29/04/2011

Unione Europea?

L’U.E. non è un’unione politica ma neanche un’unione economica come l’etichetta tenta di far pensare.

L’unione politica infatti, soprattutto in un’area geopolitica densamente popolata e caratterizzata da bassi livelli di mobilità transfrontaliere e da elevato grado di disomogeneità linguistica, legislativa, giurisdizionale, amministrativa oltre che inquinata da una sanguinosa e recente storia di conflitti armati e di reciproche diffidenze culturali, è un obiettivo da raggiungere sull’arco di più generazioni con un costante impegno inteso ad armonizzare le iniziali differenze vigenti in ogni comparto della vita quotidiana con l’obiettivo a breve termine di agevolare un’integrazione tra i sistemi produttivi industriali nazionali perché, tramite ciò, si faciliti la nascita tra i giovani di una maggiore disponibilità a domiciliarsi dovunque in coerenza con l’offerta di opportunità di lavoro senza sentirsi ‘emigranti’ in un unico sistema soprannazionale industria-stato. Questa integrazione dei sistemi industria-stato nazionali in un'unica realtà produttiva avrebbe richiesto l’avvio di un accelerato processo di Unione Economica che prevedesse contemporaneamente alla istituzione della valuta unica, anche l’unificazione dei criteri fiscali, giurisdizionali, legislativi, linguistici, previdenziali ed educativi. Ciò è invece stato negato istituendo la contemporanea vigenza di oltre dieci lingue nazionali come lingue ufficiali, accettando una molto limitata prevalenza delle decisioni della Commissione Europea sulle decisioni legislative nazionali, privando la stessa Commissione dell’egemonia politica nelle relazioni diplomatiche, conservando la totale separatezza dei sistemi fiscali nazionali, rifiutando di istituire un unico sistema di tutela militare ed anticrimine nell’ambito delle frontiere dell’Unione e proseguendo a modificare i sistemi educativi in puro ambito nazionale.

In mancanza di questa contemporanea combinazione di unioni istituzionali, ed il contemporaneo procedere accelerato della globalizzazione industriale (in cui emerge il ruolo egemone della moneta USA, della lingua americana e la modernità del suo sistema legislativo, giurisdizionale, borsistico, legale e militare), rende sterile ogni tentativo di istituire un sistema europeo che sia caratterizzato da credibile grado di competitività alternativa.

Il risultato complessivo di questo inevitabile fallimento, data la velocità di assimilazione tecnologica, legale, linguistica e produttiva e la flessibilità del sistema industriale e costituzionale americano e data la grande diversità esistente all’interno della cosiddetta Unione Europea tra i diversi sistemi industria-stato nazionali, sembra di gran lunga più probabile che i singoli paesi possano trovare preferibile scegliere accordi graduali con gli USA per associarsi a quell’Unione di Stati il cui sistema egemone offre accanto ai benefici produttivi anche ulteriori benefici di carattere istituzionale e politico ben superiori a quanto non possa credibilmente offrire un’Unione Europea in cui è inevitabile proseguirà l’esercizio di maggiore peso gerarchico dei paesi di tradizionale pretesa egemonica nella storia sanguinosa e sanguinaria che ha caratterizzato la storia interna alla civiltà ‘Occidentale’.

Alla luce di queste considerazioni si collocano le diverse situazioni di crisi industriale create dal procedere del processo di industrializzazione globale oppure da occasionali cataclismi naturali; come è il ‘caso nucleare’ in occasione del sisma giapponese associato allo tsunami.

La ‘cancellazione’ della componente nucleare in Italia non ha alcun senso tecnologico-industriale né effetto in termini strategici. Infatti il sistema industriale italiano dovrà acquistare energia all’estero prodotta da un mix di impianti ‘ottimale’ sotto il profilo dell’economicità. Il problema non è che Tennessee o New Jersey rifiutino di insediare impianti nucleari, le aziende di quegli stati dell’unione americana riceveranno comunque la potenza elettrica necessaria dalla rete di distribuzione nazionale senza discriminazione di ordine economico o politico. Nell’inesistente unione europea invece l’Italia dovrà acquistare energia dalla Francia senza alcuna garanzia che i prezzi siano uguali a quelli praticati agli utenti francesi. Ciò si tradurrà in ulteriore elemento di minore competitività per il sistema produttivo italiano. Supplire a questo possibile handicap condurrebbe l’Italia a scegliere mix produttivi di energia meno ‘ottimali’ di quelli scelti ed operativi in Francia senza ridurre i rischi derivanti dai possibili eventi catastrofici naturali che continuerebbero a incombere sugli impianti francesi, svizzeri, austriaci o tedeschi data l’adiacenza dei confini naturali. Aggiungeremmo un onere ulteriore al sistema produttivo senza alleggerire i rischi naturali; una vera e propria scelta masochista dovuta all’inesistenza dell’Unione Europea come istituzione politica.

Inoltre ogni scelta irrazionale, come quella di escludere i combustibili nucleari dal concorrere a comporre il mix economicamente ottimale di fonti energetiche, essa si traduce in un’accelerazione degli investimenti in ricerca applicata verso altre fonti non ancora mature alla luce delle attuali tecnologie disponibili per supplire alla nuova carenza creata per scelta volontaria; seppure inconsapevole ed errata.

Orbene tale accelerazione degli investimenti, congiunta all’aumento dei costi energetici provocato dalla esclusione del nucleare, sottrae risorse finanziarie al paniere di collocazione attuale del risparmio disponibile. L’ulteriore sottrazione di risorse disponibili, rallenta lo sviluppo tecnologico in altri comparti più redditizi per il ritorno sugli investimenti. Ciò rallenta la crescita del prodotto nazionale lordo.

Analogamente la sottrazione di risorse attualmente disponibili riduce i finanziamenti ai servizi di pubblica utilità e ciò provoca una depressione dei redditi nelle fasce di censo più basso.

Il risultato di ogni avventata scelta del tipo di quella citata come esempio (esclusione del nucleare) è un impoverimento della popolazione più povera sia all’interno del paese, sia di quella nei paesi più poveri per la minore disponibilità di trasferimenti finanziari a sostegno del loro sviluppo industriale.

Anche per pure valutazioni morali, scelte demagogiche e masochiste come quella in questione, dovrebbero essere contrastate dalle istituzioni politiche e religiose in ogni paese.