30/01/2010

Socialismo di mercato e progresso tecnologico

La rubrica cerca sempre di suggerire riflessioni sullo spirito che anima la nostra civiltà ‘Occidentale’ (che oggi è trionfante sul piano globale) in modo “anticonformista” e che risulta perfino “provocatorio”; ma solo in quanto il lettore è in genere ispirato comodamente a un “senso comune” che nella storia della civiltà è stato sempre diffuso da un’informazione sociale “organica” ai prevalenti interessi delle elite istituzionali le quali cercano sempre di “resistere, resistere, resistere” all’avvento dell’innovazione tecnologica temendone gli effetti negativi sulla “conservazione” dei rispettivi privilegi e ruoli obsolescenti. In ogni regime ed epoca sia nelle teocrazie degli Ancién Regime, sia nei regimi autoritari e ideologici (ateo scientista, comunista, fascista, nazional-socialista), sia anche nell’ambito dei regimi liberal-democratici. Seppure in questi agisca con comportamenti sempre meno oppressivi sollecitati proprio dall’egemonia esercitata sull’innovazione delle istituzioni dal progresso industriale. Il solo capace di sollecitare sempre nuove aspettative di consumi sul libero mercato al di là degli schemi ideologici e dei confini contingenti imposti dalle istituzioni alle stesse dimensioni del mercato.

Le “suggestioni” delle proposte esposte in rubrica sembrano essere delle “provocazioni” solamente se sono lette nell’ottica del “politically correct” che prevale nei media e che riesce quindi a imporre un “senso comune” che spesso è estraneo al “buon senso” tradizionale sulla cui solida base si fonda la civiltà ‘Occidentale’ e il suo connesso progresso industriale, economico, istituzionale e civile.

La rubrica ha recentemente avuto occasione di suggerire una rivisitazione del concetto di “speculazione” prima di condannare questo meccanismo assolutamente “naturale” e cioè ispirato dal permanente istinto umano di rischiare molto confidando di conseguire molto di più. Un istinto presente da sempre a ogni livello sociale e etichettato come “avidità egoista” anche al livello della saggezza popolare in grani “chi non risica non rosica” - vox populi. Analogamente la rubrica ha avuto occasione di suggerire una rilettura del concetto di “crisi globale” per poter formulare una critica ispirata al “buon senso” della interpretazione di “fallimento finale” del paradigma capitalismo-liberista pretesa dalle “menti sottili” organiche alla conservazione di interessi corporativi ormai insostenibili alla luce delle nuove realtà geopolitiche consolidatesi attorno all’estensione su base globale del sistema unico di produzione e distribuzione industriale. La rilettura che si suggerisce alla luce del “buon senso” propone di mettere a confronto i benefici già apportati dalla globalizzazione (e dai suoi promotori - “hedge funds”) nel corso degli ultimi vent’anni (a partire dal “crollo del muro” di Berlino e poi consolidata dalla deregulation avviata da Bill Clinton e proseguita con analoghe politiche e sotto le stesse guide istituzionali da tutti i Presidenti USA susseguitisi fino ai comportamenti attuali di Obama. I benefici sono leggibili in termini di PIL-globale, di abbattimento dei prezzi in quasi tutti i beni e servizi di consumo di massa e in convergenza internazionale per costruire una governance condivisa minacciata da medesimi “nemici” individuati nei movimenti integralisti ostili alla civiltà industriale ‘Occidentale’ da tutti i regimi politici coinvolti consensualmente nel processo della globalizzazione industriale. Regimi che un tempo erano invece divisi da ostilità ideologiche nel costante rischio di confronto nucleare e che rappresentano, nel loro complesso, oltre tre quarti della popolazione globale (Cina, India, USA, UE, Commonwealth). Tutti uniti oggi da comuni interessi non ideologici e soprannazionali che hanno già dimostrato di poter assicurare a tutti i consumatori una crescita del reddito pro-capite medio mai vista in precedenza nella storia della civiltà.

A fronte di questi indiscutibili successi è naturale che il trionfo dello stesso paradigma industriale di libero mercato abbia presentato anche effetti “locali” di temporaneo disagio. Fenomeni che vanno dalla perdita di lavoro di qualche addetto alle fasi della produzione che conviene a tutti “delocalizzare” in quanto, essendo “manpower intensive”, risulta più remunerativo insediarle nei Paesi in cui la manodopera è più indigente e abbondante. Un obiettivo che, in quanto aderente alla visione “morale” di riscatto dei più poveri, sarebbe stato naturale avesse ricevuto il sostegno della Chiesa di Roma – anch’essa abbondantemente inserita nel gioco di costruzione del Nuovo Ordine geo-politico Globale. Fenomeni di disagio che coinvolgono anche le vecchie istituzioni in tutti gli Stati Nazione coinvolti consensualmente nel processo della globalizzazione che impone la sostituzione delle istituzioni della vecchia governance con altre che non si possono costruire senza destabilizzare quelle attuali; dai sindacati “nazionali”, alla giustizia, al legislativo, all’esecutivo, alla difesa internazionale dei nuovi interessi comuni. Si suggerisce insomma di rileggere la presunta “crisi” come un processo periodico e fisiologico nel paradigma industriale di libero mercato. Una “crisi congiunturale” anche se questa volta essa si svolge in un contesto di governance geo-politica assolutamente nuovo rispetto a quelli periodicamente già sperimentati nel corso della crescita del progresso economico e politico interno agli Stati Nazione. Una “crisi” che viene vissuta quindi anche nei Paesi a regime autoritario con effetti “liberatori” delle loro istituzioni pressate da medesime aspettative economiche rispetto a quelle presenti nei Paesi ‘Occidentali’ liberal-democratici.

Questa rubrica ha anche cercato di indicare le ragioni per cui occorre che sia il “consumismo” il meccanismo cui, nel paradigma di libero-mercato, viene affidato il compito di rastrellare in modo “democratico” (cioè per libera scelta e universale accessibilità) il ritorno sugli enormi investimenti richiesti per avviare l’innovazione delle reti tecnologiche infrastrutturali necessarie su base globale per consolidare la globalizzazione. Ciò al di fuori di decisioni assunte dalle istituzioni politiche degli Stati Nazione ancora recalcitranti e “resistenti” ad accettare questa rivoluzione liberal-democratica finale della civiltà industriale ‘Occidentale.

Ammortizzare gli investimenti in tecnologie innovative per renderle accessibili economicamente alla fascia più ampia di consumatori ne consente il successivo accorpamento in sistemi di imprevedibile carattere rivoluzionario per l’efficienza del sistema industriale globale.

Cioè l’abbattimento dei costi delle microchip sviluppate per le esigenze gestionali e comunicative militari e dei grandi gruppi industriali, ha consentito l’enorme diffusione dei cellulari in uso oggi presso ogni ceto sociale. L’abbattimento di quegli stessi costi ha “democratizzato” anche il consumo dei PC grazie al costante susseguirsi presso gli adolescenti di video-giochi sempre più avvincenti che richiedono potenze di calcolo e dimensioni di memoria tali da imporre tassi accelerati d’obsolescenza ai prodotti di informatica per l’utente finale. Quell’abbattimento di costi ha diffuso anche l’uso popolare delle tecniche digitali nei campi foto e cinematografico ed ha condotto all’integrazione con gli apparati domestici TV e con la presentazione su schermi sempre più grandi dei video-giochi e dei filmati dell’industria multi-mediale tradizionale (cinema e TV). La disponibilità dei PC e l’abitudine crescente e diffusa del loro uso con i cellulari per attingere a informazioni peer-to-peer o da banche dati di pubblico accesso, ha consolidato un mercato globale di consumatori di informazioni libere dai tradizionali vincoli dell’industria editoriale.

Ciò ha creato aspettative di nuovi sistemi di comunicazione altrettanto “democratici” in quanto ad accessibilità sia economica che tecnologica. Inoltre questa nuova popolazione di consumatori trascende i confini tradizionali degli Stati Nazione di appartenenza creando, oltre a nuovi spazi di libertà, una spinta all’accettazione della lingua inglese come mezzo universale di scambio. Ciò da un lato uniforma le aspettative e la disponibilità dei consumatori e d’altro lato crea le premesse per imporre regole di governance gestionale (legislative e giurisdizionali) proprie della civiltà ‘Occidentale’ più industrialmente evoluta (diritto e giustizia civile anglo-sassone). Lo stesso abbattimento di costi delle microchip ha consentito l’attuale imminente rivoluzione multimediale che si può già percepire “democraticamente” acquistando la I-pad o assistendo al tridimensionale Avatar. Si tratta dell’integrazione futura tra le tecniche della realtà virtuale più consolidata dai video-giochi per gli adolescenti e le tecniche di rappresentazione tridimensionale a distanza di beni e servizi destinati ad utenti professionali. Tecniche che, se adeguatamente integrate con i visori già in uso militare oggi e colla trasmissione di ologrammi, potrà aprire “democraticamente” l’accesso diffuso alla formazione professionale più onerosa (apprendimento di processi distruttivi, costosi, rari o rischiosi), alle tecniche di trasmissione a distanza dei calchi manifatturieri per permettere la produzione remota di componenti o parti meccaniche da sostituire in impianti e macchinari in avaria e alla esecuzione guidata remota di interventi sanitari e riabilitativi oggi riservati a fasce privilegiate di consumatori prossimi a grandi centri attrezzati professionalmente.

Quegli esempi vogliono suggerire che il “consumismo” sia lo strumento che, nello spirito di libero mercato, può raccogliere piccole somme ma a spese di un vasto mercato di consumatori di accessibilità “democratica” accelerando il ritorno sugli enormi investimenti del passato in tecnologie spaziali e militari. Lo strumento che, nello stesso tempo, crea un sempre più ampio mercato di potenziali utenti/consumatori, omogenei in quanto a standard di comportamento, di aspettative e di disponibilità individuali creando così le premesse per accelerare gli attuali programmi di implementazione delle reti infra-strutturali tecnologiche globali. Reti caratterizzate da standard di connessione e di accesso tali da poter sollecitare la creatività dei provider di servizi e di informazioni e i produttori di beni di consumo a proporne il consumo a prezzi diffusamente accessibili (“democratici”). La disponibilità delle reti infrastrutturali e del vasto mercato di consumatori di “profilo” consolidato e noto, permetterà l’offerta di servizi assolutamente innovativi e il calcolo dei rischi industriali associati al ritorno sugli investimenti necessari per competere sul libero mercato globale qualora siano tutelati da coerenti procedure ed istituzioni della nuova governance. L’esistenza d’un interesse generale a garantire la continuità dei consumi e delle produzioni è il migliore garante della volontà universale di costruire una nuova governance globale senza la quale la crescita del reddito mondiale sarebbe più lenta e la diffusione del benessere e delle libertà civili sarebbe inferiore.

“Socialism” … it’s the economy … stupid!