30/09/2009

Qualche considerazione sulle “vergogne fiscali”

Quando lo Stato ha sete di risorse, invece di ricorrere al contenimento delle spese interne e all’incremento della propria produttività, tendenzialmente ricorre ad aumenti della pressione fiscale sottraendo risorse al sistema produttivo del Paese.

Nei vecchi Stati Nazione il diritto a battere moneta e il sistema protezionista doganale consentivano allo Stato di opprimere i sudditi senza che essi potessero ricorrere a legittimi (se non facili mezzi) per potersi sottrarre alla crescente avidità fiscale. Le vie percorribili erano l’evasione fiscale, il bracconaggio, l’evasione dei dazi interni, la distillazione di alcool, il contrabbando, la pesca di frodo, la borsa nera. Tutti strumenti che in qualche modo sviluppavano aree di “libero mercato” illegali e contrastate dagli sbirri degli Sceriffi di Nottingham del momento. Tutelare i propri diritti in queste aree illegali di libero mercato costringeva poi i sudditi a ricorrere a strumenti di composizione delle liti altrettanto illegali ma pienamente coerenti con quei comparti d’industria. Soprattutto in regime di occupazione straniera riusciva perfino possibile identificare una sorta di “patriottismo” in quei tipi di produzione, scambio e pacificazione dei conflitti civili. La “mafia” e la “carboneria” hanno raccolto consenso politico contro l’oppressione fiscale di regimi stranieri illiberali. Infatti nel Lombardo-Veneto, dove governava un governatore militare rappresentante di un regime liberale ed onesto sul piano amministrativo, si consolidò un consenso civile che sopravvisse allo scontro politico dei conflitti nazionalisti delle rivoluzioni e delle guerre di liberazione. Radetzky morì a Milano rispettato dalla cittadinanza che pur egli aveva governato e represso militarmente come esponente di un regime straniero.

L’avidità fiscale ha sempre costituito la causa prima di tutte le rivoluzioni (Boston Tea Party 1773, Bastiglia 1789 Francia sono due esempi emblematici) o comunque dei tumulti popolari (Palermo Vespri 1282, Roma Cola di Rienzo 1347, Firenze Ciompi 1378, Napoli Masaniello 1647 analoghi esempi seppure di sviluppo più occasionale e di esito istituzionale meno stabile). È sintomatico anche il consenso ottenuto dalla Camorra a Napoli o dalla Mafia in Sicilia quali garanti della praticabilità dei tipi di economia illegale ma fonte di reddito diffuso per quelle popolazioni.

In epoca di liberalizzazione degli scambi tanto consolidata che gli Stati nazionali hanno perfino ceduto il diritto di battere moneta ad istituzioni soprannazionali oltre ad avere istituzionalizzato la libera circolazione di merci e persone, le vecchie barriere a tutela degli interessi interni sono incapaci di svolgere qualsiasi forma di protezionismo nazionale. Anzi quelle forme di protezionismo sono stigmatizzate e rese illegittime anche se ancora legali alla luce dei codici vigenti nel passato. In questo nuovo contesto gli Stati più liberali possono attrarre insediamenti produttivi sul loro territorio di aziende di altri Paesi garantendo loro condizioni fiscali meno onerose e servizi statali più costo/efficaci. La negoziazione della fornitura delle risorse primarie o dei componenti intermedi necessari per la produzione di beni distribuibili agli utenti finali impone alle aziende e ai professionisti di erogare le proprie prestazioni al di la dei confini nazionali e la loro libertà a scegliere per la loro residenza il Paese più conveniente sotto profili personalissimi di scelta. Profili tra i quali figurano anche parametri di carattere finanziario (livelli di imposizione fiscale, servizi sanitari, assicurativi, trasporti, sicurezza personale, tutela giuridica, etc.).

Alla luce di queste considerazioni sembra veramente difficile riuscire ad identificare i “buoni” e i “cattivi” in situazioni come quelle sanatorie per “reati finanziari” cui frequentemente devono ricorrere gli Stati Nazione in un’epoca di travolgente liberalizzazione dell’economia industriale come quella attuale. Sono più “cattivi” i risparmiatori che hanno liberamente scelto di sottrarre il proprio reddito all’avidità dello Stato (avidità che è in genere, inversamente proporzionale all’efficienza dei suoi servizi al produttore) o è più “cattivo” lo Stato che, con la sua inefficienza e avidità fiscale, ha creato le condizioni perché i suoi produttori fuggissero in altri Paesi più ospitali e liberali? È inutile spostare il tema sul piano di un’“etica sociale” di cui dovrebbe farsi carico il produttore rinunciando ai nuovi diritti e aspettative acquisite di maggiore libertà di circolazione che gli hanno tra l’altro imposto di adeguare i propri comportamenti a livelli di maggiore rischio e competizione professionale. Lo Stato Nazione deve accettare di ridimensionare la propria avidità fiscale adeguando i propri servizi al rapporto di costo/beneficio che riesca a tenere la competizione con i corrispondenti dei Paesi in cui vige il nuovo scenario di libera-circolazione/libero-scambio.