18/02/2011

Riepilogo di una celebrazione nazionale

Vediamo se è possibile riepilogare le posizioni emerse attorno alla celebrazione del centocinquantenario dello Stato Unitario 1861-2011.

Diverse posizioni sono emerse a causa della mancanza di chiarezza nelle reali finalità che avevano sollecitato una celebrazione che dovesse trascendere la pura ragione di ‘anniversario’ che, come tale, non avrebbe di certo meritato l’elevazione a ‘festa nazionale’ rispetto alla passata celebrazione del centenario 1861-1961.

La pubblica opinione si è posta un riferimento di carattere ‘politico’ per valutare l’importanza che era stata proposta per una scadenza di ordine solamente storico. L’assenza di specifici quadri di riferimento condivisi ha condotto quindi ad associare le più suggestive ragioni che potessero ‘legittimare’ la particolare evidenza formale rispetto al passato repubblicano; Festa Nazionale, Celebrazioni Diplomatiche, Mostre Storiche, etc..

Infatti solo in epoca monarchica si volle sottolineare l’importanza dello Stato Unitario con la convocazione delle manifestazioni del cinquantenario 1861-1911 a Roma Capitale; con chiarissime ragioni strumentali per la dinastia regnante (Valle Giulia, Guerra di Libia, attentato a Umberto I, etc..

La ‘naturale’ ricerca di individuare le ragioni politiche di questa nuova Festa Nazionale, oltre che in assenza di un’esplicita proposta ampiamente condivisa, si è sviluppata in un contesto politico in piena turbolenza da almeno vent’anni colla caduta del muro di Berlino e la caduta dei motivi che avevano ‘giustificato’ rapporti privilegiati tra DC (cattolici di sinistra) e PCI (comunisti) sin dal 1948 con la stesura della costituzione della repubblica negoziata sulla base di due dottrine sociali ottocentesche ed ormai obsolete e in via di fallimento; la cristiana (dello Stato Sociale paternalista bismarckiano) e la marxista (dell’internazionalismo socialista ed imperialista dell’URSS).

In epoca precedente quel ‘compromesso storico’ aveva escluso in modo illiberale ogni partito di potenziale disturbo per i due egemoni della concertazione parlamentare delle leggi nazionali; l’’arco costituzionale’ che aveva escluso il MSI era stato poi superato contro la prassi politica da Berlusconi che aveva ‘traghettato’ il MSI in area democratica sin dai primi anni ’90 mentre i radicali di Marco Pannella erano considerati poco più che stravaganti utopisti e la Lega Nord di Bossi era considerata un movimento solamente populista in analogia con l’Uomo Qualunque di Giannini o un movimento anti-costituzionale in quanto ‘secessionista’; in barba al costituzionalista Miglio che sosteneva le ragioni giuridiche sia del federalismo che del diritto alla autodeterminazione delle comunità. La perdita graduale di potere dei ‘cattocomunisti’ egemoni fino al crollo del comunismo, aveva creato lotte politiche con referendum popolari contro gli stessi vincoli ed istituzioni costituzionali da parte dei riformisti e dei libertari contro le ragioni di quel ‘compromesso storico’ che era stato legittimato dalla guerra fredda fino al crollo del comunismo. Le TV ‘libere’, poi collegate in catene commerciali, erano sempre state proibite da leggi fasciste sulle quali DC e PCI avevano costruito la loro ‘programmazione dei redditi’ e negoziazione di relativi interessi per le loro ‘clientele’ elettorali. Il tutto aveva costruito il consenso interno a spese di un debito nazionale ormai insostenibile dall’economia privata che ne doveva sostenere gli oneri (economici e di inefficienza) aggiuntivi per vincere le sfide della competizione sui mercati esteri. Inoltre, l’avvento dell’internazionalizzazione dell’economia industriale stava diminuendo il peso delle istituzioni repubblicane rispetto a decisioni assunte da organismi soprannazionali o rispetto alle innovazioni decise da gruppi industriali multinazionali che si riverberavano sulle attività industriali italiane.

In questo contesto di lotte politiche le resistenze dei cattocomunisti per conservare l’egemonia del loro ruolo nazionale e i tentativi dei gruppi industriali più moderni di liberarsi dei vincoli concordati dai primi, hanno condotto a crescenti dissidi politici incapaci di superare i propri particolarismi per condividere una nuova costituzione priva dei richiami ideologici di cui è invece piena quella ancora vigente ma inadeguata sin dalla sua approvazione formale.

Al passare del tempo la pubblica opinione gradualmente si è convertita a sostenere le aspettative di maggiori libertà personali e industriali, di minore intrusività dello stato, di minore peso fiscale e maggiore qualità nei servizi erogati dagli enti pubblici, di maggiore controllo sulla politica, etc.. Queste aspettative hanno creato una società disponibile al federalismo, ad una maggiore cooperazione nell’UE, a accettare maggiore mobilità professionale e nutrita di modelli istituzionali di riferimento propri dei paesi più industrializzati. Le lotte politiche nazionali quindi non si sono potute più ispirare ai valori fondanti la carta costituzionale del 1948 o ai criteri della governance para-fascista di governi onnipervasivi dall’alto. La lotta politica si è incentrata sui fattori ‘personali’ che caratterizzavano i leader protagonisti degli eventi; Craxi, Occhetto, Berlusconi, Fini, Di Pietro, Casini, etc. tutti incentrati sull’evidenziare i limiti personali degli avversari invece che le loro proposte di cambiamento politico.

Infine i protagonisti che hanno cercato di proporre la particolare evidenza per l’anniversario quale nuova Festa Nazionale, sono tutti personaggi la cui storia personale è caratterizzata dalle scelte sostenute nel passato in corso di contestazione o di richieste di cambiamento; una posizione di debolezza e conservazione se non si chiarissero i motivi della proposta ‘politica’.

Napolitano è vincolato a figurare come ‘garante’ di una costituzione abbondantemente contestata sia dagli elettori della maggioranza che da quelli dell’opposizione; seppure per ragioni e indirizzi diversi. La sua figura di simbolo dell’unità nazionale è inoltre connotata da un passato personale di grande equilibrio umano ma da scelte politiche scarsamente condivise.

Bossi è rappresentante di istanze autonomiste che, se non appagate da un serio federalismo, potrebbero facilmente condurre a richieste di auto-determinazione sulla traccia di ciò che sta avvenendo in molti paesi europei (Cechi e Slovacchi, Sloveni, Croati, Serbi, Montenegrini, Fiamminghi, Valloni, Baschi, Catalani, etc.) e deve quindi ‘giustificare’ le ragioni del particolare peso che si vorrebbe attribuire ad un puro anniversario.

Analogamente le storiche minoranze etniche e linguistiche (altoatesini, valdostani, ladini) potrebbero essere più disponibili a richiedere l’autodeterminazione.

Storicamente inoltre molti partiti che oggi chiedono l’assegnazione di particolare valore ‘patriottico’ alla manifestazione si sono convertiti solo di recente a questa forma di orgoglio nazionalista da posizioni un tempo filo-sovietiche (fino a dare sostegno para-militare da quinte colonne anti-NATO) contro forme di ‘patriottismo’ para-fascista sostenute da partiti un tempo esclusi dall’arco costituzionale in quanto filo-fascisti.

Sul piano infine della Storia Nazionale (e non dello Stato Nazione) si possono considerare diversi elementi che possono suggerire ai responsabili della proposta celebrazione di fornire ulteriori considerazioni ‘giustificative’.

Italia nella Storia della civiltà ‘Occidentale’ (l’unica ad essersi guadagnata l’egemonia ‘sul campo’; cioè non sul puro piano ‘scientifico’ come il comunismo ma sul piano delle verifiche della sua concreta applicazione sperimentale) è un’etichetta che assicura appartenenza a personaggi, regimi e periodi molto difformi ma caratterizzati da una riconosciuta continuità di contenuti e di eredità culturale.

Ciò ha caratterizzato l’Italia almeno dalla fondazione di Roma per oltre due millenni e mezzo quindi rispetto ai centocinquantanni di cui si propone la celebrazione oggi.

Ciò ha caratterizzato aree geografiche esterne alla penisola ma certamente Italia anch’esse in quanto enclavi di Italia in altre regioni dal Canton Ticino, a Rodi, Malta, Corsica, Dalmazia, Istria, etc.. Enclavi all’estero della repubblica di Venezia – uno degli stati certamente partecipi e radice della civiltà che chiamiamo Italia da prima che a Mazzini e Cavour venisse in mente – al tramonto storico degli Stati Nazione – di imporre al paese una unità scarsamente compresa dalla maggioranza dei cittadini fino alle prime elezioni a suffragio universale del 1948; data che dovrebbe allora essere meglio scelta per celebrazioni fastose, anche se non condivise per la frammentazione dell’Italia di allora tra filo-sovietici, filo-americani, anti-clericali, anti-fascisti, neo-fascisti repubblichini, monarchici, repubblicani, etc..

Anche la Chiesa Cattolica fa parte integrante della civiltà chiamata Italia in tutto il mondo da sempre. Roma è restata ‘caput mundi’ nei secoli come faro della civiltà ‘Occidentale’ proprio in grazia dei valori che Roma (Italia) ha saputo trasfondere con Costantino nella divisione e contrapposizione dei poteri (partendo da reati e peccati) ed ha saputo consegnare come approccio istituzionale alla Chiesa di Roma con la Curia Vaticana e la sua lingua universale; l’’inglese’ della prima versione della globalizzazione. I cardinali che partecipano al governo della Chiesa Universale parlano italiano (oltre all’ufficiale latino e alla propria lingua materna); una vera e propria continuità di ciò che chiamiamo ‘Italia’ prima e oltre l’effimero Stato Nazione.

Alla luce dei duemilacinquecento e passa anni, voler celebrare ‘centocinquantanni’ d’Italia è semplicemente ridicolo e riduttivo se ci si volesse appellare ad un diffuso (esso sì) orgoglio nazionale oltre ogni ridicola divisione settaria tra berlusconiani e anti-berlusconiani (datata da solo ventanni e scarse ragioni culturali!).

D’altronde se guardiamo ai capisaldi di questa celebrazione ‘storico-politica’ ci appaiono tutti alquanto deboli come simboli di una nuova visione condivisa dell’Italia; si è celebrata Porta Pia e la conquista di Roma a capitale dello Stato Nazione ‘liberandola’ dal Pontefice. La celebrazione è avvenuta alla presenza del Capo dello Stato (un ex-comunista assurto a quell’onore dopo il crollo della sua ideologia atea), del Sindaco di Roma (un ex-fascista ispirantesi alla ‘destra sociale’ di genesi ‘repubblichina’ e traghettato a quell’onore da un Berlusconi contestato da molti suoi ex-camerati celebrati dagli ex sostenitori dell’’arco costituzionale’ in ragione anti-Berlusconi e pro-Fini) e del Segretario di Stato Vaticano (celebrante la riconciliazione con lo Stato Nazione firmata dalla Conciliazione di Mussolini e rinnovata da Craxi – sulla contestazione ad entrambi i quali ci asteniamo qui per amor di Patria).

La Festa Nazionale del centocinquantennale sostituisce celebrazioni altisonanti e ridicole quali il 2 di Giugno, in cui nacque la Repubblica (giustamente una festa nazionale contestata sin dalle origini e quindi non emblema della Patria), il 4 Novembre (vittoria della I guerra mondiale che sembrava obsoleta sin dalla sconfitta – o vittoria da astutissimi e machiavellici co-belligeranti – della II guerra mondiale non ancora storicamente metabolizzata dalla cultura e sensibilità storiche del paese).

D’altronde ancora o si riesce ad essere orgogliosi per ciò che l’Italia ha realizzato nella sua Storia in ogni tipo di regime cui è stata sottoposta sin dalla sua nascita come Patria, oppure si deve esplicitare quali porzioni occorre considerare meritevoli di orgoglio e quali invece di deprecazione e damnatio memoriae.

L’Italia è nata coi Sette Re di Roma, si è poi affinata internamente alla penisola come Repubblica di Roma, ha poi globalizzato la sua civiltà come Impero di Roma. Al suo crollo mentre le istituzioni statali sono state trasferite in altri Paesi (così ‘italianizzatisi’ in un certo senso) in Europa, il medioevo ha proseguito a generare mirabilia di cultura Italiana di cui occorre essere orgogliosi anche se parte del progresso civile è stato realizzato da menti ‘italianizzate’ attive sotto regime papale nell’ambito di Santa Madre Chiesa. Le Università, gli Amanuensi, i Pittori, i Filosofi. i Giuristi, gli Architetti ma anche gli Scienziati che hanno lavorato in Italia sotto la Chiesa sono altrettanto Italiani degli Altoatesini che vincono gare di slittino!

Il Medioevo ha ‘civilizzato’ il Mondo degli Stati Nazione nati dal crollo istituzionale di Roma. L’Italia ha civilizzato tutti gli Stati Nazione a partire dalla Danimarca dell’800 e dall’Inghilterra, Francia e Spagna di quel periodo ben prima che si ritenesse necessario (nel 1861 al termine dell’era degli Stati Nazione!) di darne uno all’Italia. Il Medioevo ha creato anche le basi finanziarie di quei paesi industriali con i ‘Lombard’ e le loro banche o i Medici e gli Strozzi e le loro speculazioni e finanziamenti bellici e commerciali.
Shakespeare conferma nei suoi lavori l’intensa ispirazione alla cultura d’Italia della cultura europea.

I Pontefici a Roma perpetuavano la cultura istituzionale dell’Impero di Roma (anche se i singoli Papi erano spesso non italiani di nascita) in riconoscimento dell’internazionalismo dell’Italia che non ha mai avuto bisogno di rintanarsi entro sterili confini geografici.

Anche Federico II di Svevia è stato italiano e così Gioacchino Murat cognato dell’italiano Bonaparte figlio di una Ramorino come italiano è stato Garibaldi benché Nizza fosse stata ceduta alla Francia, come Caterina de’ Medici regina di Francia, come tutti gli italiani emigrati in paesi cui hanno contribuito cultura italiana che ne ha caratterizzato la civiltà. Come italiani furono Imperatori Romani nati in Iberia o in Dalmazia o in Asia ed Africa. Dalla nascita di Roma, Italia è appartenenza a uno stato d’animo e atteggiamento culturale che determina l’appartenenza civile (Civis Romanus Sum) e che trascende l’appartenenza o la residenza in uno Stato Nazione nato già agonizzante e mai pienamente condiviso nell’arco delle esperienze politiche ‘nazionali’. Italia, come oggi America, è caratteristica culturale e civile che appartiene a tutto il coacervo di ‘bastardi’ che si sono insediati in un contesto di cui la lingua è solo uno degli elementi peculiari. La Magna Grecia è in parte Italia che ancora vive nella ispirazione culturale del Meridione.

L’America oggi è stata forgiata in modo indelebile dalla cultura italiana; ‘we discovered it, we named it, we built it’ dicono gli italo-americani nell’unico paese che non è nato come Stato Nazione ma piuttosto aperto ad ulteriori estensioni che lo hanno gradualmente portato dalle 13 colonie originarie ai cinquanta stati odierni. Non per niente la Sicilia nell’immediato secondo dopoguerra ebbe un movimento politico ispirato all’adesione agli Stati Uniti con Finocchiaro Aprile e Salvatore Giuliano.

Le vere civiltà sono civiltà universali come quella Cattolica, quella di Roma, quella Americana che non si chiudono nei confini ‘razziali’ di Stati Nazione ma si aprono all’umanità ‘globalmente’. L’Italia deve essere orgogliosa di essere fiorita in ogni epoca senza bisogno di un suo Stato Nazione che è contrario alla stessa civiltà universale greco-romana-cristiana che ha forgiato a beneficio dell’umanità ed ha trasmesso nei millenni come sua originale eredità spirituale a tutti i paesi ‘barbari’ traendoli gradualmente verso la civiltà ‘Occidentale’.

Venezia ha costituito uno Stato Italiano all’epoca dei Comuni capace di creare le basi di un vero e proprio impero commerciale Italiano in tutto il Mediterraneo con scambi culturali fino alla Cina.

Nel Rinascimento indiscutibilmente, i principati hanno tutti prodotto civiltà Italiana e l’hanno esportata in tutti gli Stati Nazione grazie a protagonisti eccellenti in ogni campo delle conoscenze. Da Eugenio di Savoia a Mazzarino, da Leonardo agli architetti di San Pietroburgo, da Salieri ai maestri di camera e di balletto.

In epoche più moderne l’emigrazione italiana ha civilizzato il mondo conservando le peculiarità d’Italia in ogni comparto della creatività artigiana; prima e contro gli ostacoli opposti dall’inefficienza e avidità fiscale dei regimi occasionalmente al potere nel Comune, nella Signoria o nello Stato Nazione. Da Rossini a Giannini della Bank of Italy a Frank Capra a Francis Ford Coppola, a Prezzolini e Gentile, agli stilisti attivi nell’oreficeria, nell’abbigliamento e sartoria, negli occhiali da Roma, al ‘200 fino ai Del Vecchio odierni.

L’Italia non è confinabile entro la goffa e inefficiente parentesi storica dello Stato Nazione, l’Italia è una nazione che ha creativamente e faticosamente costruito le basi della civiltà ‘Occidentale’ e che continua ad affinarne la cultura sulla base di individuali innovazioni realizzate da italiani entro i confini geografici ed al loro esterno sin dal 21 Aprile 753 avanti Cristo; l’unica data e festa nazionale che avrebbe un senso politico celebrare. Festa nazionale politicamente accettabile da ogni italiano in quanto riconosce il settarismo, il campanilismo, il provincialismo, l’individualismo come fattori permanenti in ogni epoca dai complotti tra gentes in Roma, alle congiure delle signorie rinascimentali, ai machiavellismi geopolitici di ogni epoca, alle trame di Curia e parlamentari della Chiesa di Roma e dell’Italia unitaria fino alle più sordide macchinazioni nell’ambito dei partiti di ieri e agli scontri di potere tra organi istituzionali di oggi.

Nel bene e nel male gli italiani non sono governabili da alcuno Stato Nazione ma, nonostante esso, riescono a inventarsi costantemente il nuovo ed praticare l’innovazione al di fuori dei vincoli illiberali e conservatori delle leggi formali; ‘fatta la legge, trovato l’inganno’

In Italia, in ogni epoca, in ogni comparto d’industria anche i protagonisti più fallimentari (Gramsci, Turati, Togliatti, Moro, Berlinguer, Sindona, Andreotti, Calvi, Gelli, etc.) o di successo (Mattei, Gardini, Craxi, Berlusconi, etc.) sono stati repliche lungo la tradizione della storia d’Italia; individualisti creativi, ambiziosi e intraprendenti ostacolati dalle oligarchie che li circondano nell’attuazione di disegni innovativi al di fuori di una visione ‘nazionale’ del loro impegno. Ciò costringe sempre i protagonisti ad agire nell’ombra, contro avversari che invidiando la loro azione, si coalizzano pur di garantirsi il fallimento del loro disegno. L’unica istituzione che in Italia ha conservato un’organicità di disegno nel corso dei secoli è la Chiesa di Roma grazie alla sua Curia di ‘ottimati’ sulla traccia della missione ‘universale’ del SPQR nel mondo; indipendentemente dalla occasionale sede in cui al momento possa risiede il ‘Cesare’ (Treviri, Parigi, Madrid, Vienna, Londra o Washington DC).

Celebrare il duemilacinquecentenario di Roma-Italia sarebbe certamente meno provocatorio e condiviso se si volesse avviare una celebrazione ‘nazionale’ non più legata all’agonizzante e fallimentare Stato Nazione ma proiettata a contribuire al carattere ‘Occidentale’ della seconda ‘globalizzazione’ di cui è rapidamente in corso il consolidamento delle istituzioni soprannazionali e dello spirito greco-romano-cristiano che animerà il loro ruolo.

Il resto è demagogia, fuffa o sterile tentativo ‘partigiano’ di pretendere, a San Remo da parte di un cantante di ‘corte’, che Gramsci possa realmente essere inserito tra gli storici protagonisti dello Stato Nazione! O che ‘bella ciao’ possa realmente essere ritenuta emblema dello spirito ‘nazionale’ in un periodo farsesco che ha visto imporre tra le melodie ‘nazionali’ la marcia reale, giovinezza, faccetta nera, le donne non ci vogliono più bene, fratelli d’Italia e trascurare invece le poche melodie universali tra cui ‘va o pensiero’, ‘mamma’ o il deprecato ‘inno a Roma’ sulla traccia del Carme di Orazio con la musica di Puccini! Non giochiamo con gli elementi nazional-popolari d’Italia per pure ragioni di ‘resistenza, resistenza, resistenza’ contro la realtà di un’UE, di un federalismo-secessionista e di una globalizzazione galoppante!