29/03/2009

Paradossi del liberismo

È realmente paradossale l’atteggiamento della società nei confronti del liberismo che ha lentamente ma inesorabilmente generato accanto alla liberal-democrazia (sottoponendo a revisione e miglioramento i suoi processi istituzionali), anche l’altrettanto inesorabile e graduale estensione dei benefici del benessere oltre ogni vecchio e temporaneo confine ‘nazionale’ dietro i quali si trincerano le resistenze parassitarie delle corporazioni ‘illiberali’ che cercano di conservare i propri ‘privilegi di casta’.

Abbiamo riepilogato il nostro punto-di-vista iper-liberale circa la presunta ‘crisi’ attraversata dal sistema ‘Occidentale’ oggi nell’era irreversibile della globalizzazione. Si tratta di una semplice ‘crisi di riassetto’ della catena industriale che ripartisce le fasi di produzione tra Nord e Sud. Trasferendo le fasi ‘manpower-intensive’ ai molti Sud del pianeta e riservando le fasi più ‘capital-intensive’ ai molti Nord. È un processo naturale sia sul piano economico che su quello razionale che, contro ogni opportunismo di ‘conservazione’ di vecchi privilegi presente nel contesto delle vecchie istituzioni di interesse pubblico (sia private che statali), ha seguito la regola liberista di ottimizzazione della collocazione delle risorse finanziarie sempre scarse in ogni epoca. Questo processo ha generato enormi benefici di cui tutti hanno goduto sia al Nord che al Sud (low cost, turismo, elettronica, servizi, sviluppo, consumi, etc.) ed ha indicato le linee di evoluzione delle istituzioni della governance liberal-democratica sul piano globale. Un trionfo generato dall’economia liberista (e non Keynesiana o statalista, o corporativa, o cazzate delle ‘menti sottili’) nel corso di tre decenni senza creare guerre sanguinose ma solo spinte a ristrutturare i vecchi e non competitivi processi produttivi. Questo processo su base geo-politica globale è stato finanziato senza creare inflazione offrendo al Nord i prodotti finanziari necessari per finanziare la ‘delocalizzazione degli impianti industriali al Sud (vedi il caso IBM tra i molti sia privati che pubblici – la Regione Toscana ha affidato la gestione delle sue banche dati all’India). Questo processo è avvenuto alla totale luce del giorno e dietro adesione consensuale di milioni di risparmiatori/consumatori in ogni Nord che hanno acquistato prodotti finanziari tanto innovativi in quanto ‘estranei’ alle vecchie ‘regolamentazioni’ che miravano a garantire la ‘stabilità economica’ del solo Nord. Questo processo ha aperto l’accesso ai consumi a masse incredibili di consumatori un tempo costretti all’indigenza in Asia (oltre la metà della popolazione mondiale) ed ha arricchito le casse statali di quei paesi. Ciò che stiamo affrontando oggi quindi è il risultato non di una ‘crisi finale’ del capitalismo liberista ma al contrario la necessaria e coerente conseguenza del ‘trionfo finale’ del medesimo liberismo capitalista. Quel che si richiede ora è che le vecchie istituzioni prendano atto dell’avvenuta globalizzazione ed adeguino le proprie procedure amministrative a garantire un periodo di ‘governance stabile’ (finché il ‘liberismo selvaggio’ non creerà un’ulteriore, innovativa e imprevedibile destabilizzazione per migliorare la redditività globale del ‘capitalismo liberista’). Ciò che richiede innanzitutto un accordo politico globale sulla redistribuzione degli oneri del debito dei vari Nord (che dovrà essere inevitabilmente sostenuto dal Sud nelle sue varie accezioni e gerarchie). Ciò che non si capisce è come Santa Madre Chiesa di Roma non comprenda l’enorme beneficio morale derivante dalla globalizzazione che non può modificare la propensione dell’essere umano all’individualismo sfrenato ma può servirsene in piena serendipità per estendere il benessere oltre i confini dei vecchi ‘egoismi istituzionali’. Affari suoi che ci interessano solo in quanto ‘peccatori’ e non esseri razionali in spirito ‘Occidentale’.

Lo spirito ‘liberista’ seguito dal mondo finanziario globale è stato ‘libero’ proprio in quanto ha ricevuto spontanea adesione dai risparmiatori e ha creato strumenti innovativi del comparto industriale finanza che erano tanto innovativi da non essere neanche concepiti dalle ‘menti sottili’ che le istituzioni conservatrici del Nord avevano messo a presidiare la stabilità dei propri privilegi globali. È stato, come sempre nel corso del progresso della civiltà ‘Occidentale’, un processo che si è servito dell’avidità e delle aspettative più individuali dei risparmiatori, dei consumatori e dei banchieri per raccogliere al di fuori delle macchinose imposizioni fiscali di Stato risorse oltre ogni confine protezionista. Una forma di aggregazione miracolosa e spontanea delle ‘speculazioni’ individualiste che si è ripresentata come ‘vettore della estensione delle libertà e del benessere’ oltre ogni confine su base globale in piena analogia con ciò che è sempre avvenuto per ottimizzare le risorse in ogni epoca e ad ogni livello geo-politico. In tempo di guerra fu la liberista ‘borsa nera’ a consentire di superare le inadeguatezze delle tessere annonarie e dell’ammasso delle derrate. In tempo di guerra fu il liberista ‘contrabbando’ a soddisfare la domanda di beni proibiti dall’economia ufficiale a rischio della vita degli ‘spalloni’ (sia le sigarette dalla Svizzera o dall’Italia liberata dagli Alleati ove il contrabbando vedeva anche una convergenza di furti dalle scorte logistiche militari, sia la penicillina e i medicinali più moderni dalla stessa Svizzera e dall’Italia liberata con convergenza di furti dalle scorte militari). Insomma la ‘speculazione’ non è solo uno strumento permanente e liberista ma è anche il promotore della redistribuzione efficiente delle risorse scarse per soddisfare la domanda inappagata al-di-fuori di ogni ideologia di Stato.

Tornando ora ad esaminare i paradossi cui ho fatto cenno possiamo vedere come la ‘crisi’ di riassetto produttivo sia accettata in spirito assolutamente opportunista e conservatore dal Nord che fatica a rinunciare a sue vecchie abitudini (essenzialmente le provvidenze dello Stato Sociale e le tutele sindacali) infischiandosene delle conseguenze nefande di difese protezioniste dei vecchi Stati Nazione. I dimostranti contro il G20 manifestano all’insegna del ‘crollo finale del capitalismo’ (un’arietta musicale già più volte fallita) e non come stimolo a quelle 20 vecchie istituzioni di trovare celermente nuovi accordi adeguati alla governance del nuovo ordine globale. I sindacati ovunque si rifugiano dietro posizioni reazionarie o conservatrici di interessi ‘locali’ e corporativi sequestrando poveri Cristi che hanno ruoli marginali di manager in altrettanto marginali aziende e comparti produttivi, cacciando dal paese i lavoratori esteri, inseguendo la ‘speculazione’ nelle sue varie accezioni con vere e proprie sterili cacce alle streghe che rischiano di prolungare la ‘crisi di riassestamento’ oltre ogni sua fisiologica durata se fosse invece affidata a processi liberisti scevri da visioni ideologiche e corporative. I manifestanti contro il ‘capitalismo liberista’ si aggregano perfino attorno a schemi ideologici ormai falliti sullo stesso mercato (marxismo, corporativismo) oppure contro incerte manifestazioni naturali (global warming, glacial age, variazioni periodiche naturali) la cui ‘colpa’ viene presuntivamente addossata alle emissioni industriali (suggerendo quindi una de.industrializzazione globale come rimedio che, per coerenza, dovrebbe vedere l’animale uomo incompatibile proprio in quanto ‘homo faber’ con la Natura e quindi suggerendone l’estinzione volontaria sulla traccia dei Dinosauri).

Stiamo uscendo di testa e dimostrando che la ‘liberal-democrazia’ è valida sul mercato speculativo ma è ancora inadeguata come forma partecipativa elettorale estesa a individui incapaci di ‘vedere la realtà’.