03/07/2009

Paradigmi dello sviluppo

Nulla di nuovo esiste sotto il sole da quando si ha traccia tramandata dei criteri filosofici che guidano la lotta nell’agone politico. Ciò aiuta a comprendere i motivi per cui in Italia, Paese che ospita da sempre i tre distinti paradigmi che ispirano la politica economica, nessuno dei tre riesca a prevalere sugli altri e quindi non si riesca ad impostare una politica dello sviluppo che risulti stabile sul lungo termine.

Ciò spiega anche i motivi per cui in Italia, pur essendo il Paese più privilegiato e pronto a sperimentare un’immediata crescita economica interna alimentata principalmente da risorse provenienti dall’estero, non riuscirà a nascere quella innovazione industriale che non si limiti a scimmiottare quanto è avvenuto in grandi Paesi di dimensioni comparabili ma si incentri invece sulle unicità che caratterizzano la sua storia, collocazione e configurazione geo-politica.

Una portaerei in mezzo al Mediterraneo, naturale collegamento culturale con Africa e Medio Oriente, sede storica dell’unica autorità morale riconosciuta da ogni diversa cultura e confessione, deposito storico di un patrimonio culturale di unica importanza nel mondo, ricettacolo unico al mondo di ricchezze gastronomiche e enologiche incomparabili, arricchito da una configurazione paesaggistica e naturale molto diversificata che offre attrattive sportive e turistiche incomparabili e poco sfruttate e che, infine ma non secondario, è benedetta da un clima che riduce al minimo le esigenze di gestione ordinaria e manutenzione del suo patrimonio immobiliare e residenziale.

Nel seguito cerchiamo di esaminare i tre paradigmi che da sempre convivono in questo crogiuolo naturale di idee.

Crogiuolo naturale proprio in quanto le condizioni climatiche hanno da sempre consentito una facile sopravvivenza e quindi la disponibilità residuale di tempo per dedicarsi a speculazioni altamente sofisticate, anti-conformiste e quindi incompatibili dall’anarchismo più parcellizzato alla più totale dedizione individuale alle esigenze altrui e ambientali passando per gruppi di clan contraddistinti da ferma convinzione sulla reciproca superiorità fondata sulla fede cieca e assoluta nella visione ideologica del padrino del momento.

Alla ricerca di fondare la superiorità della propria visione etica sulla rivale e con ciò la maggiore solidità della legittimazione a indirizzare lo sviluppo si sono inventate a tavolino varie teorie politiche ispirate alla realizzazione del paradiso in terra purché quegli odiosi uomini si volessero convertire aderendo così a comportamenti coerenti con le specifiche dettate dalla teoria.

 Questa visione raggruppa tutte le diverse ideologie secolari a partire da Pitagora, attraverso Campanella e Savonarola fino a Marx, Hitler, Mussolini tutti hanno programmato lo sviluppo economico per agevolare la nascita dell’homo novus fine della storia e realizzazione dell’Eden.

Si tratta di una sequenza di fallimenti affogata nel sangue e nelle lacrime imposte ai sudditi privati di ogni libertà in quanto ‘irresponsabili’ in ogni senso sia teorico che pratico. Ogni forma di libertà viene considerata ‘deviante’ dall’ortodossia e quindi nemica del bene cui mira la programmazione dello sviluppo della società verso la sua meta finale.

Le libertà religiose sono considerate altrettanto nocive alla luce dell’ortodossia in quanto propongono paradigmi autonomi e potenzialmente alternativi all’unità di coagulo delle energie psichiche sui fini comuni. In questo gruppo di ideologie si possono raccogliere quindi anche le ideologie ‘libertarie atee’ come lo ‘scientismo’ che è la versione riduttiva dell’Illuminismo umanista del ‘700.

Da cui nacque la frattura e lo scontro politico interno alla civiltà ‘Occidentale’ inaugurato proprio dalla visione secolare proposta dalla Rivoluzione Francese all’insegna della Dea Ragione strumento unico per permettere all’uomo di progredire libero dai servaggi indotti dalla superstizione religiosa per raggiungere la trasfigurazione finale dell’Umanità.

Una visione totalmente incompatibile alla luce della scienza stessa, da Gödel e Darwin in poi – partendo dall’evoluzione non si possono generare i ‘salti’ di qualità, passi necessari per giungere ‘gradualmente’ a costruire la ‘trascendenza’ dall’umanità secolare a quella trasfigurata finale.

La seconda visione è quella proposta dalle religioni non secolari che pongono in prioritaria cura gli stili di vita ortodossi per giungere alla felicità indipendentemente dal livello di benessere materiale esistente alla data.

Si sottolinea la inutilità del possesso dei beni per garantire felicità all’uomo e si intende educarlo a tenere comportamenti individuali e collettivi tali da conservare serenità e accettazione dei disagi col distacco dall’avere per mirare all’essere. Gli uomini che deviano da un tale paradigma sono definiti peccatori e vanno convertiti all’ortodossia con dosi di stigmi e di perdoni che riconducano gradualmente i devianti alla piena comunione con la società ortodossa.

L’educazione dei peccatori tuttavia non costituisce intralcio per questo tipo di proposta sociale in quanto essa non si propone di conseguire né sviluppo economico, né paradiso in terra. Ciò è al di fuori degli obiettivi di paradigmi fondati da proposte che si conseguiranno solo alla fine dei tempi.

Questi paradigmi essendo indipendenti dal progresso economico possono accettare la temporanea convivenza con altri paradigmi nell’agone politico.

Tuttavia, la convivenza tra questo paradigma e quelli fondati sulla libertà dell’uomo nelle sue scelte quotidiane genera aggiuntivi problemi lungo la conversione di peccatori se essi sono legittimati a ritenere le proprie idee e la propria ragione dotate di autonoma capacità di uscire dall’errore in piena responsabilità individuale quindi senza subire pressioni indebite esercitate da caste di teologi o ideologi.

Esiste quindi tendenziale, maggiore compatibilità di collaborazione tra ideologie secolari e religiose sul piano della gestione politica della società: entrambe infatti sono consapevoli della ostilità che il libertarismo individuale oppone alla loro pretesa di legittimare solo i comportamenti che esse definiscono ortodossi sul piano della propria ideologia.

La terza visione è invece libera da ispirazioni ideologiche in quanto ritiene che il perseguimento della felicità sia un fatto individualissimo dettato solo dalla priorità che ciascuno assegna a una scala di valori che aspira a soddisfare al prezzo di individuali privazioni che è liberamente disponibile a sostenere per quello scambio.

Questa visione della società impone di lasciare libero ognuno di decidere quale rinuncia e per quanto tempo egli voglia accettare per giungere ad ottenere l’oggetto che costituisce la sua massima ambizione alla data.

Questa libertà di scelta deve essere applicata in qualsiasi campo delle decisioni che devono comportare una diretta e in delegabile responsabilità individuale così da costituire una diretta associazione tra oggetti ambìti e costi sostenuti.

La richiesta di oggetti ambìti e l’offerta di surrogati e succedanei capaci di fornire livelli comparabili di gratificazione al potenziale consumatore richiedente devono essere negoziati in piena libertà di offerta per giungere ad un equilibrio di corrispondenza tra domanda ed offerta che, per quanto criticabile sul piano intellettuale, dipenda solamente dalla maturità raggiunta alla data dalla massa dei consumatori e produttori in piena responsabilità di propria dedizione al mercato.

Gli ‘oggetti’ ambìti in ogni periodo sono quindi solo sintomi del grado di sofisticazione raggiunto dalla sensibilità culturale prevalente nella società. Senza subire condizionamenti di carattere ideologico per ciò che concerne la scala dei valori. Sono oggetti altrettanto legittimi i beni materiali di consumo, quelli intellettuali e quelli spirituali che compongono una gerarchia di servizi di contenuto immateriale finalizzati sia sul piano pratico che semplicemente su quello culturale più astratto.

La linea di gestione politica della società che si ispira a questa visione libertaria tende a delegittimare qualsivoglia iniziativa governativa che proibisca a priori le scelte produttive e di consumo le più particolari.

È un tendenziale privilegio dell’individualismo nelle scelte su come spendere le proprie risorse personali e come guadagnarle tramite responsabili e liberi scambi sul mercato più libero da vincoli astratti definiti sulla base di visioni di priorità ideologica. In ogni epoca esistono tuttavia nella società aspettative che non possono essere appagate tramite servizi offerti da privati in reciproca libera competizione per ragioni di costo imposto dalle tecnologie disponibili alla data e dalla scarsezza del know how necessario per organizzarle in sistemi accessibili alla massa dei consumatori.

Sono tipici esempi quelli della difesa della proprietà individuale da minacce esterne o interne alla società (minacce alla ‘sicurezza’ nei suoi risvolti: sanitario, ambientale, militare, ordine pubblico, etc.). Tali tipi di minacce giustificano eccezioni al criterio del laissez faire per il ruolo del governo.

Ciò significa che l’appetibilità di servizi della sicurezza legittimano che il governo agisca su base del criterio: “il privato quando possibile, lo stato se indispensabile”.

 La liberal-democrazia quindi pur attribuendo priorità e privilegiando l’affidamento al privato di ogni iniziativa, tutela la sicurezza di questo “bene comune” (la libertà di iniziativa) affidando per eccezione e in stati di emergenza al governo il compito di agire. In una democrazia liberale quindi il ruolo dello stato è duplice: in regime di normalità rimediare ai risvolti negativi (disagi sociali) generati dal progresso industriale dovuto all’iniziativa privata in base a scelte individualmente responsabili di scambi di beni e servizi sul libero mercato, in periodi di crisi drammatiche invece organizzare forme di sostegno e stimolo dell’iniziativa privata per evitare disagi inutilmente più gravi o prolungati di quanto non intrinseco al tipo di instabilità attraversato.

Nella storia si sono spesso succeduti periodi di sospensione della democrazia con l’affidamento a governi forti di mandati atti a superare specifiche minacce alla stabilità sociale (dittature a termine).

Ciò che caratterizza la liberal-democrazia rispetto ad altri regimi è il carattere temporaneo e definito della durata di tali regimi eccezionali ciò viene codificato dal concetto di “sussidiarietà” cioè lo stato è legittimato a gestire certi servizi non per ragioni ideologiche ma per ragioni di necessità fintanto che non esistano privati capaci di assumerne l’onere in libera competizione di mercato.

La cooperazione tra questa terza visione di governo della società e quella che si ispira a religioni non secolari è possibile solo sulla base di una distorsione esagerata del concetto di ‘crisi’. Tanto più lunga e traumatica è la crisi che si deve fronteggiare, tanto più a lungo viene giustificato l’intervento correttivo o preventivo dello stato sul sistema economico privato.

È per questo motivo che anche nei regimi liberal-democratici più libertari esiste la tendenza da parte delle elite responsabili del governo della società di associarsi elite religiose che aiutino a legittimare il ruolo di prevenzione da ipotetici rischi che giustifichi l’appropriazione di risorse finanziarie per via fiscale ed il loro affidamento allo stato per fronteggiare pericoli molto spesso di intensità esagerata e rese credibili alla massa degli elettori grazie alla testimonianza di scienziati organici al sistema di governo al fine di ottenere formalmente la legittimità democratica per agire in conseguenza.

È un vero e proprio complotto illiberale che genera una sorta di diritto a tutelare la conservazione dello status quo invece di favorire l’avvento del nuovo. Un comportamento delle elite motivato dall’interesse di conservare i loro privilegi di casta.

È una tale cooperazione che ha sempre spinto la Chiesa Cattolica a cooperare con tipi di governo illiberali meglio che non con regimi fortemente libertari. Il vero nemico all’organizzazione stabile della Chiesa è il ‘libero pensiero’ che costringe ogni individuo a progredire verso la trascendenza sulla base di una ricerca segnata da tentativi ed errori che caratterizzano il calvario di esperienze umane e spirituali senza tutele dottrinarie.

È solo l’onere della responsabilità individuale in delegabile che crea il merito individuale (la santificazione). Ma seguire un simile approccio in materia religiosa frammenta la chiesa e rende inefficace il ruolo-guida dei teologi.

La Chiesa Cattolica è sopravvissuta alle chiese protestanti in ambienti libertari in quanto ha saputo proporre un senso di auto-disciplina sul piano della ricerca di trascendenza spirituale che non minaccia l’autonomia di scelte secolari.

Ciascuno può “peccare” liberamente pur di riflettere sulle conseguenze perniciose delle proprie scelte errate, pentirsi e convertirsi assumendo in futuro comportamenti più aderenti all’ortodossia definita dall’autorità del Successore di Pietro a Roma.

Ciò è stato incarnato nella storia dello stato liberal-democratico a partire dal dettame evangelico del “dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”.

Un tale rivoluzionario concetto diede il via al processo di “check & balance” tra i poteri nella società religiosa ma libera.

La separazione della sfera civile da quella religiosa fu in primo atto di Costantino e, da esso, discesero poi, per analogia e confermata efficacia, tutte le altre separazioni all’interno delle due sfere principali della società. La separazione del legislativo dal giurisdizionale e dall’esecutivo così come la separazione della ricerca e dell’informazione dagli altri poteri. Sia in materie secolari che religiose.

La cooperazione tra visioni religiose secolari e non secolari è basata sulla compatibilità per ciò che concerne la forma di governo illiberale, mentre la compatibilità nello spirito che legittima la programmazione delle scelte economiche è possibile dallo spirito evangelico che anima le due dottrine. Il pauperismo e l’adesione a una morale di stato giustificano il ruolo educativo della scuola pubblica nella formazione dell’homo novus.

Il rilancio dell’economia quindi non conviene né alle elite al governo degli stati liberal-democratici che infatti inventano costantemente ragioni di emergenza che legittimano il ruolo programmatore dello stato da esse gestito (vedi Al Gore ed il man-made-global-warming oggi), né le elite della Chiesa che riescono a suggerire comportamenti evangelici di solidarietà in periodi di ristrettezze e di calo del benessere.

È per questo che, pur essendo facile anche nella situazione odierna avviare iniziative di rilancio del sistema economico con il puro laissez faire, la cooperazione reazionaria delle due elite tende a isterilire ogni tentativo in qualla direzione per rendere credibile l’impossibilità di uscire dalla ‘crisi’ semplicemente stimolando la creatività e la libera iniziativa del privato.