25/01/2010

Sinistra in Italia: ovvero piangere sul latte versato

È realmente ridicolo assistere alle contorsioni della sinistra in Italia di fronte ai suoi fallimenti costanti che deve sperimentare sin dalla formazione dell’unità dello Stato Nazione. Questa farsa si ripropone ogni volta che la sinistra attraversa drammi interni, sconfitte esterne e perfino quando accampa fantasiose “vittorie” raggiunte in modo tanto contorto da risultare sterili o controproducenti nei risultati pratici. Oggi è il “caso Puglia” ma si potrebbe scegliere altrettanto bene ogni altra situazione di livello nazionale, internazionale o locale che essa sia.

Questa costante contorsione nell’analizzare le sconfitte e nel tentarne un riscatto conduce evidentemente ad una crescente incapacità di spiegarne le cause e costringe quindi la “sinistra” (indipendentemente da ciò che ormai possa voler dire quella definizione) ad attribuire i fallimenti a cause misteriose e correggibili solo con la loro eliminazione esogena alle capacità del partito-guida. Una condanna alla frustrazione perpetua che dà inoltre spazio ad altre ipotesi meno misteriose in quanto addebitate a complotti di forze oscure o di semplici “cattivi” (poteri forti, massoneria, Mussolini, P2, Craxi, Berlusconi) e quindi più agevolmente utilizzabili nel dibattito ispirato alla più sterile retorica demagogica (Di Pietro). Un’incapacità di analisi che genera tuttavia l’incapacità di indicare non solo le ragioni del fallimento nella comunicazione verso la pubblica opinione ma, soprattutto, l’incapacità di indicare credibili proposte di scelte politiche capaci di estrarre la “sinistra” da quel perverso meccanismo auto-distruttivo.

Invece sarebbe facile localizzare la logica della serie interminabile di frustranti insuccessi politici di “sinistra” in un errore iniziale dal quale sarebbe poi agevole identificare azioni politiche per riscattare l’errore e rendere credibili le proposte di recupero della sua competitività politica. Agli occhi di tutta l’opinione pubblica senza doverla etichettare in categorie politicamente sterili (destra-sinistra, amici-nemici, ostile-disponibile, buono-cattivo, morale-immorale, legale-illegale). Tutti punti di vista destinati a mutare con l’uso dei tempi e con le maggioranze disponibili.

Se ci limitiamo a ricondurre a unità la ragione di fondo dei costanti fallimenti della “sinistra” sullo scenario geopolitico del secondo conflitto mondiale possiamo facilmente indicarne la causa alla mancata “autocritica” del maggiore partito egemone della “sinistra”: il PCI. Anche agli occhi degli avversari quel partito è stato il più credibile in quanto è sempre stato più attrezzato di ogni altro a curare la preparazione di una classe di dirigenti politici filtrati da una scuola di formazione e sperimentati sul campo in una gerarchia di compiti di gestione del partito e delle sue comunicazioni sociali. Anche oggi, non ostante la formale girandola delle sue denominazioni (PCI, PDS, Ulivo, DS, PD), la credibilità della “sinistra” risiede in modo preponderante nella residua eccellenza dei dirigenti dell’ex-PCI (D’Alema, Bersani, Fassino, Napolitano, etc.) che gode della stima della opinione pubblica anche ostile alla storia politica del PCI.

Ciò che quella classe dirigente avrebbe dovuto scegliere in epoca precedente alla caduta del muro di Berlino per il tracollo acclarato del marxismo come ideologia di governo delle società industriali mature sarebbe stato una rottura con il movimento comunista internazionale uscendo dal suo organismo di coordinamento il ComIntern. Ciò si rese possibile e giustificabile sotto il profilo dell’etica civile con l’invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici nel 1956. Ciò infatti avvenne in tutti i Paesi industriali di Europa nei quali i “socialisti” (di sinistra libertaria?) presero le distanze dai “comunisti” (di destra autoritaria?) riprendendosi l’autonomia politica. Emblematica la scelta in Germania ‘Occidentale’ del partito socialista col congresso di Bad Godesberg nel 1959. In Italia invece il “fronte popolare” sotto il peso di Palmiro Togliatti, intellettuale e carismatico, sia all’interno del PCI che sui “socialisti massimalisti” suoi subordinati politici nel “fronte” quel congresso e le sue scelte vennero etichettate di “tradimento” e ai “socialisti riformatori” tedeschi venne data l’etichetta di “social fascisti”. In stretta analogia con ciò che era avvenuto nel 1947 con l’uscita dei “socialisti riformisti” di Saragat dal partito “socialista massimalista” aderente al “fronte popolare”. All’interno del PCI i più moderati dirigenti presero le difese dei carri armati dell’URSS (Napolitano, Reichlin, Alicata) mentre nel partito socialista l’ala “riformista” dovette attendere l’ascesa di Bettino Craxi nel 1977 per imporre una linea politica anti-comunista. Mancavano ancora dodici anni all’implosione del comunismo e Togliatti era morto da oltre tredici anni ma, invece di scegliere la sua “Bad Godesberg” italiana il PCI aveva prescelto la linea del “compromesso storico” sin dall’inizio degli anni ’70 per riuscire a partecipare al governo del Paese ma senza rischiare di essere “scavalcato” dal partito socialista qualora il PCI avesse aderito ad una pubblica autocritica in stile tedesco. Infatti i “socialisti” godevano di maggiore credibilità del PCI (nato in Italia nel 1921 dall’ala massimalista dei socialisti) agli occhi della pubblica opinione in quanto a politicamente “riformisti”. Con il “compromesso storico” invece si rendeva necessario persistere nell’egemonia del PCI a “sinistra” perché si potessero condurre efficaci negoziazioni con i detentori del potere esecutivo e legislativo; la DC.

Per legittimare la persistenza di egemonia politica a “sinistra” imponeva la rinuncia a qualsiasi atto d’auto-critica in stile Bad Godesberg confermando la diffusa opinione sulla solidità economica, militare e politica dell’URSS destinata a proseguire saldamente nel tempo. Questa d’altronde era la convinzione diffusa anche in ‘Occidente’, nella Chiesa Cattolica e nella Democrazia Cristiana per pure ragioni di convenienza tattica. Infatti allungare nel tempo l’associazione dell’avversario politico ad una gestione del potere sotto garanzia del sistema bipolare della guerra fredda, era assolutamente più gestibile di quanto non fosse l’esigenza di gestire una serie continua di scontri politici in regime di alternanza al governo.

I “socialisti riformisti”, seppure tardivamente ascesi al potere, avviarono una autonomia politica a “sinistra” che infatti venne osteggiata con ogni mezzo istituzionale o extra-istituzionale dalle due forze politiche più solide in Italia. La scelta del PSI col congresso di Roma all’Hotel Midas nel 1976, risultò popolare e credibile in quanto avveniva, seppure tardivamente rispetto ad altri movimenti socialisti europei, ben tredici anni prima del “crollo del muro”. La catena dei successi politici di Craxi venne interrotta da azioni extra-politiche e settarie denominate “mani pulite”. Come tutti (anche Di Pietro e gli sciacalli mediatici) sanno.

Il fallimento della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, ultimo segretario PCI nel 1994 sostituì a Craxi il PdL di Berlusconi e fu il primo sintomo degli ineludibili fallimenti elettorali fino a tutt’oggi. Per uscire da quella catena di insuccessi politici non serve cambiare di nome al partito che anzi riceve ancora oggi credito proprio per la serietà e solidità dei suoi leader politici in quanto partito ex-comunista. Ciò che occorrerebbe alla “sinistra” oggi sarebbe un’abiura credibile della scelta anti-storica e illiberale del 1921; la Bad Godesberg italiana. Ciò evidentemente non è più possibile in quanto il “muro di Berlino” essendo già caduto rende poco credibile una scelta sofferta e onerosa come quella assunta in Germania nel 1959 e dai socialisti nel 1977.

Quali soluzioni esistono per uscire da questa impasse? Come ogni rimonta tardiva essa comporta oneri molto superiori a quelli che sarebbero stati affrontati in passato al momento giusto (Ungheria 1956). Tuttavia esiste una soluzione fondamentale che risiede nel condannare al ridicolo storico ogni partito che si ispiri al marxismo in quanto privi di qualsiasi speranza di assumere il governo di un Paese industriale moderno. La scelta successiva è quella di stabilire con Berlusconi un rapporto di collaborazione nelle riforme istituzionali che solo l’ex-PCI oggi riuscirebbe a negoziare sulla base di contenuti di adeguato livello politico e intellettuale grazie al patrimonio di politici di alta scuola di formazione e grande esperienza istituzionale. Questa cooperazione dovrebbe essere negoziata rispettando pienamente le esigenze dell’uomo Berlusconi per ottenerne l’adesione a una riforma che gli consenta di cedere il potere in prospettiva e senza rischi per se e per i “socialisti riformisti” che lo hanno sostituito come leader a Craxi. Sulla base di queste riforme a due voci in parlamento cercare di negoziare l’adesione di eventuali leader politici compatibili con i lineamenti della nuova costituzione italiana. La riforma dovrebbe soddisfare le credibili aspettative politiche nutrite da Lega Nord, cristiani moderati, radicali-libertari e lobby industriali di nicchia (un processo non impossibile data la solidità della maggioranza PdL+PD). Occorrerebbe restare ben separati nei ruoli di maggioranza e opposizione per non offrire il fianco a sospetti di invisi governi “consociativi” o d’“unità nazionale” d’antan. Infine, occorrerebbe predisporre le strutture organizzative interne del nuovo partito di “sinistra” accettando che esso non potrà vincere le prossime elezioni nel 2012 contro l’attuale PdL a meno di non rischiare una vittoria con margini talmente risicati e con strutture non ancora ben rodate sul piano operativo; con conseguenze deteriori sulla stabilità del governo di alternanza e con gli inevitabili riflessi deteriori sulla immagine e sulla credibilità del partito stesso.

Vittime di questo processo sarebbero tutti i demagoghi opportunisti (sinistre estreme, destre estreme, Di Pietro e gli sciacalli mediatici e …. soprattutto gli ex-DC che continuano a impedire il consolidamento della linea politica di alternanza bipolare e della relativa efficienza di legislativo e esecutivo nel Paese. Insomma Vendola, Casini, Di Pietro, Veltroni sono solo effetti e non cause della mancanza di una credibile Bad Godesberg in Italia.