25/11/2009

Europa, Italia e globalizzazione

Il contesto in cui si colloca l’economia e la società di ogni Stato Nazione è quello dettato dalla dimensione globale degli scambi di beni e servizi che si è ormai consolidata nella quotidianità dei consumi individuali (dai cellulari, ai beni durevoli, all’abbigliamento, ai viaggi low cost) e di quelli collettivi (dai servizi bancari, alla gestione di banche dati e numeri verde, alle assicurazioni, ai trasporti, ai servizi postali).

Di fronte a questa irreversibile realtà industriale le istituzioni degli Stati Nazione stanno risultando sempre più obsolete e cercano di riorganizzare le proprie procedure ed organizzazioni in modo da soddisfare le due aspettative che presenta la società civile; quelle dei consumatori e quelle dei produttori. Aspettative che sono entrambe ancorate ad interessi molto pragmatici che si riferiscono alle prospettive offerte alla crescita della economia nazionale dall’internazionalizzazione dei processi produttivi nel medio-lungo termine. Aspettative quindi che, libere dai paraocchi ideologici dettati da dottrine astratte siano esse di natura secolare o religiosa, si ispirano alla credibilità delle prospettive offerte allo sviluppo dell’economia da un contesto sul quale non si possono più esercitare forme di protezionismo alla ricerca di tutelare vecchie nicchie di privilegi che ormai risultano parassitari alla valutazione della maggioranza della pubblica opinione.

Le modifiche organizzative e procedurali si traducono sul piano legislativo in modifiche istituzionali che si debbono integrare con le esigenze di integrazione industriale internazionale e con quelle della società interna che è sottoposta ad un’inevitabile trasformazione delle vecchie abitudini ma alla quale occorre assicurare un carattere di continuità non traumatico.

Un tale processo ha luogo in ogni Stato Nazione ma in Italia esso potrebbe svolgersi più rapidamente degli altri contribuendo così a recuperare un margine di competitività rispetto a quello attuale nei confronti dei suoi interlocutori e competitori esteri.

Infatti la solidità delle istituzioni nazionali, tranne alcune più “tecniche” - come i carabinieri, non è mai riuscita a consolidarsi nel corso della giovane storia unitaria. Il consenso politico si è anzi, per differenza, arroccato sull’ente Comune, il più vicino al comune sentire della popolazione e delle sue esigenze quotidiane. Tuttavia, partire a implementare una riorganizzazione istituzionale dal livello Comune, vede in Italia una eccessiva disomogeneità di popolazioni raccolte in quell’ente amministrativo. Ciò si traduce in un numero di comuni troppo elevato e una loro frammentazione eccessiva come rappresentativi delle rispettive comunità locali. Avviare un dibattito legislativo con quel tipo di interlocutori sarebbe insostenibile per il legislativo e per l’esecutivo che sono i due interlocutori nazionali cui è affidato il problema di studiare soluzioni efficaci.  D’altronde l’ente Regione è troppo distante dalle diverse sensibilità che vivono in confini geo-politicamente inadeguati. È infatti palese dalla storia, dalle tradizioni e dalle attività economiche presenti in ogni Regione come sia elevata la disomogeneità interna a quegli attuali, più giovani e più discussi enti amministrativi. Esiste invece un ente amministrativo intermedio che risulta poco appesantito dai trascorsi storici e alquanto “vergine” sul piano del consenso politico. La Provincia in Italia è un ente territoriale che presenta densità di analogo valore in termini di popolazione residente. L’ente Provincia inoltre abbraccia una popolazione i cui usi e tradizioni sono abbastanza omogenei e i cui interessi economici presentano un analogo elevato grado di omogeneità. L’ente Provincia inoltre tradizionalmente è sede dei principali uffici amministrativi dei poteri esecutivo e giurisdizionale.

Queste caratteristiche rendono l’ente territoriale Provincia il più idoneo per intraprendere una ridefinizione consensuale dei confini geo-politici nazionali.

Infatti la Provincia potrebbe gestire con più snellezza, rappresentatività e competenza il confronto con il governo nazionale per la valutazione delle procedure amministrative più idonee a raccordare le esigenze interne a quelle imposte dagli enti amministrativi di livello superiore (Unione Europea già da oggi e quelle istituzioni del nuovo ordine globale che sono in corso di definizione per la governance futura). Si tratterebbe d’un consesso di 100 rappresentanti provinciali chiamati a definire gli equilibri amministrativi nei confronti delle istituzioni nazionali. Ciò consentirebbe addirittura di dare corpo immediato alla Camera legislativa che dovrebbe curare gli interessi interni al Paese istituendo la Camera delle Provincie coi suoi 100 rappresentanti naturali (integrati eventualmente dai cinque rappresentanti delle aree metropolitane). Sarebbe la dimensione d’una camera legislativa snella, gestibile ben più rappresentativa di interessi culturali e industriali omogenei di quanto non siano le attuali Regioni e rappresentanti regionali; ente territoriale giovane e inadeguato come omogeneità e consenso interno. La Provincia, infine, sarebbe l’ente politico cui sarebbe più conveniente demandare il compito di ridefinire i confini di competenza territoriale su base d’una valutazione negoziata coi Comuni del proprio bacino con gli enti Provincia circostanti. D’altronde è chiaro a tutti che, eliminare l’ente Provincia non condurrebbe ad eliminarne le mansioni e i costi relativi che verrebbero solo trasferiti ad altri enti territoriali più distanti e meno storicamente familiari con quella realtà territoriale.

Insomma, anche nel processo del cosiddetto “federalismo” la politica nazionale sembra scegliere percorsi “innovativi” solo nel senso di scatenare la libera creatività delle “menti sottili” anziché fondare le proprie ragioni sulla storia nazionale che è eminentemente radicata al livello Comuni (troppo dispari e disomogenei) e a quello Provincia (essere “toscano” non coincide con l’essere fiorentino ma piuttosto lucchese, pisano o senese – così come l’essere “marchigiano” non coincide con l’essere anconetano ma piuttosto maceratese, ascolano o riminese).

Siamo di fronte a meccanismi di innovazione istituzionale totalmente incomprensibili per il “buon senso” dei cittadini-elettori e si cerca di imporre loro dall’alto astrusi criteri “illuminati” alla luce di un “senso comune” diffuso dai media ma difficilmente consonante con il comune sentire dei residenti sul territorio.