23/07/2010

Italia e adeguamento alla globalizzazione

Come previsto, il divario tra la reattività dei due paesi egemoni dell’internazionalizzazione dell’economia industriale e quella del gruppo di paesi immediatamente seguenti nella gerarchia di influenza sul mercato, è tale da promuovere l’avvento pragmatico dei nuovi assetti produttivi a tutela dei quali si configurino i più appropriati e nuovi schemi istituzionali a garanzia della governance dell’emergente sistema industriale. Successivamente a tale stabilizzazione di volumi e interessi internazionali, i paesi caratterizzati da minore reattività possono cercare la rispettiva, migliore convenienza di adeguare il proprio sistema produttivo agli schemi emergenti valutando tale convenienza sulla base di una serie di vincoli interni che ne esaltano la minore reattività. Vincoli che derivano dall’assetto ereditato in precedenza dal privilegiato paradigma dello stato sociale che, oltre ad assorbire eccessive risorse finanziarie rispetto alle prioritarie esigenze imposte dalla necessità di ristrutturare i processi produttivi, crea resistenze politiche interne presso i comparti (ormai non efficienti e parassitari) dell’economia-protetta sulla quale lo stato sociale fondava la sua stessa legittimità. Dal tempo di Bismarck quel paradigma ha garantito il consenso interno pur nella conservazione dei ceti sociali dell’ancien régime. Si tratta d’un paradigma diversissimo da quello del ‘paternalismo industriale’ che, a partire dai Re-pirati medievali, cerca di catturare il consenso dei propri ‘dipendenti’ in funzione di criteri non settari in quanto fondati sulla reciproca convenienza di garantire successo al team nell’ambito di ruoli in cui le prestazioni individuali risultano premianti rispetto ai vincoli di ceto e di sangue. È lo stesso criterio che spinge i grandi capi in ogni comparto di attività a studiare l’efficienza della propria intrapresa rispetto a quelle direttamente competitive sul mercato scegliendo tra i propri dipendenti i più idonei a garantire che la macchina operativa migliori il suo livello di prestazioni ‘aziendali’ e il proprio consenso nel contesto esterno. Da Cristiano di Danimarca che garantiva alle sue ciurme un sicuro pensionamento in abitazioni sociali che potevano ospitare gli invalidi o i sopravvissuti a trascorrere una accettabile vecchiaia, a Ford che aumentava gli stipendi dei suoi dipendenti per garantire successo all’innovativa T-Ford ed avviare un rapido aumento di vendite di quel modello, il più economico esistente, accelerando il ritorno sugli investimenti anticipati per la innovazione produttiva, fino ai ‘padrini’ di ogni mafia che scelgono il proprio ‘consigliori’ e che valutano e preparano i propri capi-mandamento e il successore sulla base dell’accertata ‘eccellenza’ nelle prestazioni sul campo (a tutela della propria sopravvivenza e di quella del ‘business’ di propria competenza).

In questo nuovo contesto geopolitico i paesi che possono resistere all’avvento di nuove istituzioni sopran-nazionali ‘imposte’ dalla naturale egemonia di peso e di efficienza decisionale di Cina e USA, sono quei paesi caratterizzati da maggiore efficienza dei servizi che lo stato eroga al sistema economico nazionale. Ciò agevola il permanere nel paese degli Headquarters dei gruppi industriali di maggiore competitività sul mercato globale. Da ciò discende un maggiore peso di quegli Stati Nazione sul piano delle negoziazioni politiche internazionali. Si tratta di quei paesi il cui prodotto interno lordo pro-capite si colloca tra i più elevati; Svizzera, Olanda, Svezia, Danimarca, Germania e Regno Unito che è favorito rispetto agli altri per la sua naturale integrazione di lingua e sistema giurisdizionale con gli USA.

I paesi che presentano sistemi stato-industria molto meno competitivi e prodotto nazionale pro-capite meno elevato non riescono a partecipare in maniera significativa ai negoziati politici per la nuova governance globale. Né la loro partecipazione aumenterebbe qualora anticipassero la loro integrazione entro sistemi soprannazionali regionali in cui il loro peso e ruolo industriale si collocherebbe inevitabilmente in posizione subalterna rispetto ai paesi più competitivi ed efficienti. Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e tutti i paesi che hanno subito il sistema istituzionale comunista, inefficientissimo sotto il profilo della produzione di libertà e benessere, sarebbero sottoposti all’egemonia politica di Germania, Francia e Regno Unito (se esso decidesse di associarsi a quel sistema ‘regionale’ invece di restare in posizione subalterna ma strettamente associato al duo egemone di USA e Cina e con ruolo anticipato e privilegiato rispetto all’UE).

In definitiva all’Italia (privilegiato tra i vecchi Stati Nazione meno competitivi sotto il profilo di efficienza del sistema stato-industria), si offre un’irripetibile opportunità di sottrarsi alla tutela di ‘patroni’ esteri vecchi e nuovi proprio grazie alla maggiore inefficienza e debolezza del vecchio sistema stato-industria. Cioè i paesi in competizione con la porzione più significativa del nostro sistema produttivo (il tessuto di medie imprese a carattere familiare che è destinato a restare insediato nelle economie più periferiche) si trovano bloccati (proprio per le resistenze opposte dalle vecchie e obsolescenti istituzioni di Stati Nazione capaci di resistere) nell’attraversamento del guado in cui ci ho posto il nuovo scenario geopolitico; dissipando pateticamente le residue risorse nazionali in tentativi di carattere attendista o protezionista. In Italia invece, l’inefficienza del vecchio sistema clientelare e parassitario stato-industria viene smantellato da due fenomeni convergenti; l’esodo dei grandi gruppi industriali dal paese e la elevata competitività e livello tecnologico delle aziende. Aziende la cui capacità operativa è storicamente la meno dipendente dalle istituzioni statali tra le aziende esistenti in Italia e destinate a restarvi nell’era della globalizzazione. Questa graduale diminuzione di lobby politica verso il morente sistema istituzionale dello Stato Nazione ‘Italia’ concorre alla evaporazione del vecchio e parassitario sistema istituzionale, agevolando quindi il crescente peso che le emergenti istituzioni soprannazionali hanno sul sistema produttivo più ancorato agli interessi più resilienti e socialmente diffusi.

La corsa del sistema industriale italiano a sopravvivere (o piuttosto a rilanciarsi) ancorandosi alle nuove opportunità offerte risulta duplice e convergente. Ciò suggerisce i protagonisti industriali a sottrarre risorse al vecchio sistema inefficiente e parassitario per renderle disponibili a sostenere l’innovazione industriale sia dei grandi gruppi che del maggioritario tessuto delle medie imprese esportatrici. Il mercato globale inoltre offre maggiori opportunità tecnicamente fruibili da parte d’un sistema industriale destinato a trasformare prodotti importati dall’estero per esportarli dopo avere aggiunto valore industriale saldamente nelle mani delle aziende italiane. La libertà di scambi commerciali e l’associata unicità di valuta e della sua libertà di circolazione monetaria consente ai produttori italiani di sottrarre in modo legittimo al fisco italiano risorse stazionandole all’estero in attesa di alimentare i nuovi cicli produttivi senza farle rapinare dal morente sistema istituzionale. Senza consenso politico, senza risorse finanziarie e con graduale diminuzione delle sue capacità di condizionamento legislativo, il sistema istituzionale del vecchio Stato Nazione ha minori capacità di ostacolare l’integrazione del sistema industriale più competitivo italiano con l’economia globale. Questo processo stabilisce quotidianamente sempre più solidi rapporti con partner esteri nel comune interesse di aderire ai sostegni loro offerti dalle emergenti istituzioni della governance globale; istituzioni private sulle quali avviene la negoziazione dei controlli che le istituzioni politiche globali eserciteranno alla luce degli accordi del Nuovo Ordine Globale in fieri.

Grazie alla globalizzazione, in Italia, stiamo vivendo un’irripetibile, entusiasmante fase di libertà culturali e professionali che premia l’intraprendenza e la preparazione delle giovani generazioni. Generazioni il cui livello di preparazione professionale e culturale (non ostante il degrado subito dalla follia sessantottina ‘de sinistra’) risulta certamente adeguato a competere con rivali esteri statisticamente meno preparati di loro.

Questa grande fase di progresso della civiltà ‘Occidentale’ non offre all’Italia solo opportunità professionali e di libertà individuali mai sperimentate in precedenza né in epoca risorgimentale, né in epoca ‘umbertina’, né in quella di costruzione tardiva e ‘fascista’ dello Stato Nazione (epoca che, sotto il partito unico dapprima e poi nel medesimo spirito governato dal pentapartito ma proseguito poi sotto l’’arco costituzionale’ fino al benedetto crollo del muro di Berlino) in un sistema di protezionismi nazionalisti la cui governance è restata quella disegnata dai codici e dalle istituzioni ‘fasciste’; IRI, ENI, Federconsorzi, INAIL, INPS nello spirito ‘consociativo’ gestito illegittimamente dentro o al di fuori delle istituzioni statali da partiti e sindacati.

Questa prima epoca di vera libertà professionale oltre ad alimentare l’innovazione del tessuto industriale più schiettamente ‘italiano’, gradualmente libera il paese dalle oligarchie parassitarie ereditate in Italia dal risorgimento e dal ‘fascismo esteso e prolungato’ ancora ‘resistente, resistente, resistente’.

La superiorità del paradigma del capitalismo-liberista, seppure imperfetto a causa della stessa natura egoista dei protagonisti, proprio grazie al sommarsi delle loro avidità ed egoismi quotidiani privi di altri fattori di natura ideologica, sta offrendoci la prova che il benessere e la libertà possono crescere solo grazie a progressi tecnologici che spingono l’industria ad abbattere i confini dei vecchi privilegi nazionali che cercano tutela erigendo concetti economicamente insostenibili senza lo sfruttamento dei più diseredati a beneficio dei pochi privilegiati corporazioni; concetti quali la ‘irreversibilità’ dei ‘diritti acquisiti’ e l’incostituzionalità di ogni modifica a contratti nazionali di lavoro fonte primaria della scarsa competitività del sistema stato-industria in Italia.