29/05/2010

Unione Europea e solidità dell’Euro

È ormai accertato che l’unione politica che era stata improvvidamente accelerata dai governi ‘de sinistra’ è fallita ed ha minacciato di distruggere il successo del mercato di libero scambio che ha ottenuto consenso e successi continui a partire dall’Europa dei 7 per estendersi all’Europa dei 12 e poi (al crollo delle satrapie che hanno impoverito e schiavizzato tutta l’Europa dell’est; databile con il crollo del muro di Berlino), a tutte le nazioni ‘Occidentali’ con la gradualità e diversificazione che invece permetteva il libero mercato di scambi industriali in cui sia permesso conservare la propria valuta, accettarne variazioni entro fasce di oscillazione concordate (il concetto del ‘serpente monetario europeo’).

L’accelerazione tentata irresponsabilmente dai governi ‘de sinistra’ in tutta Europa fu proprio sollecitata dal crollo del muro e dal tentativo di creare un’alternativa geopolitica dell’UE all’egemonia degli USA nel pieno della globalizzazione alla ricerca di poter partecipare alle negoziazioni tra USA e Cina (anche formalmente egemoni nel G2) per dare credibile sostegno ad una ‘terza via’ (lo stato sociale o welfare state) europea che potesse legittimare la governance (il Nuovo Ordine Globale) che l’Europa del ‘welfare state’ avrebbe voluto proporre come alternativa tra i due paradigmi protagonisti; il ‘selvaggio’ capitalismo-liberista degli USA (di Wall Street) e quello fondato su una presunta ‘diversità antropologica’ che ispirerebbe le ‘civiltà orientali’.

Il ‘politically correct’ pretenderebbe di rispettare la loro ‘cultura olistica’ che li renderebbe alieni (e quindi impermeabili) ai criteri della liberal-democrazia che, tentandone l’esportazione con la conseguente divisione tra i poteri istituzionali, eserciterebbe un ruolo deprecabile di ‘neo colonialismo’ su culture ‘diverse’ ma di pari ‘dignità’. Prescindendo dal fatto di usare le parole disgiunte dai concetti, questa mistura di termini non aiuta a stabilire una classificazione tra sistemi istituzionali che possono essere giudicati solo in funzione del loro grado di appetibilità da parte dei singoli, non tramite categorie puramente concettuali e rigide di ‘etico’, ‘buono’, ‘cattivo’, ‘degno’, ‘indegno’ tipiche di dottrine sociali ispirate a visioni integraliste della convivenza. È fuori di dubbio che le migrazioni di massa avvengono all’interno dei paesi in via di sviluppo dalle periferie più emarginate verso i centri urbani più economicamente vivaci. Non c’è altresì dubbio che, una volta che gli immigrati nei grandi centri urbani abbiano abbandonato i loro insediamenti originari caratterizzati da maggiore stagnazione sociale e minori opportunità di nuove fonti di reddito, essi si trovino in genere a vivere tutto il disagio psicologico imposto dallo sradicamento sociale e a dover accettare mansioni marginali nel contesto del sistema produttivo ‘legale’ o ruoli di prestigio a rischio e reddito elevato in attività ‘illegali’ oppure, infine, a sopravvivere nelle condizioni più degradate dell’accattonaggio. Le prime caratterizzate da dosi di motivazione al lavoro correlate al riconoscimento delle aspettative più individuali di crescita sociale ed economica. Le seconde caratterizzate da una non comune avidità di aumento del proprio peso economico tale da essere capace di disgiungersi da qualsiasi altra aspettativa di riconoscimento sociale lungo la scala dei bisogni di Maslow. Le terze infine fonti d’una totale perdita di proattività motivazionale e capacità di restare inserito nel contesto sociale ed economico in cui si trova a sopravvivere in modo parassitario. Mentre sia le prime che le seconde mansioni economiche (legali e illegali) sono integrate nel sistema sociale e produttivo e riescono ad ‘educare’ gradualmente i nuovi immigrati a maturare nuove aspettative sociali che ne riescano a migliorare lo status liberandosi dai ruoli meno gratificanti grazie alla mobilità sociale esistente nel nuovo sistema urbano, le terze attività appiattite sulla totale perdita di proattività individuale hanno il risultato di emarginare e ghettizzare i soggetti degradandone non solo le loro capacità di apprendimento e di crescita economica ma anche quelle necessarie per svolgere un responsabile ruolo elettorale. Analogo sviluppo hanno le emigrazioni dai paesi in via di sviluppo ed i paesi più industrialmente sviluppati. Diversa è la situazione per le migrazioni tra paesi che caratterizzano profili umani e professionali già consolidati nella loro pienamente responsabile ricerca di contesti più idonei a gratificare le aspettative individuali di crescita sociale e economica. In questi casi si tratta in genere di mobilità fisica nell’ambito di omogenei contesti dal punto di vista economico in cui la mobilità sociale risulti più attraente per le aspettative dei singoli pur di rinunciare alla percezione di appartenenza cui li ha abituati il vivere nel contesto di origine.

In definitiva è essenziale comprendere che è la libera e responsabile scelta del contesto ad abituare i singoli ad accettare nuove abitudini sociali meno radicate sui valori tradizionali e più aperte a aspettative dettate dalla mobilità sociale ed economica la cui velocità risulta inversamente proporzionale all’integralismo di abitudini e classificazioni pregiudiziali di qualsiasi tipo.

Una volta che i singoli abbiamo accettato il paradigma pragmatico e privo di vincoli ideologici del libero-mercato, gradualmente si educheranno ad aderire al paradigma istituzionale liberal-democratico riservando l’espressione delle proprie ‘diversità’ ideologiche al solo ambito del ‘privato’ e ad assumere comportamenti pienamente coerenti con la separazione di reato e peccato e di mutuo equilibrio tra poteri con missioni in reciproco contrasto.

In questa gerarchia ‘auto-educativa’ di scelte risiede la ‘superiorità’ della civiltà ‘Occidentale’ rispetto a ogni altra satrapia autoritaria che la storia ci abbia segnalato e che possiamo osservare ancora in vita nel mondo d’oggi. Si tratta di una ‘superiorità’ non misurabile in termini astratti di valutazione intellettuale. Ogni civiltà ha la capacità di esprimere esempi di eccellenza di produzione intellettuale; dalle dinastie dei Faraoni a quelle degli Inca fino ai regimi più autoritari di Stalin e di Hitler. La ‘superiorità’ della civiltà ‘Occidentale’ e del suo paradigma fondante del capitalismo-liberista è stabilità da due fatti storici che sono misurabili in un modo scientifico; la superiore competitività industriale che consente la più celere crescita del reddito globale e la sua più diffusa redistribuzione oltre ogni confine ideologico precedente e la sua superiore appetibilità agli occhi dei diseredati in ogni epoca e cultura che emigrano in ‘Occidente’ al costo di alti rischi personali e senza altra promessa se non quella di abbandonare l’inferno delle loro ‘patrie’ per aspirare al paradiso della civiltà ‘aliena’ ma aperta alla partecipazione delle più disparate ‘diversità culturali’ purché accettino il suo paradigma ‘alieno’ ad ogni integralismo ideologico; atei, credenti, scettici, marxisti, nazional-socialisti, fascisti e socialisti tutti possono esprimere i propri punti di vista ma nessuno può pretendere che sia quel settario punto di vista ad imporre la sua egemonia ‘ideologica’ sulla realtà economica che alimenta la cescita del benessere comune e del progresso liberal-democratico.