23/04/2010

Graecia capta ferum victorem cepit

La locuzione latina “Graecia capta ferum victorem cepit”, tradotta letteralmente, significa “la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il feroce vincitore.” (Orazio, Epist. Il, 1, 156). La locuzione prosegue con “et artes intulit agresti Latio:” e cioè “e portò le arti nel Lazio agreste (rurale)”.

Roma conquistò la Grecia con le armi, ma questa con le sue lettere ed arti riuscì ad incivilire il feroce conquistatore, rozzo e incolto.
La locuzione si cita per esaltare la potenza ed efficacia, nella civilizzazione dei popoli, delle belle lettere, degli studi, dell'arte e si riferisce a tutti gli episodi storici in cui la “superiorità” strumentale e organizzativa che caratterizza la civiltà che (spesso) esce vincitrice nello scontro tra due animate da paradigmi incompatibili e conflittuali, riesce a prevalere e sottomettere quella sconfitta nello scontro armato ma, una volta entrate in contatto, essa viene assorbita a-regime dai “superiori” valori che ispirano il paradigma della civiltà sconfitta

Avviene un amalgama di etnie che si fondono nell’egemone paradigma culturale “superiore” pur tutelando la permanenza delle diversità antropologiche che sono state obbligate alla convivenza dallo scontro armato. Non esiste un “crogiuolo” delle culture entrate in commistione capace di creare un comune “paradigma ibrido”, esiste una persistenza di diversità private che accettano di convivere nell’ambito del paradigma dimostratosi “superiore” sul lungo periodo.

Non si genera un fenomeno di contaminazione della civiltà “superiore” con quella “inferiore”, si crea piuttosto un innesto di energie psichiche antropologicamente diverse da quelle sconfitte sul campo nel comune paradigma “superiore” che riesce a dimostrare la sua superiorità proprio per la sua capacità di assimilare le energie psichiche più aliene alle proprie radici e di stimolarne l’erogazione di apporti innovativi grazie alla suggestione esercitata dal suo paradigma “vincente” sulla cultura “sconfitta” sul lungo periodo. È grazie a questa totale assimilazione dei “barbari” che anche gli apporti innovativi di profili alieni sul piano antropologico riescono a contribuire, sul lungo termine, propri elementi culturali che risultino pienamente compatibili con la crescita del progresso civile.

In Italia si sono succedute invasioni barbariche che hanno ricevuto piena ospitalità nel contesto di una cultura sempre caratterizzata dallo spirito greco-cristiano-romano, indipendentemente dalla etnia barbara e dal suo livello di “inferiorità”. Tutte queste invasioni si sono estinte seguendo gli stessi canoni segnalati da Orazio per l’incontro tra Roma e la Grecia: “la civiltà romana, vinta sul campo, ha sempre conquistato anche i più primitivi e violenti invasori”. Questo processo si è spinto nei secoli fino a contaminare tutto il globo col paradigma della civiltà ‘Occidentale’ che si è arricchito di apporti nuovi ma tutti compatibili in quanto tutti “giustificati” dai valori fondanti del paradigma greco-cristiano-romano. Sono cambiate le lingue (dal latino universale agli idiomi “volgari” delle etnie e degli Stati Nazione, all’inglese USA dell’odierna globalizzazione), si sono parzialmente amalgamate le diverse etnie che sono entrate in convivenza (anche se il processo di “crogiuolo razziale” è restato ovunque un fatto marginale – anche negli USA), si sono affinate le strumentalità tecniche e organizzative (con l’innesto delle novità più “locali” – cavallo, ruota, vela, ferro, polvere pirica, bussola, etc.) tutte convertite in impulsi alla crescita economica ma in un contesto di competizione individuale che ha costruito il paradigma del capitalismo-liberista e delle istituzioni liberal-democratiche.

Sono episodi che hanno caratterizzato la civiltà italiana erede di quella romana durante tutte le vicende storiche susseguitesi dopo il crollo dell’Impero Romano. Questa universale e costante assimilazione dei “barbari” in ogni tempo al paradigma greco-cristiano-romano è stata una delle ragioni per cui in Italia si è conservata la consapevolezza di appartenere alla stessa “comunità nazionale” grazie all’unità linguistica ma indipendentemente dalla diversità dei regimi che amministravano le realtà più “locali”. Venezia era Italia così come Firenze, Pisa, Genova, Roma o Napoli e Palermo. I diversi regimi non impedivano ma anzi erano di stimolo alla libera circolazione di idee, persone, merci e risorse finanziarie in un mondo in cui l’industria era fondamentalmente limitata all’artigianato, all’arte, alla ricerca, all’insegnamento e al commercio. Un mondo in cui l’industria stava creando le premesse per il suo sviluppo ed apporto al benessere di massa e che quindi si limitava a beneficiare ristrette cerchie di “capitalisti” in cui prevalevano forme di capitale immobiliare (latifondi, saline, miniere, etc.) o di commodities accumulate nelle speciali casseforti costituite dalle residenze protette in città (palazzi patrizi dotati di capienti magazzini e protette da torri) e nelle terre di proprietà (castelli armati e milizie di famiglia). Quelle forme di capitale alimentavano le manovalanze utili per coltivare le terre, per pascolare gli armenti, per trasformare i prodotti rurali in beni alimentari non deperibili, per organizzare le milizie di famiglia a tutela dai crimini contro la proprietà o contro minacce di parti avverse, per alimentare le famiglie degli artigiani che provvedevano a fornire i beni di consumo o di produzione necessari all’insieme delle famiglie connesse alla famiglia del capitalista proprietario (carriaggi, macchinari, abbigliamento, igiene, etc.). Più grandi erano le proprietà terriere, più ricca era la produzione di commodities, più numerosa era la manovalanza alimentabile grazie alle risorse accumulate nel forziere-castello e più vasta era la capacità di esercitare potere sulle famiglie di capitalisti meno ricchi. Le città erano sede di scambi per negoziare i bilanciamenti di potere che consentivano di organizzare istituzioni di carattere federale che si spartivano l’influenza sui “rioni” (regiones) in cui si suddivideva la città e le sfere di influenza civile e penale. Vere e proprie forme di estradizione erano necessarie per catturare un soggetto che avesse compiuto atti criminali in un rione ma si rifugiasse in altro rione diverso da quello di residenza o in cui il crimine fosse stato compiuto. A Roma le famiglie concordarono d’attribuire al Pontefice funzioni di governo federale responsabile di garantire la sicurezza in tutta l’Urbe con diritto di agire in tutti i rioni con proprie milizie alimentate da un prelievo fiscale conteggiato con una “flat tax” per beni accumulati nei palazzi-castello (le decime conteggiate nei periodi stagionali dei raccolti da specifici ispettori pontifici posti davanti ai portoni di ingresso delle derrate – da cui “meglio un morto in casa che un marchigiano fuori la porta”).

Le commodities raccolte servivano ad alimentare anche la produzione delle prime forme di produzione di massa industriali (tessili, armi, oreficeria, stoviglie, mobilia, etc.) che vennero monopolizzate da famiglie che avevano analoghi interessi da tutelare organizzando forme di sindacato datoriale “corporazioni” che stimolarono le manovalanze più specializzate a tutelare le proprie professioni con analoghe corporazioni delle arti liberali (notai, contabili, speziali, carrai, carpentieri, cordai, etc.).

Una volta avviata l’organizzazione del lavoro tramite le corporazioni di lavoratori e datoriali le produzioni industriali crebbero di qualità e di quantità tali da permettere l’esportazione dei prodotti finiti oltre i confini della città e del contado di diretta proprietà delle famiglie ivi residenti. Il commercio richiese nuove tutele e regolamentazioni concordate con le corrispondenti autorità destinatarie delle esportazioni. Tra le tutele più significative erano quelle monetarie che consentivano di garantire la sicurezza e l’equità dei contratti di compra-vendita. L’emissione di moneta venne resa credibile dall’ente che la emetteva. La famiglia capitalista egemone nel mercato della produzione di settore era l’unica che poteva godere del “credito” necessario in quanto alla solvibilità sul mercato della sua moneta a fronte di un’organizzazione altamente di “settore” della produzione e del commercio internazionale.

Questa logica capitalista sollecitò la crescita di servizi al commercio che aumentarono la sicurezza degli scambi esaltando il ritorno economico e la crescita di ricchezza oltre i ristretti confini di città, stato, nazione. I noli navali, le assicurazioni, le carte di credito bancario, gli accordi militari anti-brigantaggio e anti-pirati consolidarono le relazioni internazionali necessarie incentrate sull’agevolazione della crescita del benessere economico erogabile dalla produzione industriale di massa.