23/04/2010

Le “menti sottili” ai vertici politici del Paese

L’affezione degli elettori verso il sistema politico bipolare è ormai consolidata dai successi costanti riservati alla coalizione guidata da Berlusconi; anche in Italia.

L’adesione al sistema istituzionale federale è altrettanto consolidata ormai sia per la crescente estensione del consenso elettorale della Lega Nord, sia per la collocazione centrale di quell’innovazione istituzionale nel programma elettorale della coalizione guidata da Berlusconi, sia per la graduale adesione a quella modifica istituzionale di quasi tutti i movimenti politici anche dell’opposizione parlamentare.

Mentre il blocco elettorale di Forza Italia era composto dalla maggioranza di elettori socialisti, repubblicani, social-democratici, liberali, monarchici, democristiani moderati, la Lega Nord ha gradualmente attratto gli elettori più attivi, responsabili e produttivi delle economie locali; dagli operai, agli artigiani, ai lavoratori autonomi, ai commercianti, ai piccoli imprenditori indipendentemente dalla loro originaria appartenenza ideologica (democristiana o comunista).

Partire a costruire il consenso dalle comunità locali impone di diluire le ispirazioni ideologiche per attribuire maggiore attenzione alle ragioni economiche che impongono grande pragmatismo nel formulare legittime relazioni contrattuali in ogni comparto d’industria superando l’ottocentesca ‘lotta di classe’ a beneficio della crescita economica che è più capace di conseguire la pace sociale rispetto alla programmazione dei redditi di memoria novecentesca.

Partire dal consenso periferico per costruire la governance accettata sul piano nazionale occorre altresì che si costruisca un ridotto ma efficiente stato centrale capace di garantire la compatibilità tra le istanze sollevate dalle economie locali e quelle imposte dalla travolgente globalizzazione; pochi specialisti ben remunerati con uno staff a tempo determinato (dalla permanenza al governo dell’amministrazione centrale) che sia in grado di trovare una ricollocazione al termine del mandato politico. Enti dello stato federale con dipendenti assunti a contratto indeterminato per dare continuità ai programmi di investimento di lungo termine e enti dello stato centrale costituiti da agenzie popolate da pochissimo personale di alta qualificazione che segua le sorti politiche dell’esecutivo.

I partiti necessari per garantire un buon funzionamento a questo assetto istituzionale devono essere molto ben radicati sul territorio con attribuzione di responsabilità elettorali a colonnelli eletti tramite verifiche periferiche ed altri movimenti ispirati da ragioni programmatiche di lungo respiro capaci di armonizzare le esigenze più periferiche nel contesto di proposte che trovino consenso diffuso e trasversale rispetto alle comunità locali.

La coalizione guidata da Berlusconi è riuscita ad aggregare tre forze ben radicate sul territorio come la Lega Nord e l’ex-MSI sotto la guida di un grande imprenditore e comunicatore capace di coordinare uno staff di eccellenti professionisti “tecnici” nella ricerca di programmi di governo che siano accettabili in modo diffuso dall’elettorato nazionale. Forza Italia ha dato ospitalità a transfughi dei vecchi partiti distrutti dalla azione giudiziaria unilaterale di “mani pulite” e beneficia quindi anche di un radicamento sul territorio che può tuttavia essere sostituito da una rete di relazioni professionali e di comunicazioni sociali già esistenti nel Paese Reale e libere di aderire a proposte politiche indipendenti dalla colorazione ideologica cui si ispirano per valutarle solo sotto il profilo pragmatico della fattibilità e della convenienza economica.

La contiguità di Forza Italia con gli interessi industriali e di innovazione istituzionale della Lega Nord è un fatto naturale dettato dall’esperienza industriale di Berlusconi, dalle sue radici culturali e dall’assenza di competizione sul corpo elettorale con Bossi.

L’originaria esigenza di Berlusconi di unire ai voti della Lega Nord e di Forza Italia quelli del MSI escluso dal molto illiberale ‘arco costituzionale’ tra comunisti e democristiani di sinistra (i catto-comunisti) ha spinto Berlusconi a ‘traghettare’ il MSI nell’area legittimata a governare il Paese con un accostamento iniziale al leader del MSI Gianfranco Fini affermando la sua preferenza ad eleggere Fini rispetto a Rutelli come sindaco di Roma nel 1993. Successivamente traghettare ulteriormente l’elettorato del MSI nella coalizione fu più semplice e spinse Fini a chiudere formalmente ogni relazione storica con il MSI istituendo AN, nuovo partito che conservava la presenza territoriale mentre perdeva solo marginali fasce elettorali di vecchi aderenti alla RSI e alla Carta di Verona che ne aveva ispirato il programma economico e istituzionale di sinistra (la destra sociale). Quelle ragioni ‘di sinistra’ sono restate ben radicate in AN ed hanno creato i dissidi tra Fini e i suoi ‘colonnelli’ più attivi elettoralmente (Bontempo, Misserville, Storace, Alemanno, etc.).

Dopo due esperienze di governo, la coalizione guidata da Berlusconi ha trovato un’ulteriore trasformazione istituzionale nell’adesione di AN al PdL. Le ragioni di Berlusconi possono essere condivise (anche se forse non sono prima causa della fusione), quelle di Fini invece sembrano essere state frettolose e sterili (al di là della sua posizione formale di erede politico di Berlusconi – una cosa che in politica non può essere garantita dai contraenti al vertice).

Sembra che ora anche Fini si sia reso conto del vicolo cieco in cui si è cacciato scegliendo di fondere AN nel PdL. Le sue costanti ‘ribellioni’ sembrano più azioni ricattatorie sollecitate da disperazione per il crescente calo delle sue capacità negoziali che non iniziative destinate ad aggregare consenso tra i suoi ‘colonnelli’ periferici e tra gli elettori tradizionali di AN. Elettori che si possono distinguere in due categorie; i moderati che possono aderire gradualmente alle proposte della Lega Nord o a quelle di Berlusconi e la destra-sociale che potrebbe essere attratta ad aderire alle proposte più localiste della Lega Nord o perfino delle liste della sinistra più moderata. Cosa avrebbe potuto scegliere Gianfranco Fini invece di fondere AN con Forza Italia?

Gianfranco Fini è persona dotata di intelligenza, astuzia tattica e capacità comunicative certamente non al livello di quelle di altri esponenti politici dell’Italia repubblicana ma si trova da tempo al centro d’un sistema in corso di grande innovazione istituzionale.

Il MSI aveva ereditato un’ispirazione politica e un sindacalismo ispirati alla RSI e animato da reduci di quella esperienza storica, anche se aveva abbandonato ogni riferimento alla ricostituzione del partito nazionale fascista sia perché, persa la guerra, il sistema industriale nazionale era stato inserito con sempre maggiore partecipazione nell’economia internazionale e nell’ambito di istituzioni europee di ispirazione liberale, sia perché l’elettorato nazionale non avrebbe dato credibilità a un programma di ricostituzione di un regime autoritario (pur se le istituzioni di quel regime fossero state tutte conservate dall’Italia repubblicana – IRI, ENI, INAIL, INPS, FederConsorzi, CineCittà, Istituto Luce, Festival di Venezia, Riforma Gentile, Codice Rocco, etc.).

La tradizione organizzativa ed elettorale del MSI si ispirava quindi tradizionalmente ad una struttura di partito e di stato federale. I Federali del fascismo si sono conservati anche nella gestione politica locale nel MSI. La stessa tradizione politica si ispirava a un forte stato centrale capace di tutelare gli interessi nazionali e le relazioni tra rappresentanti periferici dello Stato centrale (i Prefetti) e i responsabili politici periferici del partito (i Federali) erano una cosa naturale per il MSI. L’orientamento del MSI verso innovazioni delle relazioni industriali orientate ‘a sinistra’ era un altro naturale elemento politico che trascendeva la etichetta attribuita al MSI dai partiti dell’arco costituzionale e dettata solamente dal suo nazionalismo contrapposto all’internazionalismo comunista e socialista del fronte popolare.

La cosa più ragionevole per Fini sarebbe stato fondere il MSI con la Lega Nord pur di negoziare con Bossi un gradualismo che consentisse alle sezioni del Nord di amalgamarsi nei contenuti con le sezioni della Lega Nord dando spazio ai “federali” periferici di entrambi i partiti. Ciò avrebbe consentito sia a Bossi che a Fini di disporre di una forza elettorale capace di negoziare con maggiore credibilità i programmi di governo con Berlusconi.

Quella fusione tuttavia avrebbe dovuto essere concordata tacitamente e sviluppata con pazienza dai due protagonisti lungo un arco di tempo medio-lungo per giungere alla fusione forse nello stesso periodo in cui si è concretizzata l’altra, irragionevole fusione.

Questa più recente fusione comunque avrebbe dovuto essere considerata meno attraente di quella, sempre possibile anche se più difficile nella negoziazione Bossi-Fini, con la Lega Nord. Infatti occorrerebbe ormai lasciare maggiore spazio elettorale alla Lega Nord nelle regioni settentrionali ma ciò potrebbe risultare meno deteriore che perdere gradualmente eletti di AN al Nord e di un aumento di conflittualità interna con la Lega nella coalizione di governo col risultato di agevolare l’esodo degli elettori AN verso la Lega a nord e verso Forza Italia di Berlusconi in tutto il resto del Paese.

Una cultura istituzionalmente federale, industrialmente socializzatrice e politicamente nazionalista potrebbe essere ancora possibile e Berlusconi potrebbe anche convincersi che sia meglio diminuire le conflittualità interne e elettorali coi suoi alleati pur di concedere maggiori responsabilità di governo ai due partner “localisti”.