25/03/2011

Guerra & Diplomazia: i requisiti necessari per una Politica efficace

Per gestire le relazioni internazionali in modo efficace, credibile e appropriato occorre essere predisposti ad impiegare entrambi i meccanismi (Bastone e Carota) per conservare stabilità alle relazioni nel corso del cambiamento imposto dallo sviluppo tecnologico e dalla conseguente evoluzione del peso reciproco tra i diversi sistemi industriali nazionali in reciproca competizione.

Chi usa il solo bastone della guerra senza avere chiarito l’offerta della carota sulla quale potrebbe negoziarsi una convivenza pacifica fondata su nuove basi di reciproco peso e ruolo egemonico, è destinato a ricevere ogni tipo di resistenza da parte di interlocutori terzi che non necessariamente avrebbero dovuto essere coinvolti qualora fosse stato chiarito con maggiore chiarezza il conflitto di interessi correlato alla richiesta in questione di nuovi assetti nelle relazioni politiche internazionali.

D’altronde il solo esercizio della guerra o della diplomazia è sterile se non è guidato da una logica politica che costituisce la testa pensante di quelle due gambe.

Reagire in modo bellicoso o pacifista ad iniziative altrui senza averne chiari gli obiettivi e i possibili impatti sulle nostre abitudini ed aspettative è solo una deprecabile dissipazione di risorse e riconoscimento di ruolo egemone all’azione politica che provoca la nostra reazione emotiva.

Una diplomazia più meditata e condotta preliminarmente per le vie più riservate bilaterali potrebbe evitare i conflitti armati e tutte le reazioni e resistenze che rischiano di sollevare e potrebbe porre ogni interlocutore promotore di iniziative di fronte al fatto compiuto di un’offerta di bastoni e di carote tali da costringerlo a negoziare il cambiamento nello spirito di reciproco beneficio e mutuo interesse.

Un tale approccio richiederebbe di trascurare ogni vincolo dettato da accordi pregressi (ormai inaccettabili alla luce dell’auspicato nuovo assetto politico internazionale) qualora infrangerne il rispetto non rischiasse di sollevare problemi più alti dei benefici.

Si tratta soprattutto di infrangere vincoli dettati dall’appartenenza a istituzioni politiche ormai obsolete o in via di obsolescenza che risultano pertanto scarsamente efficaci alla luce delle nuove aspettative di relazioni per il futuro; NATO, ONU, UE, etc..

L’efficacia della ‘testa’ politica alla guida di qualsiasi azione combinata di bastoni e carote in combinazione coerente risiede nella sua capacità di rendersi indipendente da vincoli di un passato non più consistente con il nuovo contesto operativo; in altri termini si richiede che la ‘testa politica’ non si faccia mai condizionare da elementi alieni all’etica professionale che impone il mantenimento della credibilità, non la prevedibilità delle decisioni; un cinismo nei confronti di tutto ciò che è estraneo all’efficiente impiego delle carote e bastoni di cui dispone il responsabile della conduzione della linea politica. Si tratta di un vero e proprio cinismo cui occorre aderire pena la prevedibilità o la perdita di credibilità nei confronti degli interlocutori coinvolti nel processo di negoziazione e sempre attenti a coglierne le incertezze e le debolezze; minando così l’efficacia del processo negoziale.

La conduzione della politica deve risultare il più cinica possibile; è la costruzione della linea politica che può organizzare la sequenza di obiettivi tattici e la finalità strategica in funzione di criteri che rispettino i valori sui quali si fonda la legittimità stessa del potere esecutivo nel regime coinvolto.

Nel confronto tra regimi liberal-democratici e quelli totalitari si rischia sempre la perdita di efficacia a causa delle maggiori resipiscenze ‘etiche’ nella conduzione delle operazioni belliche e diplomatiche; cosa meritevole ma fonte di handicap come espresse in modo eccellente Niccolò Machiavelli e, prima di lui, Sun Tzu.

Condurre la politica sulla traccia del vangelo è impossibile, condurre la diplomazia con trasparenza e onestà è altrettanto impossibile, condurre la guerra con spirito irenista è nocivo per entrambi i contendenti; ‘il medico pietoso fa la piaga purulente’.

La diplomazia e la guerra costituiscono le due gambe sulle quali procede stabilmente la politica sul percorso travagliato della Storia del Progresso civile. Non esiste una terza gamba capace di dare stabilità statica alla gamma di assetti assunti dal Progresso lungo il suo percorso. Ciò significherebbe la fine del progresso stesso isterilendolo su un assetto intermedio, giudicato teoricamente perfetto e, proprio per ciò, non criticabile né rigettabile dai cittadini; quindi lungi dalla perfezione politica liberal-democratica.

Un vero progresso in pieno libero arbitrio e piena responsabilità individuale in liberal-democrazia dev’essere esposto al rischio di possibili oscillazioni dettate dalla opinione pubblica che nelle varie epoche si aggrega in modo variabile secondo il buon senso individuale sottoposto al bombardamento di un senso comune che è sempre privilegiato dall’ortodossia dei sinedri al governo; sono le oscillazioni tra regime top-down e crescita del diritto all’autodeterminazione dal basso che hanno caratterizzato il progresso della civiltà umana verso il suo attuale assetto finale di una globalizzazione industriale promossa dal paradigma liberal-democratico egemone prerequisito all’abbattimento dei confini di privilegio nazionale, razziale, etnico, religioso che ancora ostacolano la partecipazione a parità di diritti e doveri all’unico sistema industriale libero da schemi di rigide ideologie integraliste – il capitalismo-liberista.

Se la politica non nutre chiari obiettivi per ciò che ritiene essere convenienza per il progresso umano e scade nel relativismo più paralizzante per timore di sbagliare, viene meno ogni legittimità ad usare sia carote che bastoni nel gioco delle relazioni tra diversi. Non cade solo la gamba della guerra che minaccia ritorsioni al rifiuto di aderire a comportamenti mutuamente accettabili, cade anche la gamba della diplomazia che offre benefici in cambio della loro accettazione. Diventa infatti illegittimo sia interferire con doni sia con minacce sull’autonomo percorso seguito da culture diverse verso ciò che esse, in modo altrettanto legittimo di noi, scelgono come proprio stile di vita; ivi incluso gli schemi ideologicamente più stravaganti sia sul piano secolare che su quello religioso.

Posta l’assoluta esigenza di conservare integra la tenaglia di guerra e diplomazia nella gestione di efficaci relazioni politiche, occorre dare adeguata attenzione alla credibilità delle istituzioni attraverso le quali si veicola l’informazione politica. Senza credibilità nessuna azione politica diventa efficace.

Roma è un eccellente esempio di pragmatismo liberale in politica. Roma nutriva idee chiare sul mondo che proponeva. Idee limitate ed elementari e perciò chiaramente comprensibili anche agli avversari più ostici che Roma abbinava alla proposta di una linea politica altrettanto chiara e lineare; ma soprattutto abbinata ad istituzioni assolutamente credibili.

Le istituzioni che rendevano credibile Roma, e quindi efficacissima la sua politica, erano essenzialmente due: un processo decisionale capace di raggiungere forte consenso sociale all’interno e un sistema economia-stato capace di garantire grandi margini di valore aggiunto a qualsiasi sistema economico ‘locale’ che accettasse di integrarsi politicamente a Roma.

Era lo Stato Roma che garantiva la conservazione di ogni peculiarità culturale e sociale ‘locale’ a ogni città-stato sottomessa con la forza ma conquistata col valore aggiunto del ‘business’; uno stato non ideologico che dimostrava assoluta credibilità delle proprie istituzioni di guerra (il bastone delle legioni) e quelle di pace (la carota delle reti infrastrutturali erga omnes) purché ci si ‘federasse’ a Roma in pieno spirito di operosità.

Questa combinazione di bastone e carota risultò accettabile nell’ottica delle diversità culturali esistenti nello scenario geopolitico globale di allora ed appetibile nell’ottica universale della crescita di benessere; dalle sue origini di federazione di città-stato e grazie a queste due semplici, liberali e credibili istituzioni, Roma riuscì ad amalgamare ogni nazione in un’unica civiltà globale che ha costituito la prima versione secolare di libera globalizzazione economica in epoca storica; la seconda versione è oggi in corso di consolidamento nell’ottica altrettanto libera di quella favorita da Roma con l’uso prioritario della sua ganascia militare in un mondo in cui l’offerta della ganascia economica risulta più efficace e meno costoso rispetto alla sua alternativa bellica.

Lo schema istituzionale sul quale si fonda la ricerca di un nuovo ordine globale tuttavia anche oggi è quello della chiarezza degli obiettivi e della credibilità delle due istituzioni che li propongono; la governance politica sul piano globale non può rinunciare all’uso né di un credibile bastone né di un altrettanto credibile carota pena la perdita di efficacia del processo di globalizzazione industriale.

Mentre le istituzioni industriali di tutti gli Stati Nazione coinvolti nel processo della globalizzazione hanno ricevuto evidenza circa la appetibilità della carota della offerta politica, le loro istituzioni statali rimangono invece ancorate a difendere obiettivi e percezioni di interessi nazionali ormai superati o incompatibili con le aspettative di una nuova governance globale.

Nell’attuale graduale destabilizzazione dei regimi tribali che governano il Medio Oriente e il Nord Africa il modo in cui si è comportato l’’Occidente’ è semplicemente ridicolo e masochista.

Gli USA di Obama e Hillary Clinton hanno dimostrato di rifiutare il ruolo-guida che la Storia ha caricato sulle loro spalle nella seconda versione della governance globale, ciò solo per ragioni di miopia politica e di rifiuto di comportamenti diplomatici e militari alieni alla tradizione delle origini politiche del paese.

La Francia ha cercato di recuperare un ruolo di protagonista per il quale ormai non è più né legittimata (a causa del suo passato colonialista e nazionalista) né dispone più delle risorse che sarebbero necessarie sia sul piano militare (bastoni) che su quello diplomatico (carote).

Il Regno Unito non ha voluto lasciare alla sola Francia l’immagine di protagonista sullo scenario globale per il quale dispone forse di maggiore immagine storica ma certamente manca delle risorse necessarie.

La Germania, più distaccata dalla specifica area geopolitica in questione e più attenta ad una linea politica nazionale proiettata, seppure in ruolo protagonista secondario, a sostenere una sua crescita sullo scenario globale in cui la governance verrà negoziata tra partner ben più equipaggiati come risorse industriali e come competitività di sistema nazionale (USA e Cina).

L’Italia ha cercato di tutelare la continuità degli interessi nazionali fondata sulla conservazione di partner esteri commerciali idonei a garantire competitività al suo sistema industriale come fonti di risorse (energia e finanza) e come sbocchi commerciali (beni di consumo e impianti industriali). Limitandosi ad opporsi alla penetrazione francese offrendosi come partner a Germania e USA per ostacolare quella rischiosa iniziativa priva di visione politica adeguata.

Le istituzioni dell’UE prive di potere politico internazionale non hanno potuto proporre alcuna linea politica autonoma capace di negoziare un suo ruolo da protagonista nei confronti dei principali partner coinvolti in modo diretto (tutti i paesi arabi e medio-orientali incluso Iran, Israele e Turchia) o indiretto (USA, Cina) dal problema dei regime change che affliggeranno in modo costante tutti i regimi tribali dell’area in questione.

L’ONU, la NATO e le relative istituzioni hanno dimostrato la loro assoluta inadeguatezza a rivestire ruoli di mediazione soprannazionale nei loro assetti attuali ancora troppo condizionati dalla governance dell’epoca degli Stati Nazione (paesi come la Libia e l’Iran sono ancora inaccettabili responsabili di commissioni come la tutela dei ‘diritti umani’) per poter risultare credibili per le esigenze di negoziazione di nuovi assetti di una stabile governance globale.

L’assenza di un protagonista determinato a stabilizzare la seconda versione della globalizzazione economica è il fattore più critico emerso in questi ridicoli contorcimenti neo-coloniali o pseudo-umanitari; Obama è unfit to rule e manca all’orizzonte un Nixon in grado di svolgere il ruolo di Cesare affiancato da un nuovo e adeguato ‘consigliori’ Kissinger.

Speriamo bene! In attesa che il nuovo Cesare emerga miracolosamente sulla scena della politica speriamo che le astuzie machiavelliche dei molti Duca Valentino non destabilizzino in modo catastrofico la stabilità del sistema complesso composto dai numerosi sottosistemi stato-industria ormai strettamente interconnessi nel sistema industriale globalizzato.