25/12/2009

Presenza italiana nella storia

Gli italiani hanno contribuito da sempre in modo particolarmente attivo, creativo ed assertivo a creare il progresso della civiltà ‘Occidentale’. Indipendentemente dal tipo di regime politico nel cui contesto si sono trovati ad esercitare la propria creatività e industriosità. Solo occasionalmente gli italiani si sono trovati riuniti nella stessa realtà geografica e addirittura sotto un unico regime politico che vi governasse. L’ovvia eccezione storica è stata quella della Roma Imperiale che è stata particolarmente significativa per travasare a beneficio di tutte le nazioni uno dei più eminenti prodotti del genio italiano: l’ingegnerizzazione delle scienze e la loro organizzazione in istituzioni gestibili a beneficio di tutti i cittadini. Dal pensiero giuridico a quello scientifico ed economico Roma seppe stimolare in Italia una rivoluzione pragmatica che raccolse lo scibile a disposizione, lo accorpò in strutture organizzative e in soluzioni tecnologiche e ne sperimentò l’efficacia in applicazioni socialmente utili al di là dei ristretti confini e interessi nazionali. Era “civis romanus” chiunque accettasse l’organizzazione delle istituzioni di Roma una struttura ingegneristica della filosofia politica già molto evoluta nella Grecia classica ma riservata a elite intellettuali incapaci perfino di organizzare in modo stabile una Federazione delle Città Stato Greche. Se non all’atto dell’apparire d’una minaccia esterna da tutte percepita come esiziale per la sopravvivenza della loro comune “cultura”. Era “res publica” il complesso di istituzioni che amministrava i beni, gli impianti, le strutture e i servizi di interesse comune al di là di ogni confine settario precedente: lingua, religione, nazione, etnia, razza.

Sia in Grecia che in Roma Imperiale i singoli cittadini producevano le loro energie e creatività senza tenere in alcuna considerazione il regime vigente. Se non per la sempre avida imposizione fiscale che occasionalmente, solo in qualche epoca e luogo, era compensata da una serie di servizi disponibili dall’intera comunità e utili anche ad agevolare l’ingegnosità individuale del cittadino. Una volta istituito questo spirito di cittadinanza, l’esodo da Roma e dall’Italia del centro di gestione del potere politico istituzionale non è più cambiata la rassegnazione degli italiani nel veder migrare la filosofia politico-istituzionale di Roma ad altri Paesi che la situazione rendeva egemoni sullo scenario geo-politico del momento e la loro fiducia nel fatto che il fattore primario di cui essi dispongono nell’ambito di qualsiasi regime istituzionale contigente sia la loro creatività e determinazione individuale da esercitare nel contesto delle regole imposte dal Paese Legale; nei modi più o meno contorti che il carattere più o meno liberale delle regole consente.

Si è cioè avuto un graduale separarsi della sfera “legittima” delle dinamiche produttive che maturano nel Paese Reale grazie all’ingegnosità degli individui e quella “legale” degli ostacoli, dei sostegni, dell’indifferenza o della “concussione” che il Paese Legale esercita nei confronti del primo a seconda dell’epoca, del regime, del comparto o della regione in cui si esercita l’ingegno stesso. L’avvicendarsi di regimi egemoni, sia di carattere nazionale o estero, ha costituito solo un elemento marginale del vivere come cittadini ai margini di Imperi eredi del diritto romano. Qualcuno più encomiabile di altri per la maggiore aderenza istituzionale allo spirito originario di Roma Imperiale. Altri invece più deprecati per le loro minori manifestazioni di sostegno, di tolleranza o di efficienza amministrativa e indifferenza nei confronti delle autonome iniziative industriali dei cittadini. Qualche regime estero è stato ampiamente apprezzato dai cittadini italiani (l’Impero Austro-Ungarico), altri regimi anche italiani sono stati invece appena tollerati e solo grazie all’assunzione generale di comportamenti elusivi rispetto all’apparato legislativo illiberale (Stato Pontificio, Regno delle Due Sicilie, Governatorati di Spagna e Francia). Mai il fattore “nazionalista” è stato vissuto come prioritario elemento di espressione della contestazione politica. L’essere “italiani” è sempre stata una convinzione di fatto in tutta la penisola ma l’essere “cittadini” di uno Stato Nazione di lingua italiana e religione cristiana non è mai stato percepito come il fatto che avrebbe migliorato le condizioni della vita civile rispetto all’essere “cittadini” di regimi regionali o esteri purché ispirati dal diritto romano. Anche le temporanee invasioni di etnie ispirate da culture aliene (goti, normanni, longobardi, islam)sono state assimilate dagli “italiani” ed hanno adeguato i loro comportamenti amministrativi e giurisdizionali a quelli di Roma prevalenti in tutta la penisola.

Ciò perdura anche oggi nella più totale assenza e inefficienza dei governi del secondo dopo-guerra dettata da una scelta costituzionale di esautorare il potere esecutivo per affidare le scelte politiche di breve e di medio termine al potere legislativo reso inoltre ancora più inefficiente dalla duplicazione “perfetta” di competenze delle due camere parlamentari. L’assemblearismo ha gradualmente ceduto il passo al consociativismo e esso ha alimentato l’avidità fiscale. L’attenzione al breve e medio termine (classiche competenze degli esecutivi) a sua volta ha distolto il legislativo dalla definizione delle linee strategiche più confacenti con gli interessi del Paese e ne ha incentrato i lavori su aspetti facilmente strumentalizzabili per la dialettica politica di livello più basso in quanto “giustificati” dal prioritario interesse di tutelare le rispettive clientele elettorali. Clientelismo e consociativismo hanno gradualmente accumulato un debito pubblico tale che, unito all’inefficienza e costi dei servizi erogati dallo stato - impiegato come strumento di assistenza e come ammortizzatore sociale, ha reso totalmente impossibile reperire ulteriori risorse per alimentare una azione di politica dello stato per via fiscale. Ciò ha aumentato la separazione tra Paese Reale che intanto continuava a rinnovarsi e a crescere al di fuori di direttive statali (capaci solo di soddisfare le esigenze di comune interesse tra le clientele dei vari partiti in parlamento (grandi gruppi industriali e sindacati operai). La crescente integrazione industriale e la liberalizzazione degli scambi di persone, beni e servizi ha creato sempre più varie opportunità all’elusione e alla evasione fiscale consolidando le relazioni finanziarie e operative industriali italiane con i mercati esteri. Le opportunità occupazionali di maggiore attrattiva hanno spinto le nuove generazioni a guardare in modo scettico alle tradizionali forme di raccomandazioni clientelari spingendoli a disinteressarsi dei meccanismi tradizionali ottocenteschi (partiti, sindacati, carriere intellettuali) ormai inadeguati a dare appagamento alle loro aspettative sempre più alimentate da paradigmi mediatici di alta attrattività spettacolare. Tra loro i più intraprendenti hanno trovato soddisfazione professionale all’estero o al servizio dei nuovi operatori esteri interessati ad entrare nel mercato italiano. La mentalità professionale e civica connessa a queste nuove opportunità è libera dai criteri vigenti invece negli impieghi tradizionali offerti dal Paese. Questa ondata di anticonformismo comportamentale sta aumentando la distanza tra i detentori del potere residuale del Paese Legale e chi aspira (anche nel suo ambito) a vedere forme di relazioni meno vincolate a fedeltà ideologiche o solidaristiche. Il risultato di tutti questi fattori è che, in assenza di iniziative del Paese Legale che l’elettorato condivida, il Paese Reale continua a crescere in forme spontanee che consolidano nuovi criteri di legittimità, non è legittimo intraprendere ciò che è “permesso” dalle leggi, è legittimo intraprendere ciò che è utile e possibile indipendentemente dal fatto che esso sia permesso, proibito o perfino concepito dalle leggi attuali. D’altronde aderire rigorosamente alle leggi esistenti non solo ostacola o perfino isterilisce ogni opportunità derivante da iniziative creative e innovative, a-monte delle stesse iniziative, ma neanche offre il beneficio, a-valle dell’iniziativa, di un’efficiente ed efficace tutela degli interessi personali investiti nell’iniziativa. Infatti in Italia la giustizia disincentiva perfino i potenziali investitori esteri dall’investire (legalmente) nel Paese.

Al trascorrere del tempo, il Paese Legale consolida i propri interessi economici e sociali con proprie informali relazioni internazionali rendendo sempre più alieni i comportamenti politici formali assunti dalle istituzioni del Paese Legale. Veniamo alla prospettiva di azione politica che si offre agli “italiani” oggi nel contesto geo-politico della globalizzazione industriale.

Essere “cittadini” di uno dei più recenti Stati Nazione di Europa non ha reso gli “italiani” più disponibili di ieri a spendere risorse per sottolineare la loro “diversità” in quanto italiani rispetto a francesi, spagnoli o tedeschi nel contesto ormai pienamente accettato di una istituzione soprannazionale; l’Unione Europea. D’altronde l’Unione Europea non è avvertita, dalle molte nazionalità che la compongono, più familiare di quanto non siano gli USA; il Paese in cui sono emigrate grandi minoranze da quasi tutte le nazioni europee anche in tempi molto recenti. Né la Costituzione Europea viene percepita più chiara e liberale di quanto non sia la Costituzione degli USA; una carta fondamentale creata da europei e ispirata dai tradizionali principi liberal-democratici e cristiani in modo più accertato sul campo rispetto alla fumosa e contraddittoria sequenza di azioni giuridiche e amministrative assunte dalle istituzioni europee.

Infine, l’essere “cittadini” europei di nazionalità francese, tedesca o britannica, è percepito essere uno status privilegiato in sede europea grazie al maggiore peso decisionale che hanno quei tre Paesi sulle scelte della Unione Europea.

D’altronde l’Italia offre spazi unici di autonoma iniziativa politica grazie alla sua storica debolezza nella epoca degli Stati Nazione e grazie all’essere sede della Chiesa Cattolica, la più visibile e credibile istituzione “italiana” nel mondo oggi.

Dopo questa rapida e grossolana rassegna di concetti, credo si possano esaminare due diverse strategie per l’Italia (governo, parlamento e industria) nel contesto irreversibile e trainante della globalizzazione industriale:

  • ·         si può accelerare la formalizzazione delle istituzioni soprannazionali sia politiche che economiche dell’UE ed aderire alle decisioni assunte da quelle con maggiore efficacia rispetto a quanto non venga fatto finora limitandone le competenze al solo consolidare gli spazi di “mercato comune”. Con questa prima strategia l’Italia rinuncerebbe ad esercitare autonome iniziative di politica internazionale per aderire a scelte che vedrebbero egemone il ruolo di Germania e Francia la cui economia industriale ed efficienza statale sono più esercitate dalla storia passata a gestire le relazioni internazionali su base globale. La Spagna inoltre potrebbe avere analogo maggiore peso decisionale grazie alla sua lunga tradizione di relazioni con i Paesi Ispanici del continente americano,
  • ·         si può invece privilegiare l’armonizzazione industriale interna all’UE rinviando ad un secondo tempo l’armonizzazione politica e la negoziazione di una comune carta costituzionale europea più chiara e condivisa di quella pateticamente fallita finora. Con questa seconda strategia l’industria italiana sarebbe libera di esercitare le sue iniziative sui mercati globali sostenuta dalla limitata efficienza e penetrazione storica della diplomazia nazionale. Si tratta di due elementi di sostegno di gran lunga meno efficaci di quelli di cui potrebbe beneficiare l’industria tedesca, francese, britannica e iberica. Tuttavia l’industria italiana, conservando questa autonomia di azione, potrebbe beneficiare dell’immagine di minore spirito “imperialista” che deriva all’Italia proprio dall’assenza di spirito “nazionalista” nella sua storia politica. Un secondo beneficio di azione industriale e politica decisa dall’Italia in autonomia rispetto all’UE, potrebbe derivare dalla maggiore familiarità che caratterizza storicamente le iniziative civili in Italia nei confronti della Chiesa di Roma. Ogni iniziativa industriale che venisse esercitata dalle industrie italiane (una stragrande maggioranza di aziende locali a carattere familiare e spesso di qualità e caratteristiche artigianali) potrebbe trovare simpatia e consonanza con l’etica del lavoro cristiana promossa da Chiesa di Roma e Diocesi locali. Infine, questa autonomia decisionale dalle istituzioni soprannazionali in campo politico verrebbe apprezzata dai nuovi paesi aderenti all’UE che spesso sono più propensi a trovare nel nostro Paese un partner empatico e sensibile alle loro istanze rispetto ai principali paesi industriali.

Un corollario di questo paradigma di scelte alternative è che, qualora l’Italia aderisse alla seconda scelta di conservare autonomia politica invece di privilegiare l’armonizzazione industriale, il progredire del processo di globalizzazione industriale inevitabilmente assicurerebbe il consolidarsi d’una governance globale fondata sul binomio USA/Cina (il G2). Ciò farebbe oggettivamente diminuire ogni possibilità di creare per l’UE un ruolo di terzo partner nella negoziazione tra i due. Questo ruolo terzo sarebbe gestito in egemonia dal binomio Francia/Germania e vedrebbe probabilmente uscire dall’UE la Gran Bretagna che ha maggiore interesse di avere un ruolo seppur secondario con i Paesi del Commonwealth al fianco degli USA in ambito G2 anziché veder soggiacere i propri interessi nazionali e la propria autonomia decisionale alle esigenze dell’UE. Qualora dovesse malauguratamente prevalere l’alternativa strategica di un terzo polo UE, l’Italia sarebbe costretta a sostenere l’onere accelerato di un’armonizzazione politica ed amministrativa che sarebbe oltremodo costosa mentre potrebbe beneficiare almeno in una prima fase in modo minore dei benefici politici di quanto non beneficerebbero Francia e Germania. La priorità all’armonizzazione politica dell’UE condurrebbe inoltre a definire una posizione strategica terza tra USA e Cina che dovrebbe accattivarsi il sostegno dei Paesi del Terzo mondo in Africa, Sud America e Medio Oriente. Ciò rischierebbe di aumentare la distanza tra USA e UE senza ricavare per l’UE adeguati sbocchi strategici sui mercati globali a causa della minore competitività dell’economia interna dell’UE rispetto a quella dei due interlocutori egemoni e a causa dell’inevitabile sequenza di sprechi, resistenze culturali e intrighi interni che animerebbero l’apparente armonia istituzionale imposta in modo accelerato all’Italia e a tutti i Paesi che, come l’Italia, sarebbero stati frustrati nelle loro aspettative “nazionali”.

Si potrebbe dire che una strategia politica che rischiasse di fare riemergere in epoca di globalizzazione in conflitti “nazionalisti” sarebbe destinata a fallire per la sua scelta antistorica.