31/07/2008

Liberismo e Conservatori

  1. 1.Si critica spesso sulla stampa l’incoerenza dei governi ‘conservatori’ relativamente a un presunto loro obbligo di adesione al ‘liberismo’.

In  realta’ i governi di ispirazione  ‘conservatrice’ ai principi di libero-mercato non sono mai stati proni ai dettami ‘dogmatici’ delle ‘ideologie’ ne’ economiche (monetarismo, mercantilismo, colonialismo, corporativismo, liberismo), ne’ sociali (socialismo, fascismo, comunismo, paternalismo, pacifismo, ecologismo).

I governi ‘conservatori’ hanno strumentalmente adottato per raggiungere i propri scopi ogni apporto di idee che risultasse ‘utile’ indipendentemente dalla ideologia che ne avesse paternita’. Tale flessibile  e ‘spregiudicato’ comportamento nella attuazione delle proprie politiche di governo e’ proprio  una peculiarita’ dei ‘conservatori’ che antepongono l’efficacia decisionale al rispetto formale ed acritico di ‘dogmi intellettuali’ pur di garantire la sopravvivenza dei valori fondanti della societa’ liberal-democratica.

Il motto di ogni buon ‘conservatore’ e’: “il mercato quando possibile, lo Stato quando necessario”.

Sul piano invece delle scelte tattiche ogni buon ‘conservatore’ mira alla governance dell’economia che sempre deve affrontare le destabilizzazioni esogene o endogene al sistema socio-economico dal quale ricevono il loro mandato a governare grazie alla legittimazione elettorale liberal-democratica.

La barra del loro timone puo’ essere ruotata tatticamente in senso liberista, monetarista, mercantilista e perfino corporativista pur di dirigere saldamente la rotta verso l’obiettivo finale che e’ quello di adeguare il ‘cambiamento’ del proprio sistema alle esigenze imposte dall’evoluzione del contesto esterno e di esercitare ogni possibile pressione politica (militare ed economica)

Negli anni 1900 Theodore Roosevelt diede mano con il canale di Panama alla nuova era dell’apertura al Pacifico che segnò la fase conclusiva del ‘provincialismo’ Atlantico, negli anni 1980 Margaret Thatcher e Ronald Reagan diedero priorità al liberismo per abbattere le ultime resistenze corporative (sindacati e Stato Sociale) che bloccavano l’avvento della globalizzazione del mercato gradualmente poi tutti gli altri Paesi e partiti politici hanno dovuto accettare quelle iniziative traumatiche ma altamente innovative. Negli anni 2000 invece il liberismo sul mercato ormai globalizzato sta imponendo ai ‘conservatori’ di rendere accettabili alle proprie ‘constituencies’ i nuovi assetti istituzionali in fieri onde essi entrino in pieno controllo senza creare effetti eccessivamente traumatici nel corso della transizione dai vecchi assetti ai nuovi. Sia sul fronte finanziario che su quello industriale e su quello culturale e informativo. Ciò conduce i sempre ‘prudenti’ conservatori da McCain, a Cameron a Tremonti ad affermare “il mercato se possibile, lo Stato se necessario” in pieno rispetto della visione dei conservatori liberal-democratici che assegnano priorità sempre al mercato ma che mai sono ostaggi di etichette ideologiche descritte come liberismo, monetarismo, statalismo, socialismo, pacifismo o altri dogmatici –ismi.

In aggiunta, contrariamente a ciò che affermano istituzioni incentrate su obsoleti interessi nazionali (leggi CENSIS), i tre aspetti della globalizzazione :finanziario - destabilizzante la vecchia ‘governance’; commerciale – destabilizzante le strutture e processi industriali; informativo – destabilizzante le vecchie reti del terziario avanzato), i tre aspetti sono ‘naturalmente’ integrati organicamente pur determinando le priorità secondo cui si stanno ‘riassestando’ le obsolete istituzioni politiche e tecniche onde adeguarsi alle esigenze imposte dall’inarrestabile globalizzazione. Infatti dapprima l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse finanziarie ha ‘travolto’ la vecchia capacità di ‘governance’ in quell’ambito. Le istituzioni finanziarie stanno infatti rapidamente trovando nuovi equilibri prima che le istituzioni politiche che ne avevano il controllo riescano a opporre resistenze efficaci e fornendo loro indicazione sul come debbano a loro volta cercare nuove procedure ed assetti per garantire governance politico-democratica a quella tecnico-finanziaria che si sarà già consolidata. Gli assetti produttivi nuovi non potranno che nascere ‘a valle’ del già consolidato riassetto delle istituzioni tecnico-finanziarie ma anch’essi nasceranno al-di-fuori delle vecchie capacità di ‘governance’ politico-democratiche. Saranno i nuovi assetti internazionali dei processi industriali a dettare alle vecchie ed inefficaci istituzioni politico-democratiche le nuove esigenze per garantire la competitività complessiva industriale ormai nutrita dalle risorse finanziarie che saranno rese loro disponibili dalle istituzioni finanziarie che hanno quindi sempre egemonia e priorità di azione (in barba a ogni capacità dei vecchi Stati Nazione e relative istituzioni politico-nazionali – tranne che ricorrere a sterili forme di protezionismo o autarchia). La rivoluzione informatica invece ha già travolto ogni capacità di resistenza sia in materia di educazione professionale, sia di entertainment, sia di qualsiasi vecchio tipo di ‘censura’ di carattere ideologico che si fondavano sui valori etici delle culture più ‘locali’. In questo ambito le uniche istituzioni che potranno giocare un credibile ruolo saranno quelle scientifiche (non più ‘controllabili’ dalle obsolete istituzioni politico-democratiche) e quelle etiche dei centri religiosi dotati di maggiore autorevolezza (che, come indicano i colloqui interconfessionali a Riad, tra Chiesa di Roma, Musulmani, Episcopali, Ortodossi e Protestanti, sono già in corso e che già stanno ricercando nuovi, comuni ed accettabili criteri di etica per la convivenza nel Nuovo Ordine Mondiale).

Le nuove istituzioni soprannazionali dovranno poi allinearsi a quelle nuove esigenze accogliendo il ‘fatto compiuto’ determinato dai tre aspetti strettamente interdipendenti (pur nelle loro priorità di svolgimento).

Pensare di ribaltare questo processo non è solo sterile (in quanto non si sa a cosa si dovrà assicurare la ‘governance’) ma è patetico (in quanto manca ogni possibilità di azione efficace e soprattutto le risorse per poterla eventualmente attuare).

Fortunatamente stiamo assistendo all’egemonia del ‘libero mercato’ (sembra che sia solo ‘selvaggio’) sugli Stati Nazione. Gli unici Stati che possono anticipare, sostenere o contrastare questo processo sono gli USA purchè siano ispirati da statisti del calibro di Teddy Roosevelt, di Margaret Thatcher, di Ronnie Reagan e ….. suona blasfemo oggi per i media …. Dubye Bush colla sua “War on Terror” in Iraq e in Afghanistan.