30/07/2010

Evidenze e ‘rodaggi’ del Nuovo Ordine Globale

Le recenti prese di posizione internazionali in materie di comune interesse per lo sviluppo industriale sono il chiaro sintomo del consolidamento in corso della gerarchia di azioni istituzionali e dei corrispondenti criteri che ne guidano l’efficacia.

La Cina, non ostante le sue riserve in dollari, tenta di organizzarne una sostituzione con mix valutario che trasferisca i costi del rientro dal debito accumulato ad una più ampio spettro di paesi rispetto alle due sole economie nazionali che hanno alimentato fino ad oggi la globalizzazione industriale.

La stessa Cina, ormai pienamente inserita nel gioco dell’industrializzazione globale finanziata dalla nuova ‘Wall Street Estesa’, affermando che ormai le scelte degli investitori finanziari si orientano non più su base dei rating attribuiti dalle vecchie oligarchie con sede a Wall Street bensì sulla base di rating caratterizzati da una migliore adesione all’attuale realtà globale, propone un nuovo istituto di rating che tenga conto anche della solidità intrinseca dei paesi partecipanti al gioco attuale. Facendo ciò crea un istituto di stato che, tra i molti parametri che caratterizzano le aspettative di ritorno degli investimenti finanziari, assegna un peso al patrimonio delle commodities necessarie ad alimentare la crescita industriale e saldamente tesaurizzati tra le risorse naturali nazionali. Ciò trascura l’innovazione tecnologica che sostituirà certamente prima o poi i combustibili tradizionali (petrolio, metano, coke, uranio) con nuove fonti energetiche disponibili ovunque e a costi contenuti, trascura l’innovazione tecnologica che sostituisce costantemente i costi energetici unitari per la produzione di beni materiali o di servizi pubblici e privati, trascura l’innovazione tecnologica che sta sostituendo costantemente la composizione dei consumi e le aspettative sociali creando nuove opportunità per la produzione industriale e continue destabilizzazioni negli assetti politici in ogni paese e, proprio per ciò, trascura soprattutto di tenere in considerazione la ‘stabilità politica’ che caratterizza tutti i paesi che partecipano al mercato globale. Queste considerazioni che vengono trascurate dai nuovi criteri di rating sono quelle invece che vengono tenute in particolare considerazione da chi deve scegliere in quale mercato rischiare i propri risparmi. Se l’aggregato dei fattori di rischio compone un valore elevato il risparmiatore pretende di ricevere ammontare maggiore in tempi ridotti rispetto agli ammontare più ridotti in tempi più diluiti che può rischiare di accettare da altre opportunità di investimento caratterizzate da aggregati di rischi inferiori. Né il rating può essere modificato dalle rassicurazioni degli attuali responsabili politici nei paesi che concorrono ad attrarre gli investimenti di rischio. La loro volatilità si riverbera sulla credibilità delle loro rassicurazioni. Né il carattere autoritario decisionista degli stessi governi può compensare nella valutazione del rischio proprio perché i regimi più autoritari risultano meno flessibili ed adattivi alla rapidità con cui si manifesta il cambiamento delle aspettative sociali in tutti i paesi coinvolti dalla crescita del benessere che è ormai globale ed interdipendente; scavalcando ogni diversità ideologica del passato.

Obama non ostante gli interessi dell’economia USA siano ormai abbondantemente proiettati alla governance del mercato globale, anzi proprio per questo, si trova immerso in una situazione politicamente paradossale.

Da un lato per consolidare il suo futuro di homo novus della politica ‘locale’, deve promettere di istituire un complesso di istituti dello stato sociale caratteristici dei vecchi Stati Nazione (ormai risultati insostenibili in tutti i vecchi Stati Nazione colonialisti di Europa) a spese di una fiscalità oppressiva che ridurrebbe la competitività del paese oggi egemone con la Cina della globalizzazione (sottraendo così alla stessa Cina quel mercato che ha permesso i tassi di crescita industriale minimi per conservare al partner del G2 la stabilità politica interna).

Da un altro lato, per conservare il suo attuale ‘posto’, deve ottemperare alle esigenze concrete del sistema USA industria-paese che gli richiede di finanziare il salvataggio (a spese del contribuente - il suo elettore di quella ‘Main Street’ che vive gli stessi disagi congiunturali della globalizzazione al pari degli elettori di ogni altro paese) di banche, assicurazioni e banche d’affari che hanno innescato con effetto benemerito l’era della globalizzazione senza però tenere in alcuna considerazione (anzi servendosene) delle opinioni del legislativo e degli esecutivi USA. È così che si spiega il finanziamento a spese di ‘Main Street’ dei protagonisti in difficoltà maggiori di ‘Wall Street’. La tutela dei risparmiatori prudenti (rimborso dei conti correnti fino a 200.000$) è garantito da lungo tempo tramite un istituto assicurativo in piena efficienza (la FDIC). Limitarsi a dare il rimborso a tutti i risparmiatori possessori di conti in deposito non avrebbe creato quindi disagi a chi non si era avventurato in intraprese ‘speculative’ che pretendono sia rispettato il conseguente rischio personale di adesione all’acquisto delle quote di rischio (gli emblematici hedge funds). Gli altri ‘stake-holder’ e ‘share-holder’ delle banche d’affari emittenti i titoli speculativi caratterizzati da livelli di rischio e di rendita più alti rispetto ai depositi assicurati avrebbero meritato di seguire le sorti della Lehman Brothers. Il fallimento dei più audaci imprenditori finanziari non avrebbe nuociuto ai depositanti (la Main Street USA) e sarebbe stato assorbito dagli istituti più prudenti e meno esposti di Wall Street che avrebbero assorbito i clienti degli enti falliti in analogia con ciò che sarebbe accaduto nel comparto automotive senza salvare la Chrysler a spese dei contribuenti (la Main Street) per farne dono a concorrenti esteri (la Fiat di Marchionne). La Ford avrebbe assorbito i clienti dei gruppi falliti senza nuocere alle tasche dei cittadini. Costringendo semplicemente anche negli USA i sindacati del settore metalmeccanico ad adeguarsi all’inevitabile era della globalizzazione attuale.

I due opposti aspetti delle decisioni di Obama si riversano inevitabilmente sulla crescita di una fiscalità che, se attuata, ridurrebbe la competitività del sistema produttivo USA riducendo le sue capacità di crescita occupazionale e di importazione, riducendo il benessere interno, fallendo le stesse promesse demagogiche di stato sociale ma, soprattutto, riverberandosi immediatamente in crisi aggiuntiva seppure temporanea del mercato globale.

Ciò creerebbe nuovi disagi sociali diffusi in tutti i paesi e ulteriori fallimenti finanziari per l’aumento dei rischio di investimenti del risparmio disponibile a fronte delle esigenze dello sviluppo.

Questi disagi aggiuntivi riuscirebbero forse ad essere assorbiti dai paesi industrialmente più avanzati nei quali le istituzioni liberal-democratiche potrebbero evitare reazioni politiche di carattere autoritario mentre la scarsa flessibilità dei regimi più autoritari propri dei paesi più poveri o in via di sviluppo verrebbero travolti da fermenti politici che, forse salubri nel lungo periodo, arresterebbero però immediatamente la crescita industriale e del benessere economico dai quali dipende il ritorno degli investimenti a rischio che le banche d’affari hanno tradotto in titoli a rischio-spalmato. È un esempio di come il ‘rischio politico’ sia un parametro importante nel contesto delle considerazioni di rating di aziende, valute e sistemi industria-paese in reciproca competizione sull’ormai unico mercato industriale la cui anima e linfa vitale è il flusso delle risorse finanziarie tramite capitali di rischio alimentati anche dagli hedge funds.

L’essenza vincente e liberatoria da ogni ideologia politica o settarismo razziale che guida la crescita del progresso lungo il filo rosso della civiltà ‘Occidentale’ si dimostra essere il capitalismo-liberista che obbliga ogni Stato Nazione e i suoi più eminenti esponenti a mediare tra le opportunità offerte a tutti di crescita del benessere e i disagi che affliggono tutti i loro elettori nazionali.

Occorre bilanciare tra esigenze della stabilità della crescita industriale globale (interesse prioritario e comune) ed esigenze di stabilità nazionale durante la fase congiunturale di riorganizzazione dei processi produttivi che ogni paese deve adeguare alle aperture che potrebbe cogliere sul mercato globale stesso.

La politica è priva di strumenti e resta in attesa che le bocce si fermino per individuare propri credibili spazi di azione, nell’attesa ogni presunto protagonista (da Obama a Putin a Berlusconi a Hu) deve predisporre gli strumenti personali e relazionali sullo scenario geopolitico al fine di svolgere un ruolo nella definizione della nuova governance.

Queste ragioni rendono evidente alla rubrica l’apparente protagonismo personalizzato che muove ogni leader di peso internazionale oggi rendendone evidenti il respiro corto delle iniziative che si limitano a far superare al paese la congiuntura mentre rende spettacolari e presenzialiste le iniziative prive in apparenza di finalità di lungo periodo. La realtà impone a ogni protagonista (da Obama, Putin a Berlusconi) di prepararsi ad insediare se stessi o propri collaboratori nei ruoli di maggiore interesse per il proprio profilo professionale sostenuto da risorse proprie o di aggregati industriali che rendano credibile il successo del gruppo di lobby al quale si accingono di presiedere nel contesto delle istituzioni in fieri della governance globale.