27/02/2009

1.Obanomics vs. Reaganomics

credo che Obama stia cercando di utilizzare il consenso ricevuto all’insegna del ‘change’ per raggiungere un duplice obiettivo: superare la ‘crisi’ dell’eccessivo debito accumulato dall’economia USA (e del Nord) al fine di finanziare il consolidamento dell’economia industriale su base globale e iniettare negli USA (all’insegna del ‘welfare-state’) dosi di programmazione federale di quell’economia saldamente ancorata al libero mercato.

Vediamo la compatibilità tra i due obiettivi, da ciò dipende infatti la conservazione del consenso politico sul medio-lungo termine necessario per consolidare il welfare grazie alla credibilità che sul breve-medio termine avrà saputo consolidare il rientro del debito.

La strategia che Obama ha scelto di seguire per il rientro del debito USA è quella di addebitarne gli oneri ai suoi contribuenti anziché limitarsi a ‘sollecitare’ il Sud (e l’UE) ad addossarsene il peso grazie ad una crescente condivisione degli oneri militari e finanziari per giungere ad un più condiviso Nuovo Ordine Globale che veda più equo il finanziamento delle istituzioni soprannazionali dall’ONU alla NATO e tutti gli istituti di finanziamento dello sviluppo industriale e di controllo dei criteri che dovrebbero governare la produzione e gli scambi commerciali in rispettosa competitività di ‘libero mercato’.

Questa scelta strategica di Obama è dovuta alle aspettative nutrite dagli organismi economici e sociali che danno sostegno elettorale al partito democratico, sia in spirito conservatore che in spirito ‘liberal’.

È qui che (al di là di ogni giudizio per la sua ‘ispirazione ideale’) la strategia mostra la sua debolezza. Obama infatti è costretto a tutelare il suo programma di azione politica da possibili giudizi negativi nel breve termine proclamando l’esigenza di richiedere ‘sangue e lacrime’ ai contribuenti per raggiungere il rientro del debito entro tre anni. Offre tuttavia ai contribuenti un sostanziale ‘cambiamento’ nel segno di una costruzione del welfare state soprattutto in campo sanitario nel cui comparto di industria è alta la ‘domanda insoddisfatta’ (non solo negli USA ma in ogni Paese). Altro segnale di ‘cambiamento’ che legittima la richiesta di ‘sangue e lacrime’ è la maggiore tassazione delle fasce di reddito più alte, delle rendite finanziarie a beneficio di una minore tassazione delle fasce di reddito più basse. Infine Obama segnala un ulteriore ‘cambiamento’ nella politica industriale agevolando il consolidamento della lobby di parte lavoratori a fronte della tradizionale forte lobby datoriale. Infine, per consolidare nel medio termine la sua maggioranza di sostegno al Congresso, Obama vuole attribuire al Distretto di Columbia lo status di Stato con la possibilità quindi di ottenere due ulteriori senatori almeno fino alla chiusura del primo mandato elettorale.

Le probabilità di successo della strategia scelta infatti sono talmente ridotte da richiedere al partito democratico di tutelarsi nel medio-lungo periodo imponendo un vero e proprio ‘cambiamento’ nelle istituzioni nazionali e nel loro ruolo tradizionale. Qui risiede il rischio maggiore che potrebbe condurre a un conflitto sociale molto diffuso in un Paese in cui prevalgono le aspettative di ‘libertà dallo Stato’ rispetto a quelle di ‘baratto della Pace Sociale’.

Il bilancio di Obama si compone di quattro elementi: finanziamento della difesa (per dare credibile continuità nelle relazioni internazionali senza ledere gli interessi economici di più lungo termine), maggiore raccolta fiscale che seppure più ‘eticamente equilibrata’ deve ridurre la spesa debitoria a sostegno della moneta nazionale, finanziamento delle aziende in crisi (finanziarie e automotive), finanziamento diffuso della spesa sanitaria ed educativa nazionale.

Le spese per la difesa sono le uniche che possono stimolare l’innovazione industriale e quindi la competitività industriale USA (ma solo nella componente che finanzierà nuovi sistemi d’arma).

La raccolta fiscale sembra adatta solo ad appagare le aspettative più demagogiche di ‘equilibrio etico’ ma sembra destinata a fallire i suoi obiettivi a meno che il PIL USA non cresca nel breve termine in modo da compensare gli sgravi alle fasce medio-basse di reddito con una maggiore partecipazione delle stesse a nuove opportunità occupazionali.

Il finanziamento al comparto finanziario è la naturale conseguenza della scelta strategica di Obama di addossare ai contribuenti USA l’onere del rientro debitorio accumulato anziché costringere il Sud (e UE) ad addossarsi gradualmente porzioni significative di quegli oneri lasciando perdere potere al dollaro. Ciò si traduce in una rinuncia a ridistribuire i costi e quindi in un ulteriore peso sulla crescita del PIL USA nel breve periodo.

Il finanziamento del comparto ‘automotive’ (ma in definitiva di ogni altro comparto industriale che è altrettanto ‘maturo’ e potrà legittimamente ‘ricattare’ lo stato federale richiedendo analoghi sostegni) peserà sul medio-lungo termine sulla crescita di competitività del sistema industriale USA e si tradurrà in mancata crescita del PIL nazionale.

Il finanziamento della sanità (soprattutto finanziato da programmi gestiti dallo stato) condurrà a maggiori oneri per il bilancio nel breve-medio e lungo termine e rischierà di frustrare le aspettative di qualità ed economicità dei servizi mentre non produrrà maggiore competitività del sistema industriale USA sui mercati esteri (unico elemento che potrebbe contribuire al rientro del debito con maggiori volumi di esportazioni).

Obama si troverà rapidamente nella situazione di metà-guado in cui si vengono a trovare tutti i leader costretti ad ‘innovare’ criminalizzando il ‘libero mercato’ ed i suoi elementi (speculazione, consumismo, squilibri di reddito, etc.).

Purtroppo per Obama (brillante soggetto politico che ha avuto il solo handicap d’una carriera connotata da velocità eccessiva) il sistema istituzionale e culturale USA non consentono declini lenti anche se inesorabili sulla traccia di quello di Castro a Cuba o di Chavez in Venezuela. Obama rischierà di non essere rieletto e, se il partito democratico dovesse cercare di ‘correggere’ la perdita di consenso nazionale con artifici elettorali per esercitare controllo sul legislativo e sul giurisdizionale, la frattura tra ‘Paese Reale’ e ‘Paese Legale’ potrebbe condurre a forme violente di riappropriazione delle ‘libertà fondamentali’ da parte dei cittadini che maggiormente producono reddito affrontando quotidianamente il ‘rischio della precarietà’ del mondo del lavoro (siano essi i tycoon che spesso falliscono o i Joe-the-Plumber molto critici e sospettosi già nel corso della campagna elettorale di Novembre 2008).