24/09/2009

Globalizzazione e ruolo-guida

Gli Stati Uniti d’America sono sede oggi della più reattiva e competitiva economia industriale al mondo. Il prodotto interno lordo (PIL) degli USA e l’estensione internazionale dei suoi interessi industriali gli impongono l’obbligo di definire una politica estera che sia capace di accattivarsi la cooperazione di altri Paesi ai suoi processi produttivi e distributivi e di sostenerne l’efficacia (sicurezza e redditività) grazie ad un credibile apparato di “carote” diplomatiche e di “bastoni” militari.

Tutti gli altri Paesi non hanno né l’estensione e dimensione di interessi, né le risorse capaci di surrogare gli USA nel ruolo di protagonista nell’onere di definire una sua linea strategica. Aggregati di Paesi (come l’UE) pur avendo una dimensione di PIL comparabile a quella degli USA, mancano di competitività per l’assenza di unicità di linguaggio delle strutture statali che mancano di comparabili organicità giurisdizionale e politica e sono caratterizzati dalla frammentazione dei loro sistemi industriali che isterilisce l’efficacia degli investimenti in innovazione industriale. L’assenza di organicità politica inoltre inibisce all’UE la capacità di articolare una strategia politica di comparabile organicità ed adattabilità al turbolento contesto globale.

Solo successivamente alla formulazione di un progetto strategico da parte degli USA, gli altri Paesi possono sviluppare proprie azioni e iniziative caratterizzate da “ricatti” e promesse di sostegno che consentano loro di negoziare spazi di propria convenienza alla luce della credibilità dei loro ruoli e della consistenza del loro sistema produttivo e nel contesto delle finalità definite dal programma strategico USA.

Questo preliminare programma strategico USA oggi non dispone più delle risorse che essi potevano permettersi di investire in altre epoche. La disparità tra PIL USA e quello mondiale oggi è ridotta rispetto a quanto fosse decenni or sono. Gli USA pertanto devono commisurare l’estensione delle finalità strategiche di proprio interesse al nuovo peso-relativo del loro prodotto interno rispetto a quello globale. Ciò influisce sui contenuti del programma ma non incide sull’obbligo che incombe sugli USA di darne definizione in autonomia e priorità preliminare su ogni altro Paese. È un “gioco” nel quale, al momento, “la mano” sta agli USA che non possono “passare”.

Obama non può esordire all’ONU dichiarando l’”incapacità” degli USA di definire una strategia se non nell’ambito di un improbabile consesso condominiale. L’ONU non è né può essere il “parlamento globale” nel quale possano essere definite scelte politiche in quanto non è un consesso di eletti dal popolo, né i Paesi rappresentati si ispirano a compatibili principi di legittimità giuridica. Né l’ONU dispone di un credibile apparato esecutivo sostenuto da un adeguato strumento militare necessario per assicurare l’attuazione in pratica delle scelte politiche.

Il risultato di un tentativo di trasferire nell’assemblea ONU il compito di definire le scelte strategiche sarebbe un immobilismo politico decisionale nel cui contesto ogni Paese sarebbe autorizzato a sviluppare in piena creatività proprie iniziative senza neanche doverle negoziare con gli interessi USA.

Obama deve assumersi la responsabilità di definire in piena autonomia una strategia che, a posteriori, gli altri Paesi riescano a riconoscere adeguata ad accomodare, seppure in minore livello di priorità gerarchica, i propri interessi interni e regionali. A misura delle proprie ambizioni e dimensioni di PIL.

Diverso sarebbe se Obama, chiarito all’ONU formalmente che gli USA non possono curare una politica globale, dichiarasse di essere costretto a limitare le proprie scelte e iniziative per adeguarle alla gerarchia di interessi nazionali USA ma di essere disponibile tuttavia a tutelarne l’efficacia e la sicurezza tramite negoziazioni bi-laterali di “carote” e di “bastoni” nei confronti di ogni altro Paese. Uscendo dall’ONU fino al momento in cui questa assemblea non si fosse dotata di un ordinamento compatibile coi principi fondanti della civiltà ‘Occidentale’. Una sorta di nuova “dottrina Monroe” integrata da un interventismo alla Teddy Roosevelt aggiornata al contesto globale odierno.

Gli USA possono e debbono restare un “simbolo” estraneo agli Stati Nazione in piena destrutturazione interna. Solo in quanto “simbolo” dotato di autonomia decisionale e strategica ma di disponibilità a trattare con partner ispirati da principi compatibili gli USA possono conservare il proprio ruolo pilota nella crescita della civiltà ‘Occidentale’ su base globale. Appiattendosi su comportamenti condominiali con interlocutori di minore credibilità ed attrattiva umana e sociale, gli USA sono destinati a perdere ogni loro legittimità nel ruolo di protagonista politico non ideologico nel mondo.