24/12/2010

Trionfo del ‘laissez faire’

Non ostante le sterili ‘resistenze’ opposte dalle corporazioni parassitarie, la ‘globalizzazione’ dimostra la sua ‘naturale’ capacità di imporre in modo irreversibile il superamento graduale ma accelerato dei privilegi delle oligarchie arroccate sui vecchi confini ‘nazionali’ e difese da istituzioni irrigidite dagli ormai obsoleti criteri di Stati Nazione nati al crollo della prima versione della ‘globalizzazione’ gestita dall’Impero Romano.

Anche le due ideologie di carattere ‘universale’ – la ‘cattolica’ e la ‘marxista’ – quando sono mancate di riferimento ai poteri d’un ‘Cesare’ che fossero realmente neutrali in quanto ispirati solo da pragmatismo a sostegno della redditività economica strettamente riferita ad obiettivi di competitività industriale sul libero mercato, hanno mostrato la sterilità delle loro dottrine sociali e lo sbocco integralista e totalitario dei regimi che si fondano sull’integralismo ‘etico’.

Regimi sempre alternativi a quello ‘Occidentale’ che è legittimato dalla separazione più capillare della sfera industriale (la sfera delle competenze di ‘Cesare’) da quella morale (la sfera delle competenze di ‘Dio’ – ogni tipo di religione secolare o trascendente che essa sia). Il ‘laissez faire’ ispira le libertà civili che trovano i loro limiti solo nel reciproco bilanciamento sul libero mercato. Il mercato in cui vengono scambiati beni, servizi e idee ‘consumati’ da acquirenti liberi di attribuire il loro ‘libero’ consenso. Una ‘libertà’ che è misurabile solo sulla base di ‘responsabili’ (in quanto ‘onerosi’) atti di scambio di ‘reddito’ individuale (guadagnato cioè con atti di scambio di ‘lavoro’ sul libero mercato) a fronte di priorità di scelta ispirate solo dal livello individuale di percezione della gerarchia di aspettative e attrattive tra l’offerta di scelte liberamente fruibili.

L’alternativa al ‘dissoluto’ capitalismo-liberale è il ritorno alle ‘virtuose’ satrapie paternaliste e autoritarie in ogni epoca e livello scientifico e tecnologico.

Il libero-mercato e la sua piena responsabilizzazione degli individui nell’assumere le loro scelte più ‘locali’ e libere, è fonte di graduale apprendimento di comportamenti sempre più ‘virtuosi’ in pieno ‘libero arbitrio’ e discende dalla separazione tra peccati e reati; fondatrice della civiltà ‘Occidentale’. La contrapposizione degli interessi egoistici dettati dall’avidità ‘naturale’ se remunerata sul mercato ‘libero’ da vincoli ideologici (etici) o settari (oligarchici), si traduce in irreversibile spinta verso l’abbattimento d’ogni forma di ‘ancien regime’ e di confine; non ostante le costanti obiezioni d’‘illegalità’ ed i relativi vincoli opposti dalle oligarchie a tutela dei loro vecchi privilegi.

L’’imperfezione’ del ‘libero’ mercato è sbandierata infatti dalle oligarchie parassitarie per pretendere che esso sia sostituito dal paternalismo ‘illuminato’ del governo capace di ‘programmare centralmente’ uno sviluppo industriale ‘etico’; cioè ‘equo’ e ‘solidale’. Chiedendo la legittimità di gestire il potere dirigista sostituendo ai criteri (comuni e universali) della pura competitività industriale quelli (dottrinari e settari) dell’ortodossia ideologica.

Il ‘laissez faire’ accetta che l’imperfezione del mercato venga abbattuta con la gradualità che deriva dalla costante maturazione ed affinamento della sensibilità dei produttori-consumatori-risparmiatori-elettori che può seguire percorsi creativi e liberamente percorribili al di sopra del loro contingente carattere di illegalità o illiceità; sempre rimuovibili grazie al progresso civile ed al maggiore potenziale di servizio assicurato dalle nuove soluzioni tecnologiche ed organizzative. Le ‘leggi anti-monopolio’ delegittimano qualsiasi pretesa di controllo del mercato indipendentemente dalla proprietà del monopolista in questione ed indipendentemente dal comparto in cui egli voglia esercitare il suo ruolo di monopolista; nella produzione di beni o servizi o nella distribuzione degli stessi - anche quelli concernenti la politica, la sicurezza, i conflitti industriali o la risoluzione dei contrasti legali.

‘Resistere’ a questa ‘naturale’ propensione umana è sempre risultato sterile e le aspettative di partecipare ai consumi meno ‘etici’ hanno sempre aperto la strada all’innovazione del mercato, spesso tramite percorsi ‘illegali’. Ne sono esempio recente ed eclatante i vari canali del contrabbando industriale o il trionfo delle reti TV ‘private’ che ha abbattuto la gestione dell’informazione controllata da canali di stampo para-fascista. In materia politica l’evoluzione liberista del mercato dell’informazione ha abbattuto l’illiberale criterio dell’arco costituzionale includendo tra i protagonisti il MSI e la Lega Nord. Oggi, infine, l’abbattimento dei confini nazionali ha superato la gestione sindacale, verticista e ‘universale’, nelle negoziazioni industriali. Questa vera ‘rivoluzione’ delle relazioni produttive sta isterilendo gradualmente i poteri delle oligarchie politiche che sono ancora al controllo delle istituzioni dei vecchi Stati Nazione. La nuova governance globale sarà definita dalle esigenze produttive soprannazionali e dalle associate aspettative soprannazionali dei consumatori.

I ‘servizi politici’ dovranno maturare nuove sensibilità propositive sulla cui base ricevere nuova legittimità elettorale, prerequisito alla legittimazione dei nuovi poteri istituzionali soprannazionali.

Queste considerazioni rendono palesi le ragioni per cui ogni governo nazionale (anche in Francia, Germania, Giappone, Russia, Cina ed USA) risulti oggi incapace di assumere soluzioni efficaci sulla traccia dei rimedi di intervento tradizionali. La loro sfera di controllo sta rapidamente crollando e la loro capacità di influire sulle istituzioni demandate a ricoprire ruoli di relazione internazionale (diplomazia, organi di emissione, alleanze militari, accordi commerciali, etc.) diminuisce di efficacia congiuntamente col calo di efficienza operativa di quelle stesse istituzioni. Un qualsiasi Assange può mettere in crisi la diplomazia internazionale ed isterilire ogni difesa del sistema bancario minacciato da un efficace sistema di scambi finanziari (speculativi ed invisi ai singoli regimi nazionali; ma pienamente legali). La libertà di circolazione dei capitali, delle merci e servizi rende obsolete (e spesso ‘illegittime’) le vecchie forme istituzionali di vincoli nazionali (fiscali, bancari, legali, doganali, amministrativi, etc.) ereditati dall’estinta era degli Stati Nazione. Il nuovo potenziale di sviluppo economico riceve intralci operativi dalle vecchie istituzioni e criteri di governance.

Queste ragioni conducono alle sterili conclusioni degli incontri tra vertici istituzionali ormai privi di potere e tutti in attesa che la globalizzazione industriale consolidi le sue esigenze produttive (e le relative aspettative dei consumatori) per ridefinire a quella misura i propri nuovi ruoli di servizio tali da poter raccogliere un adeguato consenso elettorale soprannazionale in grado di legittimare i loro nuovi poteri istituzionali.

Le aspettative sollevate dai media in occasione degli incontri internazionali sono quindi spettacolarizzazione priva di reali conseguenze. Così come ogni iniziativa assunta dalle vecchie istituzioni sul piano politico è sterile in quanto prematura rispetto alla maturazione di adeguate sensibilità diffuse e condivise sul piano internazionale.

Esempi di tali sterili esercizi sono quotidiani. Gli accordi sul controllo dell’inquinamento ambientale, così come le proposte di accoglimento referendario della nuova carta costituzionale europea, così come l’accordo in sede UE sulla copertura dalla speculazione finanziaria che affligge le economie nazionali più indebitate dai vigenti programmi di un welfare state non più sostenibile.

Si tratta di incontri ‘al vertice’ tra vertici privi di potere e, soprattutto, privi d’una chiara visione sulle non ancora stabilizzate nuove aspettative sociali e, quindi, non ancora in grado di dimensionare a esse le proprie proposte di azione collettiva da negoziare con le future istanze conflittuali.

Le nuove aspettative sociali sono già maturate in modo ampiamente diffuso grazie all’accessibilità dei nuovi consumi ed al rapido consolidamento degli scambi di massa di beni, persone e servizi. Questa condivisione di comuni interessi da parte di consumatori (carte di credito, viaggi low cost, media entertainment, education, comunicazioni, auto, sanità, studio, etc.), risparmiatori (hedge funds, fondi pensione integrativi, seconde case, beni rifugio, venture aziendali, etc.) e produttori (delocalizzazioni, bilance commerciali, domanda di energia e di commodities, etc.) hanno creato crescente comunanza nelle aspettative di stabilità negli scambi valutari e nella remunerazione del reddito che si stanno traducendo in aspettative di armonizzazione fiscale, di aperture doganali e di adeguamento del diritto amministrativo, societario e sindacale.

Questa nuova aspettativa maturata in modo diffuso sul mercato della produzione industriale ha creato una diffusa disponibilità dei produttori ad adeguare i propri comportamenti a nuovi processi produttivi più atti ad accelerare gli investimenti occupazionali su base globale. L’accettazione della nuova flessibilità sul lavoro è compensata da maggiori crescite dei redditi a fronte della maggiore precarietà nello sviluppo industriale in corso. A questo proposito è emblematico il comportamento delle istituzioni sindacali e statali di fronte alla proposta di riorganizzazione industriale intrapresa da Marchionne per conto del gruppo Fiat in due sistemi industria-stato caratterizzati da diverso grado di rispetto delle esigenze del capitalismo-liberista ma di pari condivisione delle regole del regime liberal-democratico: l’Italia e gli USA.

I sindacati USA UAW hanno aderito velocemente alle esigenze di condividere i costi della riorganizzazione e di condividerne rischi e benefici di ritorno sull’investimento dei propri fondi pensione. Insieme alla proprietà Fiat hanno inoltre intrapreso un’azione di lobbying sul governo federale USA che ha partecipato offrendo risorse finanziarie a spese dei contribuenti per accelerare il ritorno a bilanci industriali attivi.

I sindacati ‘liberali’ in Italia (CISL, UIL, UGL) hanno aderito alle analoghe, simmetriche richieste di modifica del diritto del lavoro mentre i sindacati più ideologicamente integralisti (CGIL) hanno mostrato resistenza ad aderire alle richieste. Questa diversa partecipazione sindacale alle proposte di cambiamento del diritto del lavoro ha impedito la costituzione di un fronte unito di lobbying sul governo italiano che resta quindi in fase di attesa che si stabilisca un’unanimità tale da giustificare eventuali sostegni statali ad una iniziativa che tutti ritengono necessaria per ‘svecchiare’ il sistema industria-stato in Italia. È emblematica anche la posizione del sindacato datoriale a proposito di questa fase di cambiamento del diritto del lavoro. Infatti la Confindustria, abituata ad aderire a comode (anche se ormai obsolete e inadeguate) procedure consociative di scelte industriali stabili al livello nazionale (contratti di lavoro nazionali), mostra scarsa propensione a dare sostegno ai sindacati operai più ‘liberali’; rallentando così l’evoluzione del diritto, la decisione di nuovi investimenti produttivi e, quindi, la successiva adesione delle istituzioni statali alle nuove realtà produttive.