3/08/2009

Italianità Celebrazioni e Mezzogiorno

Si dibatte sempre, non solo in Italia, di due “problemi” quello dell’unità nazionale e quello dello sviluppo del “Sud”; sempre carente e deprecabile. Questi due temi vengono dibattuti all’insegna dello “sfruttamento” che è addebitato ai governi centrali che hanno sempre trascurato le minoranze esistenti all’interno degli Stati Nazione sollecitando un crescente autonomismo locale nella gestione di risorse che inevitabilmente devono essere erogate dai governi centrali a spese della fiscalità generale nazionale per supplire al livello carente di competitività delle economie del “Sud” nella capacità di attrarre finanziamenti privati a sostegno del proprio sviluppo industriale. Si tratta di una evidente non-soluzione di un problema che ha invece radici storiche di maggiore universalità e datazione rispetto a quanto viene dibattuto demagogicamente dai politici locali. Sia che si tratti di baschi, corsi, sardi, scozzesi, campani o siciliani. Cerco di concentrare sul “caso Italia” la mia visione storica del problema e di illustrare come la soluzione di questo non-problema sia in corso in modo spontaneo alla luce della globalizzazione della civiltà ‘Occidentale’. È una fiducia nel “laissez faire” anche in materia di progresso storico che si manifesta al traino dell’irresistibile progresso tecnologico-industriale che, senza ideologie demagogiche, riesce a imporre le proprie necessità alla sfera del politico-istituzionale grazie alla creazione di aspettative di benessere diffuse presso il mercato di produttori, consumatori e risparmiatori in ogni epoca. Cerco di illustrare le ragioni per cui, non solo in Italia ma in specie nel nostro Paese giunto in forte ritardo all’unificazione del suo Stato Nazione, oggigiorno tramontata l’era degli Stati Nazione in piena epoca di internazionalizzazione del sistema industriale e alla ricerca di un condiviso Nuovo Ordine Globale (NGO) ogni tipo di celebrazione postuma delle “unità nazionali” risulta patetico sul piano politico e consente solo un significato storico-culturale di valore inferiore perfino alla celebrazione del Natale di Roma.

L’”italianità” è la percezione di appartenenza ad una comune e condivisa matrice antropologico-culturale prima che linguistica (Venezia era “italiana” ben prima dell’avvento dell’unità di Italia e le sue città dalmate e le sue isole nel Mediterraneo restarono saldamente italiane anche dopo il crollo della Serenissima per colpa dell’imperialismo dello Stato Nazione di Napoleone). La “italianità” dei veneti è radicata nella loro continuità con Roma non-ostante i: crollo di quel sistema istituzionale a vigenza geo-politica globale e avvento di tutti i traumi successivi a quel crollo (orde barbariche, loro assimilazione culturale, secessione di Stati Nazione, frammentazione della legittimità istituzionale, etc.). Questa solida continuità antropologico-culturale non si limita al “caso Venezia” (né alla sola Italia), essa è infatti diffusa anche se in modo particolare nella nostra penisola in quanto essa è la sede delle radici della perdurante civiltà ‘Occidentale’: Stato Romano e Chiesa di Roma.

Non per niente il riferimento storico-emblematico è Roma in costante continuità millenaria e con una costante egemonia culturale del latino prima e dopo il consolidarsi delle lingue volgari (l’inglese ha almeno un 60% di vocaboli di etimologia latina) e della giurisprudenza romana (i sistemi di common law si fondano sul consenso popolare universale consolidatosi a Roma che assegnava valore di legge alle sentenze emesse in precedenza da giudici capaci di attualizzare il criterio di giustizia vigente nel popolo) prima dell’avvento di codici rigidi e onnicomprensivi calati dall’alto di sistemi istituzionali monocratici in uno spirito bizantino ed astratto dal mutare delle aspettative popolari.

In definitiva il concetto di “unità nazionale”, valido per tutti gli Stati Nazione e simbolizzato dall’esigenza di una loro nuova legittimità dopo la secessione istituzionale da Roma fondata sulla comune lingua volgare (più che non sull’unità religiosa) è solamente un concetto puramente transitorio e non primario rispetto a quelli più condivisi universalmente nell’ambito geo-politico ‘Occidentale’. Si tratta d’un concetto transeunte e generato solo dal crollo dell’Impero Romano come istituzione e non in quanto a percezione antropologico-culturale diffusa in continuità millenaria in tutto l’’Occidente’.  Si tratta di una solida persistenza di visione culturale sulla quale il progresso industriale impone occasionali e periodici avvicendamenti di protagonisti tra cui la sede del potere civile (Roma, Londra, Washington) e la lingua universale (il latino e oggi l’inglese). Questa continuità di estensione dell’unica civiltà ‘Occidentale’ è stato promosso dallo sviluppo industriale e tecnologico che ci ha condotti fino all’attuale estensione della comune civiltà tramite la globalizzazione dei rapporti produttivi e la graduale condivisione di una comune lingua (il “broken english”) e di un comune diritto civile (finanziario, industriale, commerciale, istituzionale) che sta ripristinando (dopo l’estinzione degli Stati Nazione) l’Impero Romano nel suo spirito originario anche se adeguato al nuovo ordine politico globale.

La percezione che abbiamo del problema del “Mezzogiorno” nei vecchi Stati Nazione, alla luce di quanto ho indicato è una percezione obsoleta che non trova fondamento nella legittimità tecnologico-industriale che libera le capacità di sviluppo da ogni freno imposto da vincoli imposti dalle elite illiberali a tutela dei loro privilegi (nella tradizione della crescita di libertà ad intraprendere che ha creato gli Stati mercantili e gli Stati Uniti d’America) ma che è radicata invece nella percezione dell’equità distribuita dal principe illuminato ai suoi sudditi oppressi sulla base di criteri economicamente non-sostenibili, illiberali e reazionari. La Cassa per il Mezzogiorno è solo una ripetizione di questa percezione del principe erogatore di benessere. La costruzione di reti infrastrutturali come a Roma (vie consolari, rete postale, sistema di tutela dei commerci, acquedotti, scuole) è invece l’unico modo per selezionare la migliore destinazione delle risorse disponibili localmente  in modo competitivamente adeguato al mercato globale. Se il “Sud” potrà decollare grazie alle sue attrattive per il turismo occorre metterle in evidenza senza una industrializzazione prematura non tanto per carenza di risorse umane, materiali o finanziarie ma per una visione antropologio-culturale ancora fondata sul fatalismo e l’attendismo di aiuti dalla “provvidenza” (Franceschiello, Lauro, Partito o Stato etico che sia).