26/01/2010

Haiti: ripetitività dei “drammi”

Spesso siamo bombardati dalle tragiche immagini che ci illustrano in tempo reale le ecatombi che colpiscono le popolazioni dei diseredati in ogni plaga del sottosviluppo. Haiti costituisce un esempio emblematico di ciò che incombe inesorabilmente su ciascuno di noi in modo imprevedibile in quanto causato da eventi naturali in piena analogia con ciò che è spesso accaduto anche in Italia e di recente in Abruzzo dove Mr. Bertolaso ha saputo dare prova eccellente di capacità organizzative. Mentre tuttavia Messina, Vajont, l’Aquila, Haiti sono tutti eventi causati da improvvise e imprevedibili manifestazioni della terribile potenza degli eventi geologici o atmosferici le loro ripercussioni pratiche sulla popolazione colpita sono troppo spesso aggravate dai tipi di criminale superficialità di altri professionisti che hanno prestato la loro opera nel corso della realizzazione di strutture prive dei requisiti necessari o addirittura insediate in ambiti eccessivamente esposti ai rischi.

Questa prima considerazione serve solo per suggerire a tutti i professionisti di tenere atteggiamenti poco arroganti nel loro ruolo di “spalla” del “capocomico” cui presta “servizio” e che è legittimato da una diretta responsabilizzazione elettorale nelle sue decisioni durante le “tragiche emergenze”. È Berlusconi che, tra le diecine di altri professionisti, sa scegliere Bertolaso affidandogli sotto sua responsabilità la sua immagine e rischiando in caso di insuccesso il suo consenso popolare. È Obama che, tra le diecine di altri professionisti, sa scegliere di inviare nelle zone di emergenza con compiti organizzativi il generale dei marines (Petraeus o chiunque altro scelto nella “mazzetta da cento” che gli propone il listino di “professionisti disponibili”) gli aiuti del Paese che lo ha eletto e che, in caso di fallimento potrebbe togliergli il consenso.

Occorre che i “professionisti” (che sono costretti a difendersi dietro l’arroganza dall’intima consapevolezza della loro inadeguatezza) riescano a capire che il ruolo più difficile (e “intelligente”) nella società organizzata non è quello dello scienziato (che non sa mai fare una diagnosi certa o esprimere previsioni-prognosi sicure né in materie epidemiologiche né in quelle climatologiche – come tutti ma proprio tutti sappiamo) né quello del manager (medico – come Bertolaso – o ingegnere o economista – come tutti ma proprio tutti sappiamo). Infatti l’”adeguatezza” degli interventi in emergenza non è dettata dagli aspetti tecnico-organizzativi (che i Paesi industrializzati sanno valutare con adeguata sicurezza proprio per la diffusa padronanza presso ampie popolazioni di “professionisti” a loro disposizione – e facilmente sostituibili). Gli aspetti che minano in modi più critici gli interventi nelle emergenze sono quelli di valutazione del “contesto” nel quale essi si devono erogare. Questo ci porta a considerare la sterilità degli interventi in emergenza in tutti i periodici “drammi” che affliggono il terzo mondo (che spesso è presente in sacche marginali anche nei Paesi più industriali – ad esempio nel caso dello smaltimento dei rifiuti a Napoli).

Siamo tutti (ma proprio tutti) convinti della generale inadeguatezza dei “politici” non solo in Italia (vedi i patetici esempi di Al Gore in uno dei Paesi più industrialmente avanzati). Tuttavia sia gli “scienziati” che i “manager” dovrebbero assumere una certa umiltà nell’esprimere le proprie valutazioni sulle scelte che i “politici” sono chiamati ad assumere nell’imminenza delle catastrofi e nel formulare critiche a posteriori sulla sconsideratezza ed imprevidenza degli insediamenti afflitti dalle stesse catastrofi. Altri professionisti hanno accettato di prestare i loro “servizi” nella costruzione di immobili fragili e nella loro collocazione in ambiti esposti a rischi prevedibili. In questa seconda fase non sono i “politici” a essere i “capocomici” ma gli “inquirenti”. I “professionisti” restano sempre nel decoroso ma “irresponsabile” ruolo di “spalla”.

Torniamo ora ad esaminare la ripetitività delle tragedie che affliggono località del “terzo mondo” come Haiti o Sumatra. Un intervento efficace a quelle catastrofi richiede necessariamente l’apporto di un manager di eccellenza (Petraeus o Bertolaso poco importa) ma il manager può espletare il suo ruolo di “spalla” esecutivo del “capocomico” che lo ha incaricato (Berlusconi o Obama poco importa) solamente se il “contesto locale” (e cioè un insieme di comportamenti sociali e istituzionali che compongono la “realtà ambientale” – ovvero quella dei capocomici “politici” del Paese colpito dalla catastrofe) risulta stabile e controllabile al livello e per la durata che è richiesta perché gli interventi tecnici possano dare i loro risultati efficaci. Tra i prerequisiti all’efficacia degli interventi la sicurezza militare (polizia) e la catena di coordinamento manageriale (stato) sono quelli più critici che, in assenza, renderebbero sterile qualsiasi apporto caritatevole (privato) o solidale (statale) dall’estero. Anzi pregiudicherebbe la sicurezza stessa dei volontari che si troverebbero rapidamente “abbandonati” a se stessi (come tutti ma proprio tutti possiamo periodicamente rilevare grazie agli sciacalli dei media-spettacolo).

Come rimediare all’assenza dei prerequisiti ad un’efficace intervento umanitario a beneficio delle popolazioni del terzo mondo?

Qui occorre essere privi delle ipocrisia del “politically correct” de-sinistra.

Se si volesse realmente aiutare la popolazione dei diseredati e dei più esposti alla tragedia (malati, invalidi, vecchi, donne, bambini), occorrerebbe provvedere ad esautorare temporaneamente tutte le istituzioni del Paese colpito sostituendo quella struttura (una vera “tecnologia” non ancora adeguata alla bisogna) con le risorse manageriali ed organizzative del Paese che soccorre. Dividendo le zone colpite in aree di competenza (sulla traccia della suggestiva immagine della “pelle di leopardo” – e non delle abusate “macchie di leopardo” dei media più nazional-popolari - che nulla hanno di suggestivamente diverso rispetto alle macchie dei pointer o dei dalmata o dei ghepardo). Infatti sperare che un ente soprannazionale come l’ONU sia in grado di istituire un’efficace contesto manageriale ed organizzativo di cultura tanto omogenea da permettere che i diversi Paesi soccorritori possano trovarlo adeguato alle proprie abilità “professionali”, sarebbe utopico e fa parte della futura governance soprannazionale che non è ancora riuscita neanche a istituire un adeguato ambito per gli interventi militari o finanziari.

Occorre insomma scegliere se si vuole realmente aiutare i diseredati (come pretendono i media-spettacolo e le associazioni benevolenti) e allora esautorare e sostituire temporaneamente i “politici” e lo “stato” del terzo mondo, associando eventualmente i politici e i manager del Paese in qualità di osservatori-apprendisti sul campo, oppure si vuole replicare tragicamente la farsa degli aiuti internazionali nel pieno rispetto politico di Paesi nei quali manca totalmente il prerequisito culturale ed istituzionale e che, inoltre, specula in genere in modo corrotto, mafioso, criminale sugli aiuti finanziari offerti per la ricostruzione successiva all’emergenza più acuta (come tutti ma proprio tutti sappiamo grazie al cinema-tragedia che è ormai scaduto in vera e propria farsa tragica).

Questo è un parlare “politically incorrect” che mi libera da una connivenza criminale con tutte le istituzioni della solidarietà internazionale (tranne forse i missionari religiosi e laici che infatti subiscono gli stessi danni delle popolazioni colpite e vengono assassinati dai criminali, sciacalli, corrotti che gestiscono le realtà sociali del terzo mondo – dall’Iraq, all’Afghanistan, ad Haiti, alla Somalia ma anche a vaste aree della Sicilia, della Calabria e della Campania).

Concentriamoci su questa critica invece di criticare le scelte (pienamente coerenti e sagge) di Obama-Clinton ad Haiti o di Berlusconi a l’Aquila e Napoli.