30/07/2010

Avvio del 2000 in Italia

La rubrica sostiene da sempre l’inutilità in Italia oggi di esercitare iniziative di ‘riforma’ legislativa delle istituzioni pubbliche al fine di raggiungere un livello di competitività del sistema industria-stato adeguato a poter sfruttare al meglio le opportunità che offre il mercato industriale internazionale.

Le nascenti istituzioni necessarie per la governance globale verranno gestite dalla gerarchia politica che risulterà al termine del processo in corso che vede i protagonisti nazionali collegarsi in reciproche relazioni personali e di lobby-ideologica ma stanno consolidando le loro capacità di servizio alle emergenti esigenze di un mercato industriale in cui sono già ben distinte le esigenze dei grandi gruppi in via di delocalizzazione e quelle del vastissimo sistema delle economie ‘locali’ da cui dipendono il risparmio e i consumi sul mercato di comune interesse globale. l’industria sa attrezzarsi (meglio se libero dai vincoli e resistenze nazionali) per soddisfare le aspettative dei produttori e dei consumatori globali senza intralci aggiuntivi opposti da vecchie oligarchie ormai parassitarie e sempre meno utili. Inoltre le tecnologie ormai ‘mature’ permettono ai grandi gruppi industriali in reciproca competizione sul mercato globale di aggiornare le reti tecnologiche infra-strutturali da cui dipende la rapidità con cui la ‘globalizzazione’ sta maturando la sua presa sul mercato unico. Ciò libera dalla servitù ‘statale’ anche l’offerta ai produttori e ai consumatori di servizi di cosiddetta ‘public utility’ che (al tempo di Roma) erano forniti solo dalle decisioni di ‘Cesare’ a Roma o che (al tempo degli Stati Nazione) erano ‘rilasciati’ selettivamente in uso alle oligarchie più prossime al sovrano di ogni paese.

La rubrica sostiene infatti che per ‘adeguare’ (in ogni paese) il sistema industria-stato alle nuove esigenze del contesto geo-politico globale, occorrerebbe poterne influenzare i processi già in celere corso di definizione delle nuove istituzioni e procedure che presiederanno alla governance del futuro sistema.

Influenzare questi processi richiederebbe di agire tramite un sistema istituzionale dotato di efficienza che si possa paragonare a quella degli Stati Nazione concorrenti del nostro sistema industriale ed occorrerebbe che esso potesse agire a nome e per conto di un capitale industriale nazionale competitivo il cui insediamento in Italia non fosse in questione.

Ora il sistema istituzionale italiano è fondamentalmente parassitario e clientelare, quindi assolutamente non competitivo con gli omologhi sistemi esteri; giustizia, diritto fiscale, diritto industriale, diplomazia, sistema bancario, etc..

Inoltre questo sistema istituzionale risulta storicamente sussidiario a decisioni industriali assunte e gestite da altre istituzioni di interesse pubblico scarsamente competitive sui mercati esteri e rappresentative degli interessi di gruppi industriali e di corporazioni sindacali che hanno saccheggiato l’erario per erigere difese protezioniste ed hanno scaricato la loro scarsa competitività internazionale a spese di un indotto industriale di piccole e medie imprese totalmente prive di assistenza da parte del sistema istituzionale stesso.

Ora mentre i grandi gruppi industriali scarsamente competitivi hanno avviato una loro ristrutturazione o ricerca di partnership che ne sta delocalizzando le sedi legali e gli impianti produttivi, il vasto tessuto delle piccole e medie imprese ha avviato in autonomia una propria ristrutturazione produttiva e organizzativa che le renda adeguate a sopravvivere ed espandersi sul mercato globale al di la di qualsiasi forma di sostegno da parte delle obsolete e inefficienti istituzioni statali.

Infine la gran parte delle vecchie, inefficienti e parassitarie istituzioni ancora vigenti (statuto dei lavoratori, giustizia civile e penale, procedure amministrative, sistema bancario e assicurativo, etc.) privata dei sostegni dei vecchi gruppi industriali protezionisti (in delocalizzazione decisionale e produttiva) e delle corrispondenti corporazioni sindacali (controparti dei gruppi stessi - sindacati datoriali e operai e vecchi istituti di diritto del lavoro) risulta un semplice costo privo di alcun beneficio a sostegno di un seppure ipotetico progetto di innovazione del sistema industria-stato. Mancherebbe non solo una chiara visione del sistema-industria che resterà stabilmente insediato in Italia ma anche (per la stessa ragione) ogni possibilità di definire la struttura del corrispondente sistema-stato che potesse essere di sostegno al sistema-industria in fieri.

Naturalmente ogni iniziativa di cambiamento dello stato condotta dall’interno su base di iniziative personali dei singoli leader politici (Gelmini, Maroni, Alfano, Galan, etc.) può incidere sul formarsi di fattori capaci di aggregare energie vivaci vitali e autonome (non parassitarie) tra quelle che, decise a restare in Italia e cercare nuove forme di competitività, decidano di sfruttare quelle iniziative per consolidare i propri sporadici, singoli investimenti.

Prerequisito a che ciò avvenga in modo efficace è l’assoluta assenza di finanziamenti a dette iniziative che le possano deviare in forme di neo-clientelismo o di conservazione di vecchie e inefficienti istituzioni obsolete.

Insomma, l’inattività del governo in ogni materia e l’assenza di finanziamenti statali finché la governance globale non si sarà assestata, sono le perfette missioni del governo in Italia. Si riduce la resistenza al nuovo da parte delle corporazioni ottocentesche, clientelari e parassitarie e si risana il debito da esse creato per dare sostegno al vecchio e inefficiente sistema industriale protezionista.

D’altronde la globalizzazione sta avanzando con le sue istituzioni in modo tanto rapido da rendere agevole a ogni economia ‘locale’ di liberarsi dai vecchi vincoli di sudditanza agli Stati Nazione in tutti i paesi.

La Fiat può finalmente determinare la fine formale del ‘sessantotto’ e consociativismo che avevano creato il mito della ‘terza via’ italiana al socialismo generando a spese delle rottamazioni sperimentazioni sulla pelle dei contribuenti (euro-comunismo, programmazione dei redditi, consociativismo, statuto dei lavoratori, arco-costituzionale, etc.). Ormai è evidente perfino ai sindacati più moderati e ‘riformisti’ che né la dottrina sociale marxista né quella cristiana sono compatibili con l’avvento del benessere (e della libertà) sia nei paesi più diseredati che in quelli più industriali; purché si abbandonino i miti catto-comunisti.

La secessione della Padania è stata tamponata accettando l’introduzione del federalismo in Italia.

Il Belgio ha formalizzato la richiesta dei fiamminghi di riappropriarsi della propria autonomia decisionale.

In Spagna la Catalogna sta in ogni modo provocando l’acquisizione di maggiori dosi di autonomia.

In Arizona il Governatore ha approvato una legge contro l’immigrazione illegale che sta creando un precedente di grande recupero dell’autonomia federale che la costituzione di quel paese ha codificato da sempre.

La disgregazione dell’URSS sta riconfigurando la geopolitica dell’Europa dell’Est.

La Germania rifiuta di sottostare a una prevaricazione politica dell’UE pur accettando di esaltare gli accordi di carattere industriale che assicurino la governance del mercato interno.

La costituzione dell’UE è stata rifiutata ed articolata in modo tanto astruso da risultare incomprensibile e aliena a ogni sensibilità della pubblica opinione. Ciò ha condotto ad eleggere i primi rappresentanti stabili dell’UE tra i meno autorevoli esistenti lasciando libero ogni paese di condurre proprie iniziative di adesione al sistema delle istituzioni globali in fieri (pur aderendo a minimi criteri comuni di stabilità finanziaria).

È morto il sogno-incubo de ‘la fantasia al potere’ e del ‘proibito proibire’ nato nei e alimentato dai fumi dell’hascisc.

Con l’esodo della Fiat dall’Italia e dalla Confindustria-Metalmeccanici e con il suo spin-off ed acquisizione di Chrysler, la Confidustria resta utile solamente come strumento di dialogo industriale per il tessuto delle medie imprese industriali che presumibilmente resterebbero ancorate all’Italia. Ciò imporrà ai sindacati di rivedere dalle fondamenta lo ‘statuto dei lavoratori’ e le ‘gabbie salariali’ in modo che le nuove regole siano sostenibili da aziende che non potranno beneficiare dei sostegni protezionisti dello stato (contribuenti).

Dopo il crollo del sindacato ‘para-fascista’ sarà inevitabile anche la graduale ‘morte per sostituzione’ del sistema giurisdizionale parassitario e inefficiente. Infatti nessuno ne sosterrà i costi né vi ricorrerà in quanto il sistema industriale in piena globalizzazione potrà ricorrere più efficacemente ai servizi giurisdizionali di altri ‘fori’ all’estero o perfino affidarsi a efficienti servizi privati extra-giudiziari per tutelare i propri interessi industriali in accordo con una contrattazione ‘liberale’ priva di vincoli corporativi dei vecchi sindacati autoritari ormai defunti.

Basta attendere e lasciar fare a chi ha intenzione di sopravvivere per giungere gradualmente ad instaurare un nuovo sistema industria-stato in Italia che sia di soddisfazione per le aspettative del tessuto nazionale imprenditoriale che resterà stabilmente ancorato alle economie ‘locali’ (pur essendo costretto a definire una sua competitività sul mercato globale).

Insomma è la prova provata che il vecchio, conservativo ‘laissez faire’ è il solo vincente approccio al futuro che non opprime e responsabilizza ogni protagonista; consumatore, produttore, risparmiatore o elettore che sia.