23/07/2010

Primum vivere, deinde philosophari

Una delle recenti, meravigliosamente chiare sintesi geopolitiche che il professor Pelanda ci trasmette su ‘il Foglio’ di Giuliano Ferrara illustra l’essenza di ciò che sta avvenendo oggi sul piano globale. In continuità con ciò che è sempre avvenuto nel corso della lunga storia dell’unica, vera civiltà affermatasi nella Storia umana; la civiltà ‘Occidentale’ – greco-romana-cristiana.

Il professore chiarisce (anche alle inconsapevoli ‘menti sottili’ come Kupchan consulente dell’attuale ‘Cesare-Obama’ alla Casa Bianca) il modo di procedere della civiltà. Un modo sintetizzato nel periodo greco-romano come ogni altro Landmark ‘Occidentale’ in modo altrettanto sintetico, comprensibile e mirabile dalla cultura greca (Aristotele) e romana (Ovidio dal detto ‘primum vivere, deinde philosophari’). Detto che conferma ciò che ebbe ad affermare Russell, un altro recente esponente della cultura ‘Occidentale’: “ciò che è stato detto dalla civiltà Occidentale è stato scritto tra il 500 e il 100 avanti Cristo; il resto sono note-a-piè-di-pagina”.

Cosa ci dice Carlo Pelanda nella sua sintesi geopolitica? Pelanda ci dice una cosa che questa rubrica cerca di sostenere dagli inizi; la civiltà nasce, cresce e si afferma consolidando una sua superiore capacità di costruire il benessere economico, solo successivamente a questa fase (che riesce ad addomesticare i ‘barbari’) la civiltà può convincere i suoi aderenti a tassarsi dedicando quote del proprio benessere economico al fine di ergere un’alleanza militare a tutela del ‘bene comune’ (l’’interesse pubblico’ o la ‘res publica’).

Questo è il processo naturale che dipana la storia del successo della civiltà ‘Occidentale’, egemonico su ogni mondo ‘barbaro’. Un successo esemplificato nella storia dalla governance globale instaurata al tempo di Roma Imperiale e la cui attuale fase di globalizzazione impone la revisione dei classici ‘instrumenta Regni’; o istituzioni condivise per la governance del bene comune. Istituzioni che si sintetizzano nella stabilità della moneta, nella certezza del diritto e nella difesa militare.

Occorre che al consolidamento di queste istituzioni concorra chiunque si identifichi con la cultura egemone della civiltà ‘Occidentale’. Contro chiunque ne neghi l’eccellenza rispetto ad altri paradigmi politici; siano al suo interno (i relativisti e ‘progressisti ‘de sinistra’), siano essi invece al suo esterno (fondamentalisti di ogni risma e religione secolare – marxisti, nazisti - o trascendente – oggi gli islamici).

In quest’ottica è innegabile che sia necessario rivedere confini e strumenti della governance escludendone chi non si considera parte convinta.

L’antica Roma ‘federava’ in vari gradi di appartenenza alla ‘res publica’ gli interlocutori incontrati nel corso della sua espansione globale. Le colonie erano valutate nei comportamenti ed affidabilità individuali prima di ammetterne i membri tra i ‘cives romani’; tutti tutelati dalle legioni di Roma, dal diritto romano, dalle corti di giustizia pretorili, nella comune lingua latina.

Oggi è indiscutibile che la civiltà ‘Occidentale’ abbia addomesticato alla sua adattabile e immutabile filosofia paesi come Giappone, Australia e Nuova Zelanda, America Latina, Israele, Russia, CSI, Taiwan, Sud Corea, Europa orientale e parzialmente frange dell’Estremo Oriente protesesi occasionalmente ai confini (Turchia) oppure enclavi temporanee ad limina (Singapore, Hong Kong, EAU). Restano non ancora addomesticati in modo affidabile alcuni paesi (Sud Africa, India, Pakistan, Egitto), mentre altri restano ancora bloccati nella fase di Cartagine che se da un lato ama concorrere alla crescita economica, d’altro lato ambisce porsi, nella governance globale, come ordine alternativo (Cina e aree africane o americane di incerta adesione).

Il meccanismo di addomesticamento dei ‘barbari’ avviene come è sempre avvenuto secondo il detto citato ‘primum vivere, deinde philosophari’. Dapprima vengono il maggior benessere economico e i simboli della uguaglianza e libertà dall’indigenza e dalle oppressioni (Coca Cola, jeans, cellulari, jazz, rock, etc.), poi ci si vuole affermare ‘contro’ le imposizioni etiche (secolari o religiose che siano) stabilendo libero scambio di idee (Samisdat, TV e Radio ‘libere’, Internet, blog, FaceBook, etc.) in una lingua comune che superi ogni confine imposto dal ‘potere centrale’ dell’’Ancien Regime’ (qualsiasi esso sia alla data). È uno spontaneo e gratuito moto capace di mettere in moto meccanismi produttivi e speculativi capaci di auto-sostenersi ed aumentare nel contempo la ricchezza prodotta e distribuita oltre i vecchi confini commerciali protetti dalle oligarchie nazionali. La ‘libertà’ arriva dall’estero sull’onda di simboli piacevoli e non settari (sit-com, viaggi, sogni). Appartenere ai ‘sogni’ mobilità le risorse creative più individuali a migliorare il proprio benessere contro i tentativi di impedirgli questo tentativo di ‘perseguire la felicità’. Nascono così i solisti del jazz, del rock e di ogni forma d’arte che non può seguire i dettami delle oligarchie centrali che finanziano l’arte di stato in quanto è il mercato (magari illegale e del contrabbando criminalizzato) a remunerare l’uomo libero che vi si dedica al di là del guadagno stesso rischiando la propria libertà fisica per affermare il proprio diritto alla libertà intellettuale e spirituale. Ieri era il latino e Roma Caput Mundi, oggi è l’inglese e la Casa Bianca ma il meccanismo del successo è lo stesso; la ‘libertà’ non accetta confini di settore, geografico, razziale, etnico o culturale. Basta dare tempo adeguato e il meccanismo abbatte ogni resistenza, resistenza, resistenza opposta da ‘menti sottili’ fondamentalmente oligarchiche e ‘fasciste’ nelle loro finalità di governo dall’alto di un progresso che invece è sempre stato alimentato ‘dal basso’ di garage in cui due giovani ‘nessuno’ hanno creato l’era della Apple e di Internet agevolata dalla Microsoft – abbattendo il monopolio IBM degli anni ’70.

Carlo Pelanda suggerisce a noi tutti e alle ‘menti sottili’ come Kupchan di prendere atto di questa realtà e di porre mano alla revisione degli accordi federativi nell’ambito della comune civiltà ‘Occidentale’ in due modi distinti. Aprire agli accordi di libertà di scambi economici seppure con una gradualità di adesione alle regole controllate monetarie e commerciali. Aprire alla partecipazione all’alleanza militare NATO seppure con una modalità differenziata anche a paesi che, per loro interesse prima che per loro diffusa convinzione, sono le nostre ‘colonie’ ai confini dell’Impero (Russia, India, Turchia, Israele, Sud Africa, etc.)

L’unica resistenza che si incontra in questo inesorabile (e spontaneo) processo di auto-definizione dei limina della comune civiltà ‘Occidentale’ proviene non tanto dai paesi ispirati da un fondamentalismo dirigista (secolare come il marxismo di Cina ed alleati o trascendente come l’islamismo di Al Qaeda) bensì dalle quinte colonne che sono sempre verdi e vivaci all’interno della stessa civiltà ‘Occidentale’. Si tratta di ‘menti sottili’ che compongono i movimenti ‘progressisti’ (sempre de-sinistra) in ogni epoca del progresso umano.

Anzi è proprio questa forma di ‘opposizione interna’ a connotare la linea di demarcazione tra ‘progressisti’ e ‘conservatori’ nel corso delle varie fasi della crescita ed estensione della civiltà nel mondo.

I ‘conservatori’ restano sempre saldamente convinti della superiorità della civiltà di appartenenza rispetto a qualsiasi altra proposta antropologica. I conservatori restano convinti che la nascita del futuro risieda nella imprevedibile creatività dei giovani se libera dei vincoli e dei timori di oggi. I conservatori diffidano delle capacità previsionali e programmatrici del ‘mondo accademico’ che sospettano sia ricco di fattori inibitori di ogni idea nuova o di sterilizzazione del nuovo entro i ristretti vincoli prudenziali eretti ieri da oligarchie più attente a conservare i propri privilegi che ad accettare di rimettere in discussione il proprio status e punti di vista intellettuali. I conservatori sono favorevoli alla fondamentale idea di garantire il costante abbattimento dei limiti eretti a difesa degli interessi oligarchici per offrire costantemente nuove opportunità ai giovani di crearsi il futuro a proprio rischio e pericolo ma liberi da tutele, sempre pelose, delle ‘menti sottili’ organiche alla rigidità delle ideologie consolidate dai giovani di ieri nei limiti offerti dalle possibilità di sviluppo nella loro epoca ormai passata. I conservatori credono coi i padri fondatori che ogni generazione debba potersi scrivere la costituzione adeguata alla propria epoca invece di rispettare rigidi tabu che inevitabilmente sono condannati all’obsolescenza. I conservatori credono siano sufficienti pochi statement permanenti come fondamenta della costituzione realmente ‘conservatrice’ dei principi fondamentali della civiltà ‘Occidentale’. I conservatori accettano come inevitabile difetto la tendenza permanente del sistema sociale a gerarchizzarsi e cercano di combatterlo garantendo tra i principi fondamentali da ‘conservare’ nella carta costituzionale, i meccanismi anti-monopoli e oligopoli fondandoli sugli obiettivi costanti della società ‘Occidentale’; ‘libero mercato’ e ‘libertà di intraprendere’. I ‘conservatori’ sono gelosi di conservare le proprie responsabilità individuali (fondamento della libertà) anche nei confronti dei ‘rappresentanti’ che eleggono al parlamento con stretti vincoli di aderire ai programmi per cui sono stati eletti e privi di ‘poteri’ autonomi. In piena analogia con i mandati affidati ai dirigenti aziendali dagli azionisti-proprietari, mandati corredati da deleghe non di potere bensì di impiego-vincolato di risorse.

I ‘progressisti’ sono sempre insicuri della correttezza dei principi fondamentali che ritengono sempre opinabili e indecidibili in quanto a giudizi di merito (meglio-peggio, superiore-inferiore, etc.). I progressisti nella loro insicurezza individuale trovano necessario affidare le scelte di interesse collettivo alla ‘saggezza’ di esperti le cui conoscenze specialistiche in ogni comparto disciplinare rendono ‘migliori’ e più affidabili nei giudizi espressi. I progressisti tendenzialmente rinunciano volentieri a portare il peso della responsabilità che comportano le scelte quotidiane sia individuali che collettive ed accettano volentieri di aderire piuttosto a direttive di leggi scritte da esperti (quindi bravi) delegati a gestire il ‘potere’ a nome e per conto della comunità. I progressisti, essendo insicuri in merito alla superiorità delle proprie radici culturali, sono filosoficamente ‘relativisti’ e, per confermare tale loro convinzione (per affermarne la ‘superiorità’rispetto ai conservatori che vorrebbero ‘conservare’ l’integrità della propria ‘tradizione’ – un paradosso fallimentare!) si impegnano in ogni epoca a ‘destrutturare’ le conoscenze raggiunte dalla propria cultura ed a mettere in discussione gli stessi aspetti ritenuti universalmente ‘superiori’ anche dai ‘barbari’. Una vera e propria opera di ‘revisionismo’ storico che mira a condannare i successi e ad evidenziare gli aspetti deteriori del progresso minimizzando, negando o sopprimendo volutamente gli aspetti positivi del progresso. Per riuscire a rendere accettabile la delega di proprie porzioni di libertà alla programmazione collettiva proveniente dalle oligarchie elette, i progressisti devono corredare l’auspicata gerarchizzazione della loro società di caratteri lodevoli che esaltano ed assolutizzano aspetti settoriali dei comportamenti umani; buonismo, altruismo, ambientalismo, animalismo, pacifismo, etc.. La ‘superiorità’ di questi elementi che la ‘programmazione’ si proporrebbe di conseguire è opposta dalla serie di comportamenti ‘politicamente scorretti’ che animano l’agire delle società conservatrici. Il ‘liberismo’ è quindi condannato come promotore di conseguenze deteriori rispetto ai fini positivi che si  propone la ‘programmazione centralizzata’; selvaggio, egoista, avido. Speculatore, illegale, asociale, criminale, etc. occorrono regole sempre più definite che ne sappiano irretire le energie impedendo sviluppi imprevedibili che possano ‘falsificare’ le astrazioni buoniste della ‘programmazione collettiva’.