23/12/2009

Inadeguatezza della divulgazione politica oggi

Abbiamo già speso qualche riga su questo argomento nella rubrica ‘Occidentali’ tuttavia sento di dovere riproporre il tema non tanto a proposito delle auspicate innovazioni alla Carta Costituzionale per adeguare la governance in stile liberal-democratico nei moderni Paesi industriali ma per evidenziare quanto sia evidente la carenza delle comunicazioni sociali anche a proposito dei dibattiti più attuali e quotidiani nella vita del Paese. Le comunicazioni sociali sono tutte a carattere divulgativo seppure a livelli accademici diversi. Anche l’educazione primaria e secondaria si basano su una divulgazione parziale di concetti scientifici molto più complessi. Così anche l’educazione accademica fino alle soglie della ricerca che, infatti, attribuisce il PhD (o Dottorato di Ricerca in Italia) solo se il candidato sviluppa temi originali di ricerca incentrati su un tipo di variante teorica originale rispetto a quelle già verificate in laboratorio e risultate ancora insoddisfacenti per la comprensione scientifica della realtà.

Tanto più vale per il carattere divulgativo delle comunicazioni sociali che contribuiscono a formare una più consapevole opinione pubblica solo se si astengono dalle distorsioni dei contenuti per privilegiare interessi di natura diversa da quella dell’informazione; spettacolo, pubblicità, propaganda, invenzione artistica.

È chiaro che affermare continuamente un concetto e magari corredarlo di immagini altamente suggestive, lo rende più gradito alle audience più vaste e il suffragarlo di sostegni scientifici (magari selezionando le sole fonti favorevoli e censurando quelle contrarie) lo rende credibile fulcro per proposte di azione politica che non risultano però meno truffaldine ai fini di una divulgazione di qualità accettabile per l’uso nell’arena del dibattito politico rispettoso della legittimità liberal-democratica. Esempio clou in questo ultimo periodo è il man-made-global-warming che manca di qualsiasi conferma scientifica sia nella sua affermazione che esista un global warming sia in quella che esso sia eventualmente ascrivibile alle attività umane, sia (ma è una mia aggiunta) che l’eventuale warming sia un fatto negativo per il globo. La divulgazione mediatica ci propone cioè una realtà fantascientifica solo per ragioni demagogiche (propaganda), industriali (lobbying) o spettacolari (maggiori ascolti alle proprie trasmissioni). La divulgazione mediatica ci tace invece l’aspetto vero del problema della crescente industrializzazione; l’inquinamento ambientale cui può porre rimedio una adeguata innovazione industriale (tra cui l’adozione massiccia di energia nucleare ed OGM in campo rurale).

Nel corso della recente trasmissione di Oscar Giannino (un divulgatore di assoluto rispetto per la correttezza dei suoi servizi mediatici) ho cercato di contribuire a inquadrare il tema della chiusura (inevitabile) degli impianti Fiat di Termini Imerese collocandolo nel contesto dell’irreversibile globalizzazione in cui aziende come il gruppo Fiat assumono le loro scelte di investimento di medio e lungo termine. Sostenevo che esiste un mercato globale che ci consente di acquistare beni e servizi a costi inimmaginabili solo pochi anni fa ma che ci coinvolge ad adeguare le nostre abitudini produttive alla nuova e promettente realtà generando con ciò temporanei e locali disagi sociali. Sostenevo che questi disagi sociali, nello specifico caso Italia, sono esaltati da un costo del lavoro (legale e non quello “nero” che invece costituisce la fonte di valore aggiunto e di immigrazione illegale in talune zone nazionali e a beneficio di taluni comparti di PMI) eccessivo che si può addebitare a una serie di vincoli imposti dal sindacato a spese del contribuente nel periodo del deprecato consociativismo che viene invece ancora vantato dai sindacati come una delle legislazioni più “avanzate” del mondo. Ora credo che nessuno possa avere dubbi sul fatto che la legislazione del lavoro in Italia sia tra le più “avanzate”, resta il fatto che i suoi costi sconsigliano i gruppi multinazionali (non più compensabili da leggi protezioniste a spese del contribuente grazie ai vincoli legislativi dell’UE) a investire in Italia invece che in Polonia, in India o in Cina.

Una divulgazione intellettualmente onesta dovrebbe cogliere ogni opportunità per far maturare l’audience nazionale su una realtà che deve essere osservata per la sua logica e non per pregressi e non sostenibili (mai neanche in epoche precedenti) paradigmi buonisti. Se manca una tale consapevolezza è inevitabile che la pubblica opinione continuerà a sperare nello stellone d’Italia invece di assumere responsabili scelte politiche che siano assenti da wishful thinking. Una opinione pubblica “adulta” (cioè libera e responsabile) deve essere animata da cinismo nelle sue scelte. Solo una volta assunte decisioni sostenibili potrà poi manifestare il suo carico di buonismo a seconda del livello di senso di colpa nei confronti di chi viene temporaneamente afflitto dai disagi derivanti da quelle scelte adulte, pragmatiche ma inevitabili alla luce di una adeguata conoscenza scientifica della realtà in cui viviamo.

Il risultato del mio intervento è stato una veloce condivisione dei concetti liberisti che esponevo ma una censura delle considerazioni anti-demagogiche che avevo indirizzato a due degli interlocutori in onda: il sindaco di Termini Imerese (ovviamente poco oggettivo sul tema della chiusura dell’impianto) e economisti che partecipano alla negoziazione della decisione industriale convertendola in decisione a spese di Pantalone – come nel caso Alitalia dopo decenni di disavanzi generati da inefficienza industriale dell’IRI).

Tutto ciò nulla ha a che fare con gli aggiuntivi oneri che affligge l’Italia per la sua attrattività potenziale rispetto ad altri Paesi alternativi per investimenti industriali di gruppi multinazionali; un’inefficiente sistema giudiziario, un’inefficiente, inaffidabile e macchinoso sistema amministrativo, un’inadeguata logistica industriale, reti di trasporti inefficienti, sistema di servizi finanziari ed assicurativi non competitivi, criminalità organizzata, corruzione politica, inadeguata preparazione professionale degli addetti, scarsa familiarità con la lingua inglese. Tutti elementi che ci accomunano ad altri Paesi in via di sviluppo come siamo ancora nel Sud in pieno 2000!

Preferisco essere tacciato di cinismo e di soffrire poi in privato per i rimorsi instillatimi dal senso di colpa piuttosto che essere accomunato ai demagoghi e ai loro pennivendoli “organici” alla propaganda politica e sindacale che sono ancora prevalenti in Italia oggi e che intralciano la soluzione dell’impasse istituzionale permanente generata da politicanti che hanno preferito saccheggiare l’erario per crearsi clientele elettorali ipnotizzate dalle insostenibili ma scintillanti “legislazioni avanzate” che ci ha donato il consociativismo duro a morire non ostante la resipiscenza dei pochi “sessantottini” intelligenti; parlo di D’Alema e della sua disponibilità all’”inciucio”!