24/05/2009

Mammona: Fede e Fiducia nella civiltà ‘Occidentale’

Il problema del costruire la sicurezza su basi solide ha caratterizzato sin dalla nascita la civiltà ‘Occidentale’. L’affinamento dei meccanismi della previdenza e della prevenzione dalle molte forme di esposizione al rischio che minacciano la solidità del benessere costruito per noi stessi e per i nostri discendenti ha condotto il capitalismo liberista a sviluppare tutte le forme di sicurezza sociale che caratterizzano l’economia sociale di mercato. Al crescere tuttavia delle provvidenze materiali cresce anche la consapevolezza che non tutti gli aspetti del benessere possono essere ricondotti ad una loro copertura finanziaria. Solamente una contingente pacificazione della coscienza può essere barattata con compensi di ricchezza materiale.

Questa sensibilità nei confronti della sicurezza immateriale è stata profondamente innovata dalla visione della vita ispirata dal cristianesimo. Essa ha introdotto nell’etica sociale un individuale tipo di responsabilità verso il prossimo e verso noi stessi che a sua volta è stato responsabile di tutte le forme di carità che hanno sviluppato nel mondo le attività missionarie ispirate alla compassione per i meno fortunati.

Queste due cariche di energia psichica sono innate in ogni individuo e lo obbligano tramite il disagio personale ad assumere comportamenti sociali più idonei ad appagare i suoi individuali bisogni lungo una gerarchia di gratificazioni che caratterizzano la scala del benessere. Ciò è stato descritto con chiarezza e gradualità dalle scienze umane con suggestive introspezioni della psicologia relative alle sue riverberazioni sui comportamenti che caratterizzano gli individui e sulle loro reciproche relazioni nei gruppi sociali organizzati.

La civiltà ‘Occidentale’ ha avuto il merito di riuscire ad ospitare in modo coerente le due spinte che animano l’aspirazione a gratificare il benessere nel corso delle decisioni amministrative di governo della cosa pubblica con spinte divergenti e spesso mutuamente confliggenti.

Servire Mammona o Dio è la presenza costante che ispira i comportamenti individuali nella società ‘Occidentale’ che è tale in quanto ‘laica’ ma di ispirazione ‘cristiana’.

La parabola del padrone che esalta il comportamento duplicemente truffaldino che caratterizza tutti i cristiani è un’ottima sintesi della responsabilità individuale che incombe sui cittadini occidentali nel loro crescere in santità (se letto alla luce della morale religiosa) o in etica sociale (se letto invece alla luce del patto sociale in uno Stato moderno).

L’amministratore aveva sottratto ricchezze al suo padrone ed avrebbe corso il rischio di restar privo di ogni sicurezza materiale qualora, dopo gli imminenti controlli, fosse stato giustamente licenziato. In previsione del rischio di perdita di ogni sicurezza futura, l’amministratore convoca velocemente i debitori del suo padrone e, forte del mandato ancora affidatogli, abbuona a ciascuno metà del debito da essi accumulato. Lungi dall’infierire sul suo amministratore per questa duplice forma di furto, il padrone ne loda il suo prudente anche se ‘peccaminoso’ comportamento che destina la distribuzione della ricchezza sottratta a diffondere la fruizione del benessere anche se motivato dall’accattivarsi le simpatie dei suoi simili. Si tratta di un uso di Mammona deprecabile ma accettato come stabile tipo di motivazione umana e destinato a raggiungere una forma di sicurezza sociale condivisa anche se non ispirata ai comportamenti individuali più auspicabili per un perfetto cristiano.

Insomma la ‘sicurezza’ che ogni individuo cerca di raggiungere nella sua lenta crescita umana, professionale, sociale e religiosa costituisce quell’etimologico ‘Amen’ che presenta costantemente aspetti secolari (il laico Mammona) ed aspetti trascendenti (l’Amen del cristiano perfetto). La civiltà ‘Occidentale’ è riuscita ad offrire legittimità di convivenza a tutti gli individui a qualsivoglia livello di ‘santificazione’ essi si trovino al momento purché essi accettino di rispettare la ’libera scelta’ di motivazione e di comportamento di ciascuno. Libere scelte che, per essere realmente ‘libere’, devono risultare per ciascuno assolutamente ‘responsabili’ sul piano individuale. Solo la responsabilità delle conseguenze associate alle proprie scelte è lo strumento che costringe ciascuno a maturare scelte più attente agli aspetti spirituali della gratificazione del benessere. Ogni rinuncia a beneficio altrui deve essere ‘gratuita’ e quindi attuata con atti di carità. Ogni forma di solidarietà attraverso la raccolta di risorse fiscali non matura i comportamenti né le percezioni dei singoli e ricade tra i comportamenti di cui alla parabola dell’amministratore truffaldino.

La presenza del ‘male’ così come della spinta verso la ‘santificazione’ nell’intimo di ogni cittadino è il capitale che il cristianesimo ha iniettato nel sistema istituzionale greco-romano dando origine alla civiltà ‘Occidentale’ coi suoi successivi sviluppi formali (liberal-democrazia, capitalismo liberista, libertà di opinione, libertà di ricerca, libertà di intraprendere) fino al ‘Mammona globalizzato’.

Cattolici o protestanti: le due dimensioni della Chiesa cristiana

Di frequente la gerarchia della Chiesa Cattolica è stata sottoposta a critica interna da parte della sua base di preti e fedeli.

La critica è sempre stata mossa dai sacerdoti più appassionati del ruolo di diffusione del vangelo nei confronti delle istituzioni che curano lo studio e l’ortodossia teologica del rito e della dottrina.

Si tratta di un tipo di contrasto presente in ogni istituzione complessa anche se non ispirata da fini spirituali. Infatti esiste un confitto costante tra chi deve raggiungere ‘sul campo’ i risultati aziendali e chi invece con responsabilità di governo centrale è più attento ad evitare i rischi che i cambiamenti suggeriti per agevolare le operazioni sul campo possano riverberarsi sulle coerenza e continuità delle stesse operazioni e ‘ragioni sociali’ per le quali è stata creata l’istituzione.

Questa costante e salutare discrasia tra le motivazioni che animano la gerarchia verticale rispetto ai missionari che operano orizzontalmente nel contesto delle molte diversità che caratterizzano i fedeli rischia spesso di servirsi del linguaggio ecclesiale dando interpretazioni conflittuali al vangelo stesso e generando quindi tensioni irrecuperabili e potenziali separazioni tanto dolorose quanto inutili (gli scismi) per il conseguimento dell’evangelizzazione e, quindi, della costante maturazione nella società capitalista-liberale dei comportamenti dei suoi protagonisti. Ciò rischia di rallentare l’avvento di un capitalismo in cui la ricerca di sicurezza affidata a Mammona risulti minoritaria rispetto alla ricerca di sicurezza affidata a comportamenti più schiettamente cristiani.

Tra le voci che mi sembra esprimano equivoco per i fedeli, il rispetto della tradizione liturgica e delle forme di predicazione sono le più delicate. Spesso le innovazioni introdotte dai Concili Ecumenici si traducono in immotivati conflitti sull’ortodossia.

È naturale che un sacerdote inizi la sua attività in qualità di ‘missionario’ e che la dote più preziosa in questo ruolo sia l’entusiasmo. È anche naturale che, per essere efficace, egli debba immedesimarsi al meglio nella cultura locale che comprende miti, tradizioni, usi e lingua. Solo dopo essere stato accettato come rispettoso membro della comunità visitata egli potrà cercar di trasmettere i messaggi evangelici in forme accettabili per i nuovi catecumeni. È quindi chiaro che i riti possano essere resi di più agevole comprensione se formulati nella lingua e con un corredo di forme coerenti con gli usi e i modi d’espressione locali. Ciò vale per ogni altro tipo di adeguamento formale alle diversità culturali che occorre rispettare per non perderne i potenziali apporti alla civiltà umana. Sono i missionari che accettano di staccarsi dalle proprie tradizioni per poter incarnare nella nuova cultura l’essenza del messaggio evangelico. Lo scopo che lo anima di passione nella sua missione e che spesso gli richiede di testimoniare (di essere ‘martire’) ai nuovi conversi con la propria vita il comportamento di Gesù (la passione). Questa primaria motivazione missionaria tuttavia dovrebbe risultare finalizzata ad un primario scopo e cioè la ‘conversione’ dei non cristiani al vangelo.

Questo secondo fine impone che i ‘missionari’ (cioè tutti i sacerdoti sul campo) pur nella disparità dei loro linguaggi e forme rituali trasmettano ai catecumeni delle pur diversissime comunità locali lo stesso contenuto religioso che rende il cristianesimo una religione dotata di propria coerenza e superiorità rispetto ad altre fedi dalle quali i vecchi adepti meritano di essere staccati per convertirsi a nuovi e più santificanti comportamenti.

Occorre insomma che una organizzazione dei missionari possa curare la conservazione ortodossa dei contenuti teologici e della loro trasmissione con i riti e le forme coerenti seppure adattabili alle esigenze più locali. Ciò diede origine ai Concili Ecumenici e alle associate scelte dottrinarie. La Chiesa verticale nacque come strumento di servizio all’entusiasmo dei missionari che spesso rischiano di subire la simpatia per le esigenze locali mettendo a rischio l’ortodossia delle conversioni raccolte.

Per questa Chiesa verticale è fondamentale che i riti e le forme che ne garantiscono l’adeguatezza di servizio siano animate da un’unica cultura estranea alle diversità contingenti cui deve dare servizio e stabile nei secoli per consentire la conservazione della cultura ortodossa. Ciò per permettere che si riescano ad assicurare all’ortodossia le modifiche necessarie richieste dalla predicazione sul campo senza tuttavia rischiare l’accumularsi con gli adattamenti occasionali di incoerenze profonde che possano smarrire parte del messaggio evangelico. L’unico elemento che legittima sia la Chiesa missionaria che quella verticale.

Dalla sua nascita il capitale culturale della Chiesa Cattolica è formulato in aramaico, in greco e in latino. I riti e le dottrine formulate in quelle lingue garantiscono la formazione dei missionari e dei loro coordinatori diocesani assicurando loro un unico contesto che consente efficacemente l’azione di adeguamento delle missioni unitamente alla conservazione dell’ortodossia.

Molti dei conflitti scatenatisi successivamente al Concilio Vaticano II suonano incomprensibili come suonano incomprensibili molti dei criteri che ispirano la dottrina sociale della Chiesa post-conciliare.

Ad esempio mentre si può accettare di buon grado l’innovazione dell’uso della lingua nazionale in luogo del latino per rendere più efficace l’azione missionaria, non si riesce a comprendere la resistenza opposta dagli innovatori alla conservazione del latino come lingua possibile tra le altre data la sua necessità nell’ambito della gerarchia verticale di cui dal Concilio Vaticano II fanno parte integrante tutti i fedeli (l’Ecclesia militante).

Né si può accettare che la Chiesa post-conciliare insista sull’accoglienza a pieno diritto degli immigranti mentre si è evidenziato correttamente come sia la Chiesa a doversi trasferire in missione presso le comunità locali per evitare sradicamenti e perdite culturali, la scelta più coerente dovrebbe essere quella di una dottrina sociale che sollecitasse i governi e le società affluenti a de-localizzare ogni possibile impianto produttivo al Sud proprio per evitare dolorose perdite di risorse umane preziose per lo sviluppo futuro di quei Paesi che impongono inoltre altrettanto dolorosi conflitti sociali e sradicamenti generazionali a immigranti e ospitanti. Proprio all’avvio di un’epoca in cui sarà possibile un’organizzazione soprannazionale delle produzioni industriali che tengano anche conto del rispetto delle esigenze di stabilità culturale e sociale di tutti i popoli.