24/07/2009

Nuovo Ordine Globale e inadeguatezza degli Esecutivi

L’inadeguatezza delle istituzioni dei vecchi Stati Nazione è messa in evidenza in tutti i vecchi Stati Nazione di fronte alla necessità di governare l’economia industriale che ha ormai consolidato la sua dimensione sullo scenario geo-politico globale.

In Italia, in cui l’efficienza dell’esecutivo è stata messa in sottordine dalla “centralità del parlamento” dettata da una Costituzione concordata nell’immediato dopo-guerra (ormai archeo-politica) per due ragioni: 1) cancellare i poteri forti dello Stato ereditati dalla legislazione fascista e 2) agevolare una governance extra-istituzionale da parte dei due partiti forti ispirati a due visioni etiche dell’economia entrambe insofferenti del libero mercato che affida priorità alle decisioni industriali sulla base dei criteri del capitalismo, non ideologici ma dettati esclusivamente dalla redditività nella più aperta competitività sul mercato.

Il brevissimo periodo di governo liberale sotto la guida di De Gasperi e Einaudi (entrambi portatori di visioni minoritarie nel Paese) generò in Italia il “miracolo economico” agevolato dal sostegno finanziario del Piano Marshall americano ed avviò l’era dell’internazionalizzazione dell’economia industriale col trattato di Roma.

I “poteri forti” tra cui i tradizionali monopolisti industriali cui si associò il “maverick” Mattei che riuscì a creare l’ENI liberandosi da vero tycoon della missione di liquidare l’AGIP si unirono ai poteri della finanza internazionale sostenuta dagli eredi del partito d’azione (in primis il PRI di Ugo La Malfa) consolidando gli istituti fascisti dell’IRI sia nella sua branca bancaria (con Mediobanca al vertice degli accordi strategici tra pubblico e privato), sia nella branca industriale (con le due istituzioni corporativa Confindustria e statale Intersind).

Nel contesto degli equilibri geo-politici internazionali imposti dalla “guerra fredda” questo ritorno ad una economia ispirata a principi etici ed agevolata da una “centralità del parlamento” permise ai due partiti di massa egemoni della politica italiana di concordare le decisioni economiche nazionali sulla base di un mutuo sostegno a reciproca soddisfazione delle aspettative delle rispettive constituency elettorali. Si consolidò così ed affinò le sue procedure extra-parlamentari quello che viene oggi etichettato come “consociativismo” che permise al partito comunista (egemone a sinistra ma impossibilitato a prendere il potere per ragioni sia interne che internazionali) di garantire una opposizione extraparlamentare con iniziative sindacali limitate pur di ottenere benefici politici e finanziari che ne integrassero i finanziamenti illegali dall’URSS al partito dei cattolici che restava garante dei “poteri forti” (ostili al libero mercato per interessi privati) e del Vaticano (ostile al libero mercato per ragioni secolari e ideali).

Crollato il muro di Berlino, l’internazionalizzazione dell’economia industriale ha trovato impreparati alla competizione di libero mercato sia il sistema bancario che quello dei gruppi industriali meno familiari con lo scenario mondiale. Le piccole e medie industrie più competitive (che costituivano l’indotto nella precedente fase di “economia programmata”) che erano state costrette ad assorbire tutte le inefficienze del sistema industriale nazionale e i pochi gruppi industriali che erano stati spinti ad internazionalizzare le proprie produzioni (tra cui Pirelli ed ENI) sono le industrie italiane che hanno dimostrato forti capacità di adeguarsi al nuovo scenario globale.

Siamo giunti ora a prendere atto dell’assoluta inadeguatezza della Costituzione (tra l’altro mai applicata in coerenza coi suoi dettami teorici o solo in epoche tardive e in modi incompleti – poteri del CNEL, poteri del CSM, stato giuridico dei sindacati, stato giuridico dei partiti, etc.) e dell’inefficienza dell’esecutivo in base al criterio della “centralità del parlamento ” in un’epoca in cui si richiederebbe invece un livello elevato di scelte efficienti ed efficaci per adeguare il sistema produttivo italiano alle esigenze della nuova governance globale che ci piombano dall’estero imposte da ragioni che trascendono le nostre dimensioni geo-politiche.

L’inadeguatezza dell’esecutivo viene superata infatti sempre più ricorrendo a decreti legge onni-inclusivi che sostenuti da “voti di fiducia” superano ogni residua resistenza corporativa e illiberale che ancora ispira nel parlamento i rappresentanti dei residui partiti eredi della prima repubblica. Gli unici partiti che raccolgono il consenso del più vasto tessuto produttivo nazionale non-parassitario emersi col crollo del muro di Berlino e agevolati dall’azione mirata e para-politica di mani pulite che ha messo in “libera uscita” (sia a sinistra che a destra) l’elettorato meno ideologicizzato (La Lega Nord e il PdL) riescono a catturare la simpatia elettorale grazie alla forte ostilità che produttori, risparmiatori e consumatori “proiettano” tutta la loro avversione per ogni forma di “etica di mercato” memori degli abusi della Prima repubblica e ormai molto consapevoli delle dimensioni soprannazionali del benessere industriale.

Mi spiego. L’esodo dei cervelli all’estero è una naturale conseguenza delle dimensioni offerte ai giovani dal mercato mondiale del lavoro. Ogni tentativo di richiamarli in Patria con stimoli estranei ad offerte di lavoro più appetibili per loro individualmente rischia di attrarre solamente chi ha fallito nella sua competitività personale e trova più comodo rientrare per pure ragioni finanziarie di natura parassitaria. Così come ogni richiamo in Patria di capitali che sono usciti dal Paese per pure ragioni di maggiore redditività rischia di ridursi a pura azione finanziaria di reciproca convenienza momentanea qualora non sia accompagnato da una coerente maggiore redditività fiscale o produttiva industriale. Sono solo due esempi attualissimi.

L’efficienza dell’esecutivo in attesa che la Nuova Governance Globale concordata all’estero (G2, G8+5, G20+) sulla base del celere consolidarsi mondiale dell’economia globalizzata è un’esigenza fondamentale per l’economia italiana e potrebbe facilmente essere ottenuta con il semplice accordo “bi-partisan” parlamentare con la modifica dei regolamenti interni di Camera dei Deputati e Senato. A ciò si oppongono gli eredi politici della Prima repubblica che “a-sinistra” si ostinano a resistere-resistere-resistere nel sempre più evanescente tentativo “reazionario” di conservare privilegi corporativi (di partito, sindacali e industriali) che giorno dopo giorno sono resi insostenibili alla luce delle esigenze dell’economia industriale globalizzata. Si tratta di uno sforzo ingegnoso, illiberale, sterile in quanto improduttivo che non viene solo isterilito dalle ragioni della competitività industriale ma che è in conflitto perfino con le ragioni ideali che ispiravano le “politiche de sinistra” sia all’insegna della solidarietà internazionale tra proletari sia all’insegna della solidarietà cristiana. Infatti la “delocalizzazione” delle fasi produttive industriali più man-power-intensive al Sud risulta molto più rispettosa delle aspettative di miglioramento del benessere economico dei Paesi poveri rispetto ad astratte richieste di “accoglienza” di masse relativamente privilegiate di emigranti che, non ricevendo opportunità di lavoro nei propri Paesi, li impoveriscono della loro intraprendenza e professionalità a costo di traumatiche conseguenze personali, familiari e del contesto sociale che li accoglie.

La Chiesa di Roma infatti (tra i vecchi poteri istituzionali attivi in Italia) è la prima ad avere avviato una rilettura della dottrina sociale alla luce del libero mercato globalizzato con la recente Enciclica di Benedetto XVI e il graduale accostamento del Vaticano alla sede in cui si sviluppa con maggiore credibilità la nuova governance globale: Casa Bianca e Congresso di Washington DC.

È inutile protestare di lesa maestà da parte di un Parlamento italiano sempre sterile da quando è nato sia per la sua strumentalità a scelte extra-istituzionali (ENI e partiti-taxi DC, PCI in primis). Se Fini potesse sarebbe in grado di modificare in pochi mesi i regolamenti interni per accelerare le riforme costituzionali e dare dosi adeguate di efficienza all’esecutivo senza richiedere inutili perché sterili battaglie mediatiche contro la ovvia esigenza dell’esecutivo (sostenuto inoltre da una maggioranza parlamentare in entrambe le camere) di agire in coerenza con le sue visioni strategiche e di reagire alle iniziative che provengono dal contesto geo-politico internazionale in via di assestamento su nuovi canoni di legittimità industriale e di relativa governance.