html xmlns:o="urn:schemas-microsoft-com:office:office" xmlns:w="urn:schemas-microsoft-com:office:word" xmlns="http://www.w3.org/TR/REC-html40"> Eccomi

Eccomi.

Non dormo da tre giorni.

Qualcosa sta cambiando, non so cos’ è, mi colpisce e mi sfegia dall’interno, si gonfia e si sgonfia come plumbeo orgoglio o come accecante dorato orgoglio, non so.

Cerco di localizzare il centro di questo sgomento dolore.

Eccomi.

Sto cambiando. Cazzo, è l’unica cosa che ho mai fatto da quando ho creduto di esistere in questo sogno collettivo che chiamiamo mondo che chiamiamo realtà che chiamiamo merdadivita.

Cos’è che non mi vuole lasciar stare? Chi è questo demone maledetto? Chi sei? Cosa sei?

Non capisco.

Sono solo e cerco solitudine, voglio amicizia amore comprensione e genero vomitando paura e odio.

Modello la mia disperzione.

Accarezzo il gatto dagli occhi d’agata che languido vive sornione nella mia anima, ascolto attento il disperato e antico frenetico regale battito d’ali d’ancestrale corvo che nero veglia su di me.

Allineo le mie speranze e le bendo, le lego per poi poter sparar loro senza vederle negli occhi. Forse piangono.

Ecco i miei sogni sgozzati. Ci sono tracce di sangue sui miei vestiti e sulle mie mani.

Eccomi.

Ho freddo.

Accendo  una sigaretta dal sapore di noia.

Annego nello spleen che qualche mio nero nascosto organo secerne. Ha un buon sapore, mi ci sono affezionato, me ne nutro come facevo tanto tempo fa con quel bianco veleno mammellare. Anche il gusto me lo ricorda.

Chiudo gli occhi e cerco di non pensare a nulla. Ogni piccolo inutile pensiero allontano dalla mia coscienza, li giustizio uno dopo l’altro non appena bussano all’uscio della mia essenza.

Ho scoperto il colore della bile.

Il buio non aiuta, ma mi fa sentire a casa. Il silenzio non aiuta, ma è mia scelta.

Capisco che pensare o non pensare è la stessa cosa; probabilmente anche azione e inazione seguono la medesima oscura regola. Quest’inquietudine melanconica non ha nulla a che fare con pensiero, quindi. Diomisalvi.

Eccomi.

Sono solo sempre, soprattutto quando circondato dalla folla; l’unica mia compagna in questi strani malati giorni è questa sensazione di inettitudine al tutto, questa così piena sensazione di  disperazione – forse quasi angoscia – questa gelida coperta che materna mi copre durante le notti del mio inverno. Verrà primavera? E l’estate? Non più.

Che farò?

Mi rifugerò nell’alcool – sorsate d’incoscienza lucente.

La droga mi scalderà mentre calmo mi avvicinerò al limite estremo dell’abisso di cui  spesso mi diverto a  sondare l’invisibile fondo inutile.

La voglia di non far nulla unita alla consapevolezza della mia incapacità di non far niente mi cullerà mentre mi rifugerò nei mondi di perfetta fantasia generati da menti d’ individualità che riposano marcie e corrotte sotto metri e metri di verde terreno brulicante di vermi ormai grassi.

Sono stanco. Non voglio più stare qui.

Quest’anima è vecchia.

Eccomi.

Se dio esiste, non permetterà che io viva. Non permetterà a questo mondo di salvarsi.

Mi annienterò dolcemente, sarà come addormentarmi…annegare piano, senza paura, in oscure profondità di mistero. Come una nave affondata, tranquillo mi inabisserò in attesa di trovare il fondo e adagiarmici sereno su un fianco.

E se questa terribile dilaniante scorante nera  sensuale ancheggiante sensazione mi rincorresse anche al di là delle porte? Se osasse seguirmi anche nel regno di quello splendido dio chiamato Oblio? Fottuto shakespeariano amletico antico dilemma.

Cristo. Allora davvero sarei all’inferno in cui nessuno crede, perché non esiste, ma ch’io inventerei apposta per l’occasione. 

Eccomi.

Mi sento invischiato legato fuso a questa nebbiosa e vaga sensazione come una Ofelia dai ramati capelli confusi a fili d’erba morta, intrappolata a ninfee e giunchi di stagno verdastro tra cui splendida giace.

Eccomi.

Non apro la finestra da tre giorni.

Fuori di qui il mondo potrebbe essere svanito, e non me ne importerebbe nulla.

Potrei essere l’unico essere vivente di questo mondo.

Non sento nessuno da almeno una settimana. Perfetto. Sto cadendo.

Da quant’è che non mangio? Non ricordo.

Per avere una riprova del fatto che ancora esisto smetto di pensare, raccolgo la mia lama preferita e mi taglio. Sangue. Il dolore c’è ancora-vaffanculo. Questo metodo mi consola ben di più un qualsiasi cogito ergo sum.

Eccomi.

Voglio resuscitare- datemi un’altra opportunità da sprecare. Non c’è salvezza.

Respiro quest’aria che sa di debolezza.

Ascolto questo silenzio che divino suona solo per me.

Piango fredde lacrime salate che sanno di vendetta mentre mi chino a raccogliere la pisola.

Beh – visto che questa è una lettera d’addio che non destinerò a nessuno – evito di dire addio a chicchessia.

E ora per me solo il dorato bruciante lampo d’acciaio e fuoco, l’azzurro colore del fumo, l’indecente frastuono fragoroso, il caldo sapore di sangue metallo polvere da sparo nella bocca, il sordo tonfo delle mie membra che si schiantano al suolo.

Eccomi.

Eccomi.

Eccomi.