23/02/2010

Italia: politicamente un’eterna adolescente

Oscar Giannino ha nuovamente organizzato una trasmissione su uno dei temi che segnalano lo stato di immaturità che caratterizza l’Italia sul piano politico: la recente “provocazione” leghista sull’aumento dei limiti di velocità su autostrade a tre corsie per direzione di marcia.

Che si tratti di una “provocazione” è evidente dato il periodo elettorale e data l’impopolarità della proposta tra gli elettori “de sinistra” (ecologisti, verdi, anti-industriali, anti-padroncini, etc.) e data invece la speculare popolarità della proposta presso i “padroncini” e il diffuso tessuto delle piccole e medie imprese che (in modo particolare nel nord-est ma non solo) sono costrette a ricorrere ai servizi di trasporto su gomma che spesso è rallentato nei suoi servizi dall’intasamento delle autostrade.

Che la “provocazione” però abbia un fondamento legittimato dalle esigenze del mondo produttivo italiano è anche vero. È la costante frustrazione di queste esigenze nutrite da ogni comparto industriale italiano che ci spinge a dichiarare infantili gli atteggiamenti politici dell’elettorato italiano. Vediamo di esaminarne qualche aspetto in modo altrettanto “provocatorio”.

Il sistema industriale italiano è abbondantemente ostacolato nello sforzo di conservare la sua competitività sui mercati internazionali dalle scelte politiche adolescenziali più popolari presso l’elettorato che sono, a loro volta, artificialmente formate dai “media” in cui prevale uno spirito partigiano nei confronti delle lobby che tentano di conservare privilegi corporativi resi ormai solo parassitari alla luce della loro insostenibilità sul piano economico.

La legittima esigenza di tutelare l’ambiente, il reddito delle famiglie e i servizi che formano la qualità di vita ha bloccato ogni programma di innovazione infrastrutturale di lungo respiro che (dall’approvvigionamento di energia alle aziende, al trasporto di commodities e prodotti finiti tra aziende nella catena di divisione del lavoro, alla tassazione sostenibile dalle aziende, al diritto del lavoro, societario e previdenziale, ai sostegni di stato all’occupazione) avrebbe invece dovuto privilegiare le esigenze di competitività della produzione industriale senza la quale il sistema Italia è inevitabilmente destinato ad un graduale logoramento. Dal quale discenderebbe, altrettanto inevitabilmente, la delocalizzazione crescente delle aziende industriali, il calo di occupazione a tempo indeterminato e soprattutto il calo della raccolta fiscale da parte dello stato (con la conseguente impossibilità di conservare l’occupazione – e le clientele – in quel comparto parassitario).

Tutto ormai è degradato lentamente creando in ogni comparto infrastrutturale una situazione di urgenza a modificare le cose tale da equivalere ad una vera e propria “emergenza nazionale”. Questo è il vero elemento che ha legittimato l’intervento della Protezione Civile negli ultimi anni anche in materie che, in Paesi meno puerili, sarebbero considerate di ordinaria amministrazione (business as usual).

La rete autostradale è cresciuta in misura inadeguata alle esigenze del trasporto industriale e le innovazioni si sono dovute realizzare sotto ricatto delle amministrazioni locali che, con intollerabili veti su una rete che ha indiscutibile “interesse nazionale”, hanno costretto ad implementare progetti ingegneristicamente risibili pur di dare soluzioni a situazioni di crisi acuta “regionali”.

La rete autostradale è stata caricata irragionevolmente del compito di servizio logistico al sistema industriale su gomma per la resistenza opposta allo sviluppo delle competitive reti di trasporto su rotaia (ecologisti) e via mare (sindacati). La TAV è ancora oggi in forse per le resistenze opposte da risibili veti opposti da mini-comuni che rifiutano l’inquinamento delle autostrade, quello delle rotaie e quello delle elettro-condutture, la distruzione dell’ambiente di vita valligiano ma pretendono di beneficiare della qualità di vita che deriva dalla realizzazione di quelle infrastrutture (ivi incluso nuove opportunità di lavoro diffuso grazie all’avvento dei servizi individuali di Internet e dei cellulari. La Fiat è stata “corrotta” per decenni tramite “rottamazioni” e la conservazione di una situazione “protetta” garantendole l’acquisizione monopolista di aziende decotte o di stato (Lancia, Alfa Romeo, Ferrari, OM) agevolando gli acquisti con specifiche azioni legislative e finanziarie. La Fiat è stata “compensata” per scelte di investimento totalmente anti-storiche (impianti nel meridione) dal momento che già da decenni essa era costretta (dopo il periodo sessantottino e sindacal-terrorista dei ‘70) ad esportare le sue auto risalendo il Reno fino a Rotterdam! Ciò per la tutela dei Camalli di Genova (un porto di nessuna competitività seria per l’assenza di una serie di strutture di sostegno ma soprattutto per la cultura ottocentesca del movimento sindacale italiano.

Il trasporto via mare è stato distrutto e costretto a delocalizzare le strategie d’investimento per l’opposizione sindacale a sviluppare il “piccolo cabotaggio” e la rete di multi-modalità (gomma, rotaia, mare) che avrebbe potuto offrire opportunità occupazionali diffuse e sostegno di una rete competitiva di trasporti industriali ai distretti industriali “locali” che costituisce l’80% del PIL e dell’occupazione (non parassitaria) nazionale.

Un sistema istituzionale e una opinione pubblica che abbia accettato di inserire l’Italia in un contesto geo-politico caratterizzato da elevata competizione industriale senza rinunciare a insostenibili privilegi sociali e ambientali (un sistema previdenziale di assoluta “eccellenza”, un diritto del lavoro assolutamente d’“avan-guardia”, un sistema politico-decisionale d’ineguagliabile carattere “democratico”, una carta costituzionale che “rifiuta la guerra” – pur membro d’una alleanza militare in piena epoca d’incombente guerra nucleare) tacitamente accetta che i maggiori costi di sostenibilità economica della competitività del sistema vengano a pesare su livelli assolutamente superiori della produttività dei servizi offerti dallo stato oppure dalle dosi di maggiore creatività e ingegnosità del tessuto più “stazionario” delle piccole e medie aziende “locali”.

Lo stato in Italia è stato il ricettacolo delle peggiori forme di clientelismo e di obsolescenza ottocentesca dei suoi servizi alla produzione industriale. La creatività e ingegnosità del tessuto delle aziende a carattere familiare si è trovata costretta (in assenza di agevolazioni finanziarie e fiscali a sostegno della propria innovazione e a fronte dell’inadeguatezza dei servizi di pubblica utilità – trasporti, giurisdizionali, legali, amministrativi) a sfruttare ogni ulteriore opportunità per ridurre i costi della produzione e distribuzione dei beni e servizi sul mercato nazionale ed estero. Tra i modi più creativi e ingegnosi figurano taluni che sono tra l’altro resi pienamente legittimi in forza degli accordi internazionali assunti dallo stato (libertà di scambi per persone, merci, idee e valuta). Se questi non risultano ancora riconosciuti sul piano del diritto italiano, le aziende ricorrono a legittimi e praticabili servizi esteri. Questo origina l’esodo di capitali nazionali verso Paesi dell’Unione i cui servizi (amministrativi, legali, finanziari e fiscali) risultano “più competitivi” di quelli nazionali – ciò viene stigmatizzato dalle adolescenti istituzioni e elettori con l’etichetta di “paradisi fiscali”. Altri servizi - come il trasporto su gomma - risultano il sistema più competitivo per le aziende “locali” per scambiare i beni necessari alla produzione e alle vendite. La produttività del trasporto su gomma è affidata alla capillarità della rete viaria (di cui il trasporto su rotaia e via mare non dispone) e a celerità e flessibilità delle prestazioni. Queste dipendono dalla transitabilità delle tratte viarie, dalla disponibilità degli addetti e dal costo del combustibile. La tassazione dei carburanti è tenuta elevata dallo stato per alimentare di risorse la propria inefficienza. La rete viaria è sempre più intasata per l’inadeguata attenzione dello stato verso il suo potenziamento. Gli addetti al trasporto su gomma quindi sono l’unico grado di libertà su cui essi possono agire (liberi tra l’altro dalle “tutele” parassitarie dei sindacati) per tutelare il proprio reddito e consolidare il rapporto coi propri clienti.

Giunti a questo punto il dilemma per gli utenti professionali della rete viaria italiana è tra migliorare o tutelare il proprio reddito mettendo in seconda istanza il rispetto dei limiti di velocità, l’evasione fiscale, la durata delle ore di lavoro giornaliero, il trasferimento dei propri capitali in Paesi meno oppressivi (i “paradisi fiscali”) o l’assunzione di addetti e servizi in “lavoro nero”, oppure rispettare la “legalità” che mette in forse il loro reddito e denega un loro diritto legittimamente inaugurato dallo stato stesso con la firma di accordi soprannazionali.

Scegliere tra la propria famiglia o una legalità da “Sceriffo di Nottingham” pienamente inadempiente con gli stessi doveri e scelte politiche assunte dallo stato, sembra una alternativa pateticamente credibile solo agli eterni adolescenti che sono gli elettori a stipendio fisso o alle lobby ottocentesche in costante obsolescenza.

Citato questo elenco “provocatorio” di esempi, si può dire che oggi è inutile discutere alla radio de “il Sole 24Ore” circa la convenienza o meno di elevare i limiti di velocità alla circolazione del traffico su gomma. La realtà costringe ad accettare quel dato di fatto per l’emergenza che l’adolescenziale serie di scelte politiche hanno creato in Italia. In piena analogia con l’inutilità di dibattere contro i “paradisi fiscali”. Una volta che l’insipienza decisionale degli italiani e delle loro istituzioni pubbliche e private abbiano creato uno stato di “emergenza” che colpisce la sopravvivenza stessa del sistema produttivo (composto massimamente dalle piccole aziende a carattere familiare), si è instaurata una universale priorità di attenzione alla tutela del proprio reddito ma, soprattutto, un’attenzione prioritaria che anche se percorre vie illegali risulta unico mezzo per la sopravvivenza stessa del PIL nazionale, della raccolta fiscale dello stato e della legittimità residuale di cui esso ancora gode agli occhi dei produttori in una fase di governance che vede devolvere ruoli dei vecchi stati nazionali a istituzioni soprannazionali (da un lato) e a istituzioni nascenti “regionali” (da un altro lato).

Di che parliamo quando stigmatizziamo problemi creati solo dall’inefficienza dello stato, dall’insipienza dei media e dall’infantilismo sognante degli elettori?

Italia ovvero Disneyland del 2000!