora in
carica di formulare proposte per la riforma del sistema previdenziale: "In
assenza di opportuni correttivi (…) si potrà profilare uno "scontro
generazionale" di sconvolgente gravità: perché mai un giovane che oggi
inizia a lavorare dovrebbe pagare un contributo sociale altissimo avendo la
quasi certezza che quando verrà il suo turno il sistema previdenziale potrà al
massimo pagargli una pensione dimezzata rispetto alle attuali, e comunque
sottodimensionata rispetto ai contributi versati? Se questo sentimento
sfociasse in un rifiuto generalizzato il nostro sistema previdenziale, basato
sul criterio della ripartizione, crollerebbe di colpo per mancanza di entrate
contributive e già oggi, alla luce dell'enorme invecchiamento della
popolazione, si avvertono le prime avvisaglie di rottura di questo patto
intergenerazionale." BRAMBILLA - LEONI (1998), p.627. Sui rischi di
inadempimento incombenti sul futuro dei sistemi pensionistici a ripartizione,
si vedano le considerazioni di cui al successivo paragrafo 6.
(119) Il riferimento è alla
proposta Modigliani - Ceprini, che, nel delineare il processo di transizione
verso una previdenza obbligatoria a capitalizzazione, individua nel tipo "defined
benefit", cioè a prestazione stabilita, l'ipotetico fondo di nuova
costituzione nel quale dirottare i contributi attualmente versati all'I.N.P.S..
Per l'approfondimento di questo argomento si rinvia al successivo paragrafo
6.5.
(120) Sull'opportunità per le
imprese private di concorrere col soggetto pubblico nell'offerta di coperture
pensionistiche, nell'ambito di un primo pilastro obbligatorio a
capitalizzazione, si rinvia alle considerazioni di Modigliani e Ceprini,
riportate in nota al successivo paragrafo 6.5. Su questo aspetto converge anche
l'orientamento della Banca Centrale Europea: "Oltre alla riduzione delle
prestazioni offerte dai programmi pubblici a ripartizione, un contributo
positivo alla sostenibilità delle finanze pubbliche potrà provenire dalla
graduale integrazione di tali sistemi con piani pensionistici a partecipazione
privata". B.C.E. (2000), p.69.
(121) "Nel periodo recente si
è accentuato un salutare processo di diversificazione delle attività
finanziarie detenute dalle famiglie italiane. Vi concorrono fattori diversi. Il
risanamento della finanza pubblica ha ridotto l'offerta di titoli pubblici (…)
Le famiglie hanno in conseguenza ridotto la consistenza dei titoli pubblici nel
loro portafoglio. Lo sviluppo e l'integrazione dei mercati hanno, al contempo,
offerto nuove opportunità di investimento. Anche grazie a queste opportunità,
l'investitore italiano ha manifestato una maggiore disposizione all'assunzione
di rischi". SPAVENTA (2000), p.6.
(122) Sulle prospettive di lungo
termine dell'investimento azionario, e sulla conseguente opportunità per i
risparmiatori di assumere un atteggiamento meno avverso al rischio in funzione
previdenziale, si riporta un passaggio tratto da un'audizione del vice
presidente della Merrill Lynch Stephen G. Bodurtha, resa nell'ambito dei lavori
della "Social Security Task Force" istituita presso il
Congresso statunitense: "Growth-oriented investments, such as stocks,
historically have provided the best opportunity to increase wealth over the
long run. And yet, potential downside risk keeps many people from investing in
stocks, even when long-term growth is the objective in planning for retirement,
saving for college, or meeting future health and parental care needs, to name
just a few examples. When aversion to risk stands in the way of investing for
long-term growth, people may fail to achieve important financial goals".
BODURTHA (1999), p.1.
(123) "In any given future
year, say 2050, a larger proportion of older people will be competing with the
workforce and the rest of the population for shares of the GDP in that year.
Whatever is produced in 2050 will have to suffice for all the claimants".
RIVLIN (1999), p.1. "The goal (of social security reform, n.d.r.)
must be to increase the real resources available to meet the needs and expectations
of retirees (…) Any sustainable retirement system - private or public -
requires that sufficient resources be set aside over a lifetime of work to fund
an adequate level of retirement consumption". GREENSPAN (2000), p.1. "What
matters is the level of output after I have retired. The point is central:
pensioners are not interested in money (…) but in consumption (…) Money is
irrelevant unless the production is there for pensioners to buy". BARR
(2000), p.4.
(124) Sul dirigismo che
contraddistingue la recente normativa sui fondi pensione, si veda il successivo
paragrafo 6.5.
(125) E' stato osservato che
"la presenza di ostacoli alla concorrenza, dunque di rendite
monopolistiche, tende ad essere associata a più alti tassi di
sindacalizzazione. Il sindacato vive e vegeta dove ci sono rendite da
spartire". BOERI (2000), p.71. Questa considerazione trova una conferma
evidente nella previdenza complementare, se si pensa al ruolo svolto dai
sindacati attraverso la partecipazione agli organi di amministrazione e
controllo dei fondi chiusi di categoria (cfr. art.5 del Dlgs. n. 124 del 21
aprile 1993), ai quali i lavoratori dipendenti sono tenuti ad aderire per poter
beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalle nuove disposizioni. Per
maggiori dettagli, si rinvia al paragrafo 6.5. E' tuttavia inevitabile che le
preferenze individuali siano destinate ad assumere un peso crescente negli
indirizzi di politica sociale e previdenziale: "La maggiore eterogeneità
della popolazione in molti paesi richiede che in futuro i servizi sociali si
adeguino meglio alle esigenze dell'individuo. Ciò sarà possibile solo se gli
utenti di tali servizi avranno maggior peso, cioè potranno influenzare il
sistema sia con la protesta sia con la defezione. Quest'ultima possibilità, naturalmente,
richiede che vi siano alternative, ossia la concorrenza". LINDBECK (1999),
p.132.
(126) Si vedano le considerazioni
svolte nel successivo paragrafo 6.2.
(127) Sull'equivoco che sovente
contraddistingue il riferimento ai temi della socialità, si propongono le
considerazioni di von Hayek: "Quelli che noi chiamiamo "fini
sociali" sono semplicemente fini identici di molti individui, o fini per
il cui conseguimento gli individui sono pronti a collaborare ricevendo in
cambio assistenza per la soddisfazione dei propri bisogni. L'azione comune,
pertanto, si limita agli ambiti nei quali gli individui si accordano su fini
comuni (…) Le probabilità che essi si accordino per agire in un determinato
senso diminuiscono necessariamente man mano che si allarga lo scopo di tale
agire". HAYEK (1995), p.110.
(128) Ibidem.
(129) "La transizione a un
sistema in cui sia maggiore il ruolo della componente a capitalizzazione (…)
contribuirebbe a tutelare la previdenza sociale dalle pressioni politiche,
rendendola meno vulnerabile ai cicli elettorali e più sicura dal punto di vista
della popolazione". B.C.E. (2000), p.68.
(130) La presa di coscienza circa
il proprio futuro previdenziale indotta, soprattutto nelle giovani generazioni,
dal passaggio ad un sistema a capitalizzazione, è efficacemente sintetizzata
nell'espressione secondo cui "shifting from an unfunded to a funded
program is an application of the general principle that, when you discover you
are in a hole, the first thing to do is stop digging". FELDSTEIN (1998),
p.16.
(131) Queste si esplicano nella
duplice forma dell'allungamento della vita media della popolazione - e quindi
del protrarsi del periodo di quiescenza coperto dalla pensione -, nonché del
decremento nel tasso di natalità - attualmente stimato, per le principali
economie industriali, in 1,5 figli per donna - che si riflette in un calo
corrispondente della forza lavoro. Cfr. B.C.E. (2000), p.57; BOSWORTH, Barry P.
- BURTLESS, Gary, in TRIEST (1997), p.12.
(132) "Un aumento delle
aliquote contributive previdenziali della misura necessaria a ripristinare la
sostenibilità dei conti pubblici influirebbe fortemente sulle condizioni del
mercato del lavoro, accrescendo il divario fra costo del lavoro e salari netti
e creando disincentivi a partecipare al mercato del lavoro e ad assumere
lavoratori". B.C.E. (2000), p.64.
(133) Cfr. BANCA D'ITALIA (1999),
p.5*.
(134) Cfr. par.3.3.
(135) "Se (il passaggio da un
sistema a ripartizione ad uno a capitalizzazione, n.d.r.) viene
finanziato in parte con un aumento dell'indebitamento pubblico e in parte con
un aumento dell'imposizione fiscale, l'onere della stabilizzazione fiscale
ricadrà sulla generazione attuale che pagherà due volte, mentre le generazioni
future risulteranno favorite". THOMAS (1999) p.289. "L'onere della
transizione potrebbe essere posto a carico dell'attuale generazione - che
dovrebbe pagare due volte con tasse più alte, o spesa pubblica più ridotta in
altri campi, per finanziare le pensioni in uscita, e con versamenti contributivi
per il nuovo regime a capitalizzazione (…)". BUTI - FRANCO - PENCH (1999),
p.70.
(136) Cfr. par.4.1.
(137) Si è parlato esplicitamente
della "impossibilità della sostituzione del sistema a ripartizione vigente
con un sistema a capitalizzazione". SOMAINI (1996), p.340. Lo stesso
autore ha poi precisato meglio il proprio pensiero: "Alcuni osservatori
(non tra i più acuti) hanno ipotizzato una ripetizione a ruoli invertiti della
storia, proclamando la necessità di dare vita a un sistema pensionistico a
capitalizzazione (possibilmente privato) che riempisse il vuoto prevedibile a
scadenza per l'inevitabile collasso del sistema a ripartizione. Questa tesi è
manifestamente falsa (…) Per un sistema a ripartizione il collasso
implicherebbe il ripudio da parte delle nuove generazioni dei loro obblighi nei
confronti di quelle precedenti (…) Il quadro di riferimento dei giudizi di
equità è necessariamente rappresentato dal sistema attuale (a ripartizione, n.d.r.),
in quanto una radicale fuoriuscita dal sistema implicherebbe già di per sé la
diretta violazione delle norme di equità (…) Il sistema a ripartizione può
sopravvivere solo in quanto soddisfi criteri di equità (sia per così dire
"eticamente fondato")". Ibidem, p.341. L'insistenza sul concetto
di equità e il richiamo alla presunta connotazione etica - che, posta in questi
termini, non è altro che un'etica di Stato - del sistema previdenziale, sono
rivelatrici del vizio di fondo di una simile analisi, che non a caso si colloca
agli antipodi rispetto all'orientamento espresso dai ricercatori statunitensi
di cui al successivo paragrafo 6.3. Sul carattere fuorviante dei giudizi morali
espressi dai governanti nella sfera delle relazioni economiche, si vedano le
considerazioni svolte nel precedente paragrafo 4.3. In questo caso specifico,
comunque, si propongono, quale ulteriore contributo, alcune considerazioni del
professor Lorenzo Infantino: "Non è possibile lo Stato etico, perché non
c'è una scienza del Bene e del Male (…) Etica ed economia si scorporano dalla politica,
vivono una propria vita autonoma attraverso le scelte individuali. E
all'elemento politico resta da svolgere solo una funzione "negativa".
Può cioè indicare quel che non si deve fare, ma non può prescrivere il
contenuto delle azioni dei singoli attori". INFANTINO (1999), p.IV.
(138) Sia pure in maniera
contrastata, infatti, affiora tra gli osservatori il convincimento che l'unica
soluzione percorribile con efficacia di lungo periodo, e con vantaggiose
ricadute di ordine macroeconomico, sia l'adozione di sistemi pensionistici
capitalizzazione: "La riforma del regime a ripartizione, con contestuale
passaggio parziale o totale al sistema a capitalizzazione, appare necessaria in
gran parte dei paesi, in quanto il primo è fondamentalmente insostenibile da un
punto di vista finanziario e una semplice modifica del meccanismo di
finanziamento sembra avere scarsa utilità". HOLZMANN (1999), p.220.
(139) Il Messico ha sperimentato
negli ultimi anni un alto tasso di evasione contributiva, quale effetto di un
prelievo contributivo in forte crescita e di un'aspettativa circa i benefici
futuri particolarmente aleatoria. Il nuovo sistema avviato recentemente è del
tipo defined-contribution, in cui i lavoratori versano in appositi conti
individuali una quota di salario minima del 6,5 per cento, alla quale si
aggiunge un 5,5 per cento di "social contribution" da parte
dello Stato. Questo, però, non si ingerisce nella gestione dei fondi, che viene
demandata ad operatori professionali, supervisionati da un'agenzia governativa.
Le prospettive a regime legate a questa riforma sono quelle di una crescita del
risparmio nazionale dal 2 al 3 per cento del P.I.L., di un sensibile sviluppo
dei mercati finanziari, e di un conseguente rilancio di tutta l'economia del
paese. Cfr. CARSTENS, Agustin G., in TRIEST (1997), p.9.
(140) Nel cercare di ovviare ai
problemi generati dalla ripartizione, il Regno Unito ha imperniato il sistema
pensionistico su due livelli: uno di base, a ripartizione, che offre a tutti il
pagamento di pensioni minime, ed uno supplementare, del tipo defined benefit,
denominato S.E.R.P.S. (State Earnings-Related Pension System) collegato
al reddito percepito dal lavoratore prima del pensionamento. Il lavoratore,
tuttavia, può scegliere di non aderire al secondo livello, sottoscrivendo un
fondo pensione di categoria (approved employer-sponsored pension plan),
ovvero aprendo una propria posizione (Personal Pension Account) del
tutto simile agli Individual Retirement Accounts (I.R.A.) in vigore
negli Stati Uniti. Tali alternative, peraltro, non devono offrire prestazioni
inferiori a quelle garantite dal S.E.R.P.S. Cfr. DISNEY, Richard, ibidem, p.10;
MODIGLIANI - CEPRINI (1998), pp.192-193.
(141) A partire dal 1986
l'Australia ha imposto alle imprese di fornire ai propri dipendenti una
copertura previdenziale privata, che si è gradualmente estesa al 90 per cento
dei lavoratori. In prospettiva, dunque, saranno sempre meno coloro che avranno
diritto ad una pensione pubblica, anche per effetto dei cosiddetti "means
tests" - qualcosa di simile al nostro indicatore della situazione
economica - che limitano l'intervento statale ai casi di reale necessità. La
ragione principale che ha condotto a questa riforma, più che l'invecchiamento
della popolazione, è stata la necessità di offrire una più ampia copertura
previdenziale, ma anche di favorire un innalzamento del tasso di risparmio
nazionale. Cfr. EDEY, Malcom L., in TRIEST (1997), p.10.
(142) Cfr. MIHALYI (1999), p.7.
(143) "In many less
fortunate transition economies, non-payment of contribution became a flown
problem, as non-payment became widespread even among relatively well working
companies. The mechanism was simple: first, the troubled enterprises failed to
pay contributions (and taxes) to the central government. Then the central
government stopped paying for its purchases to enterprises and discontinued
regular payments to its own employees. Once this happened, state-financed
institutions suspended their contribution payments, which in turn somehow
legitimised the non payment of the enterprise sector as well". Ibidem,
p.3.
(144) "The importance of
pension reform in Central and Eastern Europe reaches beyond the obvious public
expenditure implications. The reform process is also a cornerstone in the drive
to overcome paternalism and encourage more self-responsibility".
BASTIAN (1999), p.507. "Politicians, scientist and even multilateral
organisations have started de-emphasise the role of the "etat
provident", to depoliticise the issue of pensions and to praise the
social and economic importance of linking individual effort and reward. In the
context of the pension reform the new doctrine means a shift from single
nation-wide pay-as-you-go systems to privately owned and privately managed,
fully funded (FF) schemes, where the insured accumulates a fund over the entire
working life". MIHALYI (1999), p.4.
(145) La possibilità, introdotta
in Cile, di scegliere liberamente il fondo in cui investire, nell'ambito di un
sistema del tipo defined contribution, ha avuto seguito in altri paesi
dell'America Latina, nel Regno Unito, ed è in procinto di essere adottata in
Svezia. Cfr. DIAMOND (1999), p.11.
(146) L'attuale regolamentazione
prevede che, in ogni momento, il rendimento di ciascun fondo non può scendere
nei dodici mesi precedenti di oltre 2 punti - ovvero al di sotto del 50 per
cento - rispetto alla media dei rendimenti fatti segnare da tutti i fondi
pensione. Questa forma di penalizzazione delle "underperformances",
non bilanciata da un corrispondente incentivo delle "outperformances"
ha avuto tuttavia l'effetto di stemperare la propensione al rischio dei
gestori, che di fatto si sono allineati intorno ad un comune benchmark.
Ciò ha reso puramente teorica la possibilità dei contribuenti di selezionare
quei fondi più conformi ai rispettivi profili di rischio. Cfr. EDWARDS (1998),
p.44.
(147) "From a policy point
of view, the involvement of the government in providing and guaranteeing
pensions means that, contrary to what has often been argued, the Chilean system
relies on the "three pillars" recommended by the World Bank in its
report "Averting the Old Age Crisis" (1994)". Ibidem,
p.47. Secondo tale rapporto, la componente pubblica ha unicamente la finalità
di ridurre la povertà degli anziani, mentre la componente obbligatoria a
capitalizzazione, gestita da privati, è volta ad assicurare propriamente la
funzione pensionistica, integrata da una terza componente a contribuzione
volontaria. Cfr. ATKINSON (1999), p.101; HOLZMANN (1999), p.203. Sulle garanzie
offerte dallo Stato cileno in tema di benefici minimi, si veda anche DIAMOND
(1999), p.12.
(148) Il significato di queste
obbligazioni era appunto quello di "riconoscere" le contribuzioni
effettuate nell'ambito del precedente sistema a ripartizione, costituendo la
base di partenza dei nuovi fondi previdenziali. I titoli pagavano un tasso
d'interesse del 4 per cento in termini reali - inferiore ai tassi vigenti sui
mercati finanziari - e non erano negoziabili sul mercato secondario fino al
1995. Cfr. EDWARDS (1998), p.50.
(149) Ibidem, Table 1.5, p.51.
(150) "Il risultato (degli
effetti generali di crescita esercitati dalla riforma delle pensioni) induce a
ritenere che la riforma possa avere incrementato il tasso di crescita di 1-3
punti percentuali all'anno. Se tale effetto dovesse risultare permanente, sulla
base di una stima molto grossolana il risultato induce a ritenere che tale
crescita consentirebbe al Cile di ripagare il debito della sicurezza sociale
reso esplicito, pari a circa il 100% del P.I.L., in un lasso di tempo compreso
tra 33 e 100 anni, senza imporre oneri alla generazione di transizione,
sempreché le risorse economiche supplementari possano essere acquisite dallo
Stato senza distorsioni e gli individui possano essere compensati in base al
vecchio percorso di crescita". HOLZMANN (1999), pp.265-266.
(151) "In 1984, for
example, administrative costs amounted to 9 per cent of wages, or 90 per cent
of contributions to the retirement system!". A distanza di dieci anni,
tuttavia, tale livello si era ridotto all'1 per cento dei salari, ovvero al 10
per cento dei contributi. In ogni caso, i costi comportati dal nuovo sistema si
mantengono intorno al 42 per cento al di sotto di quelli riferiti al sistema
precedente a ripartizione. Cfr. EDWARDS (1998), p.45. Sul problema dei costi
amministrativi e di gestione, si veda anche CALLUND (1999), p.531.
(152) EDWARDS (1998), p.45.
(153) "One of the most
important effects (of the Chilean pension reform, n.d.r.) is that it has
contributed to the phenomenal increase in the country's saving rate, from less
than 10 percent in 1986 to almost 29 percent in 1996". Ibidem, p.52.
(154) "Pension funds are
the largest institutional investors in the Chilean capital market, with assets
exceeding 40 percent of GDP, as compared to 0,9 per cent in 1981 (…) This has
helped create a dynamic modern capital market. What is perhaps more important,
however, is that it has allowed private firms to rely on long-term financing
for their investments projects". Ibidem, pp.53-54
(155) L'articolazione della
previdenza pubblica in di oltre 50 sistemi pensionistici differenti, ha
favorito a lungo i gruppi di pressione più introdotti, che sono così riusciti
ad ottenere dalla classe politica di volta in volta al potere dei trattamenti
di assoluto privilegio (un fenomeno analogo è stato riscontrato nei paesi
dell'Est europeo). Ciò ha convinto le autorità a sottrarre la materia
previdenziale, per quanto possibile, dal condizionamento politico: "It
was felt that if a pension scheme were to be successful, it would have to be
insulated, as far as possible, from political interference". CALLUND
(1999), pp.528-530.
(156) "Under the
traditional system, retirement requirements and pension levels were determined
in a discretionary fashion and, largely, responded to political influence.
Under the new system, the value of pensions depends on the amount of funds
accumulated (…) By relying on a capitalization system, it has greatly reduced -
if not eliminated - the labor tax component of the retirement system.
Currently, (most) workers see their contributions as a deferred compensation
rather than as a tax". EDWARDS (1998), pp.47 e 54.
(157) Nel 1996, l'Advisory Council
on Social Security nominato dal presidente Clinton con lo scopo di formulare
proposte di riforma della previdenza pubblica, ha diramato alcune
raccomandazioni in cui la maggioranza dei membri esprimeva un preciso favore
verso una forma di finanziamento a capitalizzazione, rispetto alla ripartizione
attualmente in vigore. Cfr. FELDSTEIN (1998), p.ix. Questo orientamento è stato
rilanciato recentemente nelle sedi istituzionali. Si riporta al riguardo un
passaggio tratto da un'audizione parlamentare del presidente dell'House Budget
Committee: "It is extraordinary to note that there is one thing that
every single witness today agrees on. This is something that the President and
all the members of the Social Security Commission agree on. This single point
of agreement is the investment of Social Security funds in the private
securities market (…) I firmly believe that investment will be the basis of the
eventual bipartisan compromise legislation that will be necessary to protect
and strengthen Social Security for the future". SMITH (Jun. 1999),
p.1. Sul ruolo propedeutico alla riforma della previdenza di un accresciuto
tasso di risparmio nazionale - che è una conseguenza implicata dal sistema a
capitalizzazione -, si richiama infine un recente giudizio di Alan Greenspan
(in parte già citato in nota al precedente paragrafo 5.3): "Eventually,
social security and Medicare will have to undergo reform. The goal of this
reform must be to increase the real resources available to meet the needs and
expectations of retirees (…) The only measures that can accomplish this goal
are those aimed at increasing the total amount of goods and services produced
by our economy. As I have argued many times before, any sustainable retirement
system - private or public - requires that sufficient resources be set aside
over a lifetime of work to fund an adequate level of retirement consumption.
(…) From this perspective, it becomes clear that increasing our national saving
is essential to any successful reform of social security or Medicare".
GREENSPAN (2000), p.1.
(158) "The term
"pension reform" will be used only to denote the switch from
pay-as-you-go (PAYG) schemes to fully-funded (FF) schemes. Reforms within
public PAYG schemes - e.g. a higher retirement age, a downward adjustment of
benefits - are left out (…) For analytical purposes, it seems important to
uphold the term "reform" for the fundamental paradigmatic departure
from the collectivist system towards a decentralised, individualistic solution".
MIHALYI (1999), p.7.
(159) Cfr. KOTLIKOFF - SACHS
(1997); KOTLIKOFF - SMETTERS - WALLISER (1998); FELDSTEIN - SAMWICK (1998);
MODIGLIANI - CEPRINI - MURALIDHAR (1999). Nei paragrafi che seguono si farà
riferimento allo studio di Feldstein e Samwick, che è particolarmente
strutturato nell'impostazione e dettagliato nello svolgimento e nelle
conclusioni. Si fa notare che l'indagine condotta da Kotlikoff e Sachs -
concorde nella sostanza con quella di Feldstein e Samwick - vanta il sostegno
di 70 economisti universitari americani, fra cui si annoverano 3 premi Nobel.
Quanto allo studio di Modigliani, Ceprini e Muralidhar, nel successivo
paragrafo 6.5 ne verrà descritta una versione applicata alla realtà italiana.
Di passaggio, non si può fare a meno di osservare che, secondo certe posizioni,
tutti questi casi costituirebbero una palese ostentazione di scarso
"acume" (si vedano, in proposito, le affermazioni di Somaini in nota
al precedente paragrafo).
(160) "I take the essence
of privatizing to be whether individuals are also given control over their own
investments". FELDSTEIN (1998), p.2.
(161) "Shifting to a
funded system would permit the existing 12,4 percent payroll tax to be replaced
in the long run by a payroll tax of about 2 percent because a funded system has
so much higher a rate of return than the implicit rate of return in a
pay-as-you-go unfunded social security program". FELDSTEIN - SAMWICK
(1998), p.215. Si osservi come questo risultato sia sostanzialmente in linea
con quello ottenuto da Modigliani nel suo studio, nel quale il risparmio
contributivo discendente dal passaggio alla capitalizzazione viene quantificato
in 19 punti percentuali: 22,5 punti per il PAYGO contro appena 3,5 per il FP: "Such
difference may seem impossibly large: how can the funded system deliver
pensions amounting to 22,5% of current wages with a contribution 19 percentage
points lower? The answer, of course, is to be found in the accumulation of
earning assets under the funded system". MODIGLIANI - CEPRINI -
MURALIDHAR (1999), p.12. I migliori risultati ottenibili nell'ambito di un
"funded system", in termini di risparmio contributivo e di
prestazioni più elevate, hanno un ulteriore autorevole riconoscimento: "A
funded system can finance part of benefits out of the excess of the rate of
return over the rate of growth times the level of funds. This helps to lower
future taxes for any level of benefits or to allow larger benefits for any
level of taxes". DIAMOND (1999), pp.8-9.
(162) "In a growing
economy with an unchanging age structure, an unfunded pay-as-you-go (PAYGO)
social security retirement system that is financed by a constant payroll tax
rate provides each cohort of participants with an implicit real rate of return
on their tax contributions equal to the aggregate rate of growth of the
economy". SAMUELSON, Paul (1958), in FELDSTEIN - SAMWICK (1998),
p.218.
(163) I ricercatori parlano di "marginal
product of capital" al lordo del prelievo fiscale ("pretax").
Si ipotizza infatti che lo Stato - "(…) just as the Treasury now
rebates the tax collected on social security benefits to the social security
trust fund" - retroceda sulle somme accantonate il prelievo fiscale
che, calcolato nella misura del 40 per cento su un tasso del 9, equivale ad una
sottrazione di 3,6 punti di rendimento. Per completezza di analisi, come verrà
accennato nel successivo paragrafo, si considera tuttavia anche l'eventualità
che ciò non accada, subordinando di conseguenza la capitalizzazione al tasso
nettato del prelievo fiscale, che scenderebbe pertanto al 5,4 per cento.
Ibidem, p.221.
(164) Ibidem, p.218.
(165) Il riferimento ai rendimenti
storici sperimentati sui mercati finanziari è condiviso da altri osservatori,
anche in considerazione dell'efficace protezione offerta soprattutto
dall'investimento azionario contro l'erosione inflazionistica: "La storia
economica recente rivela che i rendimenti reali realizzati dai mercati
finanziari sono stati superiori ai rendimenti impliciti offerti dai regimi a
ripartizione nella maggior parte dei paesi. Si può dunque sostenere che i
regimi a capitalizzazione possono massimizzare il tasso di rendimento netto per
un determinato livello contributivo o minimizzare il risparmio necessario nel
ciclo di vita per un determinato livello di prestazioni. (…) I fondi pensione
detengono una quota considerevole delle proprie attività in azioni al fine di
proteggersi dal rischio di inflazione. Diversi studi sul rendimento a lungo
termine degli investimenti azionari hanno dimostrato che le azioni possono
offrire una buona protezione contro l'inflazione". THOMAS (1999),
pp.296-297.
(166) Cioè: (411/2.600) * 0,124 =
1,96%.
(167) Sul problema particolarmente
avvertito dei costi amministrativi, si vedano: CASTELLINO - FORNERO (1999),
p.477; AARON - REISCHAUER (1999), p.8; CALLUND (1999), p.531; LINDBECK (1999),
p.125.
(168) "Valuing this as
$2,190 (= 2,600 - 411, n.d.r.) of additional consumption at age
forty-five, may understate its value to the individual, who may be able to
obtain a higher level of utility by saving some of that additional disposable
income". FELDSTEIN - SAMWICK (1998), p.219. Un effetto analogo è stato
positivamente sperimentato in Cile proprio in conseguenza della riforma
previdenziale.
(169) A questo proposito, i
ricercatori usano l'espressione "deadweight loss", per
significare una situazione di impiego inefficiente (waste) di risorse,
che potrebbe invece essere assai più proficuo se indirizzato sul mercato dei
capitali. Ibidem.
(170) "A deadweight loss
results from this tax because of the compensated change in individual labor
supply broadly defined (to include not only participation and hours but also
choice of job, degree of effort, location, etc.) and in the consumption of such
things as fringe benefits and better working conditions that are not part of taxable
payroll income". Ibidem.
(171) Tenuto conto dei 10,44 punti
di "componente fiscale" - come appena definita - del prelievo
contributivo, ed ipotizzando che la fiscalità locale e federale ammonti a 25
punti, consegue un onere complessivo a carico del contribuente di quasi 35,5
punti percentuali. Da precedenti ricerche è inoltre emerso che l'elevata
complessità della normativa previdenziale, soprattutto per quanto attiene al
rapporto fra contribuzione e benefici, ingenera nei contribuenti l'assimilazione
dell'intero 12,4 per cento di prelievo contributivo, e non solo di una sua
frazione, ad una vera e propria tassa. Ibidem, pp.219-220. Su questo aspetto
convergono i giudizi di altri osservatori: "Nei regimi pensionistici a
ripartizione il nesso tra contributi e prestazioni è tradizionalmente debole
per vari motivi: commistione tra funzione distributiva e funzione di risparmio
assicurativo a tutela del reddito degli anziani; imposizione al sistema di
funzioni relative al mercato del lavoro ed estranee al pensionamento (…) Gli
individui pertanto considerano i contributi sociali quasi come imposte, con
conseguenti distorsioni del mercato del lavoro e forme di evasione fiscale,
quali attività non regolamentate, offerta di forza lavoro distorta e incentivi
al pensionamento anticipato". HOLZMANN (1999), p.209. "I contributi
sono spesso insufficientemente collegati alle prestazioni, tanto da venire
considerati in generale come tasse". BUTI - FRANCO - PENCH (1999), p.75.
(172) Il "trust fund"
può essere definito come la differenza fra la somma dei contributi ricevuti, i
trasferimenti del Tesoro ("Treasury transfers") e gli
interessi maturati sul saldo del fondo stesso da un lato, e le erogazioni per
pensioni e costi amministrativi dall'altro. FELDSTEIN - SAMWICK (1998), p.228.
(173) Tale conclusione scaturisce
dalla proiezione del monte contributi riscosso annualmente durante l'intervallo
temporale indagato (1995 - 2071), in rapporto alle prestazioni erogate
all'interno del medesimo periodo. Si nota come la raccolta dei contributi passi
dai 363 milioni di dollari del 1995 ad oltre 953 milioni nel 2071, con una
crescita del 162 per cento. Di contro, il volume delle prestazioni impegnate si
espande in misura più pronunciata, passando dai 324 milioni di dollari nel 1995
ad oltre 1.457 milioni al termine del periodo osservato, con un incremento del
349 per cento. L'incrocio tra le due serie di dati si determina, appunto, con
l'azzeramento del "trust fund" in corrispondenza dell'anno
2030. Ibidem, Table 6.2, p.230. Questo risultato è in linea con altre
proiezioni attuariali: "Expenditures are expected to exceed tax revenue
starting in 2012, and without changes in the program the trust fund is likely
to be exhausted in 2029. Some combination of payroll tax increases and benefit
cuts, or a more radical restructuring of the program, will be needed to keep
Social Security solvent". TRIEST (1997), p.3. "The Advisory
Council projected that the Social Security trust fund will turn negative by the
year 2012, and will be depleted by 2030, at which point the government will
need to adopt alternative funding methods to meet its obligations". EL
BOGDADY (1997), p.1.
(174) Sulla base della consistenza
al 1995 della forza lavoro attiva iscritta nel sistema previdenziale pubblico ("covered
workers"), pari in quell'anno a 141 milioni di unità, si
ipotizza un trend in crescita che eleva il dato a circa 174 milioni
nell'anno 2071, con un incremento di circa il 23 per cento. Dal lato delle
erogazioni, si parte da una consistenza di pensionati ("beneficiaries")
pari a 43 milioni di unità nel 1995, che si eleva gradualmente fino a superare
la soglia dei 96 milioni nel 2071, con un incremento di oltre il 120 per cento.
Il rapporto fra le due grandezze ("support ratio"), pari a
3,27 nel 1995, registra pertanto una flessione costante lungo tutto l'orizzonte
temporale indagato, fissandosi a 1,80 nel 2071. FELDSTEIN - SAMWICK (1998),
Table 6.1, p.229. Questo deterioramento del rapporto fra lavoratori e
pensionati è una delle cause principali della prevista estinzione - in assenza
di interventi correttivi - del "trust fund" in corrispondenza
dell'anno 2030.
(175) "This measures the
extent to which the existing generation of employees is required in the first
year of the transition to pay for their own retirement, as well as for the
existing retiree benefits. It is clearly very much less than having to pay
twice the existing payroll tax (i.e., an additional 12,4 per cent), as some
critics of the privatization imply will happen". Ibidem, p.234.
(176) Ibidem, Table 6.5, pp.233-234.
L'ipotesi che sottende questa proiezione è quella di una sostituzione graduale
dei benefici finanziati attraverso la contribuzione ordinaria con quelli
finanziati attraverso i versamenti fatti nei MIRA, partendo da una quota
iniziale del 25 per cento. Detta quota viene elevata ogni anno di 3 punti
percentuali (il secondo anno passa al 28 per cento) fino a giungere alla
completa sostituzione dei benefici PAYGO con quelli derivanti dai MIRA.
(177) Si rimanda in proposito alle
argomentazioni contenute in nota al precedente paragrafo.
(178) Ibidem, Table 6.9,
pp.244-245.
(179) La rischiosità dei mercati
finanziari è ben evidenziata dalle oscillazioni dell'indice "Q-ratio"
(elaborato dall'economista statunitense James Tobin), dato dal rapporto fra il valore
di mercato delle attività fisiche delle società quotate e il costo di rimpiazzo
delle stesse. Nel periodo compreso fra il 1968 e il 1974 tale indice ha
registrato una flessione del 70 per cento, successivamente recuperata nel
periodo 1984 - 1995, con un incremento più che triplo. Ibidem, Fig. 6C1,
pp.261-262.
(180) "An individual who
is fortunate enough to save and contribute to an MIRA account during years when
the stock and bond markets are relatively low and to retire and dissave when
those markets are relatively high will enjoy a level of benefits greater than
those provided by the PAYGO social security system (as well as having paid a
much lower cost of financing that benefit). Conversely, an individual who
retires when the level of stock prices is relatively low will receive annuity
payments that are less than those provided by the PAYGO system if the MIRA
contributions are based on assumed 9 percent return". Ibidem, p.248.
(181) "The pay-as-you-go
system may become "insolvent", unable to keep its promises to
participants concerning the real value of contributions and benefits. (…) When
a scheme sets its contribution rates and benefits on the assumption of given
long-run growth rates and life expectancy, it follows that if growth slows or
life expectancy lengthens the system's revenue will no longer suffice to pay
promised pensions". MODIGLIANI - CEPRINI (1998), pp.181-182. "It
is clear that the existing system cannot pay the "promised" benefits.
Many younger persons say they believe that social security benefits will not be
there when they retire. Legislative proposals involve reducing all benefits,
taxing the benefits of higher-income recipients, and other changes that would
reduce the real value of the benefits for some individuals very substantially".
FELDSTEIN - SAMWICK (1998), pp.247-249. "Poiché i governi garantiscono le
passività con il loro potere impositivo, i regimi pubblici a ripartizione sono
esposti al rischio politico, in quanto i governi possono diventare
inadempienti, o elevare il livello dei contributi, per esempio a causa di
un'evoluzione sfavorevole della struttura demografica o delle finanze
pubbliche". THOMAS (1999), p.277.
(182) Peraltro, il consistente
risparmio contributivo reso possibile dalla capitalizzazione rappresenta già,
di per sé, un reale, tangibile aiuto alle categorie più deboli, assai più di
quanto possa dirsi per i contraddittori effetti redistributivi della
ripartizione.
(183) "This redistribution
is attenuated and in some cases reversed because of a variety of ways in which
low- and high-income individuals differ. Low-wage workers generally enter the
full-time labor force at an earlier age, have higher mortality rates, and are
more likely to be in two-earner families. Each of these characteristics reduces
the implicit rate of return on the household's social security taxes".
FELDSTEIN - SAMWICK (1998), p.245. Su questo aspetto concordano anche altri
autori: "Oltre al trasferimento dai giovani ai vecchi, la Sicurezza
sociale comporta un trasferimento dai meno agiati ai più agiati (…) I figli di
famiglie povere di solito cominciano a lavorare - e quindi a pagare i
contributi - a un'età relativamente precoce; i figli di famiglie con redditi
più alti tendono a cominciare più tardi. All'altra estremità del ciclo vitale, coloro
che guadagnano redditi bassi hanno una vita media più breve di coloro che
guadagnano redditi più alti. Il risultato netto è che i poveri tendono a pagare
i contributi per più anni dei ricchi e a ricevere benefici per meno".
FRIEDMAN (1994), p.107. "Workers with higher earnings tend to live
longer than lower earners. Therefore, in the absence of some corrective
mechanism, social security will redistribute from poor to rich".
DIAMOND (1999), p.13.
(184) E' definito tale un
trattamento di importo inferiore alla metà della media di tutti i trattamenti
all'interno di una determinata categoria.
(185) FELDSTEIN - SAMWICK (1998),
Table 6.11, p.252.
(186) Ibidem, p.247.
(187) Ibidem, p.253.
(188) "The MIRA system
would permit benefits to be maintained at the level provided by current law
with a long-run MIRA contribution rate of only 3,15 percent (instead of the
2,04 percent required to finance the level of benefits that would result from
maintaining the 12,4 percent payroll tax)". Ibidem.
(189) Nel sistema PAYGO, si passa
infatti dal 12,4 al 19,1 per cento, mentre per i MIRA il tasso di contribuzione
passa dal 2,04 al 3,15 per cento. In entrambe le ipotesi, il tasso di
incremento resta intorno al 54 per cento. Ibidem, Table 6.15, pp.253-258.
(190) Lo studio di Feldstein e
Samwick, esposto nel paragrafo precedente, ad esempio, è stato oggetto di un
attento esame da parte di Castellino e Fornero.
(191) La necessità di mettere a
confronto previdenza pubblica e privata su basi omogenee impone in questo caso
il riferimento al 1997. Questo è infatti l'ultimo anno per il quale è possibile
ricavare, dalla relazione della Commissione parlamentare di controllo, delle
serie complete di dati per entrambi i regimi pensionistici.
(192) Tale valore scaturisce dal
rapporto fra il totale delle prestazioni previdenziali, pari a 201.453
miliardi, ed il totale del monte retributivo imponibile, pari a 423.466
miliardi. Cfr. COMMISSIONE PARLAMENTARE DI CONTROLLO (2000), tav. 4.A, p.106;
tav. 4.B, p.112; tav. 4.C, p.118. Secondo alcune stime, inoltre, l'aliquota di
equilibrio è destinata a mantenersi intorno al 45 - 50 per cento, tanto per i
dipendenti del settore privato quanto per quelli statali, perlomeno fino al
2030. Cfr. CASTELLINO - FORNERO (1999), Table 1, p.479.
(193) Il confronto non è casuale.
Come accennato nel paragrafo 4.4, infatti, da circa sei anni, in virtù del
decreto legislativo n. 509 del 30 giugno 1994, le casse degli ordini
professionali hanno assunto personalità giuridica privata. Ciò significa che
l'attività istituzionale resta di rilevanza pubblica, mentre deve considerarsi
privata l'attività strumentale al conseguimento dello scopo, che viene svolta
con autonomia gestionale e finanziaria, pur nel rispetto di determinati
vincoli. Ciò ha consentito alle casse di raggiungere risultati gestionali
notevolmente superiori rispetto a quelli degli enti pubblici, come del resto è
stato riconosciuto anche a livello istituzionale: "In seguito al processo
di privatizzazione, e dunque all'autonomia gestionale, vi sono segnali di una
gestione più dinamica, che determina in via generale una tendenza al
miglioramento, con livelli di redditività in aumento. (…) Nel 1998 continua la
tendenza evidenziata negli anni più recenti, che si sostanzia in un aumento
della consistenza dei valori mobiliari, con una ricomposizione del portafoglio
a favore dei titoli obbligazionari, azioni e quote di fondi comuni (…) Sembra
dunque di poter dire che l'autonomia gestionale derivante dal processo di
privatizzazione abbia determinato una maggiore dinamicità nella gestione del
patrimonio mobiliare rispetto a quella degli Enti pubblici". COMMISSIONE
PARLAMENTARE DI CONTROLLO (2000), pp.17-19. Per una valutazione di dettaglio
dei regimi e delle performances delle casse privatizzate, cfr. CENSIS -
A.D.E.P.P. (2000). Va osservato peraltro che le casse sono in genere piuttosto
giovani. Rimane dunque l’incertezza sugli sviluppi che si avranno a
maturazione, considerato che il sistema di finanziamento adottato resta pur
sempre quello della ripartizione. Inoltre, le casse non hanno dovuto procedere
al pagamento di prestazioni in assenza di contributi iniziali, come invece è
accaduto agli enti pubblici con le prime generazioni.
(194) L'aliquota di equilibrio in
esame discende dal rapporto fra un totale delle prestazioni per 76 miliardi, ed
un totale del monte retributivo imponibile pari a 1.901 miliardi. Cfr.
COMMISSIONE PARLAMENTARE DI CONTROLLO (2000), tav. 4.A, p.101; tav. 4.B, p.107;
tav. 4.C, p.113.
(195) La normativa sulla
contribuzione alla cassa di previdenza dei dottori commercialisti prevede
un'aliquota di base del 6 per cento fino ad un massimale di 87,5 milioni, ed
un'aliquota ridotta, pari al 2, per cento sulla quota di reddito eccedente il
massimale.
(196) C.N.E.L. (2000), p.34.
(197) Tale valore scaturisce dal
rapporto fra il totale delle contribuzioni, pari a 127.810 miliardi, ed il
totale delle prestazioni erogate, pari a 201.498 miliardi. Cfr. COMMISSIONE
PARLAMENTARE DI CONTROLLO (2000), tav. 4.A, p.106; tav. 4.B, p.112.
(198) In questo caso, il valore
dell'indice scaturisce dal confronto fra i 207 miliardi di entrate
contributive, e gli 85 miliardi di prestazioni totali. Ibidem, tav. 4.A, p.101;
tav. 4.B, p.107. Si osservi peraltro come nel 1999 l'indice evidenzi una
dinamica lievemente sfavorevole, scendendo ad un valore di 2,35. Cfr. CENSIS -
A.D.E.P.P. (2000), tab. 29, p.178.
(199) Il tasso di natalità di un
paese dipende senz'altro da un insieme di fattori, fra i quali assume però una
rilevanza determinante il raggiungimento dell'indipendenza economica degli
individui. Di conseguenza, quanto maggiore è il "ritardo" con cui
avviene l'ingresso stabile nel mondo del lavoro, tanto più rischiano di restare
frustrati i desideri di maternità e di paternità che le giovani generazioni
comunque continuano a manifestare. Sotto questo profilo, sono evidenti le
responsabilità assunte dalla classe politica nel cercare di condizionare,
spesso con risultati contraddittori o controproducenti, le dinamiche produttive
ed occupazionali. Non è dunque condivisibile una certa logica
"interventista", secondo cui il tasso di natalità sia da ritenere
"influenzabile (positivamente, n.d.r.) da politiche sociali di
sostegno alle famiglie ed alle donne lavoratrici" (C.N.E.L. (2000), p.20).
E' invece molto probabile che proprio l'eccesso di regolamentazione - con forme
di inasprimento fiscale o contributivo prima, di analogo sgravio e di
decontribuzione poi, spesso con il risultato finale di generare una confusione
ulteriormente distorsiva delle relazioni economiche (su questi aspetti si
vedano: BRAMBILLA - LEONI (1998), pp.633-635; BOERI (2000), pp.14-17) -, tenda
a risolversi in un incentivo al lavoro sommerso "ritardando",
appunto, lo sviluppo di un'occupazione diffusa e regolare.
(200) Oltre alle stime
dell'Eurostat, è interessante considerare anche quelle elaborate di recente
dall'O.n.u., secondo le quali la popolazione italiana è destinata a scendere
dagli attuali 57 milioni a poco più di 41 milioni nel 2050. In termini
percentuali, ciò equivale a un decremento di 28 punti, il più alto fra i paesi
U.E., nonché rispetto ai paesi dell'Est europeo ed al Giappone. Cfr. U.N.
(2000), Table IV.14, p.45.
(201) In Italia è possibile
raggiungere un tasso di sostituzione (rapporto fra pensione e retribuzione
pensionabile) dell'ottanta per cento, a fronte di un tasso di circa il
cinquanta per cento negli Stati Uniti (il resto viene coperto dal risparmio
volontario individuale). Quel che è peggio, tuttavia, è che fino al 31 dicembre
1992 il computo avveniva su una media retributiva calcolata sugli ultimi cinque
anni lavorativi. Per maggiori dettagli si veda la nota seguente.
(202) Con la legge n. 335 dell'8
agosto 1995, cosiddetta riforma Dini, è stata sancita l'abolizione delle
pensioni di anzianità, che andranno ad estinguersi con coloro che avevano
versato i contributi alla data del 31 dicembre 1995. Per tutti quelli assunti
dopo tale data esisterà la sola pensione di vecchiaia, per la quale sono
richieste (art. 1, comma 20) le seguenti condizioni:
·
Età non inferiore a 57
anni (sia per gli uomini che per le donne);
·
Minimo contributivo
almeno pari a 5 anni;
·
Importo del trattamento
non inferiore a 1,2 volte l'ammontare annuo dell'assegno sociale.
Tuttavia, fino all'emanazione del decreto
legislativo n. 503 del 30 dicembre 1992, cosiddetta riforma Amato, la pensione
di anzianità veniva erogata al raggiungimento di una determinata soglia
contributiva (35 anni), indipendentemente dall'età anagrafica del contribuente,
ma soprattutto veniva rapportata alla retribuzione media degli ultimi cinque
anni lavorativi. Ciò ha dato luogo per anni all'erogazione di trattamenti
pensionistici totalmente svincolati da ogni logica di corrispondenza attuariale
con i contributi versati, e dall'aspettativa di vita residua del beneficiario.
Al riguardo, è stata valutata la posizione contributiva e pensionistica di un
immaginario soggetto che avesse iniziato a lavorare negli anni Sessanta, e che
fosse andato in pensione dopo il 1995. Ipotizzando di capitalizzare a tassi di
mercato la somma dei contributi versati complessivamente, e di rapportare il
montante così ricavato alla pensione calcolata in base alle norme vigenti, è
emerso che quanto accumulato sarebbe sufficiente a coprire appena i primi
quattro anni di pensionamento. Dopodiché, il soggetto è a carico della
collettività. Cfr. BRAMBILLA - LEONI (1998), p.628. Si osservi, inoltre, come
concentrare soprattutto negli ultimi anni della carriera lavorativa la base di
calcolo della pensione, possa risolversi nell'incentivo ad abusare di tale
metodo in forme dagli esiti talora drammatici: "Harmful to the
efficiency of the economy are the distortions of labor supply incentives and
the creation of incentives to manipulate the formula by concentrating earnings
in the small number of years that count for benefits. To give an example from
my home city of Boston, the subway system bases pensions on earnings (not base
pay) of workers at the end of their careers. As a result older workers do a
great deal of the overtime work in the system. This has caused accidents when
older workers, having put in too many hours, fall asleep at the control of
trains. One need not go so far as endangering lives to see that such systems
are harmful". DIAMOND (1999), pp.5-6.
(203) E' eloquente il caso della regione
Sicilia, dove nel 1997 si sono attinte prestazioni dalle casse dell'I.N.P.S.
per un controvalore di 14.484 miliardi, a fronte di appena 5.399 miliardi di
contributi, con un saldo negativo per l'istituto di previdenza di oltre 9.000
miliardi. Cfr. BRAMBILLA - LEONI (1998), p.628.
(204) A proposito delle pensioni
di invalidità - caratterizzate sovente da fenomeni di abuso - si osserva per il
1998 una marcata concentrazione nelle regioni Campania e Sicilia che, con
erogazioni per 2.181 e 2.097 miliardi rispettivamente, rappresentano circa il
23 per cento del totale liquidato a livello nazionale. Cfr. I.N.P.S. - I.STAT.
(2000), Table 1.1, p.52. Tale stato di cose riflette il ruolo (largamente
clientelare) che da anni l’istituto del trattamento di invalidità tende a
svolgere nel meridione d'Italia: "These pensions (disability pensions,
n.d.r.) have been largely used especially in the South as permanent
unemployment subsidy, with the obvious distortionary effects on
incentives". ALESINA - DANNINGER - ROSTAGNO (1999), p.6. Si segnala,
inoltre, l’interessante coincidenza con la distribuzione geografica dei lavori
socialmente utili (circa 130 mila iscritti secondo le ultime stime), che
risultano concentrati quasi per la metà proprio in Campania e Sicilia. Cfr.
BOERI (2000), p.11.
(205) Tale valore è in realtà
fortemente sottostimato. Secondo alcuni calcoli, al 40 per cento di cui sopra
andrebbero aggiunte le risorse - equivalenti ad un prelievo del 3 per cento -,
derivanti dai circa 9.000 miliardi che annualmente vengono dirottati dalla
Gestione prestazioni temporanee dell'I.N.P.S. (assegni familiari, cassa
integrazione, malattia, maternità etc.) al pagamento delle pensioni nel Fondo
Lavoratori Dipendenti. Si consideri inoltre che in tale fondo confluiscono
circa 27 mila miliardi all'anno da parte dello Stato per il pagamento delle
pensioni ai dipendenti, equivalenti a loro volta ad un'ulteriore aliquota
"virtuale" del 9 per cento, calcolata sui 300 mila miliardi che
costituiscono il monte reddituale. Se poi si includono nel conteggio i quattro
punti di contribuzione volontaria ai fondi (2 a carico del lavoratore e 2 a
carico dell'impresa), addizionali rispetto al conferimento del t.f.r., si
raggiunge un'aliquota contributiva da capogiro del 56,1 per cento. Cfr. DE
BLASIO - PERUZZI (2000), p.18.
(206) I 7,41 punti di t.f.r.
risultano dalla determinazione dell'accantonamento così come prevista
dall'art.2120 c.c., che dispone il calcolo del rapporto fra la retribuzione
totale annua e un numero di mensilità convenzionalmente pari a 13,5 (1/13,5 =
7,407%).
(207) Il riferimento è agli studi
di Modigliani - Ceprini, Castellino - Fornero, ed alla relativa valutazione -
sotto diversi aspetti critica - con la quale si è recentemente espresso il C.N.E.L.
attraverso un proprio rapporto curato dal Gruppo di lavoro Mercato Sociale.
(208) Su questo aspetto ha
ritenuto di manifestare il proprio scetticismo il gruppo di lavoro del
C.N.E.L.. Sulla base di serie storiche riferite a diversi paesi su un arco temporale
piuttosto ampio, è stato infatti posto in discussione l'assunto secondo cui i
tassi di mercato debbano eccedere sistematicamente i tassi di crescita
economica e, con esso, la presunta superiorità della capitalizzazione sulla
ripartizione. Cfr. C.N.E.L. (2000), p.11 e ss.
(209) Cfr. MODIGLIANI - CEPRINI
(1998), p.194.
(210) Cfr. MODIGLIANI - CEPRINI
(1999), p.7.
(211) Si parla di circa
sessant'anni, fra periodo contributivo (quaranta anni) e pensionamento
(vent'anni). Ibidem.
(212) Ibidem. Si osservi come non
sia agevole riuscire a sintetizzare correttamente la proposta Modigliani -
Ceprini, in considerazione dei ripetuti interventi comparsi a brevi intervalli
di tempo sulla stampa, sulle riviste specialistiche, e nella forma di atti di
convegni. Secondo una prima impostazione, l'aliquota finale si sarebbe dovuta
aggirare intorno al 6 per cento, con tutta probabilità escludendo
l'accantonamento al t.f.r.: "After some time (in the order of several
decades) the income of the NF will have grown to the point where it is
sufficient to pay all the pensions due, and the levies of the I.N.P.S. can be
abolished altogether. At that point, compulsory retirement saving will
effectively consist of a single fund, the NF, and the transition from
pay-as-you-go to a fully funded system will be completed, with the result that
the total contribution will have shrunk from around 30% to something of the
order of 6%". MODIGLIANI - CEPRINI (1998), p.194. In base ad una più
recente formulazione, esposta per grandi linee sul Corriere della Sera,
l'aliquota definitiva a regime dovrebbe stabilizzarsi intorno al 15 - 16 per
cento, compreso il t.f.r. Cfr. MODIGLIANI (2000), p.1.
(213) All'art. 1, comma 9 della
legge 335/1995 si dispone espressamente che "il tasso annuo di capitalizzazione
è dato dalla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (P.I.L.)
nominale, appositamente calcolata dall'Istituto Nazionale di Statistica
(ISTAT), con riferimento al quinquennio precedente l'anno da rivalutare".
(214) "Defined Benefit eliminates
the possibility of significant disparities in pensions for equal contribution,
which arises, under Defined Contribution, as a result of differences in
portfolio returns. While yield differences are acceptable and normal in the
sphere of voluntary saving, they are unacceptable in a compulsory pension
scheme, especially for low-income workers (…) In the end, the State may have to
bear some risk. But this is a price worth paying to minimize the risk of
participants, as the State can bear the risk much better". MODIGLIANI
- CEPRINI (1998), pp.197-198.
(215) "This further
suggestion is inspired by the British pension reform, to allow private
enterprises to offer pension schemes as an alternative to the second public
funded scheme, provided they guarantee (credibly) a return at least equal to
that guaranteed by the public funded scheme. Each private firm that decided it
could outperform the state scheme, would reduce the proportion of pension funds
managed by the social security administration. (…) it would provide competition
to the NF which would otherwise be in the position of a monopolist".
Ibidem, p.199. Questo orientamento contraddistingue anche la proposta
cosiddetta dei "conti di welfare", avanzata da altri
osservatori e mirata "a fare del sistema di welfare un'area aperta
alla concorrenza, ossia a dare a entrambi i settori (pubblico e privato, n.d.r.)
la possibilità di entrare nel mercato di questi servizi. Se ciò accadesse, i
consumatori sarebbero in grado di scegliere chi debba fornire e finanziare i
loro servizi sociali". ORSZAG - SNOWER (1999), p.184.
(216) "Vi è un grande rischio
che i sistemi di sicurezza sociale a capitalizzazione gestiti dalla mano
pubblica diventino prima o poi di fatto sistemi a forte controllo pubblico sia
sui mercati finanziari sia sulle singole imprese. Per i politici è molto più
facile utilizzare uno strumento già esistente, vale a dire i fondi istituiti
dallo Stato, per esercitare un controllo sul mercato finanziario e sulle
imprese, piuttosto che avviare una nazionalizzazione esplicita con la
dichiarata finalità di assumere il controllo del settore privato".
LINDBECK (1999), p.126.
(217) "Un sistema
pensionistico a parziale capitalizzazione fornirebbe ai futuri pensionati una
migliore protezione dagli shock demografici simmetrici cui sono esposti
tutti i paesi europei". HOLZMANN (1999), p.212. "With PAYG
financing, the required contribution is much too susceptible to small and very
plausible changes in prospective growth and therefore cannot provide the basis
for a reliable system, that is one that is not continuously threatened by major
crises, such as the current one". MODIGLIANI - CEPRINI - MURALIDHAR
(1999), p.11. "PAYG, relying on population and productivity increases,
is vulnerable both to shocks affecting these parameters". CASTELLINO -
FORNERO (1999), p.476. Si vedano, inoltre, BUTI - FRANCO - PENCH (1999), p.69;
LINDBECK (1999), p.118. E' stato notato, peraltro, come l'indipendenza dei
sistemi a capitalizzazione dal tasso di crescita demografica non sia assoluta.
Il disinvestimento delle attività necessario a finanziare i consumi nell'età
del pensionamento, infatti, è subordinato alla disponibilità da parte delle
nuove generazioni di acquistare a loro volta quelle attività. Tale
disponibilità, evidentemente, sarà tanto maggiore quanto più nutrita sarà la
schiera dei lavoratori in rapporto al numero dei pensionati. Cfr. B.C.E.
(2000), p.68.
(218) "The income of the
funded plan gives a rough gauge of the contribution of pension savings to
national income". MODIGLIANI - CEPRINI (1998), p.196. Sul contributo
dei sistemi a capitalizzazione nell'accrescere il risparmio nazionale, si veda
anche B.C.E. (2000), p.68.
(219) La proposta Castellino -
Fornero si articola sostanzialmente in una sorta di parziale via di uscita dalla
previdenza obbligatoria ("opting out") riconosciuta ai giovani
lavoratori, nella forma di una minore contribuzione di circa 8 punti, dal 32,7
al 25 per cento. Il risparmio contributivo in tal modo conseguito verrebbe
destinato a forme previdenziali integrative a capitalizzazione. La perdita di
gettito per il sistema a ripartizione avrebbe l'effetto di accrescere il deficit
delle gestioni pensionistiche in una misura che raggiungerebbe il valore
massimo del 2 per cento del P.I.L. dopo i primi quarant'anni. Tuttavia, la
superiore performance attesa dalla capitalizzazione dovrebbe consentire
l'ulteriore riduzione dell'aliquota obbligatoria intorno al 18 - 20 per cento
da un lato, e l'azzeramento di tale deficit nell'arco di circa
sessant'anni dall'altro. Cfr. CASTELLINO - FORNERO (1999), pp.471-485. Si
osservi come il risparmio contributivo di 8 punti teorizzato in questo schema
coincida sostanzialmente con quello contenuto in una proposta analoga formulata
da altri autori (si parla di 7,7 punti), e basata anch'essa sull'ipotesi di una
maggiore redditività attesa da uno schema a capitalizzazione. Cfr. BRAMBILLA -
LEONI (1998), pp.625-653.
(220) "Under reasonable
assumptions, it can be shown that the introduction of a PAYG system reduces
savings, capital formation and therefore potential GDP. Conversely, a switch
from PAYG to funding, under the same set of assumptions, has the opposite
effect". CASTELLINO - FORNERO (1999), p.475.
(221) "The reliance on tfr
diversion essentially means reallocating a given supply of saving, while, in
the contracting-out case, increased taxation (…) and the connected reduction in
households' disposable income raise the likelihood of a positive effect on
saving". Ibidem, p.485.
(222) A fronte di richieste
unanimi di fissazione del prelievo fiscale sui proventi di gestione dei fondi
intorno al 6,25 per cento (pari alla metà dell'aliquota attualmente vigente del
12,5 per cento), il governo si è limitato a riconoscere un sconto di appena un
punto a mezzo, fissando il prelievo all'11 per cento. Inoltre, lo stesso
duplice limite assoluto di 10 milioni, e percentuale di 12 punti sul reddito
complessivo (art. 1, comma 1, lett. a del Dlgs. 47/2000), in ordine alla
deducibilità dei contributi previdenziali, è stato giudicato insufficiente da Assoprevidenza
(l'associazione di rappresentanza dei fondi pensione italiani). Per maggiori
dettagli in proposito, si vedano le note seguenti.
(223) L'istituzione dei fondi
pensione ha avuto luogo con l'emanazione del Dlgs. n. 124 del 21 aprile 1993,
attuativo della delega contenuta nell'art. 3 della legge n. 421 del 1992. Da
allora, tuttavia, i fondi pensione hanno stentato a conquistarsi una
collocazione significativa nell'ambito della previdenza complementare. Secondo
recenti stime del Sole-24 Ore, l'adesione ai fondi pensione chiusi ammonta a
762.790 posizioni individuali aperte, con un'incidenza percentuale sul totale
degli addetti che si colloca intorno al 6,1 per cento. Cfr. PERUZZI (giugno
2000), p.19.
(224) Per ovviare alla situazione
di impasse descritta nella nota precedente, il governo è intervenuto con
la legge n. 144 del 17 maggio 1999, in cui per la prima volta si disponeva
proprio l'impiego del t.f.r. nei fondi pensione. La forma tecnica di tale
impiego veniva successivamente individuata, con il Dlgs. n. 299 del 17 agosto
1999, nella trasformazione in titoli del t.f.r. da parte delle imprese
(cosiddetta cartolarizzazione), al fine di mitigare l'onere gravante su di esse
in termini di un esborso di rilevanti proporzioni, unito alla perdita di una fonte
di finanziamento strategica a basso costo. Malgrado le nuove disposizioni, la
cartolarizzazione del t.f.r. non è comunque riuscita a partire anche a causa
dell'incertezza ingenerata dallo stesso governo, che poco dopo l'emanazione del
decreto citato già anticipava un nuovo intervento normativo in materia,
puntualmente arrivato con il recente Dlgs. n. 47 del 18 febbraio 2000.
(225) All'art. 5 del Dlgs. 47/2000
si stabilisce che, per i fondi a contribuzione definita, l'aliquota agevolata
dell'11 per cento "si applica sul risultato netto maturato in ciascun
periodo d'imposta. Il risultato si determina sottraendo dal valore del
patrimonio netto al temine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta
sostitutiva, aumentato delle erogazioni effettuate per il pagamento dei
riscatti, delle prestazioni previdenziali e delle somme trasferite ad altre
forme pensionistiche, e diminuito dei contributi versati, delle somme ricevute
da altre forme pensionistiche nonché dei redditi soggetti a ritenuta, dei
redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta, i proventi maturati
derivanti da quote o azioni di organismi di investimento collettivo del
risparmio soggetti ad imposta sostitutiva e il valore del patrimonio stesso
all'inizio dell'anno". Dal tenore della norma, se ne deduce che questi
ultimi proventi sono soggetti al regime ordinario del 12,5 per cento, e non a
quello agevolato dell'11. Ciò significa che le operazioni corrispondenti devono
essere registrate separatamente, al fine di tenere distinti gli ambiti di applicazione
delle due aliquote. In pratica, secondo Assoprevidenza i fondi dovrebbero
dotarsi di banche dati "maggiori di quelle del Pentagono". Cfr.
SABBATINI (2000), p.37.
(226) Ai sensi dell'art. 1, comma
1, lett. a, del Dlgs. 47/2000, "se alla formazione del reddito complessivo
concorrono redditi di lavoro dipendente, relativamente a tali redditi la
deduzione compete per un importo complessivamente non superiore al doppio della
quota di t.f.r. destinata alle forme pensionistiche collettive istituite ai
sensi del Dlgs. 124/1993". E' chiara la determinazione del governo di
favorire i fondi di categoria attraverso un corrispondente vincolo di
destinazione del t.f.r. imposto ai lavoratori dipendenti, ai quali viene quindi
sottratta la libertà di privilegiare eventualmente un fondo aperto. Inoltre, ai
sensi dell'art. 10, comma 3-bis del Dlgs. 124/1993, "la facoltà di
trasferimento dell'intera posizione individuale dell'iscritto stesso presso
altro fondo pensione" può essere esercitata "non prima di cinque anni
di permanenza presso il fondo da cui si intende trasferire limitatamente ai
primi cinque anni di vita del fondo stesso, e successivamente a tale termine
non prima di tre anni". L'imposizione di un periodo di giacenza minima si
configura anch'essa come un forte limite alla libera destinazione da parte del
lavoratore dei propri accantonamenti alle forme di impiego giudicate più
remunerative. Anche ciò, probabilmente, concorre a spiegare la scarsa
attrattiva esercitata fino ad oggi dai fondi pensione.
(227) Le critiche avanzate da
Modigliani alla manovra del governo colpiscono per la forza delle espressioni
usate: il decreto viene definito "dannoso ed irresponsabile", i cui
errori delineano una prospettiva "rabbrividente" dagli effetti
potenzialmente "devastanti" per il futuro del paese. Cfr. MODIGLIANI
(2000), p.1. Ad esse ha fatto seguito l'immediata replica dell'allora
presidente del Consiglio Massimo D'Alema che, nel difendere la propria riforma,
ha chiaramente spiegato che l'auspicata riduzione della contribuzione
obbligatoria potrà aver luogo solo "a riforma completata". Cfr.
D'ALEMA (2000), p.1. Probabilmente, il decollo ed ancor più il consolidamento
del secondo pilastro complementare stenteranno non poco, dovendo scontare il
costo di una previdenza obbligatoria che non accenna a scendere e che in
pratica dimezza i redditi dei lavoratori.
(228) B.C.E. (2000), p.67.
(229) Cfr. MODIGLIANI - CEPRINI
(1998), p.194.
(230) Cfr. FRIEDMAN (1994),
pp.123-124.
(231) Cfr. B.C.E. (2000), p.69. In
proposito, si vedano anche le considerazioni in nota al paragrafo successivo.
(232) Nel 1999 la spesa
complessiva per pensioni (vecchiaia, superstiti e invalidità) è stata pari a
333.986 miliardi, di cui 245.829 per le sole pensioni di vecchiaia, con
un'incidenza sul totale della spesa sociale (pari a 528.956 miliardi)
rispettivamente del 63,1 e del 46,5 per cento. Cfr. A.N.I.A. (2000), p.28.
(233) Vengono definite tali quelle
riforme che mantengono invariata l'impalcatura del sistema previdenziale,
limitandosi a intervenire sui parametri fondamentali, come l'età minima per il
diritto al pensionamento, il tasso di sostituzione o le regole di
indicizzazione. Cfr. B.C.E. (2000), p.65.
(234) Si tratta in effetti di una
delle osservazioni emerse nel corso della presentazione del rapporto del
C.N.E.L. (2000). Il sistema a ripartizione ha natura fiscale e redistributiva
perché alla riscossione dei contributi non fa seguito alcun investimento di
quelle somme in funzione assicurativa.
(235) Sulle riforme restrittive
delle prestazioni sociali in Europa, avviate al fine di contenere l'incidenza
dei relativi costi su bilanci statali, cfr. BUTI - FRANCO - PENCH (1999), p.64
e ss.
(236) "An efficient public
sector should be able to achieve the state's objectives with the minimum degree
of distortion of the market, with the lowest burden of taxation on the
taxpayers, with the smallest number of public employees, with the lowest absorption
of economic resources by the public sector, and in general with the smallest
constraints on the market". TANZI (Mar. 2000), p.22.
(237) "Globalization tends
to raise the share of trade in gross domestic products and, as a consequence,
to expose inefficient sectors or industries to greater foreign
competition". TANZI (Jan. 2000), p.14.
(238) Si tratta di uno dei
principali segnali di debolezza della nostra economia: nel corso degli anni
Novanta, il tasso di crescita degli investimenti registrato in Italia è stato
praticamente nullo (0,1 per cento), a fronte di un tasso di crescita media
rilevato in Europa dell'1,3 per cento. Cfr. ROSSI (1999), p.676.
(239) "L'abbassamento del
tasso di crescita dell'economia è connesso con il forte, progressivo aumento,
prolungato per due decenni, della pressione fiscale. Non vi ha corrisposto un
miglioramento della qualità della spesa. Non sono stati compiuti avanzamenti
rilevanti nell'efficienza e nell'efficacia dell'Amministrazione". FAZIO
(2000), p.31.
(240) Per una discussione
approfondita di questi argomenti, si veda BOERI (2000).
(241) Una consistente parte di
responsabilità di questo stato di cose va attribuita alle posizioni assunte dal
sindacato: "Il vero problema è che i conflitti intergenerazionali imposti
dal mantenimento delle pensioni di anzianità non vengono resi espliciti. E
dunque il sindacato ha buon gioco a difendere una sempre più esigua minoranza
dei propri iscritti (i pensionandi di anzianità) fingendo di agire negli
interessi di tutti i lavoratori". Ibidem, p.92.
(242) "Siamo il paese in
Europa in cui i trasferimenti dello Stato al quinto più povero della
popolazione sono maggiormente contenuti. Il 30 per cento più povero della
popolazione riceve poco più del 10 per cento dei trasferimenti sociali contro
il 30 per cento nella media dell'Unione Europea. (…) Conseguenza, in Italia chi
è povero sta relativamente peggio che altrove: la povertà estrema è più estrema
che altrove". Ibidem, pp.5-6. Il problema di un'efficace tutela delle
categorie svantaggiate è comune agli altri paesi europei, e la causa principale
è sempre la stessa: chi non ha peso politico è destinato a vedere i propri
interessi sopravanzati da quelli dei ceti sociali maggiormente introdotti:
"Quando i governi europei tentano di ridimensionare il welfare state,
si lasciano spesso guidare dagli interessi delle componenti elettorali
dominanti. Perciò i tagli hanno inciso prevalentemente sui servizi destinati
alle fasce povere e svantaggiate (che sono relativamente ininfluenti sul piano
elettorale), mentre hanno lasciato relativamente intatti i servizi diretti alla
classe media (come le pensioni e l'istruzione)". ORSZAG - SNOWER (1999),
p.179. In proposito, si veda anche KESSLER (1999), p.440.
(243) "Non sono vere e
proprie norme giuridiche nel senso preciso e pratico della parola, ma sono
precetti morali, definizioni velleitarie, programmi, propositi, magari
manifesti elettorali; magari sermoni". CALAMANDREI, Piero, seduta dell'11
marzo 1947, in F.I.A.P. (Federazione Italiana Associazioni Partigiane), La
Costituzione ha cinquant'anni. I discorsi alla Costituente, Milano 1995, in
GALLI DELLA LOGGIA (1999), p.188. Su questo aspetto della nostra Costituzione,
si richiama anche un altro giudizio dai toni analogamente critici: "Una
certa ridondanza di affermazioni astratte, di formule vaghe, esortative, a
volte perfino retoriche, di enunciazioni ideali che, magari nobilissime,
appaiano tuttavia prive di quel tagliente e preciso rigore delle norme
giuridiche, da cui scaturiscono diritti e obblighi ben definiti. (…) A ben
guardare, la distinzione posta in anni non troppo lontani dalla giurisprudenza
fra norme costituzionali "precettive" e norme
"programmatiche" tradiva spesso l'intento di limitare il significato
innovatore della Costituzione, riducendo le cosiddette norme programmatiche a
enunciazioni ideali prive di qualsiasi influenza sul piano giuridico".
GALANTE GARRONE, Alessandro, in DE FELICE (1979), p.182.
(244) "Nella fase
costituzionale, lo stato si configura come l'agenzia o l'istituzione che garantisce
la conformità, ed è esterna - da un punto di vista concettuale - alle parti
contraenti, con la sola responsabilità di far rispettare i diritti e le
rivendicazioni pattuiti, e insieme i contratti che hanno ad oggetto le
transazioni di questi stessi diritti, volontariamente negoziati. In questo
ruolo "protettivo", lo stato non produce "bene" o
"giustizia", in quanto tali, come qualcosa di diverso da ciò che è
indirettamente compreso in un regime di esecuzione contrattuale. Per dirlo più
chiaramente, non si può concepire lo stato come una qualche rappresentazione
collettiva di ideali astratti, che prende forma al di sopra e al di là
delle realizzazioni degli individui. Quest'ultimo concetto è e deve restare
estraneo ad ogni visione o modello contrattuale o individualistico di ordine
sociale". BUCHANAN (1998), pp.146-147.
(245) "If the proper
economic role of the state in a market economy requires the protection of the
property rights of individuals, as much recent literature has argued, the
Italian Constitution, at least in its formal declarations, is surely reluctant
to assign that role to the state. It should, thus, not be surprising that
economic policies and institutions in Italy have developed in line with the
Italian Constitution and have, at times, allowed policies (rent controls,
expropriation of land with very low compensation, etc.) that are not consistent
with the principle of protection of property rights or with the development of
the market. This may also explain why Italy has one of the lowest scores, in
terms of "economic liberty", among the many countries assessed by the
experts of the Economic Freedom Network". TANZI (Mar. 2000), p.9.
(246) Soprattutto
all'interventismo statale che prende la forma di spese poco giustificate da
reali esigenze economiche - con conseguenti effetti di spiazzamento
dell'offerta privata -, si cercò di porre un argine attraverso il divieto,
contenuto nell'articolo 81, di disporre, successivamente alla legge di
bilancio, leggi di spesa prive di copertura finanziaria. Norma, questa,
improntata al senso del buon governo che si coglie nelle parole del suo
ispiratore: "Se, poi, il disegno di legge non è corredato della
segnalazione dei mezzi di copertura della spesa eventualmente richiesta per la
applicazione - e le proposte le quali non importino spesa sono rarissime e,
salvo eccezioni ancora più rare, fraudolente - esso è una mera dichiarazione
retorica di voler fare qualcosa che al tempo stesso si riconosce non potere o
non volere intraprendere". EINAUDI (1974), pp.203-204. E' noto, tuttavia,
che negli anni recenti tale argine è stato sistematicamente aggirato attraverso
il meccanismo della legge finanziaria, introdotta nel nostro ordinamento con la
legge 5 agosto 1978, n. 468, con il fine precipuo di ovviare agli inconvenienti
connessi con la "rigidità" del bilancio. La rigidità in questione
era, appunto, la tendenza al pareggio del bilancio dello Stato che l'articolo
81 sanciva costituzionalmente, stimolando in tal modo il senso di
responsabilità nell'amministrazione pubblica. Per un approfondimento di questi
argomenti, si veda MARTINO (1997), p.58 e ss. In questa sede, tuttavia, non si
può fare a meno di osservare che il criterio di sana amministrazione che il
Parlamento italiano ha cercato di eludere, è tornato prepotentemente di
attualità attraverso le disposizioni contenute nel Patto di Stabilità sancito
ad Amsterdam il 17 giugno 1997, e come tali vincolanti per tutti i paesi
aderenti all'Unione Economica e Monetaria. In presenza di condizioni economiche
normali, infatti, i governi sono tenuti a realizzare consistenti avanzi
primari, sia pure nell'ambito della regola del "quasi pareggio", che
consente di mantenere gli stabilizzatori di bilancio senza superare un
disavanzo del 3 per cento in caso di recessione. In proposito, così recita
l'ultimo periodo del punto primo del Patto di Stabilità: "Adherence to
the objective of sound budgetary positions close to balance or in surplus will
allow all Member States to deal with normal cyclical fluctuations while keeping
the government deficit within the reference value of 3% of G.D.P" EUROPEAN
COMMISSION (1999), p.113.
(247) Il riferimento è all'omonima
opera di von Hayek, in cui si afferma, in sostanza, che il progresso
dell'umanità dipende, tanto nella sua evoluzione, quanto, e soprattutto, nella
sua salvaguardia, dal cosiddetto "ordine esteso della cooperazione umana
(…) che non è derivato da un disegno o da un'intenzione umana ma è un risultato
spontaneo". Cfr. HAYEK (1997), p.33. Viene in tal modo negata ogni consistenza
all'idea che i principi della morale possano essere prodotti della ragione, e
che quindi un'autorità in qualsiasi modo definita possa pretendere di imporre
regole di condotta uniformi alla collettività in funzione di una
"riprogettazione della nostra morale tradizionale, del nostro diritto e
del nostro linguaggio". Ibidem, p.121.
(248) "We will need to
recognize that the common authority of secular societies such as Italy, Texas,
and the United States cannot be derived either from God or from sound rational
argument. It must instead by default be derived from moral agents, persons. To
recognize persons as the source of secular morality that can bind moral
strangers is also to understand the importance in our contemporary world of
both the free market and limited democracies. (…) The limits of secular moral
reason lead not only to the recognition of limited democracies as morally
inescapable, but to the recognition as well that national societies cannot
be moral communities. They must instead be civil societies within which
diverse moral communities and individuals of diverse moral commitments by
default have a moral right peaceably to pursue their own understandings of
human flourishing". ENGELHARDT (2000), pp.3 e 6. "Se la civiltà è
il risultato di cambiamenti graduali e non voluti nella moralità, allora, per
quanto si possa essere riluttanti ad accettarlo, nessun sistema universalmente
valido di etica può essere da noi conosciuto. (…) La realtà è che meritano il
nome di morale soltanto quelle regole generali e astratte che ciascuno deve
prendere in considerazione nelle decisioni individuali in accordo con scopi
individuali". HAYEK (1997), pp.53 e 118.
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