23/02/2008

Poveri o Miserabili

 

Si può essere poveri per libera scelta di adulti consapevoli e in serenità spirituale, in altri termini come una scelta di voler perseguire in tal modo la propria felicità. Si tratta della scelta consapevole di certi barboni e quella dei cristiani che accettano di vivere condividendo la sorte dei poveri come prediletti dal Signore. Si può invece essere poveri colpevolmente per arrogante rifiuto di accettare le regole della competizione nella corsa alla selezione dei più adeguati a ricoprire ruoli di responsabilità nella gestione delle limitare risorse disponibili per soddisfare le esigenze della produzione. Si tratta di una scelta subita che solleva acrimonia e invidia e viene vissuta come sopraffazione da parte del ‘sistema’ rappresentato dai ricchi, dai potenti, dalle elite o dalle istituzioni borghesi o meno che siano. Si tratta anche di una scelta poco cristiana in quanto rinuncia a porre al servizio dei meno dotati i pochi o molti talenti che ciascuno ha ricevuto per nascita e per traversie di vita. Ciò che conviene comunque riconoscere è che in ogni caso si tratta di scelte rispetto alle aspettative che è ragionevole nutrire rispetto ad una realtà nella quale non si può presumere che la maggior parte dei soggetti condivida una scelta pauperista o cristiana (a meno di non ricorrere alle metodiche persuasive cui ricorrono in genere i regimi etici). Non può essere lo Stato a garantire la erogazione della felicità. Devono essere le libere scelte dei singoli a condurli a ricercare la felicità cercando comunque di non alimentarla con poco felici stati d’animo astiosi né di posporne troppo nel tempo il conseguimento.

 

Liberismo ed auto-determinazione

‘Morire per Danzica?’ è il quesito che si ripresenta nella storia di questa marcescente povera Europa. Ieri di fronte a Hitler, oggi di fronte a Ahmadinejad per quanto concerne Israele, di fronte a Russia-Serbia in relazione al Kossovo, di fronte alla Turchia, Russia, Iraq e Iran in relazione agli Armeni e ai Kurdi, di fronte alla Cina per quanto riguarda il Nepal o di fronte al Sudan relativamente al Darfur. È semplicemente vergognoso che, in piena globalizzazione e all’atto dell’allargamento dei confini dell’UE, si esiti a riconoscere il diritto di specifiche etnie che sono riuscite a conservare le proprie diversità culturali non ostante traversie centenarie, a esprimere le proprie scelte autonomiste in linea coi principi della civiltà liberal-democratica. Forse converrebbe invece prendere lo spunto da queste naturali aspettative per chiarire taluni concetti del cosiddetto diritto liberal-democratico all’autonomia o indipendenza (oggi molto simbolica rispetto al passato, proprio grazie alla invasività della globalizzazione). Infatti il diritto alla propria autonomia politica o amministrativa se vuole avere il crisma della liberal-democrazia, deve significare la capacità di assumerne gli oneri. In altri termini non sembra molto liberal-democatico lo status di regione autonoma in Italia in quanto alimentato essenzialmente da ragioni di finanziamento a spese delle altre regioni. Infatti è recente la richiesta di comuni del veneto di essere accolti nelle province autonome di Trento e Bolzano o quella (frustrata dalle regioni di interesse fiscale) della provincia di Bolzano di dichiarare la propria appartenenza al Tirolo. In liberal-democrazia lo status di autonomia costituisce la regola auspicabile. Quindi decentramento e federalismo sono strumenti per una costante estensione delle autonomie. Tale autonomia tuttavia deve soprattutto pesare economicamente sul nuovo adulto. È comodo chiedere l’autonomia per poter meglio mungere la mucca comunitaria. Come detto in altra occasione la solidarietà deve essere acquisita tramite comportamenti che ne diano merito agli occhi di chi ne sostiene l’onere. È solo la carità che costituisce un dovere compassionevole ma totalmente volontario da parte di chi ne accetta lo spirito. La solidarietà tra istituzioni deve essere basata su un mutuo ma riconosciuto interesse economico. Se investo in un Paese povero lo faccio non erogando semplici risorse ma fornendo strutture e infra-strutture che mirino a conseguire linee di sviluppo condivise da entrambi. Non si può oggi investire in Paesi come la Cina a meno di non sostenerne il rischio sul piano privato come hanno fatto IBM e la Fiat. Senza oneri per il contribuente. O come hanno fatto gli ordini religiosi basandosi solo sui versamenti caritatevoli dei fedeli. Senza oneri per il contribuente di Stati laici.

Autonomie ‘responsabili’

In liberal-democrazia ogni autonomia deve essere accompagnata da responsabilità. Ciò vale per gli individui all’atto del loro affrancamento dalla tutela genitoriale (spesso ‘interpretato’ liberamente dai giudici come dovere dei genitori anche al di là dell’età adulta ed attribuendo il diritto politico attivo e passivo anche a chi non è responsabile delle scelte espresse). Ciò vale anche e soprattutto per le istituzioni dotate di poteri di pubblico interesse dalle aziende agli enti pubblici e privati fino ai tradizionali poteri statali. Anche in questo campo una corretta liberal-democrazia deve attribuire responsabilità alla persona che rappresenta l’istituzione. Il proprietario o il presidente devono essere responsabili di persona per eventuali lesioni apportate agli interessi esterni alla azienda. Così anche i giudici se autonomi nella gestione del potere loro delegato (che ha radice nella legittimità che sempre risiede nell’elettore), devono pagare di persona gli errori che causino danni. Non è responsabile un giudice che ‘interpreti’ estensivamente la legge scritta e rilasci un pedofilo agli arresti domiciliari e non venga rimosso per avere preso quella decisione in modo ‘irresponsabile’ allorquando il pedofilo perpetra nuovi crimini nel pieno conforto domiciliare. Se poi la legge viene erroneamente interpretata dai giudici con regolarità per assoluta mancanza di chiarezza nel testo delle leggi o dei regolamenti applicativi ad esse correlati, allora deve essere ‘responsabile’ di persona il firmatario della legge stessa e dei regolamenti applicativi. Altrimenti si tende a scrivere testi di legge ‘illuminati’ e avanzatissimi che non sono attuabili sul piano pratico. Il solo per il quale le leggi devono essere scritte nell’ambito della delega a svolgere tale mansione concessa al legislativo sulla base della legittimità liberal-democratica. Una campagna elettorale che si svolga per l’elezione dell’esecutivo non dovrebbe trattare materie che si proiettano su un arco temporale maggiore del quinquennio. Si dovrebbero cioè trattare argomenti relativi alle priorità di realizzazioni (e criteri modali per la loro attuazione) che hanno il solo compito di risolvere problemi pratici riconosciuti diffusamente dall’elettorato. Una marginale componente ideologica può essere accettata solo relativamente alle priorità e ai criteri dei project financing. È per ciò che le elezioni legislative dovrebbero essere sfasate rispetto a quelle dell’esecutivo. Ed è per le stesse ragioni che occorre aggiornare sul piano liberal-democratico una carta costituzionale assolutamente inadeguata come quella italiana e nata morta e obsoleta prima di entrare in vigore  (la ‘prassi’ ha sempre supplito la lettera e le più critiche disposizioni sono state disattese (CNEL, personalità giuridica di sindacati e partiti, disposizioni ‘transitorie’). Occorre affermare che lo Stato italiano rispetta la divisione e contrapposizione tra poteri istituzionali tutti ‘responsabili’ e legittimati dal voto elettivo diretto del corpo elettorale. Occorre affermare che lo Stato resta armato modernamente e sceglie le sue alleanze di politica estera in funzione della sua volontà di conservare integre le sue caratteristiche liberal-democratiche pronto a lottare per non perderle ma pronto a usare la forza armata assieme agli alleati per negoziare contro chi la minaccia per disinnescare il rischio di usare sul campo le armi. Il resto sono bambinate da oratorio oppure furbate di quinte-colonne che il crollo del muro ha disinnescato. È ora di cambiare anche perché la globalizzazione e l’UE hanno reso ridicolo il voler parlare di autonomia o indipendenza politica a meno di non definirne i contorni geo-politici con chiarezza che aiuti gli elettori a scegliere in sede di elezione del corpo legislativo.