30/06/2009

La Gallina dalle uova d’oro

Stiamo assistendo all’attacco condotto dai molti opportunismi demagogici contro “il sistema” a sostegno o a difesa delle diverse posizioni ideologiche con la scusa di superare la corrente ‘crisi’ industriale globale. Come abbiamo più volte segnalato ogni sistema vitale cresce e nel crescere attraversa inevitabili fasi di instabilità. Si tratta di ‘crisi di crescita’ assolutamente fisiologiche in ogni organismo sano che dimostra in tal modo di essere ‘vitale’ e non artificiale. In quest’ottica il ‘sistema industriale’ sta affrontando la sua riorganizzazione produttiva su base globale in una fase che si è ormai consolidata irreversibilmente e che ha il merito di avere abbattuto ogni vecchia frontiera degli Stati Nazione offrendo inimmaginabili opportunità di partecipazione ai consumi, al risparmio e alla produzione a masse di esseri umani che fino al ‘crollo del muro’ morivano in stati di assoluta indigenza e privati dei diritti civili più elementari di cui noi invece fruiamo nella nostra civiltà ‘Occidentale. Le masse dell’Asia sono diventate perfino detentrici di riserve finanziarie che le pongono tra i protagonisti globali in quanto partner della Wall Street ‘estesa’ che si è consolidata grazie alla globalizzazione industriale.

Detto ciò ognuno di noi soffre quotidianamente dei disagi che la ‘crisi di crescita’ implica per le nostre obsolete abitudini e ‘sicurezze’. Non solo ma noi tutti soffriamo per la frustrazione delle ambizioni o delle aspettative sempre più ambiziose che l’attuale assetto produttivo, distributivo o sociale e politico non è ancora in grado di soddisfare. Ogni critica demagogica trova quindi una audience assolutamente sensibile alle indicazioni di ‘cambiamento’ sollevate dai demagoghi. L’aspirazione a cambiare in definitiva è parte integrante del ‘senso comune’ dell’essere umano, per valutare cosa e come ‘cambiare’ occorre solamente avere sufficiente ‘buon senso’ che è riuscito da sempre ad opporsi alla ‘sapienza demagogica’ ed a disegnare la storia della civiltà come ‘disegno intelligente’ che costituisce il dono intrinseco alla Natura. È questa discrasia tra il ‘senso comune’ ispirato dalle abitudini e conoscenze di ieri e suggerito dall’alto dalla sapienza dei demagoghi (le elite che ‘sanno cosa è bene’) come prudente comportamento che la società dovrebbe ‘conservare’ e il ‘buon senso’ dell’uomo della strada nel cercare in piena autonomia nuovi modi per migliorare le proprie condizioni di vita (le masse costrette a ‘fare ciò che si può’) ad avere fondato le basi della liberal-democrazia e ad averle costantemente fatte trionfare contro ogni arroccamento delle elite su obsolete posizioni parassitarie e tentativi di difesa reazionaria di stabilità dello status quo.

Possiamo riepilogare affermando che la civiltà ‘Occidentale’ è riuscita a giungere all’attuale trionfo globale contro ogni possibilità di resistenza da parte delle elite di governo che fondano i loro poteri e legittimità su assetti sociali ed economici ormai passati in giudicato come obsoleti in quanto non più adeguati alla realtà che, spesso illegalmente, la massa di produttori e consumatori è riuscita a costruire ‘non ostante’ le vecchie e reazionarie regole di governance imposte manu militari dalle elite di governo. Insomma le ‘istituzioni politiche’ sono state cambiate con gradualità dalle mutate aspettative create dal contesto industriale che hanno sempre legittimato ‘istituzioni industriali’ di maggiore attrattività per la vita sociale rispetto a quelle legalmente sostenute dai vecchi governi.

È il libero mercato di scambi, produzione e risparmio a condurre da sempre il gioco del progresso al-di-la delle vecchie regole e quindi spesso al di fuori dei canali di controllo ‘governance’ e perfino ‘contro’ la vecchia legalità. Le ‘istituzioni’ si devono adeguare ‘per amore o per forza’ in seguito a rivoluzioni industriali spesso sostenute da vere e proprie rivoluzioni violente solo per insipienza delle ‘elite’ che evidentemente mostrino scarso ‘buon senso’ arroccandosi attorno ad un ‘senso comune’ che non è più ormai tale per impermeabilità delle masse a quei richiami dettati da evidente demagogia.

Che il progresso venga egemonizzato dalle applicazioni industriali del progresso scientifico in ogni comparto d’industria è un bene alla luce del ‘buon senso’ ed è bene alla luce dei risultati pratici che la storia della civiltà ci illustra. È bene alla luce del buon senso perché è un criterio che assegna priorità di peso alla molteplicità di scelte quotidiane eseguite al di fuori di legittimità ideologiche e fondate su responsabili valutazioni di scambio tra valori rispetto al criterio che pretende di definire dall’alto dei pochi i criteri ideologici di scelte permesse e di rapporti equi nei valori di scambio. Fondando così le basi stesse della liberal-democrazia. La liberal-democrazia in altri termini non esisterebbe in assenza delle responsabilità economiche sul libero mercato: il capitalismo-liberista.

Il capitalismo-liberista quindi costituisce la chiave di volta del costante progresso della civiltà ‘Occidentale’ sia sotto il profilo dell’estensione dei diritti civili sia sotto quello del benessere sociale. Esso inoltre è libero da astratti vincoli ‘intellettuali’ delle ideologie secolari o religiose che infatti devono essere riapprese ed adeguate all’epoca se non vogliono definitivamente scomparire. Questa capacità di adeguamento dottrinario è tanto più agibile quanto meno secolari sono i fini perseguiti dalla specifica ideologia: è per questo motivo che la Chiesa di Roma riesce a svolgere il suo ruolo critico all’interno del sistema economico che però evolve in piena autonomia per ispirarvi dosi sempre crescenti di spirito evangelico mentre il Marxismo ha visto fallire la sua proposta di ‘realizzare in terra’ lo spirito evangelico. Il fallimento del Marxismo è avvenuto senza traumi violenti solo in quanto esso ha fallito nella sfida industriale dimostrando la superiorità del sistema del capitalismo-liberista e dell’associata liberal-democrazia sia sul piano della creazione di libertà che su quello della creazione di benessere.

Abbiamo assodato che esiste una “Gallina dalle Uova d’Oro” il capitalismo-liberista che sta ormai consolidando le premesse di estensione della liberal-democrazia in Paesi ormai conquistati dalla civiltà ‘Occidentale’ Asia ma in cui ancora le ‘istituzioni’ sono arroccate su lineamenti inadeguati a raccogliere il consenso sociale da parte di masse che nutrono aspettative non più appagabili dalle istituzioni legalmente autorizzate a ‘realizzare il programma pluriennale’ dello sviluppo corretto sul piano ideologico.

La “Gallina dalle Uova d’Oro” è riuscita a costruire attraverso lacrime e sangue una egemonia dei singoli elettori rispetto a quella delle ‘menti sottili’ che li governano, è riuscita a costruire ‘non ostante’ le resistenze monopoliste delle vecchie elite politico-industriali difese da regole selettive di una astuta ‘governance’ una sovrabbondanza produttiva che costituisce la comune base globale di aspettativa e di consenso oltre ogni frontiera nazionale dimostrata dalla emigrazione illegale che attrae al Nord i più motivati e intraprendenti derelitti del Sud. Depredandoli delle migliori risorse umane a loro costo e a nostro vantaggio come è stato da sempre con la spontanea emigrazione dei migliori negli USA (dai Padri Fondatori a Giannini, Fermi ed oltre). La “Gallina dalle Uova d’Oro” è riuscita a vincere la sfida storica dell’indigenza. Mentre un tempo esistevano periodi di scarsità di beni disponibili sul mercato oggi il problema al Nord è quello della sovrapproduzione mentre resta aperto quello della sua distribuzione sui mercati.

Ciò che la “Gallina dalle Uova d’Oro” riuscirà a realizzare da ora in poi, sarà finalmente il sistema logistico globale che servirà inizialmente la riorganizzazione della produzione industriale nelle sue fasi ‘man-power.intensive’ al Sud e quelle ‘know-how/capital-intensive’ al Nord ma che dovrà poi curare anche le fasi della distribuzione dei beni e servizi prodotti su tutti i mercati globali pena il blocco del ciclo finanziario dell’economia. È per questi motivi che il sistema finanziario ha già istituito ne nuove procedure globali dei flussi finanziari (la ‘Wall Street estesa’) che chiedono ora ai G2/G8/G20 di adeguarvi le istituzioni e procedure della governance del Nuovo Ordine Globale.

Chiunque delle varie Chiese ideologiche tenti di esercitare le sue legittime ‘critiche al sistema’ senza tenere in debito conto di questo scenario (il trionfo finale su base globale del ‘sistema capitalista-liberista’ e lo scenario di estensione su base globale della distribuzione del benessere e delle libertà civili) è destinato a svolgere una battaglia reazionaria e perdente ed inoltre ad affliggere le masse emergenti del Sud con nuove e non necessarie sofferenze.

Ad esempio pretendere di agevolare le migrazioni di massa tra Nord e Sud promuove il saccheggio delle migliori risorse al Sud, agevola lo sfruttamento degli immigranti al Nord e solleva problemi di perdita di identità sociale e culturale sia al Nord che al Sud. Dietro l’etica del ‘politically correct’ del ‘multiculturalismo’ che fa perdere all’umanità la ricchezza delle diversità culturali imponendo lo sradicamento dalle proprie origini etniche che hanno costituito sempre una tragedia per gli emigranti. Ostacolare la ‘delocalizzazione’ degli impianti man-power-intensive al Sud in difesa di vecchie posizioni di privilegio al Nord rischia di costare a tutti i consumatori e risparmiatori su base globale e di rallentare l’aumento del reddito alle masse di derelitti nel Sud con connessa spinta alla emigrazione illegale di masse del Sud sfruttate dai moderni trafficanti di schiavi.

Queste considerazioni di ‘buon senso’ contro ogni suggerimento di convenienza instillate dal ‘senso comune’ vigente dovrebbero suggerire alle istituzioni ideologiche (secolari e religiose) di cavalcare il nuovo in divenire per acquisirvi almeno il legittimo ruolo di diritto di critica. Ascoltare invece i concetti prevalenti nei comizi o nelle omelie circa la ‘crisi finale’ del sistema iniquo che è causa di ogni male fa cadere le braccia sulla speranza che le nostre istituzioni riescano a adeguare i propri messaggi e ruoli con rapidità adeguata al tasso di cambiamento vertiginoso con cui sta avanzando il Nuovo Ordine Globale. È forse un ulteriore segno dell’egemonia che il ‘disegno intelligente’ ha affidato alla libertà-responsabile di errare, peccare, pentirsi, pagare e evolvere sia sul piano della etica civile che religiosa in piena autonomia rispetto a ogni tentativo illiberale di guida-dall’alto sia essa da parte di elite religiose o secolari.

D’altronde occorrerebbe ormai che, dopo il Concilio Vaticano II, il crollo delle ideologie secolari che hanno infettato i due secoli scorsi (scientismo, marxismo, fascismo, nazional-socialismo) e dopo la globalizzazione che ha inaugurato la morte degli Stati Nazione e della associata legittimità basata sullo Stato Sociale (dalla culla alla tomba) qualcuno trovasse coraggio e suggerisse ai demagoghi secolari e religiosi che ancora ci infettano che non sembra sostenibile sul piano etico patrocinare politiche sociali che sostengano lo sradicamento sociale e culturale del Sud mirante ad alimentare conflitti sociali e ghetti al Nord invece di trasferire al Sud opportunità di lavoro che sviluppino il reddito nazionale e permettano così che, come avvenuto al Nord, con gradualità al crescere del benessere quelle popolazioni riescano ad adeguare i propri modi di percepire la religiosità e la convivenza sociale in modo più compatibile con le esigenze della civiltà ‘Occidentale’ ma secondo tempi e modi pienamente coerenti con una loro diversità etnica che non sembra civile distruggere per integrarla.

Evviva in questo senso il liberismo-capitalista più selvaggio e libero possibile in quanto costituisce l’unica risorsa disponibile per aggregare il consenso tra i produttori, consumatori e risparmiatori al di la di qualsivoglia dottrina ideologica: aperti solo all’intimo collegamento col trascendente che è dato in dono a ciascuno in piena responsabilità individuale e stile “calvinista” di seguire una ‘vita in santità’ secondo quanto suggerito da Escrivà de Balaguer.

 

Rilancio dell’economia

Abbiamo scritto sulla ‘crisi’ attuale come sintomo della riorganizzazione su base globale dei processi della produzione e distribuzione industriale. Un processo obbligato ed accelerato che costringe gradualmente le obsolete istituzioni della governance a negoziare nuove relazioni internazionali che tengano conto dei rapporti di peso che intercorrono tra le economie regionali alla luce di un mercato che è ormai al di fuori di ogni capacità di controllo dei vecchi Stati Nazione. La scala gerarchica dei sistemi economici è già definita da un linguaggio comunicativo ormai consolidato nella pratica: G2, G8, G20, G20’esteso’.

Mentre questo processo industriale è in corso assieme alle negoziazioni istituzionali per accompagnarlo con un sistema di governance adeguato a soddisfare le esigenze di transizione dei vari Paesi dai loro ruoli attuali verso ruoli più confacenti la loro credibile importanza sul mercato globale, il mondo finanziario che avviò il consolidamento su base globale del sistema liberista-capitalista, si trova a corto delle risorse necessarie per il finanziamento dei sistemi economici nazionali dalla cui stabilità dello sviluppo dipende la conservazione di consenso senza pericolose crisi temporanee e locali e perdite di know how imprenditoriale che compone il sistema regionale dell’indotto industriale specialistico su cui si basa la competitività di molti gruppi multi-nazionali.

La perdita di consenso nazionale è rischiosa anche per la celerità con cui si consolideranno le negoziazioni di un Nuovo Ordine Globale.

Il professor Pelanda ha segnalato questa esigenza di rilanciare le economie locali per non incorrere in non necessarie fasi di stagnazione o recessione in uno dei suoi chiarissimi scenari su ‘il Foglio’ del 30 Giugno. Riferite al ‘caso Italia’ il problema risulta emblematico di moltissime altre realtà di seconda importanza ma con ruoli significativi nel contesto della futura economia globalizzata. Vale la pena quindi di riepilogare le opportunità e le difficoltà esistenti nel nostro Paese relativamente ad un immediato e sostanziale rilancio del sistema produttivo in attesa dell’avvento del futuro sviluppo indotto dall’economia globale una volta che essa fosse stata adeguatamente sostenuta da istituzioni finanziarie e di governance del rischio politico.

Una considerazione di premessa può rispondere al quesito di dove reperire le risorse finanziarie per poter rilanciare immediatamente l’economia nazionale.

Esistono forme di temporaneo stazionamento delle risorse finanziarie che sono in mano al tessuto molto diffuso delle piccole e medie imprese di ogni Paese che per ragioni più o meno capziose sono state trasferite all’estero. Risorse presumibilmente necessarie, anche se non immediatamente, per acquistare all’estero i beni e servizi necessari alla produzione e che, anche in momenti di temporaneo rallentamento, non possono esser penalizzate da un rientro e successiva uscita allorquando produzione e domanda torneranno a crescere. Esistono anche forme di trasferimento legittimo dei risparmi in fondi esteri che possono essere invogliati a rientrare nel Paese per finanziare il rilancio produttivo se remunerativo. Infine esistono risorse massicce che finanziano il sistema della criminalità organizzata soprattutto, ma non solo, nel comparto del narcotraffico e che qualora sequestrate potrebbero essere utilizzate a garanzia degli investimenti infrastrutturali che lo Stato dovrà certamente affrontare, senza aumento di imposizione fiscale o di debito pubblico, per rendere appetibile ai privati l’investire nel rilancio immediato in questione.

Sembra infatti che sia in atto una tendenza crescente nei confronti della criminalità organizzata e nello stimolo al rientro dei capitali parcheggiati all’estero.

I comparti di investimento che garantirebbero un immediato rientro dei capitali e adeguato ritorno sul loro investimento potrebbero certamente essere le costruzioni soprattutto adibite all’ospitalità turistica diffusa in tutto il Paese. Si tratta di un rilancio diffuso del valore del capitale immobiliare e del sistema connesso a esso (costruzioni, materiali, arredamenti, impianti, elettrodomestici, etc.) e, se il comparto industriale “turismo” venisse realmente potenziato, il rilancio del settore sarebbe associato per tutti gli anni a venire dagli sbocchi delle produzioni rurali e gastronomiche ‘locali’ per le esigenze dell’aumento di ospiti esteri. Si tratta di un rilancio diffuso e stabile a beneficio delle ‘economie locali’ che sono tra l’altro le primarie fonti del maggior risparmio del sistema Italia rispetto ad altri Paesi. Ai settori della produzione industriale più manifatturiera si potrebbe agevolmente accompagnare un ulteriore rilancio economico se si potenziasse il comparto dei servizi di leisure dallo sport (golf, sci, nautico, sub, alpino, etc.), al gioco d’azzardo ed a tutte le offerte di nicchia che caratterizzano i comparti maggiormente remunerativi oggi nel mondo.

Un tale rilancio non solo sarebbe immediato (come dimostra la rapida realizzazione della ricostruzione in Abruzzo) ma sarebbe anche assolutamente credibile tanto da ottenere l’avvento di capitali  e di partner esteri data l’assoluta unicità di attrattive naturali e culturali del Paese. Si può fare un parallelo seppure minimale tra il ruolo che potrebbe giocare il comparto turismo in Italia rispetto all’U.E. e a tutto l’Occidente e il ruolo che la Florida è riuscita a ricavarsi nei confronti del mercato Nord-Americano. La Florida è uno Stato di dimensioni analoghe all’Italia, è afflitta da un clima assolutamente perverso rispetto a quello di cui gode il nostro Bel Paese e riesce ad ospitare nei mesi più inclementi i turisti di tutto il Nord America oltre a ospitare in modo sempre più stabile pensionati Nord Americani ed esteri. L’Italia potrebbe ospitare volumi di ospiti di almeno dieci volte superiori agli attuali con un ritorno sull’investimento (e la manutenzione) di un decimo rispetto a quanto avviene nell’economia della Florida.

Gli impedimenti?

Gli impedimenti derivano dalla impotenza del nostro esecutivo e dalla opposizione ad ogni immediata soluzione che rischia di dare visibilità e credibilità al governo in carica rendendo così definitiva la permanenza al governo di un out-sider del sistema istituzionale ormai obsoleto come è Berlusconi. Gli intralci che ha creato il sistema consociativo della prima repubblica (quella fondata sul lavoro, sull’esclusione dall’arco costituzionale e sul centralismo parlamentare) sono tali e tanti da permettere all’ultimo dei sindaci di bloccare la costruzione di un tunnel in Val di Susa. Figuriamoci di fronte al “piano casa” o addirittura al “piano costruzioni e turismo”.

I risultati?

Il risultato sarà che le “caste” (magistratura progressista, giornalismo progressista, sindacati nazionali, autonomie locali, e via cantando) riusciranno a isterilire le velleità di Berlusconi per altri tre anni al termine dei quali, non essendo riuscito a modificare la situazione (giustizia, infrastrutture, federalismo, etc.) Berlusconi sarà “giubilato” consensualmente ad una alta carica presso l’U.E. con garanzie di intangibilità per i suoi interessi aziendali.

Le aspettative residuali possibili?

Le aspettative per gli italiani saranno come la solito affidate all’avvento del “liberatore” dall’estero (un tempo l’imperatore, poi i Savoia, poi gli americani, poi il Mercato Comune, poi – all’inizio – l’U.E.). il “liberatore” sarà un gruppo estero che, forte del sostegno politico del suo Paese (o comunque dell’uomo forte nella istituzione che presiede alla ‘governance’) realizzerà quanto è banale capire e sotto gli occhi di tutti ma che nessun italiano mai consentirebbe ad altri italiani di attuare.

La nostra posizione “politica nazionale” è quella di “rosicare” per i successi del connazionale più dotato e di “gufare” per aiutarne il fallimento. Con materia umana di questa fatta come può Carlo Pelanda consigliare chicchessia in Italia a fare qualcosa di lontanamente evidente e praticabile?