22/10/2010

Sviluppo industriale e ‘governance’

Nessuno stato potrà mai produrre ricchezza. Al più lo stato può creare ‘posti’ sottraendo tramite il fisco redditi guadagnati da aziende industriali e da professionisti per finanziare quei salari immeritati sperando che quell’operazione possa risultare sostenibile dalla ricchezza tassata ai produttori.

Il risultato netto di questo meccanismo di ‘creazione di occupazione’ è la ridistribuzione del reddito già prodotto tra consumatori finali che meritano il loro reddito con differenti gradi di dignità; i redditi guadagnati vs. quelli assegnati.

Questo processo di appiattimento forzato dall’’alto’ dei redditi è una finalità attribuita allo stato in modo istituzionale dal ‘welfare state’ promosso dal paradigma dei governi degli Stati-Nazione per raccogliere consenso politico e legittimare il diritto di governare i paesi in uno spirito di ‘governance’ dall’alto. Tra I primi esempi di welfare state della storia moderna si può ricordare le ‘abitazioni sociali’ offerte dal Re Cristiano II di Danimarca ai suoi marinai o la ‘previdenza sociale’ concepita dal Cancelliere Imperiale il Principe Otto von Bismarck. Entrambi esempi di governo ‘illuminato’ esercitato dall’alto sui ‘sudditi’ i cui redditi erano ‘governati’ dalla saggezza del Governo Imperiale. Oltre alla natura fondamentalmente illiberale quel tipo di governance dall’alto ha un costo per tutta l’economia in termini di depressione del tasso di crescita del prodotto nazionale lordo. Infatti esso scoraggia i protagonisti più intraprendenti e rinuncia a stimolare i più pigri. In aggiunta i costi ‘overhead’ che lo stato si assume in modo improprio con istituzioni in carico del processo di ridistribuzione appesantiscono il prodotto lordo nazionale con un non richiesto ed aggiuntivo handicap parassitario. Le istituzioni dello stato spesso assorbono ben oltre il 50% delle risorse drenate per via fiscale e destinate a questo scopo.

Un sano sistema industrial richiede che le risorse disponibili siano concentrate a sostegno delle iniziative di crescita del reddito nazionale. Ciò impone alle istituzioni dello stato di limitare al minimo il costo della ‘governance’.

La governance è un ruolo svolto da istituzioni sia stato sia industriali a beneficio dell’interesse generale. Un tema facilmente distorto per fini demagogici con definizioni molto ideologizzate da valutazioni ‘politically correct’ opposte al ‘liberismo selvaggio’ ispirato dalla ‘naturale avidità umana’. ciò autorizza ogni sorta di governance illiberale dell’economia dall’alto contro lo stile ‘naturale’ dal basso che caratterizza l’ economia di libero mercato; la sola risorsa vincente in una arena competitiva come l’attuale mercato globale non-protezionista in cui è impossibile un’‘economia pianificata’.

La maggioranza delle istituzioni dedicate alla ‘governance’ del sistema industria-stato sono gestite dallo stato grazie al passato spirito illiberale dall’alto proprio del welfare state. Poche tra esse tuttavia sono gestate da aziende industriali con una minima relazione con lo stato. La Federal Reserve USA è un buon esempio di analoghe agenize di controllo sulla valuta dove il comparto di industria della finanza gioca un ruolo significativo.

Lo sviluppo della ricchezza e del benessere invece sono perlopiù gestiti da aziende industriali governate in uno spirito privato di ‘governance’

Lo stato non produce ricchezza; ne raccoglie solo porzioni del reddito industriale prodotto tramite criteri legali ma arbitrari e distribuisce quelle risorse agli strati meno produttivi della popolazione i cui redditi raramente si tradurranno in reddito guadagnato. Questa operazione illiberale risulta un impoverimento globale del prodotto lordo nazionale.

Sono d’accordo che nessun Presidente USA avrebbe rifiutato fondi alle maggiori banche e ai gruppi industriali in difficoltà; per i risultanti impatti del diniego sulle loro constituency. È questo il lato negative della politica. Qualunque politico normale avrebbe agito come Margie Thatcher o Ronnie Reagan eliminando dal dibattito l’arroganza dei sindacati. Dei minatori nel Regno Unito e dei controllori di volo negli USA. Sono altresì convinto che, lasciando fallire pochi gruppi maggiori finanziari, avrebbe condotto Obama a fallire la rielezione per un secondo mandato. È una delle ragioni per cui personalmente preferirei si estendesse la durata del mandato a 7 anni ma limitando per ogni Presidente al solo primo ed unico (in analogia con la magistratura della ‘dittatura a termine’ dell’antica Grecia e antica Roma). Se non si lasciano fallire i principali gruppi finanziari (Salomon Brothers o Fannie Mae ed anche Chrysler) come avvenne per la Lehman Brothers, l’unico risultato ottenuto dai fondi erogati dallo stato è solo quello di distorcere il ‘libero mercato’, di far beneficiare ai gruppi industriali i loro successi e di addebitare a tutti i contribuenti i loro errori.

Statisti animati da governance liberista dovrebbero lasciar fallire. Ci sarà sempre una Ford sana interessata ad acquistare i clienti di chi fallisce e di espandersi. Altrimenti, grazie ai sindacati ed ai politicanti, si finanzierebbe qualunque gruppo estero privo di fondi - come la Fiat negli USA - ad entrare sul mercato addebitando quel sostegno ai contribuenti americani.

Si perdono molti meno posti di lavoro complessivi e si genera molta maggiore crescita economica totale lasciando fallire i meno competitivi di quanto non avvenga alimentando le aziende meno competitive. Occorre accettare che l’associata perdita di occupazione, pur se minore e compensata da maggiore crescita di ricchezza, colpisca i propri ‘privilegiati’ senza continuare a gravare sullo sviluppo dei più diseredati. È una regola che stranamente viene contravvenuta proprio da chi si fregia di dottrine sociali umanitarie e internazionaliste sia sul piano secolare che religioso.

Il debito nazionale non è un problema se è stato accumulato con diffuse scelte di libero mercato e massiccia assunzione dei rischi senza alcuna garanzia di loro compensazione a nessun livello. La Cina ha finanziato il suo sviluppo industriale con finanziamenti raccolti presso i ‘comuni’ consumatori USA che hanno abusato delle carte di credito e dei mutui immobiliari per oltre trenta anni. Il risultato netto è stato l’avvio del più consistente sviluppo industriale a livello planetario e l’associata crescita di tutti i PIL in ogni Paese. Le ‘crisi locali’ sono solo congiunturali e causate dall’inevitabile processo di ottimizzare su base globale l’impiego industriale delle scarse risorse disponibili (denaro, mano d’opera, materie prime). Questo risultato eccezionale ha condotto la Cina ad accumulare la principale porzione del debito USA e a sperimentare all’interno le rivendicazioni iniettate dalle nuove ‘aspettative democratiche’: sindacali, etniche, religiose, etc.. Risultati strepitosi della ‘politica normale’ cioè attuata dall’approccio capitalista sano e solido di sostenere rischi individuali. Altrimenti ognuno potrebbe agevolmente permettersi di assumere i rischi finanziati a spesa altrui. Come Obama sta facendo oggi negoziando coi Talebani (la sterile ‘carota’) richiamando Petraeus (il solo efficace ‘bastone’ che gli USA hanno insediato a spese del sangue dei ‘normali’ Marines). Un vero Repubblicano come Teddy Roosevelt mai avrebbe abbandonato la saggia indicazione degli antici romani sintetizzata dal: ‘si vis pacem, para bellum’.

Comunque le economie industriali fioriscono meglio nell’ambito di un insieme di regole certe che chiamiamo ‘governance’.

La governance è tradizionalmente un compito affidato alle istituzioni di stato benché possa essere assicurata anche da aziende industriali. I Lloyds di Londra, le Compagnie delle Indie o la Lega Anseatica ne sono esempi storici eccellenti.

L’elemento principale se non unico in grado di assicurare un’efficace ‘governance’ dell’economia è il dare evidenza d’un fermo rispetto dei principi di base che regolano le transazioni industriali.

La visibilità di quei principi e la credibilità garantita dal loro rispetto effettivo sono la sola guida su cui si fonda una credibile ‘governance’. Le istituzioni responsabili del rispetto della governance globale devono mostrare solo una ferma, stabile gestione del timone nell’attuazione dei compiti loro assegnati. La credibilità discende dalla linearità, comprensibilità e coerenza dei valori protetti e dalla prontezza ed effettiva capacità di assicurarne il rispetto sul campo.

Questi elementi rendono talune aziende industriali più influenti sulla ‘governance’ di quanto non facciano molte agenzie di stato. Ciò è dovuto al meno comprensibile mix di obiettivi politici che si affidano alle agenize di stato; mix che confonde ed ostacola l’effettiva, costante, coerente e credibile capacità di far rispettare chiari ed evidenti criteri di governance.