26/11/2010

Modelli ideologici e Realtà naturale

Il fallimento dei regimi che hanno governato gli Stati Nazione è attribuibile alle ideologie che hanno ispirato le loro decisioni politiche.

Ogni visione ideologica si propone un modello di società ideale che ispira le sue decisioni legislative e le sue iniziative premiali o correttive da apportare la sistema sociale sul quale esercita la sua influenza.

La realtà naturale in cui si sviluppano le libere attività umane costituisce il sistema socio-economico al cui servizio le istituzioni statali sono legittimate ad esercitare il loro ruolo di governo.

Se il sistema ‘naturale’, e cioè quello che si sviluppa a seguito delle libere decisioni individuali dei cittadini, manifesta aspetti indesiderati alla luce valutativa del paradigma che si prefigge il modello ideale della società che indica la specifica ideologia politica, allora le istituzioni al governo sono legittimate a correggere il sistema rieducando i cittadini ad aderire a comportamenti rispettosi delle finalità etiche che ispirano il modello. È la sovversione del paradigma scientifico che invece suggerisce che, qualora il sistema reale non si comporti in coerenza col modello sia il modello, non la realtà del sistema, ad essere errato. È la conseguenza della scelta di ispirare la governance del sistema sociale non ai suoi comportamenti naturali ma a loro più astratti modelli etici. L’educazione ad aderire a quei comportamenti è la missione dello stato etico che quindi deve agire imponendo dall’alto dottrine educative e rieducative dei sudditi.

L’educazione dei sudditi e la rieducazione dei devianti viene imposta dall’alto quindi responsabilizza solo lo stato nelle sue scelte dottrinarie a sostegno di gerarchie di valori, di pesi relativi tra essi, dei criteri di scelta tra essi e dei programmi di ‘educazione pubblica’. I comportamenti prevalenti nella società sono imposti e quindi privi di merito e difficilmente solidi e persistenti. La società, una volta liberatasi dal governo dall’alto (autoritario ed etico), rigetta i comportamenti imposti in quanto emblema del vecchio regime illiberale e adotta comportamenti ispirati dalla ricerca di soddisfazione di ogni valore deprecato dal regime precedente.

Il modello liberale invece ipotizza che il sistema sociale sia in grado di modificare nel tempo con gradualità e in modo autonomo la propria configurazione culturale. Una configurazione cui contribuiscono motivazioni ispirate al perseguimento di valori di vario contenuto materiale, intellettuale e spirituale. Valori più o meno sensibili alle esigenze altrui e comportamenti che privilegiano in modo più o meno intenso la soddisfazione di esigenze personali, familiari o sociali più vaste.

Questa gamma di valori e di comportamenti è libera e il paradigma liberale pretende resti libera.

Di fronte alle contingenze quotidiane gli individui liberi sono condotti a scegliere di soddisfare le proprie esigenze privilegiandone talune rispetto ad altre secondo una gerarchia di priorità tra i valori cui è sensibile al momento. Si tratta di libere scelte che si manifestano secondo gerarchie variabili di valori negoziando la rinuncia a taluni per soddisfarne altri. Ciò avviene in modo che responsabilizza ogni singolo individuo per le conseguenze prodotte stabilendo il valore reciproco tra valori cui attribuisce al momento diverso peso ed i criteri secondo i quali ciascuno esegue le sue scelte ed assume le sue decisioni. Perdendo la libertà di scegliere ogni decisione diviene ‘irresponsabile’ e le sue conseguenze non possono essere ascritte a chi la assume.

L’insieme delle libere scelte che si manifestano in una società ne caratterizzano la ‘cultura’ egemone in un certo periodo. Col passare del tempo maturano maggiori sensibilità comportamentali e la configurazione dei valori prevalenti varia istituendo una società più solidale ed ispirata da valori meno materiali.

In altri termini occorre accettare che la natura umana sia quella che è e maturi gradualmente in se stessa comportamenti più tolleranti e ispirati a una convivenza armonica e caratterizzati da stabilità e persistenza proprio in quanto assunti e maturati liberamente nel tempo.

Presumere che la natura umana sia ‘buona’ e che sia stata corrotta solo da sovrastrutture proprie di una civiltà orientata al possesso, all’avidità, all’egoismo dei più forti che, inevitabilmente, hanno costruito un ‘sistema’ oppressivo regolato da regole che privilegiano gli interessi delle oligarchie egemoni, non aiuta ad uscire dal circolo vizioso del ‘sistema’ costruito ad-hoc da tutte le oligarchie egemoni a tutela dei propri privilegi. Inoltre è un paradigma interpretativo para-marxista che attribuisce irrealisticamente la ‘colpa’ dei mali che affliggono la società ad organismi astratti (e dunque irresponsabili) proposti come causa prima dei problemi sociali ed affida il compito di ‘liberare’ le masse da quella schiavitù alle elite-guida illuminate che, in modo incoerente, dovrebbero coalizzarsi in istituzione rivoluzionaria (il partito-egemone della politica).

Una ‘istituzione’ che, contrariamente a quelle formatesi storicamente, dovrebbe rinunciare spontaneamente a fruire del potere totale attribuitosi per cederne porzioni sempre maggiori ad una società ormai liberata dai ‘vizi naturali’ dell’egoismo, della sopraffazione, dell’avidità, dell’astuzia, dell’opportunismo, etc..

Un obiettivo e un approccio metodologico evidentemente utopico che non fa altro quindi che sostituire le vecchie oligarchie di potere dell’Ancien Regime con altre elite intellettuali i cui comportamenti e ispirazioni sono altrettanto ‘umani’ e quindi commistioni di bene e di male, di vizi e di virtù al pari di ogni altro.

Si creano le premesse della delusione suggerendo aspettative di ‘change-we-can’ che risultano tanto più distruttive quanto più utopiche.

Tra tutti i ‘modelli’ proposti dagli studiosi per la conduzione delle scelte politiche, quello di Adam Smith è il più rispettoso della ‘realtà naturale’ cui attribuisce assoluta priorità ed egemonia rispetto ad ogni astrazione intellettuale dettata da modelli di ‘realtà ideale’ proposti da sinedri di sapienti accademici – sempre smentiti dagli eventi ‘naturali’.

Il modello ‘liberale’ di Adam Smith non accetta intromissioni di sorta e ha sempre dimostrato di prevalere sugli altri. Esso può sintetizzarsi nel ‘laissez faire’ che, quindi, non può errare. Nel dubbio non agire ma lascia che siano i ‘naturali’ comportamenti umani ispirati dalle individuali motivazioni (tutte di pari peso e valore purché responsabilizzino chi le nutre) ad assumere scelte ‘locali’. Questa ‘granularità’ di eventi liberi ha il merito di combinarsi liberamente ‘dal basso’ aggregando le singole scelte in agglomerati che hanno di sempre maggiore influenza collettiva esprimendo quindi le reazioni ‘naturali’ che manifesta la società di fronte alle evenienze che caratterizzano la storia di una società pienamente libera.

Ogni intervento ‘dall’alto’ che tenti di correggere il laissez faire liberale comporta la conseguenza perversa di modificare ‘localmente’ i comportamenti ma di non riuscirne a gestire gli imprevedibili aggregati gerarchici che deludono sempre i sinedri scientifici che hanno cercato di prevederli e di gestirne le manifestazioni. Siccome la realtà della ‘natura umana’ si comporta ‘localmente’ secondo il principio di ‘fatta la legge, trovato l’inganno’ occorre che gli ‘incentivi’ locali siano affiancati da ‘sanzioni’ per l’uso inappropriato degli incentivi stessi. Si costruisce quindi una struttura a scatole cinesi di incentivi e sanzioni che necessitano a loro volta di controlli difficili, capillari e quindi onerosi che hanno il risultato di appesantire i compiti di governo, di prestarsi a loro volta a forme ‘locali’ di corruzione (comportamento altrettanto ‘naturale’ negli esseri umani). Il fallimento di questo approccio di ‘governo dall’alto’ della società è garantito da sempre più per queste ragioni di inefficacia pratica e di inefficienza gestionale che per l’intrinseca incapacità della scienza a prevedere in modo prescrittivo e a programmare in modo capillare l’aggregarsi dei comportamenti ‘locali’ in una struttura gerarchica coerente con quanto previsto.

Ciò che ‘prevedono’ tutti i modelli ideali resta solo un ‘wishful thinking’ e i sostenitori del modello ‘astratto’ si ribellano a veder fallire l’obiettivo da essi auspicato e irrigidiscono in modo sempre più capillare i controlli e le sanzioni ‘locali’ attribuendo il fallimento non già ad una ‘naturale’ e libera manifestazione dell’avidità umana ma a piccole, perverse minoranze di sabotatori del sogno. Gradualmente il modello ideale si converte in apparato ideologico in sua difesa contro chi complotta per sabotarne gli effetti. Poiché gli effetti auspicati sono sempre buoni e universali, chi ne sabota l’attuazione non può che essere malvagio e individuale.

Questo ‘naturale’ e individuale processo di valutazione inevitabilmente si conclude con la stigmatizzazione dell’individualismo (inamovibile cardine di sopravvivenza ‘locale’ in ogni società libera o meno che essa sia) e la santificazione del ‘collettivo’ (concetto astratto privo di comportamenti spontanei e naturali) in nome del quale il governo è legittimato a procedere contro i devianti da rieducare in apposite scuole di ortodossia. Il governo si trasforma in regime etico e le scuole in gulag. La società ‘reale’ è costretta ad assumere comportamenti sommersi in ‘mercati neri’ (che sono sempre frequentati sulla base di ‘libere’ e ‘responsabili’ scelte individuali).

Gli approcci ‘dall’alto’ legittimano sempre una oligarchia di sapienti a costituirsi in sinedrio al servizio del satrapo che impersona la legge civile attribuendole un valore universale ed eticamente superiore. Si giunge in definitiva a cancellare la stessa radice della civiltà ‘Occidentale’ in cui vige la separazione di stato e chiesa e la coerente separazione di reato e peccato.

Il ‘modello’ naturale di Adam Smith è l’unico rispettoso di quella separazione radicale che promuove lo sviluppo del benessere e non inibisce il lento progresso morale dei singoli protagonisti ‘locali’ della società. Un paradigma che riesce a rispettare anche il ruolo ‘educativo’ della religione libera di criticare e correggere le singole decisioni ‘locali’ affinché in futuro aumentino le motivazioni ad agire in modo meno avido ed egoista. Questo processo ‘liberale’ è l’unico compatibile col principio del ‘libero arbitrio’ che responsabilizza i singoli ‘peccatori’ nelle loro scelte più ‘locali’.

Infine il modello naturale liberale è pienamente confermato dalle conoscenze scientifiche più attuali che non solo hanno illuminato la scienza economica arricchendone i comportamenti di elementi di natura psicologica e quindi individuali, ‘locali’ e imprevedibili sia nella loro consistenza individuale né nelle loro aggregazioni sistemiche. La scienza matematica ha anche arricchito la scienza fisica e matematica dei sistemi di conoscenze ulteriori. Prigogine ci ha illustrato come la termodinamica dei sistemi complessi sia, per sua struttura fisiologica, ‘caotica’ quindi caratterizzati da permanente ‘instabilità’ ma dotati di capacità ‘auto-organizzativa’. Coerentemente con questa visione che inibisce su base epistemologica la prevedibilità ‘prescrittiva’ dell’evoluzione dei sistemi complessi, Bak ha proposto una teoria matematica che, in analogia con ciò che era già noto in scienza dell’informazione con la ‘teoria delle code’, cerca di descrivere nello studio di ogni ‘sistema complesso‘ il modo in cui i fenomeni ‘locali’ e individuali si aggreghino secondo altrettanto ‘locali’ leggi con gradualità in una gerarchia di stati in stato permanentemente ‘critico’ ma dotati di capacità auto-organizzative. Questi due recenti progressi e la sostanziale influenza dei comportamenti psicologici in economia, hanno confutato ogni possibilità di giungere a prevedere l’evoluzione del sistema sociale in modi tali (prescrittivi) da consentire di governarli dall’alto con credibili speranze di successo.

Ciò che resta integra è la scelta liberale che suggerisce il laissez faire più spinto e che, nei casi estremi in cui si decide di intervenire, suggerisce di limitarsi ad interventi i più ‘locali’ possibile in durata e estemporaneità.