22/04/2011

Pessimismo e ottimismo sempre sopraffatti dallo sviluppo industriale

Parlando recentemente con un amico di lunga data molto sensibile e dotato di una dotazione culturale classica e tecnica di particolare pregio, si è venuti a confrontare due posizioni opposte nei confronti dello sviluppo industriale che ha da sempre caratterizzato l’egemonia della civiltà ‘Occidentale’ su ogni altra.

La prima posizione è ispirata al pessimismo circa la sopravvivenza della macchina più stupefacente che sia mai stata inventata dall’uomo per costruire con gradualità e crescente libertà il benessere che caratterizza lo stile di vita ‘Occidentale’. Si tratta d’una costante percezione di ‘insostenibilità’ dello sviluppo industriale nel timore che la sua eccessiva espansione sia ‘verticale’ (aumento del benessere in ogni singola realtà ‘locale’), sia ‘orizzontale’ (estensione del contagio dello sviluppo di benessere e libertà ad ogni realtà ‘locale’ adiacente e fino a ieri esclusa dallo sviluppo). La stessa stupefacente capacità del meccanismo costituito dal combinato disposto di capitalismo-liberista e di liberal-democrazia di innescare e di alimentare il processo di crescita a valanga e di trascinare col suo ruolo egemone altre realtà culturali e sociali crea disorientamento in tutti gli osservatori intellettuali incapaci di immaginare come quel tasso di crescita possa mai proseguire all’infinito senza incontrare un suo ‘limite naturale’ nelle stesse capacità del sistema ecologico di alimentarvi le risorse necessarie. Esiste una lunga serie di fallimenti che caratterizza le previsioni che s’ispirano a questa posizione e il loro fallimento risiede nell’impossibilità per gli osservatori intellettuali di immaginare il ‘futuro’ che solo la fertile creatività dei pensatori eterodossi riesce da sempre a generare per risolvere i ‘nuovi’ problemi creati proprio dalla crescita stupefacente del sistema del capitalismo-liberista. Questa incapacità degli osservatori si abbina alla loro ‘naturale’ osservazione privilegiata sui problemi più drammatici anziché sui benefici più evidenti prodotti dal meccanismo liberista. Ne risulta un altrettanto ‘naturale’ timore per i possibili risultati catastrofici dovuti a una crescita lungo le linee che ne hanno realizzato il successo. Gli intellettuali eseguono delle semplicistiche ‘proiezioni’ del meccanismo dello sviluppo industriale di ieri senza evidentemente poter prendere in considerazione l’avvento di innovazioni tecnologiche e organizzative che nascono proprio grazie alla costante ‘rivoluzione’ dei costi attuali della produzione industriale che stimola l’inventiva tecnologica a concepire varianti produttive sostitutive delle troppo costose con altre più lucrative e sostenibili.

La lunga storia dei fallimenti previsionali del catastrofismo pessimista riporta anche nomi celebri che hanno apportato notevoli danni al progresso civile: Malthus, Marx e Meadows-Peccei.

L’’inevitabile’ crollo del capitalismo-liberista è stato pronosticato da personaggi smentiti costantemente dal futuro che non ha accettato di aderire alle loro inadeguate schematizzazioni intellettuali.

Tuttavia questa genia di prudenti, tristi e pessimisti profeti della ‘fine del mondo’ continua a manifestarsi sia per la ‘naturale’ ignoranza degli intellettuali, sia per il loro opportunismo che li consiglia di sfruttare in modo diretto (politici) o indiretto (intellettuali ‘organici’) il catastrofismo a fini demagogici.

Qualunque situazione utile per sollecitare paura per il futuro è raccolta per denunciarne la causa al sistema industriale; anche se gli eventi che hanno causato l’evento drammatico sono attribuibili alla Natura e non all’industria.

Il recente ‘caso Fukushima’ è emblematico d’una situazione in cui l’evento naturale ‘sisma’ e la sua naturale conseguenza ‘maremoto’ hanno provocato inevitabili impatti drammatici tra i quali quello della centrale nucleare risulta assolutamente meno grave degli altri. I morti nella centrale di Fukushima sono un numero assolutamente inferiore a quelli generati dal crollo della diga che ha spazzato via interi villaggi in una delle aree rurali e ittiche densamente popolate. Tuttavia non si denuncia la scelta politica di costruire inadeguate dighe foranee o di consentire l’urbanizzazione in aree esposte a rischi di sismi e maremoti e neanche la scelta di avere insediato la centrale nucleare in sede troppo esposta ai maremoti, bensì la scelta di avere costruito la centrale sulla base di combustibile nucleare. Una critica assolutamente ridicola anche se si prendesse in considerazione il marginale inquinamento radioattivo che si è manifestato nell’acqua e nell’atmosfera, non ostante il carattere realmente catastrofico di sisma e tsunami. Inquinamento risibile rispetto a quello enorme dovuto alla serie di test nucleari in atmosfera e terrestri protrattesi nell’arco d’un trentennio oppure rispetto al costante inquinamento di aria ed acqua generato dalle centrali termiche a combustibili fossili che saranno aumentate in numero in sostituzione di quelle nucleari più rispettose dell’ambiente.

Ma tant’è la madre dei cretini (anche se scelgono la professione di intellettuali) è sempre incinta.

Il loro allarmismo e mistificante presentazione degli eventi riesce a terrorizzare la pubblica opinione senza aiutarla a collocare nel loro giusto contesto e prospettiva delle connesse scelte concrete che deriverebbero da un abbandono del nucleare che, mentre non libererebbe dai rischi di inquinamento provenienti da disastri in impianti distanti migliaia di chilometri, provocherebbe inevitabilmente un aumento dei costi ed un calo nel livello di benessere.

Questo pessimismo che deriva dal voler proiettare l’immutato stile industriale dello sviluppo di ieri su un futuro incapace di adeguarsi eludendo i rischi, suggerisce gli intellettuali più ‘liberali’ a tentare di convincere l’opinione pubblica ad abbandonare modelli di vita ‘consumisti’ per ridurre l’esigenza di energia assumendo stili più austeri. Questa soluzione non cancellerebbe comunque l’esigenza di cercare crescenti fonti di energia neanche se lo stile di vita liberamente adottato universalmente fosse quello delle comunità Amish a meno di non escludere dal benessere economico le masse dei paesi più popolosi.

Il fine di ‘limitare lo sviluppo’ per imporre ‘costumi di vita austeri’ non risolverebbe la crescita industriale ma ne condizionerebbe le scelte che avvengono liberamente sul mercato dei consumi quotidiani cui si può ascrivere lo stimolo esercitato sulla creatività tecnologica, industriale e, conseguentemente, anche scientifica sostituendo quel ruolo egemone (‘libero’ in quanto emerge dalle scelte di ‘micro-consumi’ individuali che si aggregano in modi imprevedibili e non condizionabili) con il ruolo-guida di un’oligarchia di intellettuali che si ispirano alla ‘superiorità’ della dottrina sociale della loro religione ‘politicamente corretta’; sia secolare che trascendente.

L’accettare con cieco ‘ottimismo’ invece l’esistenza di un ‘disegno intelligente’ garante della intrinseca auto-regolazione del sistema Natura, conduce ad affidare la soluzione dei problemi alla creatività eterodossa dei giovani e alla folle audacia degli imprenditori che (in mutua combinazione sollecitata dal loro egotismo e dall’edonismo dei consumatori) hanno sempre ‘scoperto’ nuovi modi in cui la Natura consente di soddisfare le esigenze della specie umana senza ledere l’attitudine auto-regolatrice che garantisce la sopravvivenza della specie nel costante rimaneggiamento degli equilibri naturali tra temporanei, sempre critici stati d’omeostasi.

Senza il ‘folle’ ottimismo religioso, la civiltà ‘Occidentale’ perde il suo ‘primo motore’ del ‘libero arbitrio’ e della libertà individuale garantiti dalla liberal-democrazia e dal libero mercato; due istituzioni abbinate che sono ‘Occidentali’ solo se costituiscono il meccanismo fondamentale che legittima ogni ‘atto pubblico’ della governance bottom-up. È il libero voto (espresso sulla base del ‘buon senso’ di cui la Natura dota ciascuno in modo indipendente dalla razza, cultura, censo, religione o status accademico), a legittimare con le sue aggregazioni più imprevedibili le scelte politiche. È la libera scelta nel collocare in singoli atti di consumo il proprio reddito prodotto (sulla base di insindacabili scelte motivate da un mix di avidità, invidia, prudenza, narcisismo, edonismo, etc.), a orientare il mercato verso forme di sviluppo; libere in quanto imprevedibili.

Se le stesse istituzioni (formalmente analoghe a quelle ‘Occidentali’ – elettorali, commerciali, industriali) fossero invece guidate da una governance top-down, il ‘buon senso’ verrebbe sacrificato in nome del ‘senso comune’ diffuso da istituzioni che ‘educano’ a pensare in modo ‘ortodosso’ per evitare che un futuro privo della sapienza accademica distrugga l’ordine faticosamente costruito fino ad oggi da oligarchie ‘illuminate’ contro l’ignoranza e il fiducioso ‘ottimismo’ diffuso da visioni religiose e risibili perché prive di fondamenta scientificamente dimostrabili. La sostituzione del ‘senso comune’ al’buon senso’ e della Scienza al Libero Arbitrio, distruggono i contenuti della civiltà liberal-democratica ‘Occidentale’.

Questo è il motivo per cui nella civiltà ‘Occidentale’, la ‘religione’ è un elemento che deve avere cittadinanza nel contesto delle istituzioni di ‘pubblico interesse’ (dalla famiglia, al clan, all’azienda, alla scuola, ai servizi di pubblica utilità a quelli degli enti territoriali ad ogni livello). Senza una diffusa ed egemone ‘religiosità’ la società ‘Occidentale’ ricadrebbe nel buio dei regimi monocratici, autoritari ed auto-cratici tipici delle satrapie più esemplari; sia ispirate da dogmatismi secolari o religiosi.