03/12/2010

Tecnologia, sicurezza e democrazia

Come spesso accade i commenti sui fatti di cronaca cercano di affrontarne le implicazioni più spettacolari che attraggono la lettura più superficiale dei lettori mentre trascurano di ricavarne considerazioni di più vasto interesse in prospettiva.

L’informazione alimenta il gossip e rinuncia alle sue finalità più utili; la divulgazione corretta dei rischi per gli interessi generali suggeriti dai fatti di cronaca.

I commenti quindi si concentrano sui protagonisti più che sui fatti e sugli aspetti più criminali o immorali ma personali delle loro azioni. La personalizzazione degli eventi e dei reati stimola nei lettori la attenzione sugli aspetti meno significativi dei fatti di cronaca; l’abilità dell’autore, la sua simpatia, le sue motivazioni, la dimensione del danno, lo specifico tema in questione.

Il caso Assange non sfugge a questa regola. Conviene invece esaminarne gli aspetti di maggiore interesse per la governance liberal-democratica soprattutto nell’attuale processo di definire un nuovo ordine globale che riesca a garantire la governance politica della globalizzazione industriale che procede con successo e velocità travolgenti.

Conviene esaminare il caso wikileaks nei suoi aspetti dopo averlo collocato nel contesto della globalizzazione che è stata avviata ed è tuttora gestita in modo egemone dal mondo industriale.

Infatti sono state le decisioni maturate nel mondo finanziario internazionale ad alimentare la travolgente internazionalizzazione delle produzioni industriali. Decisioni che hanno anticipato e scavalcato ogni vecchia istituzione politica nazionale e soprannazionale del vecchio contesto geopolitico fondato sugli Stati Nazione.

La crescita è risultata più redditizia se letta in chiave del PIL globale e la sua distribuzione è risultata molto più gratificante rispetto all’assetto della cooperazione industriale precedente se misurata in termini di tasso di crescita del PIL dei paesi più poveri rispetto alla crescita di quelli più industriali; un tempo esclusivi beneficiari. Le risorse finanziarie, sempre scarse in ogni epoca, hanno raccolto livelli di crescita superiori a quelli del passato e ciò consente di alimentare ulteriore accelerazione delle fasi dello sviluppo industriale.

Ciò che ora comincia a preoccupare il mondo industriale è la potenziale mancanza di stabilità politica anche alla luce dell’inadeguatezza delle attuali istituzioni della governance create nell’era degli Stati Nazione ed ormai totalmente inadeguate alla bisogna.

Il mondo industriale (al cui vertice è il comparto finanza) è totalmente egemone ed autonomo nella sua conduzione del processo di globalizzazione ma i rischi che corrono i programmi di investimento strategico multinazionali diventano sempre più grandi al crescere delle somme coinvolte. Assicurare i programmi e tutelarli sul piano di accordi privati (backchich, corruzione, tangenti, royalties, etc.) diventa sempre più oneroso e meno affidabile strumento di lavoro rispetto al tradizionale processo ‘liberal-democratico’ del lobbying industriale. Occorre tuttavia disporre di istituzioni credibili verso le quali svolgere affidabili azioni di lobby secondo ben definiti criteri legali tutelati da credibili ed affidabili corti di giustizia e da altrettanto affidabili e credibili ingiunzioni esecutive nei casi di infrazione degli accordi. In altri termini occorre ormai che al processo di interesse privato di produzione della ricchezza sia affianchi un processo istituzionale di interesse pubblico che garantisca l’adesione consensuale e universale alle regole dello sviluppo industriale.

Questo processo richiede che i vecchi Stati Nazione vengano sollecitati a concordare le linee della governance globale. Superando le ‘resistenze corporative’ poste dalle istituzioni dei vecchi Stati Nazione nella loro totale inadeguatezza che le costringe ad intervenire con ‘azioni militari’ nei casi di maggiore interesse per i singoli paesi. I processi diplomatici che dovrebbero evitare l’insorgere di turbolenze belliche ‘locali’ risultano sempre meno credibili ed efficaci; molto meno delle alleanze militari. Ciò crea un mondo di relazioni internazionali in cui il ‘bastone’ (le alleanze militari) sono più efficaci della ‘carota’ (i compensi dell’industria privata e la diplomazia d’antan); i paesi più fortunati (come l'Italia) vedono al vertice politico nazionale un tycoon che ha familiarità ‘personale’ con i criteri più efficaci delle relazioni industriali internazionali che non possono ricorrere ad interventi militari per sostenere le proprie ragioni.

Fatta questa premessa sul contesto in cui si è sviluppata l’organizzazione e l’esecuzione della prima fase dei wikileaks, cerchiamo di esaminare l’avvenimento nei suoi aspetti più personali, ‘locali’ e in quelli invece che hanno un maggiore interesse ‘geo-politico’ più generale.

Intanto si deve dire che l’atto perpetrato da Assange a spese degli archivi diplomatici si colloca tra quelli che hanno infiorato la storia del giornalismo nella seconda metà del 1900 quando, dopo il secondo conflitto mondiale, si era consolidato il crollo dei vecchi Stati Nazione e le uniche due potenze che si confrontavano nella guerra fredda agivano sullo scenario globale cercando di acquisire il controllo strategico su quelle aree di maggiore peso geopolitico trascurando gli interessi delle potenze, ormai regionali, che ne componevano il sistema satellitare. Era naturale che quelle vecchie potenze un tempo egemoni tramite i loro imperi coloniali assumessero comportamenti diplomatici ‘ambigui’ se letti nell’ottica della diplomazia USA e dell’URSS. Dare sostegno a forme di grandeur che permettessero di conservare un grado di competitività industriale nei confronti degli USA è stata la regola con l’esempio più grossolano e sciovinista francese che, grazie ad una tradizione di stato efficiente, riuscì a proporsi come ‘terzo incomodo’ nel conflitto in atto tra USA ed URSS.

De Gaulle promosse la ‘force de frappe’ partendo dall’appartenenza al ‘club’ delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale legittimate a detenere ‘la bomba’. Gli investimenti finanziari e diplomatici francesi si incentrarono sulla conservazione di una competitività industriale tramite innovazioni tecnologiche capaci di opporre il sistema industria-stato francese a quello egemone USA delle ‘multinazionali’. Il paradigma nel cui ambito si sviluppava la competizione poneva la ‘politica’ allo Stato Nazione ‘al servizio’ di quel sistema industriale ribaltandone l’ottica gerarchica. De Gaulle sostenne lo sviluppo del Concorde – un avveniristico aereo che, commercialmente destinato a fallire, aveva caratteristiche idonee alla conversione bellica come bombardiere strategico ultrasonico. De Gaulle sostenne il sistema TV a colori Secam e riuscì a creargli un mercato protetto dalla libera concorrenza con l’adozione di quello standard nel mondo comunista – una mossa che condannò il Secam a soccombere rispetto alla versione PAL/NTDS ‘Occidentale’. Il Regno Unito assunse invece una posizione ‘terza’ in modo molto più defilato rispetto all’egemonia industriale USA avvalendosi del capitale efficiente dei servizi di eccellenza (finanziari, assicurativi e diplomatici) che il suo sistema del ‘terziario avanzato’ di interesse pubblico aveva consolidato sullo scenario geopolitico globale a disposizione senza limiti nazionali a tutti i gruppi industriali. Un patrimonio di efficienti servizi che lo stato e la City offrivano anche agli USA nella loro (a tutt’oggi) goffa fase di apprendistato di una ‘cultura della governance mondiale’ che era (e resta ancora oggi) pressoché un monopolio dei Governi di Sua Maestà.

Questa tradizione strategica su base geopolitica mondiale, pur limitata dal settarismo degli Stati Nazione, e la condivisione col sistema industria-stato USA della cultura legislativa, giurisdizionale e della lingua inglese già egemone e sostitutiva del francese nella diplomazia ereditata dall’ancien regime, hanno fornito al Regno Unito il mezzo per conservare un margine di negoziazione del suo ruolo nel nuovo contesto geopolitico che impegnava prioritariamente ogni risorsa dei due contendenti USA ed URSS. Il crollo del muro di Berlino ha liberato ogni ritegno del sistema industriale più competitivo ad imporre il suo potenziale di crescita oltre ogni vecchio confine nazionale – le ‘multinazionali non hanno Stato Nazione che possa gestirne l’esuberante redditività sociale ed economica. La ‘globalizzazione’ venne decisa dalla ‘Wall Street allargata’ che ormai si era estesa a Singapore, Hong Kong e Dubai. Il paradigma produttivo egemone del capitalismo-liberista è stato adottato anche dall’emergente Cina non più ‘comunista’, né totalitaria ma semplicemente autoritaria.

Una volta consolidata l’egemonia geopolitica globale dell’industria in ogni suo comparto produttivo, è oggi naturale che la nuova governance nasca liberandosi dei vecchi privilegi settari ereditati dalle istituzioni degli Stati Nazione morti ormai definitivamente nel 1989.

La nuova governance si trova a dover scegliere modi culturali più appropriati di quelli paludati ed elitari che vigevano nell’era dell’ancien regime e che hanno poi ereditato gli apparati ‘democratici’ degli Stati Nazione in cui la diplomazia viene tutt’oggi egemonizzata dai rampolli di famiglie aristocratiche ‘a più casati’.

Il consenso sociale che deve sostenere la stabilità della produzione industriale su base soprannazionale chiede che esso derivi da una comunicazione comprensibile a tutti sia come lingua (simbolismi e inglese) sia come sintassi che trasmette la semantica politicamente egemone (media spettacolo e gossip). Come è la tradizione negli USA in cui il consenso viene catturato dal viso fotogenico di JFK contro un Nixon ben più preparato in politica internazionale (Baia dei Porci vs. Diplomazia del PingPong) o dalla simpatia di Ronald Reagan contro Jimmy Carter un noioso pastore battista (Crollo del Muro vs. Liberazione degli ostaggi in Iran) o dall’homo novus Barack Obama simbolo delle aspettative di ‘cambiamento globale’ ormai diffuse nel ‘mercato unito’ di un sistema mediatico e produttivo in cui è certamente egemone la ‘cultura’ nazional-popolare degli USA – l’unico stato multinazionale privo degli handicap ddella cultura elitaria delle oligarchie degli Stati Nazione.

Una spallata alla vecchia cultura che alimenta e sostiene la governance degli Stati Nazione era necessaria e il casus belli era inevitabile che utilizzasse un canale mediatico nazional-popolare e consolidato su base globale (come la rete dei servizi internet) ed un linguaggio che, al di là del valore diplomatico dei contenuti, fosse facilmente comprensibile a tutti i lettori collegati alla rete da ogni paese (anche i più autoritari partecipanti al nuovo gioco geopolitico industriale).

Le informazioni ideali per questo scopo ‘provocatorio’ e meritorio intrapreso da Assange erano le e-mail ‘riservate’ del Dipartimento di Stato USA scritte dagli unici diplomatici non aristocratici e nazional-popolari che gestiscono le relazioni internazionali oggi - una povera addetta a raccogliere informazioni di secondaria importanza in un linguaggio inutilmente espressione delle sue ‘simpatie/antipatie’ personali che lasciano il tempo che trovano ma che si prestano al follow up nel mondo dei gossip nazionali. Sapere quali siano i lati deboli di un premier potrebbe essere utile a fini ricattatorio/negoziali futuri ma certamente darne un valore morale o etico non aiuta in alcun modo la diplomazia mentre può creare disagio ai futuri Segretari di Stato!

Siamo così giunti a poter commentare ‘a ragione’ l’iniziale (ne è già stata annunciata una versione bancaria) episodio wikileaks di Assange, vediamoli per punti sintetici.

Sotto il puro profilo personale, professionale e penale: 1) Assange ha compiuto un’azione di libera stampa come sono da tempo tutti gli episodi di fuga di notizie riservate e segrete in tutti i paesi spesso giudicati meritevoli di Premi Pulitzer (Documenti del Pentagono, Atti dei Tribunali civili e penali, etc.), 2) Assange ha carpito quelle informazioni tramite una sapiente azione di ‘hackeraggio’ penetrando i file riservati oppure col concorso d’un addetto infedele dello stato (nel primo caso può aver commesso un crimine ma ha aiutato a migliorare la rete protettiva, nel secondo occorre accertare le responsabilità di corruzione/concussione dei due partner nell’azione), 3) Assange può essere stato motivato a compiere la sua azione giornalistica da ragioni etiche, professionali o finanziarie ma tutte soggette alle leggi anti-crimine e di tutela della privacy istituzionale e della sicurezza della governance (è quindi sempre giusto perseguirlo per il rischio o per i danni causati dalla sua azione ma ciò in totale indifferenza per la simpatia di Assange in quanto persona).

Sotto il profilo istituzionale invece wikileaks è interessante indipendentemente dal suo occasionale regista (Assange) e l’evento suggerisce: 1) qualcuno ha aiutato Assange a predisporre la rete anti-hackeraggio tele-matica costosissima ed avanzata e ne ha sostenuto il finanziamento (indipendentemente dalle motivazioni che hanno suggerito quell’investimento), 2) wikileaks non è tanto interessante per ciò che ha rivelato ma per lo stesso fatto di potere essere realizzata al di fuori di uno stato, con diffusione globale e carpendo dati tradizionalmente sede di una delle tre prerogative più preziose per la sovranità degli Stati Nazione (battere moneta, arruolar milizie, condurre azioni diplomatiche - si tratta dell’inizio d’una serie di processi esogeni), 3) wikileaks ha avuto un successo immediato ed esteso sul sistema di amplificazione nazional-popolare dei media spettacolari e del gossip più incontrollabile e non confutabile (il fenomeno oltre ad essere esogeno è anche incontrollabile ed auto alimentato creando una realtà di consensi ingestibili), 4) l’indolore oggetto che wikileaks ha trattato in questa prima versione segnala che l’evento è stato promosso dai suoi finanziatori per segnalare una pericolosa lacuna nella governance della geopolitica odierna (occorre raccogliere il segnale ed avviare azioni correttive non tanto sul piano penale e civile ‘contro’ Assange, né tanto a tutela della privacy e della sicurezza dello stato in chiave anti-hacker o anti-corruzione ma per rivedere le modalità e le procedure che governano le relazioni tra istituzioni internazionali oggi).

Infine sotto il profilo ‘politico’ l’evento wikileaks offre le considerazioni di maggiore interesse per l’impegno in corso di negoziare il futuro nuovo ordine globale (la governance tanto necessaria ormai per assicurare la stabilità agli investimenti industriali e alla conseguente crescita di benessere economico oltre i vecchi confini e privilegi nazionali): 1) il ‘quarto potere’ dei media è, grazie al progresso tecnologico, totalmente egemone rispetto ai tre tradizionali ed è consolidato come linguaggio e spettacolarità presso ogni audience nazionale, 2) contrariamente ai tre tradizionali ‘poteri’ istituzionali in piena crisi grazie alla ‘globalizzazione’ il quarto potere è pienamente florido sia finanziariamente che tecnologicamente e socialmente e le sue iniziative sono altamente de stabilizzatrici in ogni comparto della geo-politica (Nobel, Pulitzer ed Oscar attribuiti a ipotesi di rischi e di ‘lotte’ puramente demagogiche: anti-nucleari, anti-TAV, anti-OGM, anti-segreto di stato, etc.), 3) contrariamente ai tre tradizionali ‘poteri istituzionali’, quello dei media è totalmente ‘irresponsabile’ e si sottrae alla partecipazione al gioco dei check & balance che consente la stabilità e la credibilità stessa del sistema liberal-democratico su cui si fonda la civiltà ‘Occidentale’ – ormai egemone dagli USA alla Cina e quindi elemento di comune ‘pubblico interesse’ per tutta la popolazione globale), 4) lo stile comunicativo adottato dalla democrazia globalizzata è ormai allineato alla ‘cattura diffusa di consenso’, ciò impone di accettare nella carriera e nei ruoli diplomatici di ‘interesse pubblico’ personaggi ispirati da cultura nazional-popolare come già accade in campo politico nazionale da lungo tempo negli USA e più di recente nei vecchi Stati Nazione (irresistibile successo dei Reagan, Obama, Berlusconi), occorre quindi adeguare i processi della governance al linguaggio efficace invece di aumentare la discrasia tra linguaggio esoterico delle oligarchie e aspettative dell’elettorato che le legittima col suo consenso, 5) adeguare processi e regole dei check & balance alle esigenze della nuova governance liberal-democratica è indispensabile per poter creare istituzioni forti ed efficaci nella competizione sul mercato ‘politico’ del consenso che l’industria riesce a raccogliere, sulla base dei risultati offerti, presso i consumatori-risparmiatori-produttori (caso Fiat, caso credit-cards, caso mutui immobiliari, etc.), 6) il sistema industriale riesce da sempre a tutelare le sue strategie con la riservatezza estrema (il caso Enrico Cuccia ‘grand commis’ di MedioBanca così come il caso Enrico Mattei ‘patron’ di ENI sono emblematici in Italia) ma deve poi stabilizzare le proprie strategie di ‘ritorno degli investimenti’ con un ‘lobbying legislativo’ che legittimi l’interesse diffuso e pubblico delle scelte industriali prescelte (ciò segnala la costante esigenza di un ruolo complementare che deve svolgere la ‘politica’ con le sue istituzioni per garantire la stabilità dello sviluppo economico e la credibilità delle soluzioni tecnologiche), 7) questo ruolo di partner del sistema industriale deve stimolare il sistema istituzionale ad adottare uno stile comunicativo che risulti (contrariamente a quello elitario industriale) più commestibile e efficace per l’opinione pubblica da cui esso raccoglie la propria legittimità di governo, 8) se occorre diversificare il linguaggio istituzionale per una maggiore efficacia comunicativa, occorre accettare le abitudini nazional-popolari vigenti per iniettarvi dosi di contenuto scientifico sui vari temi oggetto dell’occasionale dibattito politico, ciò è possibile con adeguati processi di ‘divulgazione scientifica’ ad ogni livello sociale (cosa già adottata negli USA sul piano dell’edu-tainment in ogni campo – dal leisure, all’informazione scientifica a quella professionale e all’educazione stessa di ogni ordine e grado da DisneyWorld, a Epcot, ad Andrew Strominger, ai Festival della Scienza, agli IgNobel), 9) una adeguata ‘divulgazione’ deve essere pervasiva e tutelata dalle intrusioni più demagogiche e qualunquiste che alimentano oggi i media-spettacolo, ciò richiede che si istituzionalizzi il ‘quarto potere’ i cui confini sono solamente descritti dal tipo di audience cui si rivolgono i diversi prodotti editoriali, non dal loro corretto contenuto scientifico (la scuola di ogni ordine e grado fino alla laurea non è altro che un mosaico di processi ‘divulgativi’ delle conoscenze più consolidate a diversi fini pratici, i media scientifici sono solo dei prodotti ‘divulgativi’ fruibili solo da chi possieda già adeguati prerequisiti professionali per sue esclusive esigenze di aggiornamento culturale che lo consiglieranno eventualmente di ricorrere ad ulteriori prodotti di ‘divulgazione’ a fini di aggiornamento professionale, i seminari e le conferenze internazionali si pongono in linea con questa sequenza di ‘prodotti divulgativi’ in una gerarchia informativa, i filmati delle fiction possono risultare prodotti di buona ‘divulgazione’ del potenziale di servizio che la scienza offre alla società mentre i media più generalisti si sottraggono a quel filtro di credibilità distorcendo le ipotesi come minacce o promesse effettivamente realizzabili e stigmatizzabili o auspicabili a seconda delle più utopiche aspettative nutrite dai potenziali elettori-consumatori (giovinezza perenne, sanità garantita, sconfitta della morte, eliminazione delle guerre, fantasia al potere, tutto e subito, eliminazione di evasione o di criminalità organizzata, potenza e desiderio sessuale garantito, diritto alla felicità, uguaglianza universale, etc.).

In definitiva per raccogliere il messaggio d’ interesse ‘politico’ contenuto nell’iniziativa condotta a termine in modo così spettacolare da Assange e dai suoi Mecenati occorrerebbe da un lato evitare di trasfigurarlo in un simbolo di martire della libertà di stampa successivamente raccogliere la sfida sui due piani di interesse per la stabilità del sistema delle relazioni internazionali e per l’adeguata efficacia della nuova governance chiesta dal sistema industria-istituzioni soprannazionali per assicurare continuità agli investimenti, disinnescare i rischi di conflitto armato in negoziazioni diplomatiche, ridurre i costi overhead dei rischi politici che oggi incombono sugli accordi industriali privi di complementari accordi politici abituali all’interno dei sistemi stato-industria nazionali e infine per aiutare l’opinione pubblica dei singoli paesi a maturare una adeguata comprensione delle credibili aspettative che possono essere proiettate sul potenziale industriale, dei concreti equilibri tra rischi da accettare a fronte di benefici possibili intrinseci alle possibili soluzioni tecnologiche ma anche degli oggettivi limiti e vincoli tecnici imposti dal contesto internazionale in cui si sviluppano gli investimenti.

Questo impegno ad aggiornare i processi della governance e dell’informazione di diffuso interesse pubblico si deve fondare su un’innovazione dei programmi di insegnamento e formazione professionale e su una ridefinizione dei ‘poteri istituzionali’ liberal-democratici. Si tratta di una sfida che non può essere rifiutata in quanto in sua assenza il sistema industriale già globalizzato articolerà sue soluzioni sussidiarie animate da criteri elitari privi di legittimazione liberal-democratica e, soprattutto, addebitandone i maggiori costi ai consumatori tutelati solo da libero gioco di successi/fallimenti che si avvicendano sul libero mercato.

Occorre articolare una nuova architettura di istituzioni e dei loro reciproci equilibri che sia capace di elevare il livello del benessere economico senza ridurre l’informazione a propaganda o a spettacolo ma coinvolgendo i consumatori-produttori-risparmiatori in adesione consensuale a strategie politiche sufficientemente stabili e flessibili da ridurre i costi dei più drammatici e traumatici conflitti armati.

Una specifica facoltà universitaria che possa coinvolgere insegnamenti disciplinari diversi ma di pari peso oggi sulla scienza politica dovrebbe sfruttare le conoscenze tecniche dell’’architetto’ d’antan che era il fulcro di un’equipe di specialisti settoriali tutti convergenti in una soluzione abitativa, urbanistica o industriale che risultasse ‘a misura d’uomo’. Si tratta di un’esperienza tecnica ma rinascimentale che non è ancora andata persa e che potrebbe essere facilmente trasferita allo studio di soluzioni architetturali in campi più astratti come le scienze sociali cui appartengono sia la politica sia le comunicazioni sociali.

Grazie Mr. Assange indipendentemente se dovremo venirla a trovare in carcere per l’accusa di stupro o quella di spia, oppure nella cerimonia di attribuzione del Premio Pulitzer per i meriti giornalistici.

Noi attendiamo l’assegnazione di un Oscar cinematografico al regista che saprà cogliere in wikileaks gli spunti di denuncia dell’’irresponsabilità’ del quarto potere (più che l’abusa ‘denuncia’ della goffaggine del potere politico) o, perfino, l’attribuzione di un Nobel all’accademico che saprà tradurre la provocazione di Assange in una proposta scientifica di aggiornamento delle istituzioni liberal-democratiche!