29/07/2009

Sviluppo e Mezzogiorno

Non sono i fattori tecnici ad inibire la crescita economica del “Sud” (che spesso è collocato nelle regioni del nord geografico come nel Regno Unito) in tutti i Paesi. Si tratta invece di fattori antropologici che si radicano nelle abitudini e negli atteggiamenti sociali che tengono coesa la popolazione come una difesa del proprio orgoglio dal confronto perdente con la competitività del “Nord”.

Non si spiega altrimenti il fatto che, una volta emigrati dal “Sud”, i singoli dimostrano eccellenti capacità imprenditoriali che ne fanno eccellere le capacità professionali in modo spesso oltremodo competitivo rispetto ai loro concorrenti del “Nord”. Non voglio citare l’eccellenza dei nostri emigrati nelle americhe o in Australia che spesso, dato il loro iniziale “imbozzolamento” in comunità di nazionali o corregionali, si è dovuto riscontrare un loro iniziale inserimento imprenditoriale cominciando da attività adiacenti a forme di criminalità organizzata. Anche in quei casi, l’iniziale continuità criminosa, si è poi celermente organizzata in modi imprenditorialmente sofisticati per trasferirsi successivamente in comparti produttivi di assoluta legalità (da Al Capone all’industria dello spettacolo e entertainment nel Nevada oppure dal fronte del porto al sindacalismo AFL/CIO). Voglio fare riferimento invece ai casi più attuali dell’immigrazione di massa dei cinesi in molti Paesi occidentali o a quella dei messicani negli USA. Una volta trasferitisi oltre il Rio Bravo, i messicani in pochi lustri costruiscono imprese sempre meno collegate alla madre patria abbandonando quindi il mercato illegale per inserirsi pienamente competitivi nella struttura produttiva del capitalismo di libero mercato. Creando ricchezza per sé stessi e per il Paese ospitante.

Passando al “caso Italia” troviamo conferma della stessa trappola “antropologico-culturale” spinta ai suoi risvolti di più spicciolo individualismo. Tenendo conto che proprio l’individualismo costituisce la risorsa di maggior pregio che caratterizza i “meridionali”. Mi spiego.

L’individualismo permette di conservare integra la differenza che caratterizza ogni individuo in modo che risulti indipendente dallo status economico. Ogni individuo può pretendere di essere differente (e “migliore”) dalla massa in cui è costretto a vivere senza facili possibilità di distinguersi sul piano delle scelte di consumi. Si è così di “nobili origini” ma incolpevolmente penalizzati dalla perdita dei beni aviti per le più fantasiose cause oppure colti nelle discipline più intellettuali che quindi non possono essere misurate tramite successi di mercato. Un mercato che gratifica infatti economicamente chi è dedito al “furto” e che quindi non può costituire pregio rispetto al decoro ereditato dal casato di appartenenza né alla decorosa povertà del sapiente che non è compreso da chi cultura non ha. Il lavoro deve essere intellettuale in quanto quello manuale è una caratteristica quasi esclusiva degli artigiani e degli agricoltori che danno servizio al casato che possiede la terra o l’azienda. L’amministratore dei beni è un intellettuale al-servizio del proprietario e quindi è più servo e quindi meno rispettabile dell’intellettuale che amministra invece una proprietà collettiva e quindi è il “burocrate” che decide cosa, quando e come fare per rendere florida la struttura amministrata senza doversi inchinare a imposizioni di un proprietario fisicamente individuabile. Lo Stato, la Chiesa, l’esercito, l’istituto bancario o assicurativo sono quindi istituzioni cui è gratificante porsi al-servizio in spirito di dedizione e di sacrificio volontario più gratificante per la propria immagine di “e-gregio” dedito al bene del gregge che di lui ha bisogno rispetto a porsi a-servizio di datori di lavoro privati che pagano perché si esegua fedelmente le direttive ordinate dall’alto. L’appartenenza a circoli esclusivi è l’unico modo in cui nel “Sud” si appaga la appartenenza sociale non economicamente selettiva e meglio se ristretta a comuni radici culturali. “Mafie”, “carbonerie”, “misericordie” sono circoli di appartenenza per individui di ogni ceto sociale e ristrette alla difesa della comunità locale dalla voracità dello Stato centrale alieno alle esigenze della cultura locale. Lo spirito dei “rotary”, dei “lions”, dei “kiwanis” di cultura massonico-liberale non fa presa sulla cultura del “Sud” e viene distorto nelle sue finalità partecipative. Insomma la visione antropologico-culturale del “Sud” è impermeabile allo spirito del capitalismo di libero mercato e rende quindi sterile ogni iniziativa industriale che vi voglia insediare attività produttive redditizie. Ciò è abbondantemente dimostrato dal fallimento degli interventi esterni per promuovere lo sviluppo del “Mezzogiorno” in ogni Paese e su base internazionale.

Ciò che accade in Italia ogni estate è evidenza dell’alienità con cui sono percepite dalla cultura locale le attività economiche stagionali.

È vero e puro masochismo per esempio la recente azione di inquinamento con acque fognarie delle cisterne di acqua potabile in una località turistica sullo Ionio gestita da imprese del Nord ma fonte di un qualche reddito per la comunità locale che ospita quel villaggio vacanze. Sono altrettanto masochistiche le azioni di distruzione del patrimonio boschivo nelle località turistiche meridionali proprio nella stagione turistica più redditizia per quell’economia parassitaria fondata sulle rimesse statali in materie improduttive e abusate in termini professionali (Forestali, Università ed Ospedali). Né valgono insediamenti “industriali” totalmente alieni alle necessità dell’economia locale più diffusa che non siano pure infra-strutture (acquedotti, reti di energia e comunicazione, trasporti) quali le “cattedrali nel deserto” che spesso si limitano a favorire una economia di transito a scapito di attività rurali produttive (il nodo multimodale del porto container di Gioia Tauro) o perfino ad ospitare insediamenti manifatturieri sterili e resi competitivi solo a spese della fiscalità generale e comunque danneggiando irreparabilmente attività rurali e ittiche pre-esistenti (acciaieria di Taranto o impianto Fiat a Termini Imerese). Si trasferiscono addetti dalle precedenti attività industriali private anche se povere ad attività para-statali destinate ad isterilirsi nella competitività globale imposta dall’avvento dell’internazionalizzazione industriale inarrestabile e redditizia.

Forse esisterebbe una possibilità di sviluppo autonomo del “Sud” qualora però l’intervento finanziario si limitasse a creare le infrastrutture di carattere generale (le già indicate reti di trasporti, comunicazione, idriche ed energia) e ad agevolare la redditività di programmi industriali privati sorvegliando con attenzione i relativi project financing pronti a penalizzare le eventuali divergenze dai ritorni sugli investimenti previsti. Ciò significa agevolare quelle intraprese industriali più congeniali per il contesto ambientale e culturale del “Sud”. Tipicamente turismo, agricoltura e industria alimentare di nicchia. Le attrattive ambientali naturali del “Sud” si prestano a ospitare una presenza turistica diffusa per lunghi periodi dell’anno. Questa capillare distribuzione di presenze è idonea a facilitare la nascita di molti insediamenti alberghieri a gestione familiare che avrebbero la capacità di assorbire le produzioni artigianali, ittiche e rurali di nicchia che aumenterebbe il reddito delle famiglie e ne stimolerebbe investimenti privati per sviluppare l’offerta di servizi al turismo in piena responsabilità privata. È ciò che è avvenuto nell’arco di oltre trent’anni in Romagna fondandosi sulla disponibilità di attrattive ambientali di gran lunga meno attraenti rispetto a quelle delle località del “Sud”; ivi incluso Calabria, Sicilia, Puglia e Sardegna.

Ciò che invece è avvenuto grazie alle “agevolazioni” della Cassa del Mezzogiorno è stato il finanziamento di sterili insediamenti industriali gestiti da gruppi estranei alla diffusa cultura locale (Aga Khan in Sardegna o Fiat, ENI e Finsider in Sicilia e Puglia) che hanno consolidato la cultura del “posto di lavoro” sicuro perché “di Stato” (operai, forestali, sanitari, docenti, etc.). Una tale scelta di sviluppo assistito dallo Stato inoltre ha legittimato scelte dall’alto economicamente “irresponsabili” e gestite da intellettuali del “Sud” ispirati da un profondo disprezzo per le “motivazioni mercantili” degli imprenditori privati considerati veri squali voraci e privi di raffinate visioni culturali (in piena coerenza con la “cultura” degli intellettuali del “Sud”). Elite di gestori delle risorse statali ispirati da visioni illuminate e da ben altri e più nobili scopi rispetto a quelli degli industriali del “Nord” privilegiati e da penalizzare con una fiscalità esorbitante rispetto alle effettive capacità di sostenere anche un’adeguata crescita della loro competitività industriale a beneficio dell’insieme del Paese. Il risultato è stato la fuga dall’Italia delle aziende meno legate al mercato interno e meno capaci di agire con proprie azioni di lobbying sul parlamento nazionale e un consolidamento di relazioni d’affari tra i gruppi più legati al mercato nazionale e gli intellettuali “irresponsabili” del “Sud” a spese della fiscalità nazionale e della crescita del debito pubblico. Questa connivenza nelle decisioni “intellettuali e irresponsabili” (in quanto non industriali) di sostegno ad uno sviluppo del Sud libero dai criteri della “redditività mercantile” non ha agevolato lo sviluppo di una moderna cultura imprenditoriale nel “Sud”. Infine questa connivenza tra lo Stato e i grandi gruppi industriali ha suggerito insediamenti industriali di grandi dimensioni per soddisfare la domanda di consenso elettorale degli intellettuali del “Sud”. Ciò si è tradotto nella scelta di concordare gli insediamenti industriali con il consenso elettorale raccolto non sul piano della crescita del reddito privato ma su quello della crescita occupazionale e sulla certezza del posto di lavoro. L’intermediazione nelle assunzioni quindi è stata affidata alla gerarchia delle elite locali adiacenti ai partiti e sindacati. Spesso esse erano sensibili alle richieste provenienti dalla criminalità organizzata che quindi ha trasferito le sue fonti di reddito dalle tradizionali tangenti sulle attività rurali, ittiche, caporalato alle più moderne e redditizie forme di speculazione: edilizia, eco-mafia, subappalti, assunzioni, etc..

Stiamo oggi assistendo a un nuovo tentativo di stimolare lo sviluppo industriale del “Sud” in Italia e forse la carenza delle risorse disponibili e il carattere manageriale industriale delle scelte che guidano l’attuale governo permetterà di sperimentare i finanziamento sulla base di una filosofia più congeniale al potenziale umano e ambientale del “Sud”: infrastrutture di base, project financing di progetti associati a “responsabili” privati, joint venture con privati residenti nel “Sud” stesso. Se si fallisse anche questa volta non resterebbe che suggerire ai residenti del “Sud” di emigrare (magari temporaneamente) in ambienti più competitivi ma più idonei a migliorare i loro livelli di reddito e in modo più dignitoso rispetto al dipendere dall’elemosina di Stato di un Nord permanentemente egemone in materia economica.