27/01/2010

Tecnologie e progresso civile

Di troviamo ad assistere a drammi che affliggono periodicamente il terzo mondo (un terzo mondo che è spesso ancora presente nell’ambito stesso dei Paesi più industriali) ed alla patetica e sciacallesca incapacità dei media ‘Occidentali’ di sapervi spiegare il replicarsi delle tragedie provocate dall’incapacità di risolvere il problema degli interventi e dall’ancora più replicante ripetersi dello spreco delle risorse finanziarie raccolte dai canali della solidarietà di stato (finanziati a spese dei contribuenti) e della carità spontanea (versamenti liberi dei privati) a causa dell’inefficienza delle strutture preposte localmente a gestire gli interventi durante le fasi dell’emergenza e della ricostruzione; ingigantita dalla corruzione che dirotta le risorse dalle legittime destinazioni originarie a destinazioni illegali e criminali.

L’incapacità di illustrare questo irragionevole replicarsi di sterili rimedi e di dissipazione criminale è un tema che sembra necessario affrontare preliminarmente a qualsiasi tentativo per porre fine a questo scadimento a farsa di tragiche ecatombi, drammi umani e sterili sceneggiate diplomatiche. Senza capire quale sia il cuore del problema non ci può essere speranza di identificare i rimedi possibili per evitare il ripetersi di documenti-spettacolo cui (per pura auto-tutela dalla sofferenza impotente) lo spettatore assiste collocandolo tra i molti episodi cui le fiction lo hanno abituato. Avviene un processo che metabolizza i drammi più intollerabili per disinnescarne gli inevitabili traumi psichici.

Questa rubrica ha più volte indicato una possibile chiave di lettura dell’incredibile sterilità dell’Occidente’ più progredito tecnologicamente a proceduralizzare gradualmente uno schema di interventi nelle emergenze che eviti le ecatombi, il rinnovarsi dello spreco di risorse umanitarie e il perpetuarsi dell’inefficienza e corruzione nel terzo mondo. Soprattutto dopo avere assistito alla possibilità pratica di affrontare e risolvere in tempi brevi e modi soddisfacenti analoghi drammi se si presentano all’interno dei Paesi ‘Occidentali’. Questa chiave di lettura cerca di presentare in modo chiaro la natura “sistemica” che anima qualsiasi soluzione tecnologica a partire dalla ruota (per sostituire il trasporto afflitto da attrito per slittamento) fino alla delocalizzazione e al franchising delle produzioni manifatturiere e della distribuzione commerciale (per abbattere la soglia dello accesso ai consumi e “democratizzare” il mercato di produzione e consumi).

Il meccanismo di lettura proposto è semplice e consente di approfondire sul piano qualitativo le ragioni per cui certe soluzioni risultino impraticabili (anche se “politicamente corrette”) a fronte di altre praticabili ed economiche ma il cui successo nel contesto che le ospiterà sembri poco credibile rispetto ad altre forse meno efficaci e più costose ma capaci di risolvere l’emergenza e di lasciare inoltre al Paese colpito un nucleo stabile di apprendistato manageriale sostenibile dalla cultura locale.

Ogni “soluzione tecnologica”, per raggiungere il suo successo globale sul campo, si compone di quattro elementi strettamente interdipendenti:

  • ·         hard-ware (che consente di abbattere di ordini di grandezza il livello delle prestazioni delle soluzioni che va a sostituire nelle operazioni sul campo – e.g.: la ruota, il motore, il PC),
  • ·         soft-ware (che permette di padroneggiare compiutamente le più innovative prestazioni di ogni nuovo elemento hard-ware – e.g.: abilità professionale dell’addetto, “assistita” da servomeccanismi o “guidata” con tipi di “protesi” di aiuto on-the-job oppure solamente appresa con “formazione professionale”),
  • ·         org-ware (elemento relativo alle attività del “management” che deve coordinare in gerarchia le fasi che l’hard-ware innovativo richiede di articolare – depositi, carichi/scarichi, viabilità, turni, manutenzione - per poter operare a livelli adeguati di efficacia produttiva – anche se non di efficienza competitiva),
  • ·         norm-ware (elemento relativo al contesto legislativo e istituzionale che consente o ostacola l’adesione ai nuovi comportamenti organizzativi e professionali che l’innovativo hard-ware impone pena la vanità del suo impiego sul campo)

Mentre la gerarchia descritta H-S-O-N definisce con chiarezza le esigenze applicative imposte dall’ingegneria per la scelta di ogni specifica soluzione tecnologica, la gerarchia inversa N-O-S-H può aiutarci a valutare se esistano le condizioni ambientali per adottare una soluzione tecnologica con la credibile speranza di successo rispetto ad altre apparentemente più potenti, efficienti ed efficaci ma sterili nel contesto “culturale” che le dovrebbe gestire (il “know how” professionale disponibile e, soprattutto, l’ambiente istituzionale che aiuta - con appropriati apparati giuridici e giurisdizionali - i professionisti addetti all’organizzazione delle mansioni manageriali di puro e obbligato “servizio esecutivo”). Se si intervenisse in Paesi nei quali, per legge, fossero proibiti la trasfusione di sangue o il trapianto di organi e l’impianto di protesi ai mutilati, sarebbe dannoso e odioso ovviamente imporre quei rimedi contro le aspettative nutrite dagli infortunati. Se si fornissero a chi è colpito da carestia cibi liofilizzati nella totale indisponibilità di acqua potabile, si riuscirebbe solo a nutrire ratti, insetti e parassiti che, attirati dal nuovo e sovrabbondante cibo, invaderebbero l’area colpita creando nuovi rischi di epidemie. Analogamente, se si fornissero impianti tecnici e macchinari in aree che sono prive di maestranze adeguatamente preparate a condurli, a coordinarne i turni di operazione e di manutenzione o che non dispongono di adeguate attrezzature per alimentarli di combustibili, di strutture logistiche per i depositi operativi necessari alle loro operazioni, si creerebbero solo aspettative di risultati che sarebbero solo la premessa di future frustrazioni e perdite di fiducia o crescita di diffidenza. In piena analogia, se si volesse trasferire in operazioni sul campo un intero “sistema” di soluzioni tecnologiche interconnesse che per il loro funzionamento richiedono ognuna la preesistenza di adeguata cultura manageriale e istituzionale proprie dello stato, si intaserebbero solo i porti di arrivo dei materiali e degli uomini creando ulteriori problemi umani e sociali privi di qualsiasi speranza di compensare i disagi con l’evidenza di successi delle operazioni a fronte delle aspettative della popolazione colpita.

Il problema cruciale non è nelle risorse finanziarie. Che costituiscono solo l’elemento necessario a ricostituire i materiali e impianti trasferiti sul campo per ripristinare le capacità di intervento future. Né il problema è mai quello della disponibilità locale dei materiali, degli impianti e delle strutture industriali che si possono trasferire e costruire con impegni intensi iniziali. Il vero problema è la carenza culturale e professionale delle istituzioni private e statali esistenti in loco. Se mancano “professionisti” che siano familiari con le specifiche esigenze “esecutive” delle operazioni sul campo occorre sostituirli, dai Paesi soccorritori, con loro addetti che siano già efficienti (Pastorelli o Petraeus è indifferente). Se mancano istituzioni statali e private che abbiano familiarità con l’erogazione dei servizi di contesto ambientale necessari per lo sviluppo di efficaci servizi delle soluzioni tecnologiche trasferite sul campo (polizia, viabilità, ospitalità, trasporti, depositi, public utilities) si devono supplire quelle carenze almeno temporaneamente surrogando le funzioni dello stato locale con una sorta di “governo militare” in analogia con ciò che garantisce il successo in periodi bellici all’occupazione di un Paese nemico colpito in modi anche catastrofici dai precedenti eventi strettamente militari.

Ciò è pienamente comprensibile e legittimato dal dovere di mutua assistenza internazionale che in situazioni d’emergenza è costretto a discriminare tra l’astratto concetto di “politically correct” che vorrebbe si affidasse la gestione degli aiuti alla responsabilità del governo locale che detiene la legittima sovranità formale e il più pragmatico criterio “politically incorrect” che impone la sospensione pro-tempore sotto governo militare del ruolo di gestore dell’emergenza al governo locale qualora esso risultasse evidentemente inadeguato a curare la situazione critica (indipendentemente dalla ragione dell’inadeguatezza – omologando quindi gli interventi umanitari internazionali a quelli nazionali – vedi smaltimento rifiuti a Napoli o crollo di Favara non ostante la presenza di un intero villaggio di fabbricati abitativi mai inaugurato).

Se come tutti ma proprio tutti sanno che la “cultura” locale è inadeguata a risolvere i problemi permanenti da oltre un secolo (nel terzo mondo o, più in generale, nel “mezzogiorno”), è solo ipocrisia e connivenza col crimine istituzionalizzato proseguire a rispettare l’astratto criterio del “politically correct” nell’erogare gli aiuti ai diseredati troppo spesso sottoforma di risorse finanziarie che alimentano da sempre solo corruzione e crimine organizzato (oltre che gli sciacalli dei media-spettacolo).