29/04/2009

 

Le scelte di Berlusconi

Le scelte di Berlusconi sono costantemente sottoposte a critica ‘politically correct’ da parte delle elite ‘de sinistra’ partendo da punti di vista oltraggiosi per lo stesso spirito liberal democratico che esse pretendono di tutelare. Cerco di spiegarmi.

Viene criticata la formazione delle liste elettorali basata su un rinnovamento di età e di genere con le deprecate ‘veline’ in quanto ritenute non all’altezza della missione che verrebbe loro affidata.

Ora a parte eventuali doverosi confronti di controllo circa la maggiore idoneità posseduta dai rappresentanti di altra età e genere eletti fino ad oggi al parlamento europeo e a parte altrettanto doverosi confronti di controllo circa le prestazioni che analoghe scelte hanno dimostrato sul campo una volta elette al parlamento nazionale e a posizioni di governo della nostra repubblica, occorrerebbe chiarire anche che il parlamento europeo sia proprio il migliore ambiente in cui svolgere l’allenamento delle nuove generazioni di rappresentanti politici, una sorta di scuola simulata priva di rischi ma molto prossima alla realtà istituzionale.

Infatti, il parlamento europeo, per chiunque abbia conoscenza dei poteri attribuiti oggi alle istituzioni europee, è totalmente privo di concreto potere legiferante. Si tratta in definitiva di un’assemblea quasi meramente consultiva in quanto il potere legislativo è detenuto dalla commissione cui è affidato un puramente parziale potere esecutivo. Si può affermare che se si chiudesse l’attuale parlamento europeo verrebbe meno solamente un pur importante elemento simbolico della volontà di progredire gradualmente e con molta prudenza verso una fusione politica da parte delle nazioni che hanno aderito all’Unione Europea con molti sospetti di reciproci tentativi di prevaricazione per tutela dei vecchi interessi nazionali. Ciò è stato più volte dimostrato dal risultato di referendum passati relativi a una carta costituzionale tanto contorta quanto machiavellica negli scopi perseguiti.

Tornando alle critiche delle ‘menti sottili de sinistra’ esse partono dal preconcetto principio che la nazione debba essere rappresentata (non gestita che è problema tecnico demandato finora come detto solamente alla Banca Europea) da una ‘elite dei migliori’.

Questo è, in effetti, il vero spartiacque che distingue le ‘sinistre progressiste’ dai ‘conservatori Occidentali’.

I conservatori ‘Occidentali’ aderiscono fondamentalmente al concetto che la rappresentanza politica debba rispecchiare al massimo la cultura quadratica media del Paese col suo buon senso e i pregiudizi fondati sulle sue tradizioni ed esperienze storiche. I conservatori ‘Occidentali’ infatti, ritengono che le leggi non debbano ‘dirigere’ né ‘orientare’ le scelte economiche che devono essere il risultato di una miriade di atti di responsabili scelte individuali in reciproca competizione sul mercato. I conservatori sono convinti in altri termini che sia il libero mercato a promuovere la graduale maturazione dei produttori e consumatori sollecitandone la responsabilità di sostenere le conseguenze delle libere scelte individuali. E’ il ‘laissez faire’ che guida in modo imprevedibile e auto-controllato lo sviluppo dell’economia del Paese. I conservatori ‘Occidentali’ credono anche nell’esigenza di un esecutivo efficiente e decisionista cui vengono tuttavia affidati solo compiti di gestione dell’ordinaria amministrazione e delle emergenze più acute e critiche per la tutela del Paese quali l’igiene pubblica (spazzatura a Napoli), l’assistenza nelle catastrofi naturali (Terremoto di Aquila), la sicurezza interna e internazionale (anti-terrorismo, polizia e difesa militare). I conservatori ritengono che il futuro benessere nazionale non possa essere né previsto né tantomeno creato in conformità a una politica di Stato studiata a tavolino da ‘menti sottili’ che tendenzialmente si compongono di ‘intellettuali organici’ alle ambizioni di legislativo ed esecutivo i quali, non essendo riusciti a sfondare nelle proprie professioni originarie, si ricavano comode nicchie di casta alimentate dalle risorse sottratte ai contribuenti tramite una fiscalità che è solo legittimata dalle loro visioni di ‘crisi future’ e da proposte d’immediati sacrifici in previsione di ‘paradisi promessi’. Una sequenza di crisi, di sacrifici e di premi futuri fondata sulla ‘scientificità’ di modelli previsionali garantiti da ‘maggioranze di scienziati’ (concetto pienamente a-scientifico) che sono stati sempre smentiti dal progresso scientifico e tecnologico realizzato ‘illegalmente’ dal libero mercato. Si tratta sempre di visioni ricche di ‘terrorismo demagogico’ sulla traccia di Malthus che aveva descritto un modello scientifico che inevitabilmente dimostrava che un aumento della popolazione oltre i limiti di fertilità agricola noti alla sua epoca avrebbe condotto ‘inevitabilmente’ a carestie, fame e rivoluzioni sanguinose. Si trattava di un modello analogo a quello che negli anni 1960-’settanta venne proposto dal Club di Roma basandolo su presunte maggiori attendibilità dei computer con i ‘limiti allo sviluppo’, colla ‘glaciazione prossima’ e con la ‘primavera silenziosa’ tutti fenomeni smentiti nel breve arco di trentanni.

Siamo arrivati oggi, in barba a quelle previsioni catastrofali a raggiungere livelli di benessere e di sua diffusione mondiale mai immaginabili in tempi così rapidi scavalcando ogni possibile resistenza che la conservazione degli interessi di casta avrebbe ragionevolmente potuto opporre sul piano politico istituzionale. È stato il libero e selvaggio mercato finanziario a realizzare questo salto finale di qualità della diffusione della civiltà ‘Occidentale’ del liberismo industriale, la sola premessa all’avvento di istituzioni politiche caratterizzate da maggiori dosi di liberal-democrazia.

Che le ‘veline’ si allenino e dimostrino sul campo la loro capacità di rappresentare il buon senso e i pregiudizi prevalenti nella società civile di cui essi sono migliori rappresentanti di quanto non lo possano essere gli intellettuali imbottiti di supponente e illiberale spirito ‘politically correct’.

 

 

Anche se non ancora pubblicato, la presunta ‘crisi’ è stata ormai superata come ci viene ormai confermato quotidianamente dai leader politici e dagli operatori industriali più dinamici. La ‘crisi’ era solo l’emergere dei disagi causati dall’esigenza di condurre una ristrutturazione delle fasi di produzione industriale su base globale in modo da riservare quelle più capital intensive’ al Nord e quelle ‘man-power intensive’ al Sud anche per offrirgli nuove opportunità di reddito.

Ciò che invece, grazie all’influenza suina originata in Messico, sta emergendo (e che meriterebbe riflessioni d’interesse per le istituzioni che stanno consolidandosi in campo internazionale per assicurare la ‘governance’ del sistema industriale internazionalizzato – il Nuovo Ordine Globale) è che le fasi ‘capital intensive’ in ogni comparto d’industria (anche in quello dell’allevamento suino oltre che in quello nucleare) debbano essere concentrate solamente nei Paesi in cui è ormai, pienamente, ‘matura’ la cultura e le istituzioni ispirate alla civiltà ‘Occidentale’ che ne assicura la legittimità fondata non solo sul piano della filosofia politica ma soprattutto sul piano ‘scientifico’ di essersi venuta maturando in quel laboratorio che è il progresso storico di libero mercato alla cui fruizione anelano tutti i derelitti e diseredati del mondo.

Questo concetto non è solo un concetto di prudenza gestionale per evitare che gli abusi criminali più facili al Sud (Cina, Russia, India, Pakistan, Brasile, Iran, Messico, etc.) si traducano in tipi di disastri ambientali incontrollabili con riverberazioni sugli interessi globali (Bhutan, Chernobyl, influenza aviaria, influenza suina, etc.) ma soprattutto per tutelare la solidità stessa delle istituzioni finanziarie e politiche del mondo produttivo industriale e del commercio mondiale.

Infatti, le decisioni d’interesse generale future nel prossimo parlamento del sistema istituzionale globale in corso di consolidamento dovranno poter esercitare controlli d’importanza selettiva sulle diverse fasi della produzione integrata di Nord e Sud. Come risulta immediatamente intuibile per le implicazioni ambientali, le fasi manifatturiere non possono essere realizzate con tecnologie obsolete e inquinanti. Altrettanto vale per quelle fasi produttive che rischiano di alimentare tipi di criminalità forse meno palesi ma molto più nocivi come quelle che conducono alla gestione degli allevamenti intensivi senza i debiti controlli sanitari o alla realizzazione d’impianti di trattamento dei combustibili nucleari o delle sostanze bio-chimiche e farmaceutiche senza quei debiti controlli che ne evitino possibili abusi a beneficio del terrorismo politico.

Altro che il problema della ‘crisi’ globale o quello delle ‘veline’ a Strasburgo, si tratta di temi (che anch’essi hanno sempre smentito le previsioni terroristiche delle ‘menti sottili de sinistra’ – dal ‘caso’ Three Miles Island alle crisi di pandemia dell’aviaria ieri e della suina oggi) che tuttavia devono far riflettere i cultori scientifici della legislazione geo-globale futura. Pena un Nuovo Ordine Globale ‘politically correct’ ma altamente inadeguato a garantire la ‘governance’ liberal democratica di questo sistema industriale ‘Occidentale’ pienamente trionfante.