29/07/2008

Barack Obama

Se fossi chiamato ad esprimere il voto nella prossima elezione presidenziale USA di Novembre non mi preoccuperebbe scegliere Obama per nessuna delle ragioni formulate dalla stampa.

Non sarei preoccupato per il suo profilo politico di “uomo totalmente nuovo”. Nè sarei impressionato per le sue radici culturali “mezzo-negre-mezzo-musulmane” totalmente nuove e differenti da quelle “tradizionali” nelle sue responsabilità di Presidente. Nè sarei scouraggiato dalla sua storia di vicinanza sia al mondo degli “affari locali” e a quello del “radicalismo” religioso e razziale.

Ritengo infatti che quegli elementi siano tutti peculiari del percorso caratteristico di crescita personale di ogni “uomo della strada” negli USA verso le massime responsibilità publiche indipendentemente dalle specifiche origini per collezionare crescente “consenso” politico o successo professionale. Tutti quegli elementi charatterizzano ai miei occhi le reali opportunità che offrono gli USA a chiunque in modo indipendente dal punto di partenza. Mi convincono che il “Sogno Americano” è vivo ed accettato pienamente nel “Paese dei Liberi e dei Coraggiosi”.

Ciò che sarei portato a verificare prima di concedergli il voto invece sarebbe riferito alla credibilità di Obama come innovatore nel momento che propone il “cambiamento” sull’arena politica USA come suo slogan e ruolo-chiave. Ciò al di là delle sue indiscutibili abilità oratorie e tattiche. I “Fatti invece delle Parole” mi scoraggerebbero a votarlo.

Le sue pretese di “cambiamento” si collegano alle iniziative sia dei Repubblicani che dei conservatori Democratici in relazione alle politiche estera ed industriale.

Le sue critiche al modo in cui l’amministrazione Bush affronta la “Guerra al Terrorismo” sono condivise anche da McCain. La differenza tra loro è che mentre McCain per primo suggerì di portare un “cambiamento” ad esse tramite l’aumento delle truppe in Iraq (il “surge” ormai riconosciuto come fattore vincente), Obama pretendeva un “immediato ritiro” dall’Iraq. La storia recente ha dimostrato che il “cambiamento” è un concetto mistificatore a meno di non essere formulato in scelte alternative. Una sola delle quali può garantire il “successo”, mentre le altre risultano un “cambiamento sterile”.

Una critica coerente all’amministrazione Bush era relative al “multilateralismo” quale “cambiamento” rispetto all’“unilateralismo” in politica estera. L’unilateralismo assicura piena sovranità in politica agli USA. Ciò offre al Presidente la più vasta scelta sull’impiego delle risorse nazionali per raggiungere gli scopi di interesse nazionale; sia il “bastone” (la guerra) sia le “carote” (gli aiuti esteri). Invece il multilateralismo costringe il Presidente ad attendere nelle sue decisioni scelte concordate in ambiti internazionali totalmente inefficienti (l’ONU e, in parte, la NATO). Le spese in aiuti esteri, in ONU ed in NATO sono sostenute in misura preponderante dal contribuente (ed elettore) USA, mentre i benefici che ne discendono hanno premiato in modo preponderante centri decisionali anti-USA. Questo è un “fatto” che la storia recente ha dimostrato all’elettore americano. Negarlo è pura “utopia” non un tipo attraente di “cambiamento”.

In aggiunta, mentre le decisioni “unilaterali” di impiegare in piena sovranità “azioni belliche” come mezzo tattico in politica, hanno condotto a risultati altamente vantaggiosi per conseguire un mondo più pacifico secodno le tradizionali lineed di Repubblicani e di conservatori Democratici a partire da Teddy Roosevelt, a FDR, a Ronnie Reagan, a Bush-Petraeus, il “cambiamento” al multilateralismo che suggerisce Obama si è sempre dimostrata una scelta disastrosa e fonte di guerre disastrose sia per gli USA che per tutto il mondo civile a partire da Wilson, a Chamberlain, a JFK, a Carter, a Clinton.

D’altro lato il “Cambiamento” non si può limitare a puro elemento simbolico quale è il suo essere il primo “negro” ad occupare posizioni al vertice. Infatti solo per citare l’attuale amministrazione Bush ha avuto due Segretari di Stato più “negri” di Obama ed uno di essi (una donna) ha perfino “cambiato” spingendo per l’adozione dell’aumento di militari in Iraq adottando con successo il “surge” come mezzo di politica estera che ha prodotto inoltre drammatici e positivi “cambiamenti” per gli USA nelle relazioni estere in aree geopolitiche correlate. La Francia si reintegra nella NATO, l’Iraq è un nuovo Stato democratico, l’Iran è isolato in modo crescente nelle sue politiche Medio Orientali anti-USA, la Arabia Saudita e gli Stati sunniti stanno consolidando un nucleo più “moderato” Islamico che ha avviato perfino relazioni “multiconfessionali” a Riad con la Chiesa Cattolica, la Germania aumenta i suoi contributi militari alla “Guerra al Terrorismo” di Bush così come l’Italia, la maggioranza dei Paesi Est Europei porta maggiore attenzione agli USA che alla politicamente inefficiente UE nelle relazioni estere, la Russia tenta di resistere a questa crescita di influenza piena di successo degli USA in Europa. Questi sono “fatti” altamente positivi per gli USA indotti dall’“unilateralismo”. Ogni “cambiamento” che suggerisca di riportarsi al “multilateralismo” suona più un atto di masochismo utopico che una strategia politica attraente.

La Sanità e la Protezione Ambientale sono obiettivi altamente desirabili sia per i Repubblicani che per i conservatori Democratici. La “soluzione” di quei problemi passa attraverso l’innovazione tecnologica e la creatività industriale e ciò richiede un mercato libero privato altamente efficiente invece che costosi ed inefficienti programmi di spesa Federale o del “pauperismo” come strategia per imporre con approcci illiberali l’uso delle insufficienti risorse attuali per aiutare i “poveri”. La “Via al Socialismo” può essere duplice, o attraverso la costante crescita economica ed efficiente del mercato private (in un approccio democratico “bubble up”) nel quale, in pieno spirito democratico secondo la tradizione dei “padri fondatori” USA, ognuno possa acquistare il paniere di beni e servizi che in piena responsabilità sceglie per soddisfare i suoi bisogni dando composizione alla sua “ricerca della felicità” o attraverso la assegnazione da parte dello Stato Sociale (in spirito paternalista “top down”) ai suoi sudditi la gamma ed ammontare di beni e servizi che un qualche “buono e saggio” politico decide essere adeguati a comporre la dose di felicità disponibile e sostenibile per tutti in uguali ammontare e qualità.

La prima è la via liberal-democratica al benessere sociale attraverso il libero mercato capitalista, la seconda è la via illiberale (“liberal-radical”) attraverso programmi di “maggiori spese federali” secondo priorità e criteri stabiliti dai burocrati di cui abbiamo esperienza nella storia di tutti gli Stati Nazione Europei dai quali fuggirono i Padri Fondatori per creare l’evento storico e rivoluzionario degli USA e che successivamente è stata portata a perfezione in Paesi guidati da dittature di destra o di sinistra da Hitler, a Stalin, a Mao, a Castro.

Se il “cambiamento” dovesse suggerire il ritorno a decisioni politiche assunte nello stesso spirito “multilaterale” che egemonizza tutt’oggi il mondo e la maggioranza dell’Europa, preferirei votare per un patriota più conservatore e solidamente testato nella sua lunga militanza come McCain.

Se il suggestivo “cambiamento” di Obama continua constantemente ad assomigliare alle modifiche di McCain ma in piena continuità con i successi internazionali dei criteri politici dei conservatori Repubblicane di una guida orgogliosamente “unilaterale” del mondo occidentale incentrata sulla protezione su base globale degli interessi USA, per quale motivo mi dovrei convincere a votare per eleggere Obama, un uomo nuovo in politica nazionale prima di averne avuto occasione di valutarne la credibilità ed affidabilità per qualche anno?

È giovane e determinato, può averne occasione la prossima volta mentre McCain è un comprovato patriota ed eroe nazionale che ha già contribuito con successo a cambiare gli errori politici del suo stesso Partito riuscendo gradualmente a convertire le innovative politiche di Bush in una solida leadership globale e di accertato successo. In aggiunta McCain ha adeguata esperienza ed ha un’età tale da accettare di essere sostituito tra quattro anni se la sua lucida continuità risultasse insoddisfacente per gli elettori USA.

“Yes we can …. far attendere Obama quattro anni” per valutarlo profondamente in quel periodo di tempo prima di assumerci il rischio del suo presunto e non meglio specificato “cambiamento”. Ci assumeremmo altrimenti il rischio del “cambiamento” solo in virtù del fascino personale di Obama come comunicatore ed oratore. Troppo poco per abbandonare la sovranità USA e l’“unilateralismo” di successo costruito sul sangue e sull’orgoglio dei nostri militari per esplorare con lui uno schema “innovativo” che suggerisce solo di rivitalizzare gli abusati e frustranti costi del “multilateralismo”, inefficace di politiche globali in cui il contribuente USA è chiamato a sostenere i costi ed ad astenersi dal ricevere benefici per l’America.