29/10/2010

Lotta politica per una nuova governance globale

Il professor Carlo Pelanda (geopolitico), illuminante come sempre e comprensibile non ostante la densità dei contenuti, in un suo recente articolo ‘scenari’ su il Foglio conclude con un’analisi ‘aperta’ sugli sbocchi delle decisioni di politica monetaria assunte in modo unilaterale da chi riveste il ruolo egemone nell’attuale globalizzazione.

Il suo articolo si accoppia in modo casuale ma eccellente con una stroncatura ‘brutale’ (pertanto chiara a chiunque) da parte del professor Antonio Martino (economista) del tentativo del professor Guido Rossi (giurista) di riproporre la (sempre fallimentare sul piano storico a partire dal famigerato New Deal di FDR), adozione delle strategie politiche keynesiane e stataliste (diffusissime in tutti i paesi; ed anche negli USA indipendentemente dal colore delle amministrazioni repubblicane o democratiche in quel paese).

Le considerazioni che emergono da parte del professor Pelanda sono - per chiunque sia filosoficamente convinto del diritto naturale a esprimere in modo ‘selvaggio’ le sue libere scelte (salvo fatto il codice penale più stretto) - solo apparentemente ‘deprimenti’.

Infatti nessuno potrebbe confidare nella speranza che Carlo Pelanda affida ad una ‘reazione compatta’ da parte dell’Eurozona alle iniziative (invece immediatamente efficaci e unilaterali) che si scambiano come veri e propri ‘messaggi mafiosi’ i due maggiori protagonisti (Cina e USA) nella negoziazione che hanno in corso per consolidare i benchmarks fondamentali della nuova governance globale. La povera Angela Merkel - non ostante ne abbia gli ‘attributi’ - è minoritaria se non isolata tra i ‘vertici decisionali’ (esagerazione peraltro letteraria che sostituisce il più esatto ‘impotenti osservatori’) nell’Eurozona. Inoltre la lentezza di attuazione delle scelte politiche nell’UE è estenuante (vedansi i travagliati percorsi seguiti per introdurre poche, peraltro modeste, ‘riforme’ istituzionali – il prerequisito all’efficacia delle decisioni). Ciò mentre le decisioni di USA e Cina risultano incisive, immediate ed efficaci come mutui strumenti ricattatori capaci di ‘travolgere’ ogni patetica pretesa di altri attori, certamente più marginali e inefficaci, a partecipare alle decisioni con adeguato ruolo di comprimari.

Anche se il Congresso che emergerà dalla prossima tornata elettorale del 2 Novembre (giornataccia per ogni buon scaramantico partenopeo) avesse l’esito che ogni buon Maverick auspica, Obama (e Bernanke) avrebbe tutti gli strumenti legislativi per ‘comprare consenso’ su iniziative che gli agevolassero un secondo mandato tra due anni. Conferma che potrebbe ottenere solo se la crescita industriale USA (magari malata ed anche se a spese dell’Eurozona – come paventa Carlo Pelanda) desse nuova fiducia al corpo elettorale che i ‘New Deal’ funzionano e che sia stato il ‘Yes we can’ keynesiano a trionfare contro la più selvaggia ‘speculazione’ del libero mercato globale. Infatti, aggiungendo ‘EarMarks’ (leggine clientelari) a leggi proposte per interesse del presidente e mobilitando masse di parassiti - legali e illegali - che vivono a spese dei ‘food stamps’, con una mobilitazione a suo favore dei candidati e degli attivisti più ‘liberal-radical’ (de sinistra) Obama otterrebbe una tranquilla rielezione. Si tenga conto anche che la determinazione del mondo ‘lib-rad’ (radical-chic) USA nel 2013 sarebbe tanto maggiore a sostenerne la rielezione quanto più esso fosse stato terrorizzato, il 2 di Novembre 2010, dall’ampiezza in dimensioni della disfatta nel prossimo ‘mid term’. È infatti per questo che Obama non sta attualmente aiutando in modo particolare la campagna elettorale dei più ‘incontrollabili’ tra i più tradizionali - e moderati - candidati democratici. Occorrerà iniettare dosi massicce di eletti ben più ‘malleabili’ sostenendo molti ‘nuovi arruolati’ (Chicago Boys o ‘Goodfella’) nella tornata elettorale del 2013 e liberarsi anche dei più anziani - e ‘moderati’ - che ancora riescono a svolgere in autonomia la loro azione di congressmen.

Insomma Carlo Pelanda paventa uno scenario negativo e incontrastabile? Una tragedia preannunciata?

Non credo né nella capacità dell’Eurozona di interferire efficacemente sull’evoluzione paventata perché, da buon liberista-selvaggio e laico-devoto, credo che il diavolo faccia le pentole a Chicago coi ‘goodfella’ ma dimentichi di apporvi il coperchio che, in genere, è in mano ai molti, più Maverick Berlusconi che popolano a diverso livello di reddito soprattutto (ma non solo) gli USA.

Il sintomo dei Tea Parties di oggi (e del 1773) e quelli che stanno manifestandosi perfino all’interno della Cina mi fanno credere che la governance verrà imposta dagli interessi della finanza libera da ogni vincolo (odioso, inadeguato e applicato con tutta l’inefficienza statalista) dei poteri centrali che inevitabilmente sono più attratti da forme di governance ‘top down’ (dirigismo centralizzato o ‘programmazione dei redditi’) su sudditi imbelli che si crede possano essere acquistati (e tacitati) tramite ‘festa, farina e forca’.

Il futuro resterà selvaggiamente liberista sia per l’inefficienza dei ‘potenti’, sia per i mai irreggimentabili scambi globali che anche ai ‘potenti’ è chiaro sia meglio mantenere nell’alveo di canali di scambio che siano autenticamente ‘liberi’ invece di rischiarne le più varie forme di immersione ‘carsica’ (contrabbandi, mercati neri, evasioni, elusioni, riciclo di bottini, tipi d’usura, etc. secondo le migliori espressioni della creatività umana da quando ne sono state descritte letterariamente le forme più fantasiose).

Il ‘libero mercato’ esprime in modi extra-istituzionali il suo apporto di innovazione e di valore aggiunto.

È il dirigismo centralista che è costretto a esprimersi secondo rigorosi vincoli di ‘ortodossia istituzionale’.

È anche per queste ragioni che due studiosi come Pelanda e Martino risultano meno vincolati nel loro wishful thinking dai vincoli che incombono invece sulle analisi di giuristi come Rossi. L’economia e la geopolitica hanno bisogno di ‘acqua di manovra’ per definire creativamente un ordine futuro capace di ospitare ogni innovazione. Il diritto manca invece di spirito innovatore in quanto il suo ruolo di ‘consigliori’ del Principe deve tentare di ‘conservare’ equilibri e stabilità non ostante i tentativi esogeni dell’innovazione di destabilizzare le istituzioni vigenti.

Le sintesi di Carlo Pelanda colpiscono sempre nel vivo le convinzioni più profonde che ispirano un ampio spettro di specialisti disciplinari e di esperienze professionali maturate in ambiti diversissimi ma tutti afflitti dall’arrogante presupponenza dei nullafacenti ed ‘irresponsabili’ Obama (i politici di professionale) i quali, avendo fallito in altre materie, si dedicano alla politica in cui, pur niente sapendo, possono incidere su tutto. Corrompendo dai ruoli di vertice gli, altrettanto politici, ‘congressmen’ (parlamentari del ‘parco buoi’) o turlupinando coi porkbarrellhood più fantasiosi le loro constituency elettorali (promesse da marinaio). Il tutto con l’aggravante di una stampa che è ‘organica’ al loro agire in quanto popolata da professionisti che, avendo fallito a svolgere una qualunque altra professione, si sono immessi nella ‘carriera’ giornalistica.

Come diceva Montanelli ‘la giornata del giornalista è scomoda, priva di regole e fuori da ogni orario ma è comunque sempre ….. meglio che lavorare!’