23/01/2010

Guardare il dito o ammirare la luna?

Il più usuale dibattito politico in Italia ci annoia con sterili proiezioni su di una scacchiera che si limita all’analisi delle più consunte mosse di reciproca sopraffazione condotte da protagonisti privi di qualsiasi ispirazione innovativa rispetto alle ideologie e alle strutture ancorate a un passato ancora duro a morire. Ciò rischia di perpetuare l’agonia dell’era degli Stati Nazione ormai travolti dall’irreversibile globalizzazione dell’economia industriale.

Si parla infatti di alternative keynesiane e di interventi dello stato che sarebbero destinate solo a dissipare il reddito nazionale in maggiori dosi di debito pubblico per tutelare isole occupazionali solo temporaneamente in quanto parassitarie (amministrazioni dello stato) oppure ormai fuori mercato (Termini Imerese) che condannerebbero il sistema produttivo del Paese a livelli di inferiorità competitiva erispetto ai sistemi con cui ci dobbiamo confrontare sul mercato globale.

La scacchiera ci viene presentata composta di caselle che costruirebbero gli obiettivi appetiti dallo scontro tra i protagonisti. Caselle-obiettivo rappresentate da ruoli e cariche ormai in via di svuotamento di potere effettivo alla luce di due tendenze complementari, convergenti e tanto innovative ed inesorabili in quanto imposte dalle non influenzabili forze esogene della globalizzazione industriale: il federalismo (di Bossi) e l’internazionalizzazione delle industrie più innovative (di Berlusconi).

I protagonisti dello scontro politico quindi si possono collocare, ben al di là della loro età o stato di salute, tra i vecchi (da Prodi, D’Alema, Casini) ed i nuovi (Bossi, Berlusconi, Tremonti) con un’area intermedia di riciclabili sullo scenario che la geopolitica assegnerà presto all’Italia (che comprende Bersani, Fini, Formigoni e Maroni).

Lo scontro politico oggi ci viene illustrato ancora dai media (tranne poche eccezioni come “il Foglio” e, ma solo parzialmente il “Sole-24Ore”) incentrandone gli sviluppi attornio all’”ombelico” più stantìo delle sue motivazioni tradizionali e corporative che sono quindi in via di celere obsolescenza. Si ipotizza, ad esempio, una grande appetibilità per la carica di primo ministro (se dotata di solide capacità “decisionali”). Una cosa certamente vera per Bettino Craxi e per il primo governo Berlusconi ma già forse molto meno interessante oggi. Si ipotizza così anche una appetibilità per il ruolo di presidente della repubblica. Una cosa che non ha mai avuto peso in Italia e che mai ne avrà in futuro (almeno qualora il primo ministro dovesse ricevere maggiore peso decisionale).

In questo gioco dell’oca nessuno riesce a decifrare le vere ragioni della lotta politica e quindi a poter valutare l’adeguatezza e la credibilità delle decisioni poste in essere dai due fronti animati da obiettivi diversissimi e con disponibilità di altrettanto diversissime risorse in quanto a potenziale efficacia e fertilità. Il fronte dei vecchi che dispone delle risorse gestibili da uno stato inefficiente e sempre più impotente ed indebitato che è fiancheggiato da un aggregato di imprese parassitarie e non competitive e da sempre più impopolari corporazioni. Il fronte dei nuovi che dispone del sostegno del mondo industriale più sano, competitivo e consolidato diffusamente in ogni realtà economica “locale”. Un mondo già ben integrato coi mercati globali che cresce in dimensioni anno per anno.

Alla luce di queste considerazioni converrebbe smetterla di “guardarci il dito” per ammirare invece la luna che ci prospetta il futuro. Il mondo è una risorsa per il “sistema privato” Italia. La nostra capacità e obbligo di trasformare i prodotti in beni collocabili sul mercato globale, ci permette di raccogliere risorse nuove che sono marginali a fronte della crescita del PIL globale ma sono enormi a fronte del patetico PIL nazionale.

Lo stato non è una risorsa del “sistema privato” Italia. La sua inefficienza e avidità fiscale costituiscono solo un freno per il sistema produttivo più sano e competitivo. Un freno inoltre “masochista” per lo stato stesso che (vedi la “curva di Laffer” e le sue applicazioni più recenti in Polonia) riuscirebbe a ricevere ben maggiori risorse con una tassazione più discreta della torta in veloce espansione invece di ritagliarsi fette sempre più ampie di una torta stantìa che, tra l’altro, obbliga le aziende più competitive e motivate a emigrare o alla illegalità.

Se la globalizzazione è destinata a crescere e consolidare velocemente nuovi istituti di governance condivisa, è evidente che la tendenza in atto in ogni Paese sia duplice: la devoluzione di poteri nazionali a istituzioni soprannazionali (commissione europea, parlamento europeo, banca centrale europea, NATO, WTO) e il potenziamento dei rapporti con le economie “locali” (camera federale, federalismo fiscale, giurisdizione amministrativa).

Se ciò è vero mi sembrerebbe naturale ipotizzare che un Berlusconi (tycoon di successo internazionale) aspirasse ad occupare posizioni caratterizzate da ruolo politico adeguato al respiro dei suoi interessi e capacità industriali che certamente continueranno a costituire per lui fonti di gratificazione preponderanti (fino al decesso o all’Alzheimer certamente non fino alla sua rinuncia per auto-pensionarsi) e che non potranno essere surrogate da alcuno altro interesse musicale, sessuale o formale che sia.

Berlusconi non è un “capa ‘mbrella” che si accontenterebbe di essere svirilizzato in una “sine cura”. Berlusconi non può mirare alla presidenza della “repubblichetta Italia” ma a rappresentare il potenziale degli interessi industriali più sani e competitivi del “sistema Italia” in sede mondiale col ruolo di presidente dell’UE. Cosa per la quale è preparato, ha le risorse, ha la dinamica creativa, è favorito rispetto a suoi concorrenti francesi o tedeschi grazie al maggiore consenso che gli verrebbe concesso da quasi tutti i Paesi più piccoli e di più recente adesione all’UE. E, infine, converrebbe a tutti gli italiani averlo in quel ruolo, sia ai vecchi (che potrebbero giocare alle bambole coi residui poteri nazionali), sia ai nuovi (che potrebbero consolidare i loro giuochi dell’oca “locali), sia ai ”riciclabili (che potrebbero continuare a beneficiare di poteri nazionali costituendo lo “staff nazionale” delle scelte del capo a Bruxelles-Strasburgo).

Menomale che abbiamo liberato ormai questa preziosa risorsa nazionale dai lacci e lacciuoli rancorosi di una giustizia inefficiente e parruccona ancora asservita a un sistema politico ottocentesco corporativo, parassitario, privo di relazioni col firmamento globale e concentrato invece sull’ombelico della costituzione nata  da resistenza: roba patetica di un secolo fa.