18/02/2011

Governance globale e connessi Regime Changes

La globalizzazione ormai ha creato non solo le premesse ma l’obbligo di adeguarvi a ritmi accelerati nuove istituzioni di una governance globale efficace e condivisa a garanzia della stabilità complessiva del sistema industriale ma anche delle molteplici stabilità ‘locali’ che altrimenti corrono il rischio di ricevere dal nuovo sistema benefici economici capaci di destabilizzare le molte ‘realtà sociali’ locali e regionali che resteranno a lungo caratterizzate da comportamenti culturali destinati a cambiare molto lentamente – al ritmo dei cambi generazionali.

Si tratta di un fenomeno sperimentato in ogni periodo di accelerazione del progresso civile ma che oggi è esaltato dalla pervasiva dinamica di crescita del processo di internazionalizzazione dell’economia oltre ogni confine dei tradizionali Stati Nazione: tutti dalla Cina e USA alla Svizzera e Venezuela.

Questo obbligo ‘esogeno’ alle capacità dei sistemi istituzionali imposto da un sistema industriale che ormai si è consolidato su base geopolitica globale, costringe con priorità diverse di dimensione ed urgenza i diversi sistemi nazionali. Ne discende un processo inevitabilmente ‘gerarchico’ di negoziazione della governance che possa costruirsi lungo un asse portante di stabilità costituito dall’accordo raggiunto da interessi di sistemi economici che è inevitabile siano più significativi degli altri che, in genere, dipendono in modo più lento e con dimensioni regionali dai primi.

È un fattore ‘naturale’ che governa i cambiamenti in tutti i sistemi termodinamici complessi secondo un meccanismo che ricostruisce assetti pseudo stabili successivi tramite ‘valanghe locali’ di dimensioni più o meno estese; una serie cioè di mini-catastrofi locali che vanno a comporre assetti la cui ‘forma’ resta stabile per periodi di durata più o meno lunga in funzione della loro resistenza interna e delle sollecitazioni con cui sono gradualmente ‘bombardati’ dalla realtà naturale. La realtà è sempre ‘esogena’ agli assetti pseudo stabili che garantiscono ‘governance’ al sistema globale; sia che l’innovazione provenga da fenomeni ‘fisicamente’ esterni (invasioni barbariche, agenti infettivi o megameteoriti planetarie) o dall’interno (rivoluzioni, golpe, innovazioni tecnologiche, corrosioni o logoramenti strutturali).

Accettare il carattere ‘gerarchico’ del cambiamento può risultare doloroso sul piano individuale ma non ne può modificare la logica che segue linee di forza prioritarie in funzione del diverso grado di solidità che caratterizza i molti sotto sistemi in reciproca connessione e mutua dipendenza funzionale. I sottosistemi più ricchi hanno maggiore interesse e maggiori risorse per condurre il processo. I sottosistemi ad essi circostanti e di minore opulenza risultano meno influenti e dispongono di minori risorse per poter costruire autonome strategie di guida del cambiamento; a essi conviene (è più costo/efficace o ‘costa meno energia’) ‘adeguare’ i propri comportamenti ai grandi cambiamenti già scelti dai sottosistemi principali. Tra i sottosistemi ‘locali’ esiste poi una gerarchia di stabilità interne (le governance dei vari regimi politici) che li mette più o meno in grado di conservare il loro ruolo nel corso del cambiamento. Ciò li rende ‘partner’ dotati da diverso grado di credibilità per l’organizzazione di accordi di mutua assistenza per assorbire il cambiamento proveniente dal loro esterno con conseguenze più soddisfacenti di quanto non sarebbe sostenerne l’avvento in isolamento (Unione Europea, Nafta, accordi bilaterali).

È evidente che paesi autoritari e incompatibili col capitalismo-liberista egemone (paesi islamici o comunisti) risultino i meno attraenti come partner nel corso della costruzione del nuovo ordine globale ed è altrettanto evidente che essi risultino i più esposti ad assimilare le dosi di cambiamento imposte dall’adesione ad un tipo di governance proveniente da una realtà ‘esogena’ non solamente al loro sotto sistema ma perfino ‘esogena’ agli stessi criteri di legittimità istituzionale che li governa.

Faticosamente ma cinicamente la Cina sta rapidamente convertendosi da sistema marxista a un capitalismo di stato nazionale para-fascista dal quale certamente sarà più agevole gestire in continuità non traumatica i successivi cambiamenti verso un regime liberal-democratico più congeniale con le esigenze del capitalismo-liberista dominante.

Gli USA stanno altresì modificando la propria politica estera in funzione delle esigenze e del potenziale che il sistema globale offre alla loro conservazione di un ruolo egemone e devono bilanciare il cambiamento delle loro relazioni internazionali dagli assetti regionali e bilaterali ereditati dal mondo della guerra fredda in altri più convenienti nell’epoca della globalizzazione secondo schemi di governance ancora in via di costruzione.

Si tratta di compiti geopolitici pesanti e rischiosi che devono bilanciare ciò che si lascia con ciò che s’acquista in una gradualità di negoziazioni bilaterali che non suggeriscono di accettare alternative e vincoli di alleanza o, peggio ancora, ‘concertando’ una governance condivisa ‘assemblearmente’ da tutti i vecchi Stati Nazione nello stile del funzionamento delle odierne istituzioni dell’ONU. Si creerebbe l’inefficienza e l’immobilismo politico che, comparato all’accelerato ritmo di consolidamento del sistema industriale globalizzato; una disparità di progressione inaccettabile per l’obiettivo di creare un equilibrio tra le istituzioni politiche e quelle private che riesca ad assicurare stabilità al sistema industria-politica del domani per migliorare la sicurezza degli investimenti industriali di lungo termine necessari per consolidare le reti tecnologiche infrastrutturali indispensabili ai servizi limitati ma essenziali di sostegno al capitalismo-liberista per diffondere diffusamente il benessere economico e la stabilità sociale. Reti di servizi che da sempre sono finanziati a beneficio di tutti e a spese della fiscalità generale; classico è il servizio assicurato ai noli navali dalla rete dei fari marittimi.

È evidente che le reti debbano garantire stabilità di servizio a ogni operatore industriale insieme ad efficienza di prestazioni e facilità d’impiego come già in materia di comunicazioni multimodali è garantito da reti gestite da privati (Internet, FaceBook, etc.).

Mentre le reti di servizio agli utenti finali riescono a essere remunerative e quindi convenientemente affidate agli operatori industriali, le reti di servizio all’industria del terziario avanzato (assicurazioni, finanza, difesa, emergenze naturali, etc.) non possono raccogliere il ritorno sugli investimenti in modo altrettanto diffuso sul mercato e devono quindi dimensionare le loro soluzioni alle specifiche esigenze di qualche sponsor scelto tra i pochi operatori del comparto d’industria in questione; un servizio specialistico offerto a membri di una oligarchia. Gli investimenti assumono un carattere ‘partigiano’ capace di privilegiare chi l’ha sponsorizzato ma che solleva forti opposizioni da parte degli esclusi e quindi lotte sommerse o esplicite per destabilizzare quegli interessi privilegiati. Il risultato è che la crescita delle reti di servizio al terziario avanzato rallentano la loro nascita o diminuiscono l’ampiezza del loro respiro di operazione limitandosi a tutelare gli interessi di breve termine rispetto a quelli di medio-lungo respiro. Ne deriva un aumento di rischio per gli investimenti che guardano al futuro o il loro maggiore costo per assicurarne il rischio industriale.

La crescita dei costi obbliga a rinunciare a una parte del potenziale di crescita economica e suggerisce quindi anche agli operatori privati di negoziare (tramite lobbying sui loro referenti politici nei vecchi Stati Nazione) una gerarchia di ‘do ut des’ nei confronti degli interlocutori più capaci di condizionare la crescita.

Le ragioni del tragitto ‘gerarchico’ che devono seguire le negoziazioni per consolidare la governance futura risiedono tutte in questa ottica banale e ripetitiva nella storia della civiltà ‘Occidentale’. Gli Stati servono a ‘stabilizzare’ la crescita dopo che questa, grazie ai privati, si sia già consolidata su un mercato di dimensioni ben maggiori del vecchio e quindi sprovvisto dei servizi necessari a garantirvi la stabilità dei comportamenti e la credibilità per le scelte di investimenti ulteriori; come sta accadendo nella più piena ‘libertà’ dei processi industriali governati dai soli criteri di redditività finanziaria fondata su scelte dettate dalla competitività tra i vari sistemi stato-industria di tutti gli Stati Nazione ignorandone il tipo di regime e di ideologia politica.