24/09/2010

Istituzioni, sviluppo e governance nell’era della globalizzazione

Oscar Giannino ha organizzato con tempestiva sensibilità liberale una trasmissione a commento delle dimissioni di Profumo da Unicredit. L’argomento merita elevata attenzione in quanto dimostra la crisi che, a seguito dell’inarrestabile globalizzazione industriale, sta vivendo il sistema istituzionale in ogni Paese. La crisi, come tutte le crisi, è un segno positivo di vitalità del sistema industria-stato e connota il processo di trial&error che il sistema istituzionale dei vecchi Stati Nazione persegue tentando di definire il nuovo sistema di regole di una governance condivisa del sistema globalizzato.

È evidente che il processo di revisione della nuova governance coinvolga tutte le istituzioni e le relazioni che esse devono intrattenere al fine di comporsi in ‘sistema’ dotato di efficaci capacità di auto-regolarsi.

Ogni sistema dinamico e vitale è caratterizzato da instabilità dovute alle congiunture più imprevedibili e la sua competitività è definita dall’efficienza in cui esso ristabilisce un’omeostasi diffusa e condivisa da tutti i sottosistemi che lo compongono. Sottosistemi regolati da un reciproco gioco di check&balance tra ‘poteri’ istituzionalmente riconosciuti, di distinte attribuzioni tutelati da regole trasparenti capaci di garantirne l’autonomia operativa. Tra le istituzioni figurano quelle private (aziende, associazioni) e le statali (esecutivo, legislativo, giurisdizionale) ma ne figurano alcune non estranee a entrambe e ancora non chiaramente definite nei loro poteri e responsabilità istituzionali (ricerca e media tra i più evidenti).

Tutte le istituzioni sono d’interesse ‘pubblico’; sia le statali, sia le private come quelle che ancora non sono state formalmente ‘responsabilizzate’ sul piano del gioco liberal-democratico dei check&balance.

Una gerarchia di criteri legittima il peso reciproco vigente tra le ‘istituzioni’; esse sono tutte al ‘servizio’ dell’istituzione privata e fondamentale per eccellenza – la ‘famiglia’ e le sue esigenze naturali.

È la ‘famiglia’, qualsiasi sia la sua definizione legale, racchiude il cuore della privacy che deve ricevere tutela per poter garantire la crescita sociale sul campo in piena autonomia e ‘responsabilità’ culturale.

L’istituzione che segue la ‘famiglia’ in peso gerarchico è l’azienda di cui occorre tutelare l’autonomia e la responsabilità operativa perché essa sappia provvedere alla sua fondamentale missione; produrre un sano sviluppo industriale e crescita di ricchezza. Senza la produzione di ricchezza nessuna delle altre istituzioni potrebbe infatti vivere le proprie attività ‘filosofiche’ istituzionali; “primum vivere, deinde philosophari”. La gerarchia dei pesi delle aziende è stabilita dalla loro capacità di ‘produrre reddito’ o di dare il proprio concorso alla crescita del Prodotto Interno Lordo. Le aziende che curano la gestione della risorsa più contesa – quella finanziaria – diventano le più critiche per la crescita del reddito nazionale e per finanziare ogni altra istituzione d’interesse pubblico e privato. Le banche hanno quindi il compito di garantire la redditività del risparmio collocato sui progetti industriali, mentre il compito dei gruppi finanziari è di garantire la solidità del valore in cui è misurato il risparmio.

Una regola inderogabile comunque nell’ambito di qualsiasi istituzione è quella di distinguere i ruoli di gestori (la catena manageriale) e proprietà (i consigli di amministrazione); i primi ricevono deleghe di esecuzione di specifici mandati operativi nell’ambito di affidamento di risorse aziendali e di obiettivi da raggiungere, i secondi affidano risorse proprie e sopportano la responsabilità delle scelte di risorse e di obiettivi assegnati dal management.

Il ‘potere’ reale risiede nelle risorse di cui ogni membro del consiglio di amministrazione si priva per assumere il ‘rischio’ delle direttive ispiratrici della politica aziendale.

I manager gestori dell’esecuzione delle strategie sul campo non hanno potere reale ovvero non hanno risorse disponibili che non siano già inadeguate allo sviluppo delle loro attribuzioni operative. Questa è una delle ragioni per cui l’amministrazione aziendale deve essere tutelata da una contabilità trasparente ed è illecito o criminale il costituire ‘riserve nere’ a disposizione dei gestori. Nessuna ‘riserva’ può essere ‘nera’, esse sono tutte sottratte al risparmio investito nei programmi aziendali o ai margini di profitto che quei programmi hanno generato; tutti elementi della proprietà aziendale.

Ciò vale sia per le istituzioni private (le aziende) sia per quelle pubbliche (associazioni o istituzioni statali). Anche i rappresentanti eletti al parlamento sono privi di ‘potere’ in quanto le risorse di cui essi dispongono sono solo prelievi fiscali diretti o generati dall’efficiente gestione d’istituti di proprietà dello stato e quindi finanziati da risorse fiscali precedenti (o addirittura sottratte illecitamente dalla proprietà di un privato – come nel caso degli espropri forzati).

Detto ciò risulta forse evidente come il recente ‘caso Profumo’ sia composto da due aspetti.

Il primo è quello di un manager che è stato ritenuto dalla proprietà troppo disinvolto nella sua gestione del loro risparmio e quindi di avere deciso con troppa autonomia strategie aziendali il cui rischio di impresa restava invece addebitato alla proprietà. Ciò potrebbe succedere anche a Marchionne qualora non concordasse e non ottenesse il via libera dalla proprietà Fiat di condurre le operazioni di split e di internazionalizzazione del gruppo. Ciò è d’altronde già accaduto con Romiti che fu estromesso dal suo ruolo dalla proprietà. Ciò invece non accadde a Mattei, per l’inefficienza che governa le istituzioni dello stato, cui il consiglio d’amministrazione (esecutivo con atto formale del legislativo) aveva affidato il ruolo di liquidatore dell’Agip; creando uno storico caso di abuso di potere da parte di uno dei migliori ‘grands commis’ che l’Italia abbia avuto nel dopoguerra. Profumo avrebbe potuto essere un nuovo ‘caso Mattei’ nell’istituzione bancaria più grande alle soglie dell’epoca globale. Sulla linea evolutiva tradizionale che la storia umana illustra nei casi di abuso di delega da parte di grands commis in qualsiasi istituzione. Il caso Napoleone è emblematico per l’evoluzione drammatica oltre gli originari confini settoriali e istituzionali, oltre i confini generazionali sia nazionali che esteri. Al giovane, sconosciuto e ambizioso ufficiale, fu affidata (per liberarsene in modo defintivo) una precisa missione (la conquista d’Italia) affidandogli la delega di comando su un coacervo di risorse ritenute inadeguate a quel fine (armata d’Italia). Il ‘valore aggiunto’ di Napoleone trascendeva le sue strette abilità militari ma quelle furono il suo contributo professionale che trasformò la sua missione in un successo sulla cui base fu in grado di fondare la sua crescita grazie agli ulteriori ‘carismi’ politico-diplomatici – che erano sempre un’aggiuntiva risorsa personale. Ciò è accaduto in tutti i casi analoghi in cui (seppure con minori ripercussioni istituzionali e geo-politiche) un grand commis sia riuscito a dare alle risorse originariamente affidategli un ‘valore aggiunto’ di dimensione tale da trasformarlo in ‘tycoon’ nel suo comparto d’industria. In tutti quei casi si è trattato tuttavia di carente ‘gestione aziendale’ da parte dei rispettivi consigli di amministrazione nei confronti dello sviluppo delle originarie operazioni sul campo affidate in delega. In tutti quei casi le istituzioni sono state tradite nei loro mandati di definire gli obiettivi, assegnare le risorse e controllare la coerente esecuzione. Spesso quei ‘tradimenti’ si sono tradotti in innovazione delle politiche e del mercato e quindi in una ‘serendipity’ che nessuno se non la storia può garantire risulti benefica per la generalità del mercato stesso. Napoleone lo stravolse e inaugurò l’era dello Stato Etico con riverberi nei molti ‘fascismi’ (dal comunismo al nazional-socialismo).

Il secondo aspetto è invece il più interessante in quanto ci aiuta a fare una riflessione sul ‘potere’ e sui ‘poteri istituzionali’ alle soglie della governance globale. Si ribadisce che il ‘potere’ reale è quello dettato dalla capacità di generare aumento di reddito; è quindi misurato nella disponibilità di risparmio e nella riconosciuta capacità (‘credito’) di aumentarne il ritorno sugli investimenti scelti ‘responsabilmente’.

Il ‘potere’ reale è quindi di chi sa ‘intraprendere’ in piena responsabilità (ogni singolo ‘produttore’ è imprenditore di sé stesso, del suo team in azienda o della sua azienda individuale o collettiva che sia) e dimostra di saper generare risparmio; accumulare più di quanto spenda.

I ‘poteri istituzionali’ invece sono esecutori di deleghe decise dai portatori di potere reale per attuare le quali essi spendono risorse altrui controllate da rappresentanti d’una proprietà che, nel caso dello stato, è quella diffusa dell’elettorato politico.

Ora in piena epoca globale, alla ricerca di definire i caratteri della nuova governance, è evidente che il ‘potere reale’ (quello industriale) affronti sul campo i rischi del proprio fallimento in un contesto che travalica i vecchi confini geo-politici e quindi eserciti il suo ruolo egemone di primazia gerarchica. Ciò è stato sempre l’elemento d’innovazione e crescita del benessere economico. Se la ‘globalizzazione’ avesse dovuta essere decisa dalle istituzioni statali, non sarebbe mai partita e il prodotto interno lordo globale non avrebbe potuto crescere ovunque così celermente com’è invece avvenuto; provocando l’accelerata crisi che stiamo osservando per tutte le istituzioni.

L’autonoma scelta di adeguare l’azienda banca al mutato contesto geo-politico ha costretto la proprietà a rischiare le proprie risorse finanziarie con acquisizioni estere, apertura a mercati nuovi, adeguare la propria comprensione di un contesto operativo alieno. I rischi sono stati enormi così come le risorse che sono state investite. Sembra pienamente naturale quindi che le decisioni industriali assunte abbiano potuto coinvolgere i proprietari del risparmio da investire con tutte le loro vecchie relazioni aziendali e associative nazionali. Le relazioni sociali costituiscono un aspetto patrimoniale di ogni azienda e sono spesso regolamentate da apposite normative del lobbying industriale. È evidente quindi che le decisioni strategiche di politica industriale abbiano coinvolto le vecchie istituzioni politiche nazionali grazie alle relazioni intrattenute dalla proprietà della banca con le ‘istituzioni statali’ e i loro rappresentanti.

Profumo in questo senso è stato uno dei portatori di relazioni personali a sostegno delle sue decisioni strategiche. Ciò che lo ha fatto estromettere dalla guida del gruppo è stato solo avere contato più sulle proprie relazioni che non su quelle intrattenute dai membri del consiglio di amministrazione. Finché le scelte non hanno creato disagio sono state tollerate, una volta superati i limiti di tolleranza, i detentori del potere reale hanno riaffermato i loro diritti proprietari; inclusivi del rischio di perdere con Profumo un asset insostituibile per la crescita del valore competitivo della banca sul mercato globale.

It’s the economy; stupid!