19/11/2010

Efficacia della globalizzazione e avanspettacolo della politica

Si sta assistendo in tutti i vecchi Stati Nazione a una patetica e lenta agonia della politica che si manifesta in forme da vero avanspettacolo. Non solo in Italia ma in tutti i paesi ivi incluso Russia, Venezuela ed USA.

Ciò è dovuto all’inadeguatezza delle cosiddette elite che occupano le dirigenze nazionali tramite processi che sono totalmente inadeguati a gestire la negoziazione degli interessi economici e sociali nel nuovo contesto di aspettative e esigenze imposto dall’internazionalizzazione.

È semplice comprendere le ragioni di questa inadeguatezza per quanto riguarda i professionisti al vertice delle istituzioni è invece più complicato comprendere come quella diffusa inadeguatezza possa contribuire all’eccessiva lentezza in cui le vecchie istituzioni nazionali e soprannazionali che presiedono alla governance del sistema industriale. Un sistema i cui interessi si sono sfilati gradualmente, ma a ritmi accelerati, dai loro contesti interni ai vecchi Stati Nazione; dal più piccolo al più grande.

In passato si capiva con chiarezza la gerarchia di peso esistente tra i sistemi stato-industria dei molti Stati Nazione e si capivano gli interessi che li spingevano a stabilire forme di coalizione per tutelare tra essi i più convergenti ed a resistere a quelli conflittuali.

La globalizzazione dell’economia industriale ha condotto invece a distruggere le vecchie logiche imperniate su contesti nazionali. Ciò è avvenuto con gradualità a partire dall’esplosione della rivoluzione industriale che ha attribuito priorità agli interessi strettamente economici delle decisioni rispetto a quella della ‘nazione’ che aveva alimentato la logica espansionista delle potenze coloniali con forme di ‘imperialismo militare’.

Quell’imperialismo elitario era dettato da una politica ispirata ad astratti paradigmi ideologici che avevano raggiunto un accettabile grado di equilibrio tra le oligarchie che possono tradurre le decisioni in concreta azione efficace e il corpo elettorale che garantisce il necessario consenso sociale affinché le decisioni assunte siano corredate da una continuità in assenza di ‘rischio politico’. La mediazione raggiunta all’interno di ogni Stato Nazione era stata compiutamente formalizzata da Bismarck nello Stato Sociale o welfare state che, a fronte dell’adesione dei cittadini alle decisioni assunte dai vertici politici, offriva i benefici di servizi estesi a tutti ‘dalla culla alla tomba’.

Quell’imperialismo ha traghettato la maturazione industriale dalla fase paleo-organizzativa di cui parla Carlo Marx alla crescente affermazione di una più evoluta forma di produzione industriale grazie alla costante conversione dei progressi scientifici in innovazioni tecnologico-organizzative che gradualmente ha acquisito nel contesto sociale comportamenti e criteri decisionali sempre più sensibili alle aspettative (un tempo ignorate dalla scienza) di natura psicologica sulle quali si è maturata una più matura sensibilità politica a sostegno delle decisioni industriali. Questo progresso è avvenuto all’interno degli Stati Nazione come conseguenza di oltre un secolo di guerre sanguinose il cui contesto geo-politico si è sempre più esteso fino a coinvolgere l’intero globo. Quelle guerre hanno imposto il paradigma della civiltà ‘Occidentale’ della competitività economica come elemento-guida nell’imporre l’egemonia dei singoli sistemi industria-stato sui loro credibili scenari di influenza politica. Chi è più competitivo riesce ad imporre il suo ruolo egemone nell’ambito di dimensioni ‘regionali’ oltre i cui confini esso non riesce a conservare i margini competitivi, perdendo così d’efficacia nelle sue azioni e credibilità decisionale agli occhi delle oligarchie industriali libere di investire le proprie risorse nei sistemi stato-industria di analogo peso economico ma dotate di maggiori stabilità, credibilità e redditività. Senza risorse proprie non si riesce più neanche a ‘sfruttare’ le ricchezze degli ‘stati satellite’ (vedi URSS nei confronti della Germania Est e della Cecoslovacchia) che, prima o poi, si ribellano al vecchio ruolo egemone assumendo scelte politiche di ‘liberazione nazionale’. Ciò è avvenuto grazie al processo di costante estensione degli interessi produttivi che hanno dapprima sollecitato i propri Stati Nazione ad intraprendere guerre espansioniste d’ispirazione dapprima mercantilista e poi colonialista. Successivamente, consolidatisi gli interessi di quei gruppi industriali egemoni attorno a forme di produzione a base soprannazionale, la pressione delle aspettative puramente economico-industriali sulle istituzioni di stato ha imposto costanti modifiche nella cultura politica; a misura delle nuove aspettative che la crescita di benessere avevano consolidato sia presso le oligarchie finanziarie e industriali sia presso la più ampia fascia dei ‘produttori-consumatori-risparmiatori-elettori’.

L’attuale, nuova fase di estensione della civiltà ‘Occidentale’ ha avuto inizio a partire dall’Europa dove essa è nata invadendo poi tutto il mondo. Le comunità europee che gradualmente stanno obliterando anche il peso delle vecchie istituzioni nazionali con nuove istituzioni di governance politica del sistema industria-stato globalizzato. L’accelerazione all’estinzione degli Stati Nazione legittimati dal paradigma del welfare state è stata assicurata dal tracollo del sistema comunista fondato anche sul piano ideologico su una visione paleo-industriale della società in classi e su un paradigma politico-istituzionale che, diffidando di dare priorità di peso alle richieste emergenti sul mercato dei consumi, era privo della produttività e redditività indispensabili per alimentare il successo nella competizione globale rispetto ai sistemi di libero-mercato che miglioravano in misura crescente le loro capacità produttive e i livelli di consenso sociale interni.

Quell’imperialismo si è gradualmente convertito in un tipo di ‘imperialismo industriale’ sempre più alieno a subire le esigenze dei vecchi paradigmi ideologici su cui si fondavano le legittimità dei criteri decisionali negli Stati Nazione. Un imperialismo quindi privo di astratte ispirazioni ideologiche e nazionaliste ma radicato su più concrete esigenze dettate dagli investimenti industriali. I veri motori dello sviluppo di quella crescita del benessere economico su base soprannazionale che ha creato la realtà odierna in cui la ‘globalizzazione’ ha travolto ogni capacità di previsione e di governance da parte delle vecchie istituzioni soprannazionali e sta illuminando in modo pragmatico la scelta di comuni e nuovi criteri, pesi, priorità e gerarchia secondo cui possono essere negoziati gli investimenti industriali e se ne può garantire la redditività tramite una stabilità politica nel reciproco interesse dei partner coinvolti. Le rispettive istituzioni politiche devono aderire a quei nuovi criteri pena la perdita di consenso interno, destabilizzazione del sistema istituzionale nazionale e la associata, ulteriore perdita di capacità di attrarre investimenti dall’estero. Un ciclo perverso che si oppone invece a quello virtuoso opposto che, attraendo nuovi capitali esteri, accelera la crescita di reddito interno e rafforza lo status internazionale dei sistemi stato-nazione più stabili, competitivi e credibili – in modo che non dipende dal livello di autoritarismo dell’occasionale regime di governo, purché l’eventuale autoritarismo politico non inibisca ma tuteli la partecipazione al libero mercato soprannazionale. Sarà poi la crescita delle aspettative di maggiore libertà nelle scelte dei beni e servizi disponibili (tra cui i ‘servizi’ offerti dalla politica) che, maturando nel sistema sociale governato dai regimi più autoritari avvierà un’inevitabile domanda di libertà e diritti civili caratteristici della civiltà ‘Occidentale’.

È questo che avviene oggi nel mondo non ostante le proteste sterili e dei comportamenti reazionari sollevati dalle oligarchie egemoni nelle istituzioni dei vecchi Stati Nazione a tutela dei loro privilegi corporativi, ormai economicamente insostenibili.

Privilegi che gratificano le più patetiche forme di parassitismo sociale a spese della crescita di benessere e che quindi privilegiano le vecchie generazioni a spese delle nuove e che costringono i politici a contorsionismi patetici nel tentativo di difendere la ‘superiorità’ etica dei privilegi ed il carattere ‘irreversibile’ della loro vigenza legislativa. Carattere che è asserito essere ‘eticamente superiore’ anche se non più sostenibile erga omnes e fruibile a spese d’una maggiore e più diffusa crescita e distribuzione del benessere. Carattere di asserita ‘irreversibilità’ legislativa che contravviene il principio stesso di vitalità del processo legislativo che deve poter modificare nel tempo sia le leggi ordinarie che le carte costituzionali. Tra cui uno ‘statuto dei lavoratori’ che è stato fonte di improduttività e parassitismi produttivi privilegiando gli occupati a spese di una crescita graduale e irreversibile di disoccupati. ‘Successo’ legislativo ed etico che è rinnegato sia in Italia che nei paesi che stanno affrontando il processo di riorganizzazione delle relazioni industriali per agevolare la redistribuzione delle fasi produttive industriali su base transnazionale per garantire ai capitali (la risorsa sempre più carente in ogni epoca) la complessiva redditività dei futuri investimenti produttivi. Ciò al fine di garantire la crescita più elevata possibile delle risorse finanziarie disponibili su base globale  unitamente alla massima possibile estensione del mercato dei consumatori, risparmiatori, produttori abbattendo i vecchi confini egoistici dei privilegi nazionali.

A fronte di questo processo spinto da finalità misurabili su basi non-ideologiche e non settarie, si sollevano le oligarchie ispirate a dottrine sociali sempre fallite sul piano del benessere economico e sempre associate a criteri di misurazione (e della relativa ‘programmazione’) ‘dall’alto’ della composizione della ‘felicità’ e del valore ‘etico’ dei comportamenti (e della relativa ‘educazione’ dei cittadini a premiarne l’adesione ortodossa ed a scoraggiarne le devianze eretiche o scismatiche). Ciò è sempre avvenuto nell’applicazione secolare sia della dottrina sociale cristiana (reducciones dei gesuiti), sia della dottrina sociale delle sette laiche (Comunità di Pitagora a Crotone, Città del Sole di Campanella, Giordano Bruno e l’utopia neo-Lucreziana), sia infine della dottrina sociale marxista - vera e propria religione secolare coi suoi molti fallimenti fino a quello del 1989 e alla lenta agonia di quelli latino-americani.

Esempi quasi quotidiani della patetica goffaggine che ispira i politici in Italia costituiscono ormai un tema utile per l’avanspettacolo della settimana successiva.

Un esempio è la ‘rottura’ di Gianfranco Fini che sta rischiando, qualora Berlusconi ottenesse la fiducia in entrambe le camere, di costituire una ridicola manifestazione dell’impotenza politica nazionale oggi.

Un altro esempio più ‘bipartisan’ e ben commentato da Crozza il giorno successivo con l’ipotizzata lite tra i due protagonisti che si accusavano di essersi rubati le battute concordate prima della trasmissione è quello della presentazione di ciò che è di sinistra e ciò che è di destra in Italia oggi da parte del povero Bersani e del tapino Fini. Una lettura di frasi evangeliche o di buoni propositi che impegnano i fanciulli ad assumersi il compito di offrire ‘fioretti’ di buona condotta.

Un ulteriore esempio è la sterile resistenza della FIOM/CGIL di fronte all’accettazione delle modifiche al diritto del lavoro richieste dam Fiat (e Confindustria) per poter negoziare investimenti produttivi in Italia. Comportamento ideologico, corporativo, illiberale, irresponsabile ed autolesionista.

Il ridicolo sta inoltre travolgendo anche Obama-yes-we-can che giorno dopo giorno è costretto dalla dura realtà ad aderire alle ‘deprecate’ scelte di ‘W’ Bush rimangiandosi i ‘buoni propositi’ (tanto buoni quanto utopici) assunti nella campagna elettorale. La chiusura di Guantanamo (e degli altri carceri speciali fuori del territorio USA), l’eliminazione delle corti di giustizia speciali con l’impegno di processare negli USA in corti di giustizia ordinarie i terroristi prigionieri a Guantanamo, il ritiro delle truppe da Iraq e Afghanistan entro il 2011, il finanziamento a spese dei contribuenti del sistema finanziario indebitato nei titoli speculativi, il finanziamento a spese del contribuente USA dell’acquisto della Chrysler da parte del gruppo Fiat.

L’unico comportamento pragmatico USA è stato offerto dai sindacati automotive (UAW) che hanno sanato i debiti Chrysler con i propri fondi pensione integrati dai finanziamenti erogati a spese dei contribuenti USA grazie a forti pressioni di lobbying esercitate sulla Casa Bianca. Pragmatico e responsabile ma corporativo ed illiberale.