30/03/2010

Agone politico europeo nel 2000

Dopo avere assistito all’ennesimo episodio di masochismo politico in Italia vorremmo estendere le relative considerazioni a illuminazione della più generale crisi di identità che ha colpito la “sinistra” in tutta Europa a causa dell’egemonia imposta dalla globalizzazione del sistema industriale del paradigma del capitalismo-liberista.

Non si può più imporre tutele illiberali ad alcuno dei benefici settoriali ereditati dal passato paradigma del “welfare state” degli Stati Nazione. Ciò imporrebbe di trasferire l’onere di quei vecchi privilegi a spese delle future generazioni o dei Paesi emergenti (che possono sottrarsi all’onere emigrando o attraendo gli impianti produttivi rendendo meno redditizi gli investimenti un tempo insediati nei vecchi Stati Nazione), o travasare l’onere intergenerazionale a spese di immigrati da Paesi meno sviluppati (che sono più interessati a rientrare in Patria dopo avere accumulato reddito e vecchi benefici sociali che non ad assumere a-vita gli oneri della nuova cittadinanza). La globalizzazione ha delegittimato i vecchi paradigmi legati alla cittadinanza ed ha esaltato il paradigma produttivo legato alla libera circolazione di beni, idee, persone e residenza in modo tale da stigmatizzare di illiberale e autoritario qualsiasi tentativo d’ostacolare l’avvento dell’economia industriale internazionalizzata.

In questo contesto geopolitico ancora privo di una nuova governance condivisa e che dovrà essere costruito con un livello accettabile di consenso internazionale, si avviano a ritmo accelerato nuovi assetti industriali che assicurano un ritorno diffuso di benessere economico oltre i confini del vecchi Stati Nazione. Frenare i benefici creerebbe reazioni sociali presso le generazioni che beneficiano sempre meno dei vecchi privilegi del “welfare state”. I politici nazionali che avevano costruito le loro fortune nel paradigma del “welfare state” (“di sinistra”) nei vecchi Stati Nazione si trovano sempre più spesso schiacciati a difesa di conservazione di quei privilegi con decisioni conservatrici o, insostenibili come costo fiscale se estese a tutti i residenti senza distinzione tra cittadini e immigrati.

Le competizioni elettorali che si susseguono senza modificare le vecchie proposte “di sinistra” vedono calare il consenso ai partiti tradizionalmente ispirati da ideologie “socialiste” (dottrina sociale secolare o cristiana) e il loro arroccarsi in aree caratterizzate da scarsa mobilità e lenta partecipazione alle opportunità connesse al mercato globale.

La soluzione più evidente e pragmatica per i partiti “di sinistra” dovrebbe essere di cambiare totalmente il paradigma del loro patto-sociale che definisca i caratteri di una legittimità a gestire il potere istituzionale al fine di realizzare una forma di scambio di interessi che risulti sostenibile economicamente ed attraente per tutti gli aderenti. L’abbandono del vecchio patto sociale ormai non più sostenibile sia sul piano economico che istituzionale accelererebbe l’impossibilità di conservare l’egemonia nell’ambito dei vecchi Stati Nazione ma avrebbe come contropartita l’acquisizione di un nuovo programma di politica industriale sul quale la “sinistra” potrebbe tentare di contendere il diritto a governare al trionfante ed egemone capitalismo-liberista paradigma altrimenti incontrastato per chissà quanti decenni a venire.

L’altra soluzione naif vede invece i partiti di “sinistra” lottare all’insegna di proposte sempre meno credibili e sostenibili cercando semplicemente di gettare discredito sugli avversari, di contrastarne dialetticamente ogni proposta di azione e di aggregare coalizioni altamente disomogenee (per mancanza di un nuovo paradigma di “sinistra”) che tengono comportamenti disomogenei e poco capaci di rassicurare i potenziali elettori sulla affidabilità dei loro leader.

L’arroccamento dietro i vecchi paradigmi è fonte di grande disorientamento anche presso gli elettori abituati alle passate parole d’ordine. La eccessiva semplificazione nuoce alla credibilità logica delle vecchie proposte. Dividere le “sinistre” come virtuose contro l’avidità e l’illegalità delle “destre” abbina i programmi di lotta sociale del vecchio socialismo alla predicazione della virtù contro il peccato di Santa Madre Chiesa. Una poco credibile strategia, encomiabile come obiettivo escatologico sul piano del progresso dell’umanità verso la sua trascendenza spirituale, ma sempre fallita in ogni tentativo di incarnarne l’attualizzazione secolare (dalle comunità dei cristiani al tempo delle persecuzioni nella Roma Imperiale, alle reducciones in Paraguay della Compagnia di Gesù, ai recenti episodi ispirati alla teologia della liberazione in America Latina). Una strategia inoltre che impone la rinuncia all’uso coattivo delle istituzioni civili pena la stigmatizzazione del regime come autoritario, illiberale e privo dei necessari requisiti di rispetto degli investimenti esteri.

L’arroccamento dietro il vecchio paradigma egalitario nella sua accezione più integralista conduce a dover erogare erga omnes beni primari e servizi fondamentali a prezzi e tariffe “socialmente” sostenibili che non riuscendo a compensare i costi di produzione, distribuzione e manutenzione dei sistemi produttivi dev’essere addebitata a spese fiscali ed erogata da istituzioni sempre scarsamente “responsabili” della loro produttività. Ciò crea condizioni di scarsa competitività industriale che gravano sul sistema industriale complessivo e non agevolano l’attuazione delle promesse di “sinistra” (ne sono esempi le tariffe dell’acqua, dei trasporti, dei servizi sanitari, etc.).

Addebitare alla fiscalità generale l’altrimenti insostenibile onere conduce a forme oppressive di tassazione ultra-progressiva che, in epoca di legittima circolazione dei capitali, aziende e persone, conduce a graduale evasione, elusione e delocalizzazione di impianti produttivi con conseguente diminuzione delle fonti di reddito e di occupazione nazionale.

Arroccarsi dietro una interpretazione integralista della tutela ambientale conduce a rallentare la costruzione di infrastrutture tecnologiche indispensabili per sostenere la competitività del sistema industriale nazionale (TAV, Ponte di Messina, Elettrodotti, Rete in fibra ottica, smaltimento rifiuti e inceneritori, etc.) oppure ad impedire l’insediamento di processi industriali redditizi finanziati a spese totali private (impianti nucleari, coltivazioni OGM, etc.). si tratta di lotte di retroguardia in quanto non possono essere interdette in ogni Paese legato da trattati di libero scambio e quindi lentamente inefficaci e di immediato nocumento per la sola economia industriale nazionale (con relativa perdita di reddito e di opportunità occupazionali).

Difendere ad ogni costo la permanenza di impianti improduttivi in Italia per la sola tutela delle vecchie istituzioni para-politiche conduce ad accelerare la competitività dei sistemi industriali dei Paesi legati da trattati di libero scambio nei quali le istituzioni analoghe sono meno politicizzate con associata perdita di investimenti esteri e di opportunità occupazionali complessive. È il caso di Termini Imerese ma in generale della difesa di produzioni “mature” e troppo costose in Italia rispetto ad altri Paesi emergenti, sia in Europa che in altri continenti necessari per le esportazioni del nostro sistema industriale complessivo. Ma è anche il caso del ritardo alla riforma della giustizia per pure convenienze di lotta elettorale (peraltro fallite sempre per la scarsa sensibilità dell’elettorato alla strumentalizzazione particolare rispetto all’elevato e diffuso interesse per la soluzione più generale dell’inefficienza giurisdizionale in ogni comparto di azione). Questa riforma istituzionale risulta essere una aspettativa di maggiore popolarità per le sue conseguenze su tutti i cittadini e la popolarità della magistratura è tra le più basse nell’elettorato (confermata da referendum e da indagini di opinione oltre che dall’oggettivo disservizio e constatabile in ogni settore). Abbinare per ragioni di opportunismo integralista elettorale l’etichetta “etica” di “sinistra” alla mancata riforma della giustizia conduce alla persistenza della scarsa competitività del sistema industriale italiano rispetto ai Paesi suoi concorrenti e trasmette ai partiti di “sinistra” un’immagine negativa di conservatori dell’inefficienza. Oltre che a inquinare in modo incoerente l’immagine dei partiti tradizionalmente socialisti, di “sinistra”, con la loro associazione con alleati scarsamente credibili e privi di finalità strategicamente comprensibili (Grillo, Di Pietro, etc.).

Nel frattempo nuovi partiti politici riempiono il vuoto elettorale lasciato dalle vecchie “sinistre” che, come la Lega Nord, pragmaticamente, cercano di interpretare le richieste di tutela nel pieno rispetto della libertà di agire nel privato che provengono dalle generazioni meno tutelate dal vecchio welfare state, dai professionisti privati a ogni livello di formazione accademica (dagli idraulici, agli elettricisti, ai tassisti, ai trasportatori di posta, merci e persone, ai piccoli produttori rurali, alle botteghe artigiane, etc.) pretendendo riduzione dei costi fiscali dello stato sui produttori e il rivoluzionamento delle prestazioni delle istituzioni dello stato e della politica.

Probabilmente è questo l’approccio pragmatico per lasciare emergere in modo libero da ideologie dall’alto i criteri che potranno costruire i futuri programmi di “sinistra” interna in tutti i Paesi. Ciò tuttavia priverà le “sinistre” della capacità di armonizzare le strategie nazionali in un programma di governance globale che solo la supponenza di “menti sottili” (e fallite) dell’ottocento riuscirono ad immaginare dietro la bandiera di un “proletariato” la cui esistenza è solo legata ad una particolare fase del progresso industriale.

La dottrina sociale della Chiesa sembra essere la sola vera e permanente strategia di “sinistra” che tuttavia non si prefigge scopi di gestione del potere civile e che, inoltre, si affida alla libera scelta dei fedeli di seguirne i precetti nel grado e intensità decise dalla maturità e dalla responsabile disponibilità di ciascuno a prestare compassionevole solidarietà e personale rinuncia a soddisfare le proprie maggiori esigenze. Un vero tipo di liberismo sociale.