27/06/2009

Nuova governance finanziaria

Vorrei tornare a porre in evidenza la separazione nel comparto industriale “finanza” tra due sue distinte missioni: 1) alimentare col risparmio le produzioni industriali più redditizie e, 2) elevare il valore delle risorse finanziarie affidate al risparmio.

In questa ripartizione risiede ogni equivoco in merito alle aspettative che si nutrono sull’efficacia degli interventi degli Stati intesi ad agevolare la sopportabilità della corrente ‘crisi’ globale. Una ‘crisi di crescita’ che è dettata solo dalla massiccia riorganizzazione su base globale di tutte le produzioni industriali. Un processo di ristrutturazione che ha colpito ogni comparto d’industria al fine di ottimizzare l’impiego e insieme la crescita di valore delle risorse finanziarie disponibili, sempre scarse rispetto alle richieste di un mercato ormai integrato ma non ancora assestato su un equilibrio che possa dettare le nuove regole della governance del sistema industriale globale. Solo dopo che un tale equilibrio, instabile ma definito, sarà stato raggiunto dalle autonome scelte del mondo produttivo privato sarà possibile per gli Stati negoziare la tutela dei propri interessi di stabilità interna nell’interesse reciproco dello sviluppo internazionale. Non si possono mettere i carri davanti ai buoi. Né decidere in astratto quali siano i buoi da nutrire prioritariamente.

La globalizzazione in corso deve raggiungere una intrinseca stabilità ed equilibrio produttivo (il solo che poi potrà dettare le esigenze della sua governance) tramite la delocalizzazione delle fasi ‘man-power-intensive’ dei processi che compongono la catena produttiva al Sud per aumentare la partecipazione al trionfante capitalismo-liberista (e con ciò espandere in modo definitivo a tutta la popolazione mondiale le istituzioni liberal-democratiche strettamente connesse al capitalismo-liberista) e deve altresì potenziare le fasi ‘capital/know-how-intensive’ al Nord per tutelarne la insostituibile funzione-egemone nell’adeguamento del capitalismo-liberista e delle strettamente associate istituzioni liberal-democratiche alle nuove aspettative geopolitiche dettate dal mercato di consumatori, risparmiatori e produttori globalizzato in modo irreversibile.

La duplice funzione della finanza (collocazione più redditizia ed aumento di valore del risparmio) non viene risolto dagli Stati con azioni finanziarie. A ciò sa fare fronte in piena autonomia il comparto industriale “finanza” con le sue creative innovazioni regolamentate o meno che esse siano da leggi in vigenza più o meno universale (ivi incluso: “derivati”, investimenti “speculativi” e fughe in “paradisi” alla ricerca di tutela da utopie ideologiche di Stato – aliene alle pure esigenze produttive).

Il vero e unico ruolo degli Stati potrebbe cercare di ridurre i margini di rischio che incombono in modi diversi e spesso contrastanti sulle due distinte missioni del comparto “finanza”. Rimuovere ogni rigidità a tutela di posizioni parassitarie di un passato incompatibile con le aspettative e con le opportunità della crescita dell’economia globale è una delle missioni politiche più efficaci anche se esse impongono alla sfera della politica di adeguarsi riorganizzando i propri rapporti di cattura del consenso in modo da renderli compatibili con le esigenze della globalizzazione. Possiamo dare qualche esempio di rigidità da rimuovere per ridurre il rischio industriale della “finanza” globale a spese di un’assunzione di rischio politico nazionale al Nord ed al Sud: 1) parificare l’età di pensione a donne e uomini, eliminare le tutele del tipo di statuti dei lavoratori o inamovibilità dei dipendenti di Stato, premiare la produttività e la competitività di dipendenti e dirigenti (per responsabilizzare i prestatori d’opera); 2) ridurre il narco-traffico rendendone disponibili le risorse improduttive, ridurre le barriere doganali aumentando il tasso di competizione sui mercati, 3) contrastare la fuga di massa di emigranti e incentivare la delocalizzazione di impianti e di joint venture industriali per conservare la stabilità socio-politica al Nord e al Sud, per non impoverire il Sud dei più motivati e intraprendenti protagonisti e per non agevolare scappatoie non strutturali al Nord con lo sfruttamento della manodopera clandestina.

Si tratta di iniziative tutte rispettose dei criteri fondanti della civiltà ‘Occidentale’ e del libero mercato che dovrebbe trovare le sinistre e la Chiesa alla guida invece che nel ruolo reazionario e pauperista cui stanno aderendo.