22/04/2011

Sinistra e Italia: un abbinamento storico impossibile

In Italia la ‘sinistra’ è stata sempre inquinata da una ispirazione moralista che l’ha spinta verso forme di ‘stato etico’ che ne hanno impedito l’evoluzione ‘laica’ in ambito politico. Un ambito il cui fine elettivo è cercare forme pragmatiche di ‘compromesso’ a beneficio della governabilità del sistema industria-stato.

La ‘sinistra’ in tutte le sue manifestazioni storiche in Italia è stata suggestionata dalla ricerca di ‘soluzioni drastiche’ (le ‘rivoluzioni’) invece di soddisfare gradualmente le aspettative di cambiamento (i ‘riformismi’) con azioni di costante compromesso nello spirito umanista (gradualità) e scientifico (prova & riprova); lo spirito che anima il vivere ‘laico’ di soggetti ispirati da fedi e ideologie diverse e incompatibili lungo la linea di demarcazione stabilita dalla civiltà ‘Occidentale’ col ‘date a Cesare ciò ch’è di Cesare, a Dio ciò ch’è di Dio’.

Tranne forse occasionali tentativi (tutti emarginati dalla ‘sinistra’ egemone nella loro epoca) la ‘sinistra’ ha rifiutato compromessi anche quando ha partecipato in modo solamente formale alle forme di ‘compromessi storici’ (non ultimo quello tra Moro e Berlinguer che scatenò infatti il terrorismo delle ‘brigate rosse’).

Nell’epoca dello Stato Nazione (durante gli ultimi, travagliati cento cinquant’anni) si possono citare diversi esempi di ‘catastrofi’ del progresso di ideologie di-sinistra: con l’azione ‘traumatica’ dell’unità intrapresa da Garibaldi (che aiutò il successo della dinastia dei Savoia contro la gradualità delle sollevazioni borghesi sulla traccia del federalismo di Cattaneo); col rifiuto di Turati del compromesso offerto da Giolitti (che condusse a sperimentare le ‘rivoluzioni rosse’ con effetti deteriori per l’unità della ‘sinistra’ e la nascita del ‘fascismo’; con l’azione ‘rivoluzionaria’ di Mussolini certamente ‘di sinistra’ fino ai suoi ultimi giorni della RSI e Carta di Verona nascosta dietro un moderatismo riformista solo strumentale all’ascesa democratica al potere); con la strategia di Gramsci di presa del potere tramite l’egemonia del ‘partito’ sulle ‘istituzioni’ (graduale solo nella forma ma ‘rivoluzionaria’ ed illiberale nella sostanza); con l’analoga strategia di Togliatti (fallita grazie alla ‘guerra fredda’ che segnalò apertis verbis alla pubblica opinione la linea di demarcazione tra il blocco popolare di una ‘sinistra’ massimalista e ‘rivoluzionaria’ nei suoi fini e i partiti ‘riformisti’ sia del socialismo repubblicano sia dei democristiani con le riforme democratiche – anche se strumentali – del suffragio universale e della riforma agraria); con la mancata Bad Godesberg dei socialisti in Italia grazie ai massimalisti (che condusse al ‘compromesso storico’ dapprima - per escludere i riformisti minoritari – e al tentativo fallito di Craxi – con la coda tuttora in vita che sta alimentando il successo politico di Berlusconi – e alla destabilizzazione delle istituzioni liberal-democratiche avviata dall’anti-‘Occidentale’ impresa di ‘mani-pulite’ con i magistrati in ruolo politico suppletivo senza distinzioni di ruoli o ‘responsabilità’ istituzionali).

In altri paesi ‘Occidentali’ invece la ‘sinistra’ ha assunto comportamenti ‘riformisti’ accettando ogni regime pur di progredire in senso più rispettoso degli interessi sociali più diffusi ‘contro’ il tentativo delle oligarchie di conservare i propri privilegi in modo parassitario.

Nel Regno Unito non si è mai sostenuto l’obiettivo di sostituire la monarchia con la repubblica sin dai tempi della ‘magna charta’ (tranne il massimalismo puritano di Cromwell cancellato dal costante riformismo dei ‘whig’ e dei ‘tory’ (conservatori e laburisti che obliterano ogni spazio politico per i ‘liberali’); Blair è solo il più recente esempio emblematico del riformismo britannico di ‘sinistra’ (che ha da sempre tanto successo storico da avere costretto sul tema del riformismo anche i conservatori).

In Germania ed in Scandinavia sono stati i regimi monarchici e imperiali ad animare le riforme sociali lungo tutto l’arco della storia pre-Stato Nazione (con l’invenzione di forme di welfare state fino a Bismarck), dopo il crollo degli Imperi Centrali e l’avvento del massimalismo socialista (Marx e Luxembourg) ha condotto al fallimentare regime della Repubblica di Weimar e alla conseguente adesione dell’elettorato alle proposte del ‘riformismo’ nazional-socialista di Htler che ha saputo coniugare le due motivazioni egemoni nella politica del paese; il lungamente frustrato orgoglio-paranoia nazionale e la diffusa elargizione di benessere sociale da parte del regime vigente. Ciò fino all’avvento della liberal-democrazia attuale in cui la ‘sinistra’ si rese conto con dovuto anticipo del carattere politicamente fallimentare del socialismo ‘reale’ che aveva assoggettato la metà orientale della nazione e giunse al traumatico congresso di Bad Godesberg in cui il socialismo assunse una piena credibilità liberal-democratica e diritto di governare un moderno sistema industriale (con le note ‘reazioni’ della ‘rote armee fraktion’ che hanno condotto a ‘suicidare’ in carcere massimalisti del calibro dei nostri più sterili Curcio o squallidi Negri).

In Francia si sono manifestate sempre forme di socialismo massimalista analoghe a quelle che sono prevalse in Germania con analogo retroterra nazionalista che ha facilitato la peculiarità centralista, protezionista e para-fascista dello Stato Nazione Francia. Sin dalla cancellazione manu militari dell’Ordine Teutonico che operava in spirito ‘imperiale’ in tutto il mondo di allora, i regimi francesi hanno governato in un’ottica di espansionismo militare ed egemonia culturale su paesi assoggettati e considerati colonie. Ciò incluse anche la Rivoluzione Francese che ha ucciso l’illuminismo (fiorito invece nel Regno Unito e negli USA) sostituendo la tolleranza liberal-democratica della democrazia dal basso con l’egemonia della scienza e dei suoi sinedri a tutela e programmazione del benessere delle masse incolte da educare al ben pensare. Ogni regime totalitario successivo si è ispirato alla legittimità delle elite di governo imposta dal giacobinismo ma in realtà si è solo trattato di forme di regimi para-fascisti indipendentemente dal loro programma politico o dalla dottrina sociale che sostenevano; l’Impero di Bonaparte, la Comune di Blum a Parigi, il Colonialismo Repubblicano, il regime di Petain-Laval, la monocrazia della quinta Repubblica gaullista fino all’interventismo in Africa oggi son tutti regimi guerrafondai, autoritari, protezionisti all’insegna del nazionalismo più antistorico anche di fronte al crollo dell’era degli Stati Nazione dettato dall’avvento della globalizzazione industriale. In Francia infatti il socialismo ‘riformista’ ha avuto scarso credito e stentata vita minacciato da socialisti-nazionali (Maurras o Le Pen) o da monocrati paternalisti (De Gaulle, Mitterrand, Giscard D’Estaing o Sarkozy) che si legittimano cavalcando le frustrate aspettative di grandeur di una nazione ibrida ‘germanico-latina’.

Il sangue versato inutilmente nel mondo dai francesi è analogo e speculare a quello dissipato all’interno del loro paese dai tedeschi; i primi per permeare il globo di una ‘superiorità culturale’ francese, i secondi per assoggettare il mondo alla ‘superiorità antropologica’ tedesca. Due paradigmi anti-‘Occidentali’ non tanto nelle loro pretese (che solo la storia della civiltà potrebbe ‘verificare’ o ‘falsificare’ solo sul campo) quanto piuttosto per l’inevitabile spirito prevaricatore che le anima e legittima le loro istituzioni nel corso della implementazione dei programmi di azione politica.

Roma non ha conquistato ‘manu militari’, essa ha trasferito manu militari un sistema istituzionale ed un modello di convivenza dimostratosi vincente e ‘superiore’ rispetto a tutti gli altri ‘sul campo’ e dimostratosi sul piano sperimentale nei millenni più flessibile, adattivo e migliorabile senza traumi drammatici (le guerre non sono mai avvenute tra democrazie ma sempre tra democrazie e autoritarismi o totalitarismi oligarchici o monocratici impermeabili alla negoziazione politica – democrazie e autoritarismi misurati su una scala di empirici livelli gerarchici di crescente intensità).

Il Regno Unito ha conquistato il mondo ma, al suo recesso, ha lasciato una solida cooperazione tra i regimi liberal-democratici del Commonwealth ivi incluso le ex-colonie sia che si fossero affrancate con atti pacifici o militari (USA o India).

Gli USA conquistano il mondo grazie a Coca Cola, Jeans, Hollywood, Jazz, Rap, Face Book e mode giovanili ma non sono mai stati proclivi ad occupare territori esteri che non accettassero liberamente l’adesione alla Unione (coi più recenti casi di Alaska e Hawaii e le pendenti istanze di Puerto Rico, isole Vergini Americane, Samoa Americane, Guam, Marianne Settentrionali ed atolli di Midway e Wake – anche la Sicilia post-bellica con Finocchiaro Aprile e Salvatore Giuliano ha nutrito l’obiettivo di porre la sua candidatura).

Solo le satrapie devono conquistare ‘manu militari’ e perdono poi il potere svanendo nelle nebbie della Storia non appena perdono l’egemonia militare (com’è sempre avvenuto da Serse, Dario, Attila, Napoleone, Hitler fino a Stalin, Pol Pot, Castro e Chavez).

In tutta Europa qualsiasi regime successivamente al crollo della governance globale di Roma Imperiale, ha dovuto legittimare la sua autonomia rispetto al potere morale del Pontefice di Roma che ne ha conservato un’egemonia universalmente riconosciuta. La sfera di autonomia dei regimi nazionali è stata soggetta da sempre a sottostare al filtro critico del potere spirituale cattolico (universale). Inevitabilmente quindi nelle nazioni in cui il potere spirituale di Roma poteva essere fatto apparire come ‘esotico’ il potere politico ha potuto agevolare il distacco dal Pontefice con iniziative traumatiche che hanno istituito le Chiese Nazionali.

I regimi degli Stati Nazione quindi ebbero due scelte rifiutare qualsiasi commistione con la fede religiosa ed aderire a comportamenti ‘laici’ in senso ateista, materialista ed anti-clericale, oppure accettare qualsiasi fede religiosa come un fatto privato che non deve avere alcuna influenza sulle decisioni politiche e aderire quindi a comportamenti ‘laici’ in senso relativista ed indifferente ad una delle fondamentali istituzioni filosofiche su cui si fonda la civiltà ‘Occidentale’ che perse gradualmente quindi le basi dell’autostima che ha animato la diffusione della civiltà greco-romana-cristiana nel mondo; e che ha ‘giustificato’ le linee di sviluppo della civiltà ‘Occidentale’ in continuità dall’umanesimo, al rinascimento ed all’Illuminismo fino alla traumatica frattura generata dalla Rivoluzione Francese – scientista, materialista e totalitaria.

I regimi di ‘sinistra’ sono stati quelli più spesso protagonisti nella ricerca di ‘liberazione’ dall’’oppio’ della religione con programmi educativi che hanno avocato al monopolio del ‘partito egemone’ il compito di educare le nuove generazioni (scolarità), la scienza (comitati etici) e la pubblica opinione (Media di Stato).

I regimi ‘conservatori’ hanno sempre cercato invece di mantenere l’equilibrio politico tra ispirazioni etiche e scelte pragmatiche nelle decisioni politiche – compromessi con un’opinione pubblica liberamente ‘formata’ da scolarità e comunicazioni sociali ‘private’ tra le quali quella cattolica.

In Italia le cose sono peggiorate dal fatto che i regimi succedutisi dal crollo di Roma Imperiale sono stati di due tipi; nazionale (sotto sovrani ‘forestieri’ e ‘barbari’) oppure provinciali (sotto principi di cultura italiana e di religione cattolica). Ne è risultato un’inevitabile predominio di regimi ‘conservatori’ della convivenza tra istanze pragmatiche e linee dottrinali etiche cattoliche (di ‘destra’) rispetto all’emergere di alternative ‘laiche’ che non fossero costrette ad ‘imporre’ la propria diversità (di ‘sinistra’) tramite vere e proprie ‘rivoluzioni’ impopolari quindi sotto due criteri di giudizio.

I regimi ‘nazionali’ (o aggregatori di diverse realtà ‘provinciali’ in regioni di grande estensione) invece hanno consolidato un’altra tendenza costante in campo politico; la separazione tra il potere civile straniero, che era considerato forestiero e da sopportare peri le sue imposizioni amministrative (paese legale) ed il parallelo sistema civile nazionale, considerato familiare ma costretto ad operare sul piano non ufficiale e spesso con atti ‘illegali’ di sostegno alle ragioni del popolo oppresso dallo straniero (il paese reale).

Questa percezione del regime politico dello Stato è una costante in Italia ed ha avuto il grande merito di ammorbidire (se non isterilire) il potere delle oligarchie in tutti i regimi e le epoche dal crollo di Roma Imperiale e di agevolare la conservazione dell’elevato status morale del Pontefice che permette oggi all’Italia di beneficiare della presenza dell’universalità ‘italiana’ alle soglie della seconda versione della governance globale. L’aspetto negativo della percezione negativa del potere politico dello Stato è stato invece il solido radicamento delle istituzioni di potere ‘informale’ (un contro-potere ‘malavitoso’) in quasi tutte le regioni.