27/02/2008

Esecutivo e Relativismo

Un articolo di Antonio Martino tocca uno dei problemi-chiave della attuale crisi del sistema liberal-democratico. In sintesi: può chi governa decidere in funzione delle proprie ‘certezze’? È un quesito che Martino pone in merito alla ‘paura’ che gli ispirano le certezze di Giuliano Ferrara attorno a uno dei temi etici di maggiore visibilità politica oggi su base globale: la tutela dei diritti dell’essere umano dal suo concepimento alla sua morte naturale. È uno dei tanti temi in cui il progresso della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche ha sollevato il problema dell’adeguatezza dei principi liberal-democratici di governo dell’interesse pubblico basato sull’indelegabile legittimità e responsabilità al corpo elettorale ben informato e sull’altrettanto indelegabile responsabilità individuale di chi viene eletto a ricoprire i vari ruoli di gestione delle deleghe attribuite dal corpo elettorale a chi presiede ai poteri istituzionali in un ben auto-regolato giuoco di ‘poteri’ ripartiti e contrapposti (check&balance). Poteri i cui confini di ripartizione impongono rigide responsabilità individuali agli eventuali ‘contravventori’ e le cui regole di contrapposizione impongono altrettanto rigidi profili dei protagonisti che scelgono di proporsi ad esservi eletti. È uno dei principi fondamentali di qualsiasi scienza il procedere per tentativi-ed-errori e quindi di presumere sempre che non sia possibile avere raggiunto una ‘certezza’ per ciò che concerne le conoscenze scientifiche e tecnologiche. Tantomeno per ciò che concerne ‘certezze’ in scienze teologiche. Tuttavia è anche chiaro che occorre sia legiferare che governare un sistema sociale sulla base di quelle ‘certezze’ su cui si fonda il sistema politico vigente sia esso liberal-democratico o no. Chi liberamente si offre a ricoprire il ruolo di legislatore può dibattere in parlamento ogni tema sulla base di tutti i propri e gli altrui dubbi, tuttavia deve poi addivenire a compromessi che rispettino l’opinione delle minoranze senza conculcare i diritti dei più deboli. Sono concetti morali che determinano la diffusa condivisione delle leggi sul piano dell’etica sociale e quindi si può accettare il concetto che ogni parlamentare sia macerato dai suoi dubbi nell’adempiere al proprio ruolo. Chi però si offre sempre liberamente al ruolo di gestore dell’esecutivo deve rendersi conto che ‘governare il sistema’ richiede di assumere l’onere di decisioni che possono trascendere le sue ‘certezze’ per aderire alle norme decise dal legislativo alla lettera o al loro spirito in piena buona fede e responsabilità individuale se richiedono di essere adattate alle contingenti situazioni reali. Il ‘decisionismo’ è la caratteristica di chi ricopre ruoli ‘esecutivi’ sia sui vascelli nella tempesta sia al governo dei Paesi. I criteri liberal-democratici del ‘governo’ risiedono solo nel bilanciamento tra i poteri che esercitano su esso i poteri di indirizzo e di controllo, non nel grado di indecisione o nella sua ‘diluizione’ di responsabilità decisionale. Ciò ne pregiudicherebbe l’efficienza e la competitività di tutto il sistema sociale governato.

 

Stato: soluzione o problema?

L’inefficienza dello Stato diventa un inconsapevole socio del malcostume e dell’illegalità sul mercato: ad esempio l’’affidabilità’ di inefficienza dei servizi giurisdizionali, su cui si può contare, alimenta un uso perverso di quel potere fondamentale dello stato da parte di creditori per non fare fronte ai loro debiti. Si preferisce adire le procedure del contenzioso tramite cavilli da azzeccagarbugli sapendo che il pagamento verrà in tal modo posposto di almeno dieci anni. L’aumento del contenzioso è associato infatti all’inefficienza operativa della ‘giustizia’. Paesi in cui una causa si chiude entro sei mesi vedono una drastica diminuzione dei ricorsi. Paesi come l’Italia in cui una causa civile può chiudersi dopo un protrarsi decennale, suggeriscono invece ai creditori morosi di contestare i propri debiti sicuri di poter guadagnare tempo per negoziare una transazione stragiudiziale della vertenza o comunque per poter superare le situazioni di crisi attraversate. Lo stato non è mai la soluzione, esso è il problema stesso,

 

Occidentali: dove sono?

Come proposto nel nostro sito, ‘occidente’ e’ un concetto di riferimento per un certo modo di percepire la realtà politica. E’ una sorta di pietra di paragone, di benchmark direbbero gli anglofoni, per accertare il grado di adesione di un individuo o di una comunità ai criteri ortodossi di quella civiltà liberal-democratica che e’ stata prodotta con una lunga e sanguinosa maturazione storica dalla civiltà che solo per caso si e’ sviluppata nell’ambito di Paesi chiamati occidentali rispetto ad altre civiltà che avevano una diversa percezione delle relazioni sociali, economiche e politiche rispetto a quelle che sostenevano di un maggiore potenziale la crescita di competitività globale della Grecia e di Roma. Le situazioni etnologiche e geopolitiche che hanno trovato il momento storico propizio per creare quella macchina ormai irreversibilmente egemone su base globale che e’ la civiltà industriale non assegnano alcun valore geopolitica al termine di occidentale. Esistono infatti Paesi ben più occidentali di molti Paesi Europei come appartenenza culturale dal Giappone alle Filippine per non parlare di Australia e Nuova Zelanda. Occidentale quindi vuole essere una chiave interpretativa semplice di lettura degli eventi politici. Chiave che potrebbe semplificare la comprensione e la classificazione ma che, proprio per tale funzione semplificatrice, non può fornire anche la chiave di risoluzione dei problemi stessi. Essa e’ utile solo per capire quali sono i problemi e per catalogarne i criteri ortodossi e quelli eretici dei provvedimenti che vengono suggeriti rispetto ai canoni storici di liberal-democrazia. Sembra per esempio difficile alla luce del concetto di occidentale riconoscere caratteri omogenei nell’ambito dell’UE. E’ questo che rende improbabile il successo della costituzione dell’UE ad entità politica distinta dagli USA. Rischiando in questo sterile tentativo di perdere preziose risorse tra cui il tempo per organizzare al meglio le proprie istituzioni per ricavare un ruolo adeguato al suo potenziale di competitività nel contesto dell’unica realtà occidentale che sta consolidandosi a livello mondiale. Gli USA sono ancora infatti sede legittima della civiltà occidentale in quanto in quel Paese e’ ancora egemone il ruolo della visione culturale trasferito in America dagli Europei che vi hanno creato le istituzioni politiche ed economiche. Chi e’ emigrato negli USA costituisce lo spirito più ‘occidentale’ dell’Europa. Soggetti ispirati dal voler costruire la propria felicità libero da ogni ruolo paterno ma oppressivo del potere statale cui viene obtorto collo riconosciuto solo un temporaneo e ruolo purché ristretto ai tempi di crisi esterna (forze armate e diplomazia) o interna (stabilità monetaria). Potere statale che tuttavia deve curare il minimo delle competenze possibili e su base di istituzioni poste il più vicino possibile alla comunità che di esse si serve (giudici e sceriffi elettivi, guardia nazionale, diritto di portare armi, assenza del servizio di leva). Al di là dei pellerossa il meglio d’Europa popola gli USA e continua ad attrarre masse di ‘occidentali’ in spirito da ogni Paese del mondo che aspirano a condividere i criteri della civiltà occidentale proprio per liberarsi da sistemi politici ritenuti più opprimenti sia per ragioni fiscali o poliziesche. Possiamo dire che lo spirito occidentale costituisce l’80% degli USA, forse il 60% della vecchia Europa, il 90% dei diseredati risiedenti in Paesi dominati da regimi illiberali (da Cuba alla CSI passando attraverso tutti i Paesi che hanno sofferto il dominio comunista.